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Autore: Lady1990    16/06/2019    3 recensioni
Ashwood Port, situata sulla costa del Massachusetts, vanta circa ventimila abitanti. Tre anni dopo la sua fondazione, risalente al 1691, fu teatro di un grande processo per stregoneria, mentre alla fine dell'Ottocento, durante la Guerra Civile, ospitò una sanguinosa battaglia. Al giorno d'oggi deve la sua popolarità a un florido commercio di pesce.
Le persone conducono una vita normale, spesso noiosa, perché nulla di sensazionale accade mai ad Ashwood Port.
Regan, sedici anni, erede dell'agenzia di pompe funebri McLaughlin, ha iniziato il liceo con un chiaro obiettivo in mente: stare lontano dai guai. Ma quando Teresa Meyers scompare senza lasciare traccia all'inizio dell'anno scolastico, Regan capirà di non avere altra scelta che lasciarsi coinvolgere nella follia che infesta Ashwood Port.
Infatti, quella di Teresa sarà solo la prima di una serie di impossibili sparizioni che, assieme ad altri eventi sinistri, si abbatteranno sulla tranquilla cittadina.
Tra fantasmi, streghe, licantropi, cacciatori, incubi e inganni, Regan si impegnerà per svelare il mistero. Ma a quale prezzo?
Anche se si è nati nell'oscurità, perdersi in essa è più facile di quanto si pensi.
[IN REVISIONE]
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Questo capitolo è dedicato a baileyzabini90! Grazie per il tuo sostegno e la tua fedeltà, sei la mejo <3 love u!







 
Tra tutte le cose che Regan pensava potessero succedere quel sabato mattina, scoprire che Roman aveva dormito sotto la siepe di maonie in giardino per tutta la notte non era fra quelle. Fu Poe a individuarlo, mentre sgusciava tra i cespugli in cerca di topi.

Deirdre uscì a indagare, richiamata dai miagolii del gatto. Sostando di fronte alle maonie con le mani sui fianchi, osservò il licantropo dall’alto a metà tra lo sconsolato e l’affettuoso. Roman le rivolse un sorriso innocente. Deirdre sbuffò incredula e lo invitò dentro a fare colazione.

Con la faccia sbattuta di chi si è concesso un paio d’ore di riposo al massimo e gli stessi vestiti del giorno prima, solo umidi e macchiati di terra ed erba, Roman entrò in casa strascicando i piedi, per poi avviluppare Regan in un abbraccio soffocante.

“Buongiorno anche a te.” bofonchiò Regan, assestandogli un paio di pacche sulla schiena per comunicargli che l’abbraccio era durato abbastanza, ma Roman travisò e rafforzò la presa, “Okay, non respiro…”

Il lupo si staccò il tanto che bastava a catturargli le labbra in un bacio. Regan non poté far altro che sbattere ripetutamente le palpebre, rigido come un tronco, mentre l’altro gli respirava sulla bocca e spargeva il suo odore sui vestiti per marcare il territorio.

Deirdre scelse quel momento per emergere dalla cucina. La sua espressione curiosa si tramutò in un sorriso trionfante non appena li vide.

Roman pose fine al bacio e si accasciò su Regan con un sospiro esausto. Intontito, il moro lo afferrò per i fianchi per sostenerlo. Nessuno avrebbe immaginato che un corpo snello come quello di Roman potesse pesare così tanto. Dopo aver valutato le opzioni, lo trascinò in salotto, dove lo spinse a stendersi sul divano.

“Che ci fai qui?”

“Dopo quanto accaduto ieri notte, non me la sono sentita di lasciarti…” confessò mentre si stropicciava le palpebre.

Deirdre li raggiunse e offrì a Roman una tazza di tè per riscaldarsi. Il lupo l’accettò con un sorriso e lo tracannò in tre sorsi, incurante del fatto che fosse bollente.

Regan pensò che era un miracolo che non fosse morto assiderato là fuori. Probabilmente era stato solo grazie alla sua natura se si era salvato, visto che i licantropi non pativano troppo il freddo.

“Ti vanno bene uova e bacon, caro?”

“Sì, certo. Grazie, Deirdre.”

“Prego. E la prossima volta fammi un favore: bussa.”

Roman annuì arrossendo. Soddisfatta, Deirdre si ritirò verso la cucina. Sulla soglia, ammiccò all’indirizzo del nipote, un ghigno saputo sulle labbra. In risposta, Regan levò gli occhi al cielo. Roman non si accorse dello scambio, dato che dava le spalle alla cucina.

“Senti, oggi andrò a fare shopping con le ragazze. Vuoi venire?”

Roman mugugnò un assenso.

“Okay. Lorie dovrebbe passare di qui alle dieci. Le scrivo che ci sei anche tu.”

“Roman, è pronta la colazione!” chiamò Deirdre.

In cucina, Regan si sedette davanti a lui per fargli compagnia. La nonna li salutò e sparì nel seminterrato per occuparsi della salma di un’anziana donna morta di infarto.

Mentre lo guardava divorare uova e bacon alla velocità della luce, Regan ponderò se metterlo al corrente del pericolo che incombeva su di lui. Non voleva che Roman gli stesse col fiato sul collo tutto il santo giorno. Apprezzava la sua presenza e lo confortava sapere che era rimasto a fare la guardia in giardino durante la notte, ma non voleva che si incollasse a lui come una cozza.

Okay, non era giusto trattarlo come se fosse una seccatura, Regan ne era consapevole, perché si vedeva che l’amico, dopo il casino alla Fondazione, era ancora scosso. Regan avrebbe dovuto immaginare che sarebbe rimasto nei paraggi. Anzi, non avrebbe dovuto mandarlo via, punto e basta. Essendo non solo una creatura soggetta all’influsso degli istinti, ma anche un beta, era ovvio che Roman avesse bisogno di restare vicino al suo alfa per ritrovare una parvenza di equilibrio emotivo.

Era un comportamento da manuale, Regan non poteva fargliene una colpa. Solo che non gli veniva facile immergersi nella nuova dinamica, gli serviva un altro po’ di tempo per abituarsi e capire come dare a Roman ciò di cui necessitava, trovare il giusto equilibrio. Lo spirito di adattamento non gli era mai mancato, Roman stesso lo aveva definito un pragmatico, ma la questione era parecchio delicata, da gestire con le pinze.

Alla fine, decise di tacere.

Alle dieci in punto, Lorie suonò il clacson dalla strada. Roman e Regan salutarono Deirdre e montarono in macchina, il primo sui sedili posteriori insieme a Vanessa e Claire e il secondo su quello davanti. Lorie si sporse brevemente per baciare Regan sulla guancia.

“Accidenti, che facce. Avete fatto le ore piccole?” indagò Vanessa.

“Maratona di film.” si inventò Regan sul momento.

“Prenderemo un caffè quando arriveremo.” decretò Lorie, per poi immettersi nel traffico e guidare alla volta dei grandi magazzini.

Parcheggiarono in uno dei pochi posti liberi e marciarono veloci verso l’entrata. Era freddo, il cielo era coperto di nubi, ma almeno il vento si era placato. Lorie e Claire presero Regan a braccetto, Vanessa si aggrappò alla sua schiena stile koala e Roman li seguì con una smorfia costipata.

Regan sarebbe scoppiato a ridergli in faccia se non avesse saputo che la gelosia del licantropo non originava dal vederlo condividere baci e abbracci con altri, quanto dal fatto le ragazze stavano coprendo l’odore di Roman con il loro. Non era arduo immaginare quanto dovesse essere spiacevole, soprattutto dal momento che il legame tra lui e Roman era ancora fresco e instabile. Roman aveva bisogno di essere rassicurato, non stuzzicato.

Una volta dentro, si divincolò gentilmente dalla gabbia di corpi femminili e andò ad abbracciare Roman. Lorie, Vanessa e Claire chiocciarono intenerite e scattarono delle foto da pubblicare su Instagram.

Si fermarono alla caffetteria al secondo piano. Roman ordinò un caffè nero, Regan si astenne. Più che caffè, gli ci sarebbe voluto un litro di sangue. Ma non poteva appartarsi con le ragazze, non più. Aveva promesso a Deirdre che non si sarebbe più nutrito di innocenti. Si rassegnò a passare la giornata a ciondolare come uno zombie, in onore dei vecchi tempi.

Una ventina di minuti dopo, vennero raggiunti dalle altre cheerleader. All’appello mancavano solo Mary e Crystal, che erano a letto con l’influenza. Insieme a Jennifer e Charlotte c’era anche Zack.

Quando Regan incrociò lo sguardo di Jennifer, un brivido gli sfrecciò su per la spina dorsale. Lei spostò l’attenzione quasi subito su Roman e storse il naso. Si ancorò al suo braccio e strusciò il palmo della mano sui vestiti di lui in lievi carezze. Avrebbero potuto passare per caste dimostrazioni d’affetto tra amici, se non fosse che sia Regan che Roman avevano riconosciuto all’istante il tentativo di marcare il territorio, cancellare ogni traccia di Regan sul corpo del lupo.

Charlotte e Zack, mano nella mano, salutarono calorosamente le ragazze. Quando gli occhi di Charlotte si posarono su Regan e Roman, però, la sua espressione si indurì.

“Hey, Charlotte. Come stai?” le chiese Roman, leggermente nervoso.

“Bene. Tu?”

“Bene.”

Jennifer incatenò lo sguardo a quello dell’amica e mosse le sopracciglia in modo buffo, cercando di comunicarle qualcosa tipo “Sii gentile col ragazzo per cui ho una cotta”. Al che Charlotte sbuffò e scrollò una spalla. Zack la distrasse con un bacio e la tensione si dissipò un poco.

“Allora, gente.” esordì Lorie, “Siamo qui per un motivo preciso, ovvero la missione Salva Il Guardaroba Di Regan Prima Che Diventi La Ragione Della Sua Morte Sociale.”

Regan inarcò un sopracciglio, palesemente poco colpito: “Avrei da ridire sul nome…”

“Tu non hai voce in capitolo. Prima tappa, scarpe.”

La giornata trascorse tra compere e sfilate di moda improvvisate, in cui Regan venne usato come riluttante manichino per provare svariati abbinamenti di pantaloni e camicie. Quando rientrò per la cinquantesima volta nel camerino per l’ennesimo cambio, valutò seriamente l’idea di fingersi morto. O inscenare un malore. Mal di testa? Mal di stomaco? Troppe opzioni tra cui scegliere...

Jennifer non si scollò un secondo da Roman. A un certo punto, in uno sfoggio di audacia, cominciò addirittura a scoccargli baci sulle guance non appena lui si distraeva, l’attenzione calamitata da Regan e dal modo in cui i pantaloni gli fasciavano il sedere. Lì per lì il licantropo non vi diede troppo peso, scrollandosi di dosso Jennifer con una risatina. Quando i baci si fecero più frequenti, tuttavia, iniziò a sentirsi a disagio. Cambiò postura e si erse in tutto il suo metro e ottanta per restare fuori portata dalle labbra di Jennifer, pregando che la tortura finisse presto.

La ragazza non la prese bene. Raddoppiò gli sforzi per farsi considerare da Roman, arrivando persino ad avvolgergli le braccia intorno al collo per tirarlo giù, col chiaro intento di baciarlo sulla bocca. Scocciato, Roman si divincolò e la trafisse con un’occhiata gelida. Afferrandola per un polso, la condusse fuori dal negozio per avere un minimo di privacy. Una volta scovato un angolino appartato tra due boutiques, si girò a fronteggiarla.

“Si può sapere che ti prende?” le domandò senza preamboli, la voce poco più di un sussurro.

“Non so di cosa parli.”

“Le carezze, i baci…” 

“Sono solo carezze e baci.”

“Non sono stupido, Jennifer. So cosa stai facendo.”

“E cosa starei facendo?”

“Stai cercando di sedurmi. Posso fiutare la tua eccitazione, l’odore dei tuoi umori tra le cosce.”

Lei avvampò e distolse lo sguardo imbarazzata.

“E allora?” borbottò imbronciata.

Roman ne aveva davvero abbastanza. Era stufo di girarci intorno, di sperare che Jennifer cogliesse da sola il messaggio, di farsi in quattro per proteggere il suo cuore da adolescente invaghita. Era giunto il momento di prendere il toro per le corna.

“E allora pensavo di essere stato chiaro, Jennifer. Non sono interessato a te da quel punto di vista. Sei molto carina, non lo nego, ma non sono disposto a essere nulla più che un amico o un fratello per te.”

Jennifer deglutì. I suoi occhi frizzavano a causa delle lacrime trattenute. Non si permise di scoppiare a piangere, non ancora. Lo avrebbe fatto, certo, ma solo quando fosse stata al sicuro nella sua tana. Per un misero attimo fu prima sul punto di forzare una risatina, perché Roman non poteva dire sul serio, e poi di rimproverarlo, perché lei non apprezzava questo genere di scherzi. La totale assenza di divertimento nell'odore di Roman la convinsero a desistere, oltre a venire a patti con la dura realtà. Si rabbuiò e strinse i pugni, avvertendo la rabbia montare.

“C’entra Regan, non è vero?”

“Eh?”

“È per lui, non è così? Ti ha fatto diventare gay?” sputò in tono velenoso.

Roman la fissò incredulo: “Che razza di stupidaggini vai dicendo?”

“Pensi che sia cieca? Vedo come lo guardi! Come se fosse stato lui a disegnare la luna nel cielo, come… come se fosse la culla di tutte le cose belle che esistono nel fottuto universo! E sai una cosa? Sei patetico. È chiaro come il sole che la tua cotta non è corrisposta, Regan se la fa con Lorie.”

Il lupo contrasse la mascella e inspirò profondamente. Perdere le staffe non sarebbe servito a niente.

“Okay, le cose stanno così: se vuoi essere mia amica, dovrai scusarti per il tuo comportamento; se non vuoi, le nostre strade si dividono qui. Rifletti pure con calma, io torno da Regan.”

“Eh? No, aspetta…”

Roman le diede le spalle e rientrò nel negozio senza voltarsi indietro. Gli artigli minacciarono più volte di bucargli i palmi delle mani, ringhi frustrati vibrarono nel suo sterno. Fu solo grazie all’odore e al battito cardiaco di Regan, che poteva tranquillamente captare nonostante la folla e la miriade di scie olfattive diverse che lo circondavano, che riuscì a mantenere il controllo.

Per l’ora seguente, Jennifer non si fece vedere. Charlotte era preoccupata. Continuò a tentare di chiamarla e a scriverle messaggi, finché non convinse Zack ad accompagnarla per scoprire dove si fosse cacciata. Provò a persuadere anche Roman, ma lui rifiutò.

“Che succede?” indagò Vanessa quando vide Charlotte e Zack andarsene via.

“Jennifer è uscita a prendere aria, si sentiva poco bene.” rispose Roman.

Regan gli scoccò un’occhiata interrogativa. Roman scosse appena la testa. 

“Speriamo non sia l’influenza che circola in questa stagione.” commentò Claire.

Il gruppetto lasciò il negozio per andare a mangiare qualcosa. L’ora di pranzo era passata ed erano tutti affamati.

Dopo aver finito il suo panino, Regan si alzò dalla panca in cui era pigiato tra Roman e Lorie, dicendo che doveva fare una capatina in bagno. Entrando, notò che era vuoto. Si stava sciacquando le mani quando udì la porta aprirsi. Non registrò subito l’odore di cane bagnato. Quando se ne accorse, fu troppo tardi.

Jennifer lo agguantò per il giubbotto e lo scaraventò contro il muro. Non gli diede il tempo di reagire e si lanciò di nuovo su di lui. Gli ringhiò in faccia e lo spintonò più volte, facendogli cozzare ripetutamente la schiena contro le piastrelle. Era livida di rabbia.

“È colpa tua! Solo colpa tua!”

“J-Jennifer, cal-”

La ragazza lo schiaffeggiò così forte che lasciò l’impronta della mano sulla sua guancia. Le unghie lacerarono la pelle in tre graffi paralleli, ma le ferite si rimarginarono subito. Notandolo, Jennifer si bloccò.

“Cosa…?”

“Jennifer, ascoltami.”

“Cosa sei?”

“Non è il luogo ada-”

Lei ringhiò e si avvicinò per annusarlo meglio: “Hai un odore… orrendo. Mi fa venire voglia di sventrarti.”

Regan represse una risatina nervosa e si appiattì contro il muro.

“Preferirei che non lo facessi. Sai, mi piacerebbe che i miei organi interni restassero, beh, all’interno. Se non è un disturbo.”

Le mani di Jennifer gli cinsero il collo per premere sulle vie aeree. Presto, Regan si ritrovò a boccheggiare, a corto di ossigeno. Strinse i polsi di Jennifer in automatico. Avrebbe potuto liberarsi facilmente, ma scelse di non farlo. Riconosceva una ragazza dal cuore infranto quando la vedeva.

“Jen-Jennifer… devi… calmarti…”

“Lui non mi vuole ed è solo colpa tua. Sin dall’inizio non ha avuto occhi che per te. Onestamente, non so come abbia fatto ad accettarti come amico. O come abbia fatto io. Non me ne capacito. Sei sempre stato… strano. Inquietante. Quando ti vedevo, mi venivano i brividi. Cosa cazzo sei?”

“Sono in parte vampiro.”

“Eh?”

Appena sentì la presa sulla gola allentarsi, Regan colse l’opportunità per districarsi e spingerla lontano da sé.

“È una storia lunga. L’istinto che provi di farmi a brandelli scaturisce dal fatto che i vampiri sono la nemesi dei licantropi, e viceversa. Beh, licantropi, lupi mannari, non fa differenza.” alzò le mani in segno di resa e modulò la voce in modo che assumesse una sfumatura pacata, accondiscendente, “Non so cosa vi siete detti di preciso tu e Roman poco fa, ma posso immaginarlo. E mi dispiace. Mi dispiace che sia andata così. Sei ferita, è evidente. Ma io non c’entro nulla.”

“Sì, invece! Se non fosse per te, Roman sarebbe mio!”

“Roman non è mai stato interessato a te. E non a causa mia, ma perché non sei il suo tipo. Fattene una ragione e volta pagina.”

“Vuoi dire che sei tu il suo tipo? Non dovresti essere la sua nemesi?”

“Se vuoi crearti dei filmini mentali per giustificare il rifiuto, fa’ pure, ma lasciami fuori da questa storia. Roman è padrone di se stesso, libero di compiere le sue scelte. Se non ti ricambia, non è affar mio. Ti ha spezzato il cuore e ripeto che mi dispiace, non godo a vedere le ragazze piangere. Ma io non c’entro, okay?”

Jennifer ammutolì, persa nei propri pensieri. Regan non osò ancora tirare un sospiro di sollievo, perché la ragazza sembrava ben lungi dall’arrendersi.

“Roman sa che cosa sei?”

“Sì. E anche il resto del branco.”

“E ti hanno accettato?”

“Non mi hanno ucciso. Che è un po' come dire che mi considerano una specie di alleato. Credo. Spero.”

“Mh. Quindi i vampiri esistono.”

“Già.”

“Perché ne sono sorpresa? Non dovrei. Esistono licantropi, lupi mannari, demoni… era ovvio che esistessero anche i vampiri.”

“A-ha.”

“Sei la mia nemesi... significa che potrei ucciderti?”

“Tecnicamente…”

Jennifer gli perforò il cranio con un’occhiata omicida: “Voglio ucciderti.”

“No, grazie. Passo.”

“Allora stai lontano da Roman.”

“Stare con me è una sua decisione.”

“Fagli cambiare idea. Spezzagli il cuore come lui ha fatto con me e mandalo via.”

“No.”

“Come?”

“No. Non prendo ordini da nessuno, Jennifer, tanto meno da te.”

Jennifer mostrò i denti, ancora umani, e ringhiò. Gli saltò addosso con rinnovata determinazione, mirando alla gola. Regan le afferrò i polsi e le sferrò una ginocchiata nello stomaco.

La porta del bagno si spalancò. Roman apparve sulla soglia, lievemente trafelato. Non appena registrò cosa stava accadendo, corse dentro. Catturò con le braccia il busto della ragazza e la scollò da Regan, ignorando i calci e i pugni di protesta.

“Se non ti calmi, dovrò usare le maniere forti. Sei in un bagno pubblico, Jennifer, chiunque potrebbe entrare e vederti in questo stato. A mio padre non piacerà sapere che hai rivelato al mondo il nostro segreto perché non ti sai controllare.”

A quelle parole, Jennifer si placò un poco. Roman ne approfittò per trascinarla via, fuori dal bagno e, probabilmente, fuori dal centro commerciale.

Regan li osservò sparire in silenzio. Se Roman non fosse intervenuto, non aveva dubbi che avrebbe fatto a Jennifer qualcosa di cui poi si sarebbe pentito. Meglio che fosse andata così.

Si aggiustò i vestiti e uscì anche lui per riunirsi alle ragazze. Mentre la porta del bagno si chiudeva alle sue spalle, non si avvide di un serpente nero avvolto attorno al tubo sotto uno dei lavandini.

 
*

“Lasciami!”

“Prima ti calmi, prima ti lascio.”

Roman rinserrò la presa attorno alla mano di Jennifer. Attraversò il parcheggio e imboccò la strada di ritorno, sordo alle proteste della ragazza. Jennifer non smise nemmeno per un secondo di cercare di divincolarsi. Spazientito, Roman si fermò, mollò la sua mano e la strinse per le spalle. 

“Jennifer, respira. Per favore. Siamo all’aperto, ci sono umani ovunque.” la supplicò a bassa voce.

Lei si morse l’interno di una guancia e chiuse le mani a pugno: “Non ci riesco! Sono così… arrabbiata.”

“Ascolta il mio battito, sincronizzalo con il tuo.”

Jennifer ascoltò, eppure nemmeno questo l’aiutò a disfarsi della furia primitiva che le artigliava il petto.

“La luna piena è vicina, stai risentendo già dei suoi effetti.” spiegò Roman, “Col tempo diventerà più facile, credimi. Ma adesso devi respirare. Concentrati su pensieri che ti fanno stare bene. Per esempio, uhm, Charlotte? Siete come sorelle, giusto? Riporta alla mente come ti fa sentire la sua presenza al tuo fianco. Scommetto che è l’amica più leale del mondo.”

Jennifer sgranò gli occhi, guardando Roman con meraviglia. Percepì subito la rabbia recedere e abbandonarla. Inspirò a fondo e rilassò le mani.

“Oh.”

“Congratulazioni. Hai appena trovato la tua ancora.” la lodò Roman con un sorriso compiaciuto.

“La mia ancora è Charlotte?” domandò incredula.

“Non lei, ma le emozioni che l’amicizia con Charlotte ti trasmette. È raro che l’ancora di un lupo sia una persona. Può accadere, però è considerato pericoloso.”

“Perché?”

“Cosa succederebbe se quella persona morisse? O se scegliesse una strada diversa, che la porterà lontano dal lupo? Le emozioni legate a quella persona, invece, possono permanere per molto tempo. Chiaro, nessuna ancora è eterna. Come il lupo cambia a seconda delle esperienze di vita, anche la sua ancora è soggetta a cambiamenti. Quando ero un cucciolo, la mia ancora era la serenità che provavo quando il mio branco si riuniva per trascorrere una serata tutti insieme. Crescendo, essa è cambiata. Mio fratello è partito per il college, il clima in casa si è inasprito, sono entrato nella pubertà…”

“Qual è la tua ancora, adesso?”

Roman la scrutò serio per qualche attimo, valutando quante carte era saggio scoprire con la ragazza. Con un sospiro, decise che era meglio rivelarle qualcosina, nella speranza che comprendesse meglio la situazione e smettesse di prendersela con chi non aveva colpe.

“Il senso di completezza che mi pervade quando sto con Regan.”

Jennifer schiuse le labbra, esterrefatta.

“Regan ti fa sentire completo?”

“Sì. Cioè, più che completo, direi che mi fa sentire realizzato.”

“Ma lui è… insomma, un vampiro. Mi ha detto che vampiri e lupi non vanno d’accordo.”

“La nostra amicizia è decisamente anticonvenzionale, lo ammetto. Ed è un vampiro solo in parte.”

“È sbagliato!”

“L’ancora non è mai giusta o sbagliata, Jennifer. Non esistono regole o parametri e non è sottoposta al giudizio di altri. È una cosa solo tua.” proferì pacato, ma con una punta di durezza in più nella voce, “Regan sarà anche la mia nemesi da un punto di vista biologico, ma a livello spirituale è ciò di cui ho bisogno in questo momento. Non ho una cotta per lui, perché definire ‘cotta’ ciò che sento ne sminuisce l’importanza. Ciò che ho è un legame. È solido, vivo, vibrante, mi tiene a galla nei periodi più difficili e mi sprona ad essere la versione migliore di me stesso. È un legame senza nome, perché non è semplice amicizia, né una cotta, né un rapporto romantico. È solo qualcosa che innegabilmente c’è, e pulsa fra di noi, carico di potenziale. Cosa ne faremo, lo decideremo strada facendo, senza fretta.”

Jennifer distolse lo sguardo e lo puntò sull’asfalto del marciapiede.

“Dimmi, come ti sentiresti se io cercassi di separare te e Charlotte?” le chiese Roman.

La ragazza lo trafisse con un’occhiataccia ed emise un ringhio.

“Esatto. Perciò ti prego di lasciar stare Regan. Se proprio vuoi un bersaglio per la tua rabbia, ci sono io. È colpa mia se ti senti così.”

Jennifer tirò su col naso e incrociò le braccia sul petto, nella perfetta imitazione di una bambina petulante.

“Perché non ti piaccio?”

“Non sei il mio tipo.”

“Qual è il tuo tipo?”

“Non ne ho idea. Ho solo diciotto anni.”

“Se non lo sai, come fai a sapere che io non lo sono?”

“Il mio lupo non ulula per te.” rispose lapidario.

Jennifer sussultò. Incassò la testa nelle spalle e strinse i pugni.

“Ma ulula per Regan?”

“In un certo senso…”

Lei annuì e prese a mordicchiarsi il labbro. Roman non dovette annusare l’aria per capire che non era affatto soddisfatta. Rinunciando a farla ragionare, le fece un cenno col capo per intimarle di muoversi.

“Coraggio, torniamo a casa. Chiedi a Sean di allenarti per qualche ora, per sfogare l’energia repressa.”

Ripresero a camminare, stavolta uno accanto all’altra. E anche se il silenzio non era piacevole, non era più così pesante.

 
*

Carico di buste, Regan salutò le ragazze dal vialetto e le guardò sgommare via con un sorriso. Alla fine, non era stato male trascorrere del tempo con loro. A parte la breve colluttazione in bagno con Jennifer, era stata una bella giornata. Lorie era una trottola piena di energia e carisma, una leader nata. Vanessa e Claire, quando non facevano le gatte morte, erano molto simpatiche, come le altre cheerleader quando smettevano di preoccuparsi del giudizio altrui e si disfacevano delle maschere da dolci bamboline. Regan si sentiva un po’ in colpa per averle trattate come oggetti. Si ripromise che d’ora in avanti sarebbe stato un vero amico, le avrebbe protette e sostenute senza chiedere niente in cambio. Quel pensiero gli suscitò uno sfarfallio piacevole nello stomaco.

Aprì la porta di casa con le chiavi e chiamò a gran voce la nonna. Deirdre apparve dalla cucina. Vedendolo stringere una decina di buste, inarcò un sopracciglio.

“Con quali soldi hai comprato quella roba?”

“Con quelli delle ragazze. Prima che tu me lo chieda, no, non ho usato i miei poteri su di loro, hanno fatto tutto da sole. Tranquilla, le ho ringraziate. Sanno che non potrò mai ripagarle, perlomeno in denaro, ma hanno insistito che non devo.” posò le buste sul tavolo di cucina e levò lo sguardo su Deirdre, occhieggiando la sua smorfia, “Lo so, non le merito.”

“Hanno un grande cuore.”

“Lo so.” ripeté, “Non mi approfitterò più di loro. Ho compreso il mio errore e me ne pento.”

“Bene. Successo qualcosa di interessante, oltre allo shopping sfrenato?”

“Jennifer mi ha aggredito in bagno perché Roman ha rifiutato le sue avances. Ho dovuto dirle che sono in parte vampiro per spiegarle come mai il mio odore le risulta sgradevole. Roman l’ha trascinata via.”

Deirdre impallidì: “E tu stai bene?”

“Sì, certo. Perché non dovrei?”

Regan si sedette su una sedia. Non passarono che due miseri secondi prima che Poe gli saltasse sulle ginocchia per esigere la sua dose di coccole. Regan tuffò le dita nel pelo morbido e si mise a grattargli la testa e il collo, mentre il gatto faceva le fusa con un’espressione colma di pura beatitudine.

Appena Deirdre poggiò una tazza di tè mischiato a del sangue davanti al nipote, il campanello suonò. Regan tese le orecchie, poi annuì.

“Puoi aprire, è Roman.”

Deirdre lo accolse con un sorriso gioviale e lo condusse in cucina. Il lupo salutò Regan con un bacio fra i capelli e prese posto accanto a lui. Poe assottigliò le palpebre, sollevò una zampina e cominciò a picchiarlo sul braccio per mandarlo via.

“Anch’io sono felice di vederti, Poe.” disse Roman, privo di entusiasmo.

“Che è successo?” indagò Regan.

“Jennifer.” rispose funereo, e quell’unico nome bastò.

Regan non insisté e sedò sul nascere il terzo grado della nonna con un’occhiata carica di sottintesi. Lei sospirò e si girò verso la credenza per tirare fuori i biscotti, borbottando qualcosa su drammi adolescenziali e tragedie greche.

Dopo un minuto, Roman spezzò il silenzio: “Ti va di dirmi perché trasudi ansia da tutti i pori?”

A Regan occorse qualche secondo per realizzare che la domanda era diretta a lui. Scrollò una spalla e addentò un biscotto. Deirdre mise le mani sui fianchi e sbuffò scocciata. Regan interpretò il suo cipiglio severo come un rimprovero per aver taciuto, piuttosto che una esortazione a tenere la bocca chiusa. Infatti, Deirdre aveva sviluppato un sincero attaccamento per Roman, tipo quello che si instaura tra il padrone e il suo cucciolo randagio. 

Regan roteò gli occhi, esasperato, e capitolò: “Ti ho parlato di Athens, ricordi? L’incendio e… tutto quanto.”

“A-ha?”

“È stato sette giorni fa, lo scorso sabato.”

“E?”

Regan lo fissò come a chiedergli “Ma ci sei o ci fai?”. Quando Roman seguitò a esibire una faccia interrogativa, Regan ci rinunciò.

“La moneta.”

“Sì…?”

“L’ho toccata. Ho subito un lutto sette giorni fa. Ti suona familiare?”

Roman ammutolì, assorto nei pensieri. Poi una lampadina dovette accendersi, perché in un lampo saltò in piedi terrorizzato.

“Credi che il demone verrà a prenderti?!”

“È possibile. La scorsa notte non si è fatto vedere, ma mancano ancora circa otto ore a mezzanotte. Se il rintocco passa senza che appaia, dovrei essere fuori pericolo.”  

“Perché non me lo hai detto stamattina?” lo accusò.

“Non volevo farti preoccupare.”

“Odio quando fai così.” grugnì frustrato, passandosi le mani fra i capelli e sul viso pallido, “Resterò qui, oggi. No, non discutere.”

Regan sospirò e assentì. Deirdre li guardò entrambi con affetto.

“Ora che vi siete chiariti, andate di là, devo preparare la cena.” disse loro, facendo sciò sciò con le mani.

I due ragazzi salirono in camera di Regan, dove questi aggiornò Roman sul rituale che stava mettendo insieme. Ci sarebbero stati vari passaggi, che sarebbero culminati nell’evocazione e nell’esilio del demone. Il vero scopo, però, era liberare Steno dal suo giogo per usarla contro i cacciatori.

“Intendi sguinzagliarla subito dopo l’esorcismo?”

“Sì.”

“Sempre se il rituale funziona.”

“Già.”

“Cosa accadrebbe se non funzionasse?”

“Moriremo tutti. E a quel punto, non avremo più bisogno di preoccuparci dei cacciatori, dico bene?”

Roman si grattò il mento, osservando gli appunti e le fotocopie sparsi per terra.

“Hai detto che ti servono altre tre persone, giusto? Io ci sarò, quindi ne restano due.”

Seduto a gambe incrociate sul pavimento, Regan espirò, si umettò le labbra e fissò l’amico dal basso.

“Ci sarebbe la tua famiglia…” mormorò mentre giocherellava nervosamente con i polsini della felpa e, prima che Roman potesse aprir bocca, proseguì a illustrare il suo ragionamento, “Insomma, non posso chiedere a nessun altro. Deirdre non parteciperà, i cacciatori sono fuori discussione per ovvi motivi e i nostri compagni di scuola e mia zia Hillary non sanno nulla del soprannaturale. Ma se tu, adesso, mi dici di no, va bene. Il rabbino di Athens disse che avrebbe potuto aiutarmi, e con lui saremmo a tre. Forse potrei chiedergli di portare un collega…”

Terminò la frase con una nota esitante, sentendosi schiacciare dallo sguardo intenso di Roman.

“Dimmi solo una cosa: se dovesse andar male, che piani hai per proteggere quelli che sopravviveranno, cioè Deirdre e i membri del mio branco che non parteciperanno al rituale? Che garanzie offri per la loro salvezza? I cacciatori non esiteranno a farli fuori se noi dovessimo fallire. Non so per quale motivo ci abbiano lasciati in pace finora, ma so che non durerà.”

Regan si corrucciò. Dopo qualche secondo di riflessione, scosse debolmente il capo.

“Non posso garantire per loro. Comprendo le tue paure, io provo lo stesso per mia nonna, ma non posso farmi distrarre. Nel mio piano, il fallimento non è contemplato. Se succederà, moriremo. Allora non importerà se saranno i cacciatori o il demone a fare secchi tutti gli altri.”

“Okay. Grazie per la sincerità.” Roman gli sorrise debolmente, “Ne parlerò con mio padre. Tu, però, chiama comunque il rabbino.”

Regan abbozzò a sua volta un sorriso, che somigliava più a una smorfia costipata.

Trascorsero un’altra ora a battibeccare sul giorno del rituale. Regan voleva farlo il prima possibile, Roman voleva aspettare fino a dopo la luna piena.

“La luna piena di gennaio è chiamata Luna del Lupo per una ragione, Roman. Sarai più forte, la tua famiglia sarà più forte! E servirà la vostra forza per alimentare l’energia del cerchio di contenimento.”

“Più forza uguale meno controllo sulla parte animale! Non saremo abbastanza coerenti per aiutarti!”

“Non dovrete dire o fare nulla. Solo la vostra presenza conta. Penserò a tutto io. Fidati di me.”

Alla fine, l’argomentazione di Regan vinse solo perché sfoderò gli occhioni dolci.

“Okay, mi arrendo. Ma ti servirà più di qualche moina per convincere mio padre.”

“Accetto la sfida.”

Roman sbuffò, il fantasma di un sorriso sulle labbra, e indicò il suo cellulare: “Chiama il rabbino.”

Regan recuperò il foglietto con il numero dalla scrivania e lo digitò. La chiamata venne accettata dopo cinque squilli, ma la voce che rispose non era quella di Joseph.

“Ehm, salve. Cerco Rabbi Joseph?”

La donna dall’altro estremo della linea scoppiò in singhiozzi. Regan e Roman si guardarono con crescente apprensione.

“Sono la sorella. Joseph è morto tre giorni fa, ha avuto un incidente. Lei è della congregazione?”

“Che incidente?”

“È stato investito da un’auto mentre attraversava la strada. L’auto ha avuto un guasto improvviso, i freni non hanno funzionato.”

“Oh. Mi dispiace. Condoglianze.”

“Grazie. Posso conoscere il suo no-”

Regan riattaccò.

“Bene. Direi che la scelta si è ridotta drasticamente.”

Roman levò gli occhi al cielo.

Dopo una cena a base di pollo al curry e riso bianco, Regan, Roman e Deirdre si sedettero sul divano per guardare un po’ di tv. Scorrendo i canali per trovare un programma decente, capitarono sul notiziario serale. Quando le telecamere inquadrarono Hillary, Regan intimò a tutti di tacere.

Siamo in diretta dal centro commerciale di Harrington Lane ad Ashwood Port, dove un uomo armato si è asserragliato con degli ostaggi. Non sappiamo se l’uomo ha dei complici o è solo. L’FBI è entrata dieci minuti fa per negoziare il rilascio degli ostaggi.” stava dicendo la giornalista al microfono, “Ricordiamo che lo sceriffo Zimmermann sta collaborando con l’FBI per venire a capo delle scomparse avute luogo negli ultimi mesi, oltre che per arginare il picco di criminalità che sembra aver preso piede nella tranquilla cittadina di Ashwood Port, Massachusetts. Non c’è stata ancora alcuna svolta nelle indagini e- ecco, stanno uscendo! I civili sembrano illesi.”

La telecamera inquadrò un folto gruppo di persone che venivano scortate fuori dalle forze dell’ordine. Tutte sfoggiavano facce spaventate. La maggior parte furono guidate verso le ambulanze per un controllo generico sulle loro condizioni. Poi la telecamera offrì una panoramica degli agenti schierati dietro una barriera di volanti, armati di pistola e con la postura rigida di chi è pronto a far fuoco.

All’improvviso, uno sparo riecheggiò nel centro commerciale.

Oh mio Dio! Qualcuno ha appena sparato! Non riusciamo a capire cosa stia succedendo. L
’FBI è ancora dentro. Lo sceriffo sta dando istruzioni... dice che dobbiamo arretrare, non è sicuro.

La gente raccolta attorno alle ambulanze iniziò ad agitarsi e urlare in preda al panico. Alcuni agenti si adoperarono per farli allontanare il più possibile. Pochi secondi più tardi, l’FBI riemerse dalle porte del centro commerciale facendo ampi gesti in direzione dei paramedici.

I paramedici stanno entrando con una barella. È probabile che il criminale sia ferito o morto, e che lo sparo che abbiamo sentito, quindi, sia stato opera di uno degli agenti. Ecco, ecco! Stanno uscendo. C’è un corpo sulla barella. È infilato in un sacco per cadaveri. Gli agenti sono al completo, perciò vuol dire che il terrorista è morto. Adesso proveremo ad avvicinarci per saperne di più.”

La telecamera si focalizzò sugli agenti dell’FBI. Uno di loro si fece incontro ai giornalisti. Il volto pulito non tradiva alcuna emozione e la sua intera figura emanava un’aura professionale e intimidatoria. La stoffa dell’uniforme era tesa sui muscoli gonfi, il giubbotto antiproiettile gli fasciava il torace ampio e i fianchi stretti. Le luci che lo circondavano conferivano una tinta bionda ai suoi capelli, tagliati a spazzola, e le ombre facevano risaltare la spigolosità della mascella squadrata. Ad occhio e croce era sulla quarantina, se non più giovane.

Agente, può dirci cos’è successo?

Sono John Bennett, membro delle forze speciali dell’FBI. L’uomo che ha aperto il fuoco si chiamava Jack Shawn, era un impiegato delle poste. Aveva rubato la pistola a un membro della sicurezza, che è stato rinvenuto privo di sensi nel bagno degli uomini al secondo piano, con una ferita da corpo contundente alla testa. I motivi del gesto di Shawn sono ancora ignoti, poiché nessuna delle informazioni che siamo riusciti a strappargli aveva un senso. Ha risposto positivamente ai negoziati per gli ostaggi, ma poi ha iniziato a balbettare frasi sconnesse. Crediamo che fosse sotto l’effetto di stupefacenti. È stato abbattuto non appena ha puntato la pistola su uno dei nostri. Abbiamo dovuto agire tempestivamente, il soggetto era instabile. Il corpo verrà portato dal coroner per l’autopsia. Non ci sono feriti, Shawn ha sparato sempre e solo verso il soffitto per intimare silenzio agli ostaggi. Domani terremo una conferenza stampa per aggiornare i cittadini sul risultato dell’autopsia. È tutto.”

Bennett diede le spalle alla telecamera e camminò spedito verso lo sceriffo. La giornalista provò a richiamare la sua attenzione, ma degli agenti la fermarono e le ordinarono di andarsene.

Regan non aspettò di vedere gli sviluppi. Prese il telecomando e spense la televisione. Roman si girò a guardarlo con aria interrogativa.

“John Bennett.” scandì Regan, “Sta con i cacciatori.”

Deirdre mugugnò meditabonda. Roman aggrottò le sopracciglia.

“Non puoi far fuori anche lui. È dell’FBI.”

Regan assentì distratto, l'attenzione già puntata su Deirdre: “Nonna, vorrei che domandassi a zia Hillary di passarti il referto dell’autopsia di Shawn.”

“Perché?”

“Qualcosa mi puzza.”

“Credi sia stato il demone a influenzarlo?”

“Non è da escludere.”

“Vedrò che posso fare.”

Passarono le successive ore a giocare a UNO al tavolo di cucina. Deirdre era in vantaggio di tre vittorie su Regan e Roman, che ne vantavano una a testa. In un ultimo, disperato tentativo decisero di allearsi contro la donna, ma lei li batté di nuovo senza versare una singola goccia di sudore.

La tensione si fece sempre più palpabile via via che le lancette dell’orologio si approssimavano alla mezzanotte. Al primo rintocco, si pietrificarono all’unisono e aspettarono col fiato sospeso. Quando il conto alla rovescia terminò, si accasciarono esausti sulle sedie.

Roman si sporse verso Regan e lo abbracciò forte, inalando a pieni polmoni il suo odore. Deirdre lo imitò poco dopo, immensamente sollevata. Regan permise loro di soffocarlo, lieto che non fosse accaduto nulla.

Misero a posto le carte e si prepararono per andare a dormire. Dopo il suo turno in bagno, Roman comparve in camera di Regan con solo i boxer addosso. Senza dire una parola, il moro scostò le coperte in un tacito invito, che il lupo colse all’istante.

Si aggiustarono come poterono sul minuscolo materasso, finendo per incastrarsi schiena contro petto. Roman gli avvolse il busto da dietro e intrecciò le loro gambe, il naso affondato nei riccioli di Regan. Il sonno li reclamò in pochi minuti e caddero addormentati stretti l’uno all’altro.

Il mattino seguente, Roman tornò a casa dopo colazione per avvertire suo padre dell’arrivo di Regan. Questi, invece, si concesse un paio d’ore di relax prima di inforcare la bici e pedalare alla volta della dimora dei Sinclair.

Smontando dalla bici, trasse un profondo respiro per calmarsi. Poi salì le scale della veranda e bussò tre volte. Vincent aprì la porta con una faccia funerea. Regan rispose con un sorriso incerto.

“Buongiorno. Roman vi ha avvisati del mio arrivo, presumo.”

L’alfa lo squadrò da capo a piedi per interminabili attimi, protraendo il silenzio imbarazzante finché Regan non cominciò a molleggiarsi sulle piante dei piedi in evidente disagio. Allora, soddisfatto, compì un passo indietro e, con voce solenne, pronunciò un secco “Entra”.

Regan boccheggiò scioccato: “Sa cosa sta facendo, vero?”

“Sì.”

Il ragazzo, ancora incredulo, oltrepassò cauto la soglia. La porta si richiuse dietro di lui con un tonfo. Un fastidioso formicolio gli fece rizzare tutti i peli del corpo. Lo nascose come meglio poté, ma Vincent dovette cogliere qualche indizio dal suo odore, perché piegò le labbra in un ghigno.

“Vieni in biblioteca, Roman ci aspetta lì.”

Regan lo seguì, imponendosi di non incespicare come un cerbiatto appena nato. La rigidità che aveva preso d’assalto i suoi arti gli rendeva difficile qualsiasi movimento. Udì altri cinque battiti al piano di sopra, ma nessun rumore.

Quando entrò in biblioteca, Roman si alzò dalla poltrona e andò ad abbracciare velocemente Regan. Lui ricambiò con un’impacciata pacca sulla schiena.

“Sedetevi.” ordinò Vincent, e i due ragazzi obbedirono, “Allora, Regan. Mio figlio mi ha parlato di un rituale.” esordì, accomodandosi sull’unica poltrona libera.

“Sì. Ehm, ho qui uno schema…”

Regan rovistò nello zaino e tirò fuori un blocco. Lo aprì alla prima pagina e lo porse a Vincent, che si mise a studiarlo con attenzione.

“Affinché funzioni, mi servirebbero altre due persone.”

“E hai pensato di rivolgerti a noi.”

Regan si grattò la nuca e scrollò una spalla: “Non è che abbia molte altre alternative.”

Vincent continuò a sfogliare il blocco in silenzio, esaminando da vicino tutti i particolari. Lesse persino tutte le noticine a margine, al limite del puntiglioso.

Roman non disse una parola, preferendo lasciar parlare suo padre e Regan. D’altronde, era lì solo in funzione di supporto nel caso Vincent avesse perso le staffe.

“Mi sembra un buon lavoro. Hai pensato ad ogni possibile eventualità.” commentò l’alfa.

I due ragazzi si scambiarono occhiate stupite.

Vincent richiuse il blocco e se lo poggiò sulle ginocchia, per poi scrutare Regan con espressione corrucciata, in preda a un profondo conflitto interiore. Da un lato, desiderava liberarsi del demone come chiunque altro, dall’altro non voleva mettere in pericolo il suo branco. Era dura scegliere tra le vite di chissà quanti innocenti e quelle del suo piccolo nucleo familiare.

Spostò l’attenzione sul figlio, il quale ricambiò il suo sguardo con uno colmo di determinazione. Non gli era sfuggito il modo in cui sedeva, leggermente inclinato verso Regan. L’idea che la loro amicizia fosse più profonda di quanto appariva gli lasciava un gusto amaro in bocca, oltre a fargli venire voglia di ridurre in sottomissione Roman e ordinargli di stare lontano da Regan. Ma una minuscola, quasi infinitesimale, parte di lui era grata all’ibrido: stando al suo fianco, Roman era cresciuto, assumendo una consapevolezza di sé che non aveva mai avuto.

Vincent sapeva di trovarsi di fronte a un bivio. Regan sarebbe stato un’utile aggiunta al branco, era innegabile che fosse intelligente e capace. Il lupo era ancora incerto sulla sua bussola morale, ma per il momento Regan pareva intenzionato a percorrere la retta via e impegnarsi a non diventare un mostro succhiasangue, e tanto bastava. Il problema era che, se lo avesse accolto, avrebbe infranto le stesse regole che per tutta la vita aveva difeso; avrebbe peccato di incoerenza e perso la stima del branco, nonché la credibilità dinanzi agli altri alfa conservatori come lui. Inoltre, avrebbe dovuto richiamare i membri che negli anni aveva cacciato perché non condividevano la sua idea di branco, scusarsi con loro e prostrarsi per fare ammenda. Il pensiero gli suscitò una repulsione immediata.

Magari esisteva una via di mezzo. Non era raro, in fin dei conti, che un branco possedesse amici al di fuori di esso, alleati. E, ad essere onesti, a chi voleva darla a bere? Aveva già deciso di dare a Regan la sua fiducia quando lo aveva invitato a entrare in casa, offrendogli in questo modo le chiavi d’accesso alla sua tana.

Si accasciò sullo schienale della poltrona e accavallò le gambe, stringendo il bordo del blocco tra le dita per mantenerlo in equilibrio.

“D’accordo. Avrai la mia collaborazione.” dichiarò.

Roman si raddrizzò subito e rivolse al padre un sorriso d’approvazione. Regan fu più moderato nella sua reazione, ma anche lui gli lanciò un piccolo sorriso di gratitudine.

“Ovviamente, parlo per me. Dovrò discuterne col resto del branco e chiedere se ci sono volontari. Non costringerò nessuno di loro a partecipare.”

“Certo, capisco. La ringrazio, signor Sinclair.”

Vincent annuì e si alzò: “Aspettate qui.”

“Ci parli adesso?” domandò Roman, ancora basito per la tolleranza e comprensione del genitore.

“Sì. Torno presto.”

Attraversò la biblioteca a grandi falcate, uscì e si richiuse la porta alle spalle.

Regan notò che si era portato via il blocco. Sperò che glielo restituisse, dato che non aveva fatto delle copie del rito. Roman lo abbracciò di slancio e strusciò il naso tra i suoi capelli.

“Direi che è andata bene.” disse Regan.

“Già. Non me l’aspettavo.”

Regan fece scorrere lo sguardo sulle costole dei libri che riempivano gli scaffali. Le mani prudevano dal desiderio di agguantarli e leggerli.

“Hey, dici che tuo padre si arrabbia se…?” fece un gesto vago in direzione dello scaffale più vicino.

“Nah. Divertiti.”

Il moro non se lo fece ripetere. In un balzo raggiunse lo scaffale e arraffò quanti più libri poté con mani avide. Sedendosi di nuovo, ne aprì uno a caso e si lasciò assorbire dalla lettura.

Un’ora dopo, Vincent fece di nuovo il suo ingresso in biblioteca. Sean entrò dietro il suo alfa e richiuse la porta. Regan posò il tomo che stava leggendo sul bracciolo della poltrona e scattò sull’attenti. Roman non reagì, rimanendo seduto a gambe incrociate sul pavimento ai piedi dell’amico, le spalle incorniciate dai suoi polpacci.

“Sean si è offerto.” li informò Vincent, “Abbiamo anche pensato al luogo. Abbiamo un bunker in cortile, che usiamo durante la luna piena per i lupi che ancora non hanno acquisito sufficiente controllo sugli istinti. Andrebbe bene?”

“È insonorizzato?” chiese Regan.

“No. Ma, essendo sotto terra, dovrebbe comunque isolare i suoni.”

“Okay, può andare. Sapete già come vi organizzerete per quella notte? La luna sarà piena.”

“Tamara si chiuderà in cantina con Jennifer. Le somministrerà una piccola dose di argento liquido per tenerla debole fino all’alba e aspetterà lì con lei. Ruby e i bambini prenoteranno una camera in un motel a Salem. Anche Trevor e Nina riceveranno una dose di argento, per precauzione.”

“Perfetto. Allora…”

“Prepareremo il bunker per martedì.”

“Okay. Ehm, potrei riavere il blocco? Non ho altre copie. Se volete, potete scattare delle foto.”

“Oh, sì.”

Vincent glielo restituì dopo aver scattato delle foto col cellulare. Regan lo ripose nello zaino e si caricò quest’ultimo in spalla.

“Grazie ancora per l’aiuto.”

Vincent annuì con aria grave. Roman lo scortò fino alla porta, dove lo salutò con un altro abbraccio.

“Sei sicuro che non vuoi che resti con te?”

“No, devo prepararmi per il rito. La tua presenza mi distrarrebbe.”

“Non credevo di essere così importante.” ghignò Roman.

Regan gli tirò un pugno giocoso sul braccio e raggiunse la bici con una corsetta. Montò e, sventolando una mano, pedalò via.

Quella sera, chiamò Derek per metterlo al corrente degli ultimi sviluppi. Lui gli promise che i cacciatori sarebbero arrivati dai Sinclair all’ora prestabilita e si sarebbero focalizzati solo sul demone, nel caso in cui l’esorcismo non fosse andato a buon fine. Nessuno di loro era entusiasta di unire le forze con il branco, ma era quanto imponevano le circostanze.

“E Bennett?” indagò Regan.

“Non verrà.”

“Perché?”

“Non può lasciare la sua squadra, sarebbe sospetto. Vuoi che ci sia anche lui?”

“No! Sì…? È solo che sono un po’ in ansia. Insomma, se il rito andrà storto, voglio che ci siano più cacciatori possibili presenti per impedirgli di seminare ulteriore caos. Se potessi, chiamerei l’esercito.”

“Hey, calma, andrà bene. Ho fiducia in te.”

“Buono a sapersi. Ah, un’altra cosa: domani e martedì non verrò a scuola, devo prepararmi e mettere a punto gli ultimi dettagli. Non chiamare e non passare da casa mia, ci vedremo direttamente dai Sinclair.”

Derek sbuffò irritato: “Ma scommetto che Roman può venire a trovarti quando vuole, vero?”

“Ooooh, sento puzza di gelosia, per caso? Piantala, sai che mi dà fastidio. Comunque no, nemmeno Roman avrà il permesso di disturbare. Vedrò anche lui martedì. Ora sono stanco, voglio dormire.”

“Aspe-”

“Buonanotte, Derek.”

“Re-”

Regan spense il cellulare e lo adagiò sul comodino con un sospiro.

 
*

Lunedì mattina, Deirdre lo svegliò di buon’ora. Mentre Regan vegetava sul divano, la donna posizionò una piscina gonfiabile in mezzo al salotto e la riempì d’acqua, erbe e sali. Seguendo le sue direttive, Regan ci si immerse nudo e lasciò che l’aroma purificante gli offuscasse la mente. Cadde addormentato senza rendersene conto. Per la prima volta dopo settimane sognò il lupo dalla pelliccia color caramello e la macchia bianca intorno all’occhio. Corsero per la foresta onirica per quelle che parvero ore, poi si raggomitolarono l’uno sull’altro sotto i raggi della luna piena. Al risveglio, Regan si sentì rinvigorito.

Il resto del tempo lo trascorse insieme a Deirdre a rivedere i vari passaggi del rito. Ripassarono anche il piano nel dettaglio, per appurare di non aver tralasciato niente. L’ansia li stava mangiando vivi.

Verso sera, Deirdre chiamò Hillary per domandarle dell’autopsia su Jack Shawn. Hillary confermò i loro sospetti, dicendo che sulla coscia destra del soggetto era stato individuato il morso di un rettile, presumibilmente un piccolo serpente. Deirdre scansò con notevole abilità il terzo grado dell’amica, che voleva sapere come mai le interessava l’autopsia di Shawn, e riattaccò promettendole di invitarla a cena presto.

Martedì, Regan ripeté il bagno e, di nuovo, sognò il lupo. Per pranzo Deirdre gli offrì un bicchiere pieno di sangue. Non distolse lo sguardo finché Regan non lo tracannò sino all’ultima goccia.

Alle sette di sera, Regan raccolse tutto l’occorrente per il rito e lo ficcò nello zaino. Deirdre cercò di aiutarlo, ma il ragazzo la pregò di lasciargli qualche minuto di solitudine per schiarirsi le idee.

Quando tutto fu in ordine, si caricò lo zaino in spalla e marciò verso la porta come un condannato che si dirige al patibolo. La nonna lo coinvolse in un abbraccio che gli strappò tutto l’ossigeno dai polmoni e gli stampò un bacio sulla fronte.

“Torna da me.”

Regan deglutì il groppo che gli ostruiva la gola e annuì, a corto di parole. Dopodiché, uscì e inforcò la bici.

Deirdre osservò la sua figura allontanarsi lungo la strada esalando un sospiro tremante. Mentre chiudeva la porta, si premette una mano sul cuore e implorò qualunque divinità fosse in ascolto di proteggere Regan.

 
*

“Vince…”

A metà strada tra il corridoio e la porta d’ingresso, Vincent si fermò e si girò verso Tamara. L’espressione spaventata della compagna lo spinse a raggiungerla e avvilupparla in un abbraccio. Come se non avessero già passato tutto il giorno accoccolati l’uno sull’altra. Affondò il naso tra i suoi capelli ramati per inalare il suo odore e le baciò una guancia con affetto.

“Sta’ tranquilla. Andrà tutto bene.” cercò di rassicurarla, ma la scia di paura che la ricopriva da capo a piedi non svanì, “Fidati di me.” aggiunse, e infuse in quelle parole tutta la determinazione che possedeva.

Tamara annuì e si scostò con riluttanza: “Sta’ attento. Se qualcosa va storto, promettimi che non farai l’eroe. Prendi Roman e Sean e scappa, okay?”

Poco distanti dalla coppia, Roman e Regan li osservavano in silenzio. Il lupo si accostò all’altro per intrecciare una mano alla sua. Regan gli scoccò un sorriso tirato e diede una strizzatina di rimando.

Sean fece cenno all’alfa di muoversi. Vincent baciò Tamara sulle labbra, poi si voltò e marciò fuori, diretto al bunker. Sean, Roman e Regan si accodarono a lui.

Non appena furono usciti, Tamara chiuse la porta a doppia mandata e ci adagiò sopra la fronte, prendendo ampi respiri. La casa era silenziosa. Sua sorella e i bambini erano già arrivati a Salem. Se tutto fosse filato liscio, sarebbero tornati l’indomani.

Jennifer, invece, era incatenata nel seminterrato. Aveva dovuto sedarla al suo arrivo a metà mattina, per evitare che facesse del male a se stessa e al branco, e altre due volte nel pomeriggio, sia per aiutarla a contrastare la furia animale che per arginare i ringhi, così da non richiamare inavvertitamente le moleste attenzioni dei vicini, che avrebbero potuto rivolgersi alla polizia. Senza contare che le catene a cui era assicurata non erano robuste come quelle del bunker, quindi era stato necessario prendere ulteriori precauzioni.

Si raddrizzò e si fece forza. Il suo alfa contava su di lei per tenere Jennifer al sicuro, e questo avrebbe fatto. Camminò decisa verso la porta del sottoscala, l’aprì senza esitare e concesse al buio e all’aria umida di inghiottirla.  

 
*

La lampadina che penzolava dal soffitto proiettava ombre sinistre sui muri del bunker. Regan si guardò intorno incuriosito, prendendo atto della disposizione degli oggetti. Notando le catene incassate nel muro, ebbe un déjà vu.

Il fiato gli si mozzò in gola quando, in mezzo a degli scatoloni ammuffiti, scorse il grammofono del suo sogno. Era polveroso, la base leggermente ammaccata e la manovella rotta, ma era identico.

Subito dopo, realizzò che il déjà vu era dato dal fatto che lui era già stato lì, nella visione che aveva condiviso con Steno. Come se lei avesse già saputo dove tutto sarebbe finito. E se lo sapeva lei…

Un brivido gli percorse la spina dorsale e un brutto presentimento strisciò nelle sue viscere.

“Regan?”

Roman gli strinse la spalla in un gesto che voleva essere confortante, ma tolse solo l’aria a Regan, facendolo sentire in gabbia. Se la scrollò di dosso e scosse la testa, borbottando che stava bene. Il lupo non insisté, astenendosi dal menzionare la scia acre della paura appiccicata ai vestiti di Regan.

Vincent e Sean richiusero la botola e affiancarono Roman su entrambi i lati.

“Tocca a te, Regan. Fa’ quel che devi.” disse l’alfa.

Regan inspirò e si sforzò di rilassare le mani, fino ad allora serrate a pugno lungo i fianchi. Camminò verso il centro della stanzetta, si inginocchiò e poggiò lo zaino accanto a sé. Rovistò all’interno per estrarre le cose di cui avrebbe avuto bisogno nell’immediato, le altre le lasciò dove erano.

Afferrò un gessetto bianco e iniziò a disegnare i cerchi, uno grosso centrale e quattro più piccoli nei punti cardinali. Nel tracciare quello di Roman esitò giusto un attimo, consumato dall’incertezza. Infatti, non aveva dimenticato che una delle voci del suo incubo apparteneva a lui. Digrignò i denti. Non poteva permettersi di avere ripensamenti adesso. Ignorò il nodo allo stomaco e abbassò di nuovo il gessetto sul cemento.

Disegnò a memoria i simboli sui bordi dei cerchi e nelle griglie al loro interno: in quello centrale inserì i simboli di contenimento, mentre negli altri i simboli di protezione. Quindi invitò i tre licantropi a prendere posizione.

Roman entrò nel cerchio a nord, Vincent in quello a sud e Sean in quello a ovest. Regan sarebbe entrato nel cerchio a est: il demone apparteneva a una cultura orientale, perciò sarebbe stato più attratto da quel punto cardinale rispetto agli altri. Cioè, se qualcosa fosse andato storto, si sarebbe scagliato prima su Regan, dando agli altri la possibilità di mettersi in salvo.

Prese una ciotola di terracotta e alcune erbe e polveri contenute in barattolini di vetro. Le versò nella ciotola assieme a dell’acqua di fonte e impastò finché non si trasformarono in una crema maleodorante. La spalmò sui bordi dei cerchi, attento a non rovinare il gesso. In seguito, posò quattro quarzi nei punti di contatto tra i cerchi più piccoli e quello centrale.

Roman si torturò un labbro. Le dita strattonavano nervosamente il bordo della felpa, in un vano tentativo di sfogare la tensione. La luna piena stava raggiungendo l’apice ed era dura resistere al suo richiamo. Diresse lo sguardo da Regan a suo padre, che mimò ampi respiri. Roman accolse il suo consiglio. Chiuse gli occhi, si concentrò sul battito del cuore di Regan e si costrinse a calmarsi.

Spiò Sean dalla fessura tra le ciglia e lo vide rigido. I muscoli delle braccia erano gonfi, come se fosse in procinto di compiere un balzo; la mascella contratta poteva solo significare che stava tentando di impedire alle zanne di uscire; dai pugni serrati Roman fiutò un vago effluvio di sangue fresco, segno che gli artigli avevano bucato la pelle. I suoi occhi erano neri invece che azzurri.

Sean ricambiò il suo sguardo. Dopo qualche secondo, il lupo mannaro annuì, comunicandogli senza parole che aveva la trasformazione sotto controllo. Roman si rilassò un po’ di più e rivolse l’attenzione di nuovo su Regan.

“Cos’è quella roba? Puzza.” 

“Un mix di erbe e minuscoli cristalli di quarzo. Deirdre ha usato achillea, alloro, basilico, timo, bacche di ginepro e galbano. Presumo sia quest’ultimo la causa dell’odore sgradevole. Prima di cominciare il rituale dovrò bruciare l’intruglio. Se puzza ora, immagina dopo. Respira con la bocca.” spiegò sbrigativo, per poi spargere polvere di cedro sulle linee di contorno dei quattro cerchi più piccoli, “Devo ammettere che questo posto è perfetto…”

“Cioè?” fece Vincent.

“Da quando siete arrivati in città, alcuni di voi hanno trascorso tutte le lune piene qua sotto. Posso sentirlo. Il bunker, oltre ad essere intriso di energia lunare, purificatrice di per sé, conserva forti tracce della vostra essenza vitale. I muri e il pavimento hanno assorbito sangue di lupo, perso, deduco, tramite graffi accidentali. Inoltre, stanotte nel cielo splende la Luna del Lupo. Grazie al sangue di lupo e a questa particolare luna, il bunker è il luogo perfetto per il rito. Non vi sentite più carichi del solito?”

I tre licantropi si fissarono a vicenda negli occhi, due paia di un giallo brillante e un paio neri come la pece, e annuirono.

“Stanotte sarete più forti, non solo per via della luna, ma perché vi trovate qui. Usate l’energia che vortica intorno a voi, accoglietela e lasciate che vi protegga. Non abbiate timore di trasformarvi, perché una volta che avrò finito i preparativi non potrete uscire più dai cerchi finché non lo dirò io. Intendo che, anche se vi trasformerete, rimarrete dove siete. Non c’è alcun pericolo.”

“Vorrei farti notare che non riusciremo a restare dentro al cerchio se ci trasformiamo.” disse Vincent.

“Quando finirò di benedirlo, si aggiusterà alla vostra nuova taglia.” lo rassicurò e ammiccò con un mezzo sorriso, “La magia ha i suoi pregi.”

Roman rilasciò un respiro che non si era accorto di stare trattenendo. Gli artigli rimpiazzarono le unghie in un istante e la sua faccia divenne pelosa. Le zanne biancheggiarono sotto l’alone giallognolo della lampada. Pure Vincent e Sean allentarono le redini sull’autocontrollo, permettendo alla trasformazione di avviarsi, ma non di completarsi.

Regan girò attorno a loro per posizionare le candele, poi agguantò un mucchietto di artemisie, legate insieme con uno spago, e l’accendino. Mentre le erbe bruciavano, passeggiò per tutto il bunker, spandendo i fumi in ogni angolo. I lupi tossirono e ringhiarono infastiditi.

Regan riprese posto accanto al cerchio e aprì una piccola boccetta contenente una sostanza dall’odore pungente. Piegò le labbra in un sorriso divertito quando udì i lupi starnutire. Non doveva essere piacevole venire assaliti da così tanti aromi diversi.

“Questo, invece, è mastice, una resina particolare che mi aiuterà nell’evocazione del demone e, al contempo, aumenterà i miei poteri psichici per contrastarlo.” illustrò velocemente per appagare la curiosità che leggeva sui loro volti.

“Non hai già la collana per questo?” disse Roman.

“Preferisco non rischiare.”

Quando si tolse felpa e maglia, Roman vide che non indossava il braccialetto con lo stemma del branco, quello che gli aveva regalato a Natale. Immaginò che il motivo per cui Regan lo avesse tolto riguardasse il non voler scatenare una lotta interna sbandierando il segno tangibile dell'affetto di Roman sotto al naso di Vincent, più che una reale intenzione di dissociarsi dall'amico e ciò che il braccialetto suggeriva, cioè il fatto che Roman avesse reclamato Regan come branco. Ciononostante, Roman provò un moto di fastidio e dispiacere.

Realizzò che Regan si era sempre premurato di tenere il braccialetto celato alla vista ogni volta che era entrato in contatto con il branco. Non lo aveva fatto per vergogna, Roman lo sapeva, però questa consapevolezza non gli impediva di sentirsi vagamente tradito.

Regan inzuppò due dita nella resina e tracciò sul torace la runa della forza, Uruz. Ricalcò anche il contorno del proprio cerchio svuotando la boccetta. Si alzò e, accendino alla mano, accese le candele. Finito il giro, chiuse i cerchi dei lupi con il gessetto.

Recuperò lo zaino per estrarre la moneta e una piccola campana di ferro. La fodera di pelle le impediva di suonare.

“A cosa serve la campana?” domandò Vincent.

“Secondo un libro di mitologia greca che ho letto, Steno detesta il suono delle campane di ferro. Se, dopo averla liberata dalla possessione, proverà ad attaccarci, suonerò la campana e la costringerò alla fuga.”

“Ammesso che sia vero e non una leggenda.”

“Già.”

Roman interruppe quello scambio con un lieve guaito: “Ci sono davvero tante cose che potrebbero andare storte. Sei sicuro di quello che fai?”

“Ho analizzato tutte le possibili variabili ed elaborato almeno due piani per ognuna di esse. Non c’è molto altro che posso fare, eccetto pregare che tutto vada liscio. Di una cosa, però, puoi stare certo: se la situazione dovesse mettersi male, userò me stesso come scudo per darvi la possibilità di fuggire.”

All’improvviso, la testa di Vincent scattò verso l’entrata del bunker. Un ringhio rotolò fuori dalle sue labbra, stirate sulle zanne affilate.

“C’è qualcuno qui fuori.”

“Saranno i cacciatori. Ho chiesto loro di venire per limitare i danni in caso di fallimento.” disse Regan.

“Hai invitato i cacciatori nel mio territorio?!”

“Sì. Nella peggiore delle ipotesi, cioè se il demone dovesse ucciderci, chi proteggerà il resto del tuo branco e le persone che vivono ad Ashwood Port? Resteranno fuori, tranquilli.”

“Ma se tu ci liberi per farci scappare, i cacciatori ci spareranno a vista!”

“Dovrebbe esserci Derek con loro. Ho dato istruzioni affinché non badino a voi, ma a qualunque cosa demoniaca esca da qua sotto. Il demone è la loro priorità e sanno che la vostra forza e velocità risulterebbe a loro vantaggio in uno scontro frontale. Non vi uccideranno. Beh, non lo faranno finché il demone è libero, almeno.”

“Avrei gradito saperlo prima.” ringhiò Vincent, per poi rivolgersi al figlio, “Tu lo sapevi?”

Roman negò e fissò Regan con apprensione.

Regan prese un’altra ciotolina, ci sminuzzò dentro della salvia e la mischiò all’acqua di fonte. Si rialzò e andò a disegnare altri simboli protettivi sui muri del bunker. Tornato indietro, mise da parte la ciotolina. Lasciò cellulare e chiavi sul tavolino e infilò la moneta in tasca. Una volta entrato nel proprio cerchio, lo sigillò con il gessetto e si inginocchiò un’ultima volta per dar fuoco all’intruglio spalmato sul cerchio centrale. Il fumo si levò, aggredendo le narici dei lupi.

“Ricordate: se il demone prova a parlarvi, non ascoltatelo e fate esattamente ciò che vi dico, senza obiettare.”

“A costo di sembrare ripetitivo, sei sicuro di quello che fai, Regan?” chiese Roman.

“Diciamo di sì… alla peggio, moriremo tutti.” strofinò i palmi sui jeans e fece un bel respiro, “Bene! Che lo spettacolo cominci.”

Le parole dell’evocazione rotolarono fuori dalle sue labbra con facilità, avendole recitate nella testa centinaia di volte. Le fiamme proiettavano ombre tremolanti sulle pareti e il fumo aromatico impregnava l’ambiente. La voce di Regan riempì il silenzio, satura di un’energia che i lupi non riuscivano a descrivere.

Per lunghi minuti non accadde niente, tanto che persino Regan si concesse qualche dubbio. 

Ad un tratto, il suono di un tamburo si diffuse per il bunker. Regan inciampò su alcune sillabe, colto di sorpresa. I lupi, pur guardandosi intorno con ansia, restarono muti come pesci, memori dell’ordine di non proferire verbo a dispetto delle stranezze a cui avrebbero assistito.

Alle percussioni si aggiunse presto un flauto e uno strumento a corde. Regan riconobbe la melodia orientale del suo incubo. Fu quando girò la testa per osservare il grammofono rotto che si rese conto che la musica proveniva da lì.

Via via che il tempo passava, il volume aumentava, cosicché Regan si trovò costretto quasi a urlare pur di sovrastare la melodia. Poi, di colpo, la musica si abbassò, pur continuando a suonare.

Il cellulare di Regan si accese da solo e inoltrò una chiamata a Deirdre. Il vivavoce si attivò. Regan sbiancò e interruppe il canto.

“Pronto? Stai bene, leprotto?”

La voce di Regan giunse forte e chiara dall’altoparlante, anche se il vero proprietario aveva la lingua incollata al palato.

“Non lo so, c’è qualcosa che non va. Puoi venire dai Sinclair?”

Regan si portò le mani alla gola. Graffiò la pelle, pigiò sulla mandibola per forzarla ad aprirsi.

Roman, Vincent e Sean ascoltarono con crescente terrore.

“Certo. Sarò lì tra poco, okay?”

“Grazie, nonna.”

“A presto, leprotto.”

Appena la chiamata terminò, un serpente nero sbucò da sotto il tavolino e strisciò fino al cellulare, per poi disintegrarlo tra le sue spire. Regan guardò la lingua biforcuta vibrare in un sibilo, gli occhi del rettile ridotti a fessure beffarde, come se lo stesse deridendo.

Tornò a fronteggiare il cerchio centrale. Si inginocchiò e rinnovò le fiamme con quelle che scaturirono dai suoi palmi. La morsa che gli imprigionava la mandibola sparì. Schiuse le labbra e annaspò. Tentò di placare i pensieri febbrili, simili a uno sciame di mosche, ma il panico glielo rese difficile.

Sbatté le palpebre per schiarirsi la vista annebbiata. Subito dopo sobbalzò, perché se fino a un istante prima il cerchio era vuoto, adesso il demone si ergeva al suo interno in tutta la sua raccapricciante gloria.

La lampadina sul soffitto si fulminò e le candele si spensero tutte insieme.

“Merda.”

Roman perse il controllo sulla trasformazione a causa della paura. Sotto il progressivo aumentare della mole, i vestiti si stracciarono. Nell’arco di un respiro, tutto il suo corpo si ricoprì di peluria marrone. Mani e piedi si tramutarono in zampe, che urtarono il pavimento non appena la schiena si curvò per assumere una posizione prona. Il cerchiò si ampliò per accomodare la sua stazza.

“Regan!” lo chiamò Vincent in un bisbiglio allarmato.

I simboli che aveva tracciato sui muri catturarono l’attenzione di Regan: stavano sfrigolando e svanendo. Un’altra ondata di panico lo prese in ostaggio. Doveva fare qualcosa, immediatamente.

Ricominciò a recitare, stavolta la lunga formula di esilio. L’aveva messa insieme pescando da vari rituali contenuti nei libri di demonologia che si era procurato ad Athens. Molte delle frasi originali erano in latino o in altre lingue, così le aveva tradotte tutte in inglese e amalgamate al meglio. D’altronde, Poppy gli aveva detto che non importava tanto in che lingua pronunciavi un incantesimo, quanto che dietro di esso ci fosse convinzione e potere magico.

La melodia orientale diffusa dal grammofono rimbalzò per tutto il bunker, frastornando sia Regan che i lupi. Roman guaì e si tappò come poté le orecchie con le zampe, mentre Vincent e Sean caddero in ginocchio ululando. Regan si sforzò di mantenere i nervi saldi e continuò a recitare.

“Regan, non funziona!” gridò Vincent.

La pietra di luna attorno al collo divenne incandescente. Per non ustionarsi, Regan fu obbligato a rimuoverla e scagliarla lontano. Quando, però, il bruciore raggiunse la runa vergata sul torace, strinse i denti e conficcò le unghie nelle cosce per impedirsi di cancellarla con una manata. Non poteva rendersi ancora più vulnerabile.

“Regan!”

“Silenzio!” tuonò Regan, fissando il demone con aria di sfida.

Il demone si mosse. Fu un movimento impercettibile, che in un primo momento Regan non registrò. Se ne accorse solo quando lo scoprì a una spanna dal proprio cerchio. A separarli, una sottile barriera di fiamme. Il demone avanzò ancora, ma il fuoco gli impedì di proseguire oltre.

Un sibilo assordante esplose nel bunker e il demone si liquefece. Sottoforma di melma nera, si espanse sino ai confini del cerchio e, di fronte agli occhi stralunati di Regan, divorò le fiamme.

Ora la stanza era immersa nell’oscurità. Le uniche fonti di luce, se così si potevano chiamare, erano gli occhi gialli di Vincent e Roman.

Il grammofono gracchiò e, in mezzo a quelle che sembravano interferenze radio, una voce femminile parlò in tono distaccato.

I corpi carbonizzati sono stati scoperti questa mattina. Sono state necessarie le impronte dentali per identificare le vittime: Vincent Sinclair, Sean Sinclair, Roman Sinclair e Regan McLaughlin. Nel seminterrato dentro la casa, la polizia ha rinvenuto i cadaveri di Tamara Sinclair e Jennifer Dawry. L’ennesima tragedia colpisce Ashwood Port, che piange – ksss – i suoi – ksss – mostri senz’anima, mietitori di innocenti – ksss – secondo la ricostruzione degli eventi, Regan McLaughlin ha ucciso Tamara Sinclair e Jennifer Dawry a coltellate, nove a testa, prima di chiudersi nel bunker con le altre vittime e darsi fuoco. Per ora non sappiamo altro, ma non c’è alcun dubbio che tutti i mostri”, la voce si distorse, “stiano bruciando all’inferno-”

“Basta!” ordinò Regan.

“Basta? Ma ho appena cominciato!” rispose pimpante la voce femminile, “Oh, Sean, cos’hai fatto? Quella pover famiglia… quei bambini…”

Sean si sentì gelare quando degli strilli spaventati gli aggredirono i timpani. Uggiolò e si rannicchiò su se stesso, le mani premute sulle orecchie e gli occhi pieni di lacrime. Il suo cuore batteva all’impazzata nel petto, un martellare doloroso che gli strappò via il fiato.

Dall’esterno del bunker, udirono Tamara urlare e chiamare Vincent. Degli spari accompagnavano le richieste di aiuto della lupa.

“Tamara! Regan, rompi il cerchio!” comandò allarmato l’alfa.

“Non ascoltare, non è lei.”

“Riconosco la voce della mia compagna quando la sento! Rompi questo dannato cerchio!”

“Zitto.”

Altri spari, altre urla. Il frastuono li bombardò da ogni direzione, tanto assordante che Regan riusciva a malapena a distinguere le proprie parole. Il grammofono riproduceva la melodia orientale, intervallandola con altri falsi reportage di cronaca.


“Zitto...”

“Cosa?!” fece Vincent, pronto a prendere a calci la barriera per uscire.

“HO DETTO DI STARE ZITTO!”

Un vortice di fiamme avvolse Regan e mulinò attorno a lui come un tornado.

Le grida, gli spari e i reportage cedettero il posto a un silenzio di tomba. Il cambiamento fu così repentino che tutti scrollarono la testa e si diedero dei pizzicotti per scacciare l'intontimento. 

Il demone si risolidificò in un baleno e si avvicinò a Regan. Senza stare troppo a rifletterci, Regan si lanciò in un complicato incantesimo che suonava vagamente familiare. Ricordò di averlo letto in uno dei grimori e di aver pensato che sarebbe stato utile. Solo che non lo aveva memorizzato, o almeno non consciamente.

Le parole sgorgarono libere, nitide e potenti; in qualche modo, la magia che irradiavano distorse anche la musica orientale, che aveva ripreso a suonare in sottofondo. Essa assunse note stridule e sinistre che graffiarono le orecchie come unghie su una lavagna.

Il demone cozzò contro un muro invisibile. Regan ghignò. Ma presto il ghigno lasciò spazio all’orrore, perché il demone spostò la sua attenzione su Roman. Si arrestò di fronte a lui. Un serpente nero si materializzò ai suoi piedi, spalancò le fauci e si mangiò il quarzo protettivo. Il demone protese fulmineo una mano e cinse il collo del licantropo, che emise un verso disperato.

Vincent ruggì impotente mentre guardava il figlio penzolare dalla morsa del demone. Allora ruggì alla volta di Regan per intimargli di fare qualcosa, ma pure lui pareva pietrificato.

“Regan, fermalo! Non sta funzionando, non sta-”

La trasformazione di Roman regredì finché non tornò in sembianze umane. Le sue dita artigliarono il braccio del demone, i piedi scalciarono, il corpo nudo si dimenò. Una lacrima gli rigò lo zigomo e si perse in una ciocca di capelli che si era appiccicata al viso ricoperto di sudore freddo.

Roman cercò lo sguardo di Regan e, trovatolo, rantolò una sola parola.

“Aiutami!”

Regan si rianimò come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Mostrò le zanne al demone in segno di sfida ed evocò di nuovo le fiamme. A sua insaputa, la sclera dei suoi occhi si tinse di nero e le iridi rifulsero come tizzoni ardenti. Abbassò con forza i palmi sul bordo del cerchio per bruciare l’impasto di erbe. Fiamme blu si innalzarono, costringendo il demone a mollare la presa su Roman e arretrare. Il licantropo precipitò a terra con un tonfo, privo di sensi.

La voce di Steno riemerse dai recessi della memoria.

“Grida, grida ciò che è omesso: la canzone dell’abisso.”

Regan inspirò e serrò le palpebre. Una nuova chiarezza lo pervase, scacciando la nebbia in cui aveva brancolato per mesi. Ebbe l’impressione che qualcuno gli avesse appena tolto una benda dagli occhi e i tappi dalle orecchie. 

La canzone... se conosco la canzone, conosco anche il suo nome... oh, sì che lo conosco. Fottuto bastardo.

“Conosco il tuo nome, demone!” enunciò, ignorando il sibilo che gli perforava i timpani, “Ti comando di lasciare il corpo di Steno! Obbedisci al mio ordine, Aeshm, figlio degli abissi!”

Il sibilo si fece più acuto. Regan si coprì le orecchie e digrignò i denti per resistere all’impulso di strizzare le palpebre.

Una nuvola di denso fumo nero si levò dalla figura al centro del cerchio. Pian piano, il corpo nudo di una donna prese forma, staccandosi dal fumo. Steno cacciò un urlo e si afflosciò svenuta sul pavimento. I capelli neri disegnarono soffici volute intorno alla testa e alcuni ciuffi andarono a coprirle il viso pallido.

Il demone non perse tempo. Vorticò sopra la Gorgone, risalì sul soffitto e si scagliò rapido di nuovo giù. Regan impiegò un secondo di troppo per realizzare il proprio errore, e un altro per realizzare che il bersaglio era Sean.

Lo schianto della schiena del lupo mannaro contro il muro, e il successivo rumore di ossa che si spezzano, riecheggiò per il bunker.

Vincent ululò. La nuvola nera si levò ancora e lo attaccò. L’alfa non poté opporsi. Percepì una forza estranea e opprimente avvolgerlo, serpeggiare nelle vene e negli organi, per poi attaccare la sua mente con una ferocia disumana. Il dolore sparì all’improvviso. I pensieri evaporarono e le braccia ricaddero inerti lungo i fianchi.

Regan vide gli occhi di Vincent rovesciarsi nel cranio e la bocca cristallizzarsi in una smorfia grottesca. Colmo d’ira, percepì qualcosa in lui tendersi alla stregua di un elastico. Una minima torsione e si sarebbe rotto.

“Brutto figlio di puttana!”

Abbandonò il proprio cerchio. Appena poggiò il piede in quello centrale, le fiamme blu si dissolsero.

Si fiondò a razzo sull’alfa e, mettendosi a cavalcioni sulle sue cosce, gli imprigionò la testa tra le mani. Lasciandosi guidare dall’istinto, accostò le labbra a quelle del lupo e iniziò a inalare.

Inalò e inalò, risucchiando aria nei polmoni. Dopo un po’, fumo nero fuoriuscì dagli orifizi di Vincent per venire assorbito dentro Regan. Quando non ci fu più nulla da assorbire, Vincent si accasciò esanime sul cemento.

Regan era ancora lucido quando trascinò Steno al sicuro, fuori dal cerchio, e quando raggiunse Roman per cercare tra i resti dei suoi vestiti il cellulare. Anche se le dita tremavano febbrilmente, riuscì a digitare un messaggio per Deirdre, pregando che l’urgenza insita nelle parole, assieme alla mancanza di punteggiatura, fosse sufficiente a convincerla a non farsi viva.

A Deirdre:
Sono Regan non ero io prima non venire stai lontana

Inviò e gettò il cellulare accanto a Roman. A quel punto, si inginocchiò nel cerchio centrale e aspettò.

L’attesa fu breve. Tra un respiro e l’altro, il suo corpo iniziò a contorcersi in preda a violenti a spasmi. Si sdraiò su un fianco e contrasse i muscoli, allo scopo di tenere a bada le convulsioni, ma esse raddoppiarono e scossero le sue membra come in una centrifuga. I contorni del mondo circostante sfocarono e fumo nero si infiltrò nella sua mente.

Riaprì gli occhi in un deserto arido. Il terreno era crepato, l’aria immobile. Il cielo era un oceano rosso sangue, piccole onde danzavano sulla superficie.

Una sagoma scheletrica dai vaghi tratti umanoidi si stagliava a una cinquantina di metri da lui. Regan percepì la furia ribollirgli dentro. Un ringhio gutturale si formò nella sua gola.

“Come osi?”

Aeshm scomparve e riapparve a due spanne di distanza, torreggiando su Regan come un gigante. Anche se non aveva occhi, il ragazzo ebbe la netta impressione che lo stesse guardando.

Subito dopo, venne aggredito da visioni che gli mozzarono il fiato. Non ci mise molto a capire che il demone stava provando a comunicare. Schiacciato dalla valanga di immagini che lo investirono, afferrò il succo: Aeshm aveva vinto, perché finalmente era proprio dove aveva sempre voluto essere, cioè dentro Regan.

“Perché io?”

Aeshm gli cinse il collo con una mano e lo sollevò da terra senza apparente sforzo. Regan si aggrappò al suo braccio in un gesto istintivo, ma non si ribellò, concentrandosi piuttosto sui concetti che il demone gli stava trasmettendo.

La sua natura ibrida lo rendeva potente, stava pensando, lo rendeva un ospite perfetto. Aeshm avrebbe assorbito i suoi poteri e portato caos e devastazione su tutto il pianeta. Regan non era abbastanza forte per contrastarlo.

“Dimentichi che conosco il tuo nome.”

Sbagliato. Regan conosceva solo uno dei tanti nomi che Aeshm aveva avuto nel corso dei millenni. Il suo vero nome galleggiava nei remoti abissi dell’oblio, nessuno avrebbe potuto usarlo per incatenarlo.

Regan soppresse un brivido e ignorò la scossa di terrore che gli fece gelare il sangue.

“Perché mettermi alla prova?”

Perché voleva scoprire se Regan era abbastanza maturo per contenerlo, in termini di potere. Un demone come lui non riusciva a raggiungere il vero potenziale in un ospite debole. Regan, invece, aveva dimostrato di essere sufficientemente forte per accoglierlo, ma non così forte da combatterlo.

Regan lo scrutò per lunghi momenti, arrovellandosi per trovare una soluzione. Si guardò intorno, finché il suo sguardo non venne calamitato dal cielo. Quando curvò le labbra in un ghigno malevolo, avvertì un guizzo d’incertezza attraversare il demone.

Un tuono rimbombò per la landa desolata.

Un’ombra gigantesca si affacciò oltre l’oceano rosso, la testa ornata da sette lunghi aculei.

Regan alzò un braccio, le dita protese verso l’alto.

Un secondo tuono, molto più forte del primo, fece tremare la terra.

Un vortice sanguigno calò giù dall’alto e travolse in pieno Regan.

Aeshm indietreggiò di scatto e mollò la presa.

Regan si materializzò alle sue spalle e si erse in tutta la sua statura. Ora superava di almeno tre spanne il demone. Oltre all’altezza, notò che anche la propria pelle era cambiata: non più bianca come il latte, ma color ossidiana. L’oro dei gioielli che gli ornavano gli avambracci e il torace brillò di riflessi cangianti. La corona gli pesava sulla testa e le ossa dorate di cui era fatta producevano un suono simile allo scroscio dell’acqua di un ruscello.

Allungò una mano e la serrò attorno al cranio di Aeshm, obbligandolo a inginocchiarsi. Il demone non si oppose, quasi avesse perso la voglia di combattere. Oppure, semplicemente, non poteva rivaleggiare con la nuova forza di Regan. Qualunque fosse il motivo della mancata reazione, a Regan non importava.

Stirò le labbra in un altro ghigno e guardò divertito la sua preda. Avrebbe voluto assaporare il momento, ma sentiva che il tempo a sua disposizione era agli sgoccioli. Senza perdersi in inutili chiacchiere, esercitò una leggera pressione sul cranio del demone, che si fracassò su se stesso. Lo guardò incenerirsi rapidamente, poi la cenere mulinò e si disperse, svanendo per sempre.

Non ebbe modo di godersi la vittoria, perché lo scenario mutò di nuovo. I muri del bunker si ricostruirono attorno a lui, i corpi inerti dei lupi ricomparvero nella sua visuale e il tanfo delle erbe gli penetrò nelle narici. Si rese conto di stare fluttuando a pancia all’insù a un metro e mezzo dal pavimento. La sua coscia destra bruciava.

Infilò una mano in tasca per estrarre la moneta. La strinse nel palmo e la fuse con il fuoco che divampò dalla sua pelle, tornata del colore originale. Quando non rimasero che poche gocce di metallo liquido, la forza che lo teneva sospeso a mezz’aria sparì e lui cadde sul cemento con un tonfo e un gemito.

Chiuse gli occhi ed esalò un lungo respiro.

La pace non durò a lungo. 

Udì un fruscio. Regan girò il capo verso destra nell’attimo in cui Steno lo raggiunse. Incatenò i loro sguardi, teso come una corda di violino. Quello della Gorgone era colmo di gratitudine e meraviglia. Lei si chinò e gli stampò un casto bacio sulle labbra.

“Dimmi come posso sdebitarmi, bimbo dagli occhi di fuoco.” sibilò a pochi centimetri dal suo viso.

Regan sospirò, più rilassato, e ghignò.

“Speravo me lo chiedessi. Voglio che uccidi tutti i cacciatori radunati qui fuori. So che normalmente non prendi le donne, ma vorrei che facessi un’eccezione per questa volta. Poi lascia la città, cambia nome e ricomincia altrove. Non saresti al sicuro qui.”

Steno assentì. Tuttavia, prima che potesse strisciare verso la botola, udirono dei passi in avvicinamento e la voce di Derek che chiamava il nome di Regan.

“Cazzo. Okay, sdraiati vicino al muro e fingi di essere svenuta. Al mio segnale, uccidili.” ordinò a Steno e lei ubbidì.

“Regan?! Stai bene?”

“Sì, Derek, puoi entrare!”

La botola si aprì e la faccia di Derek fece capolino. Gregory e Kevin si affacciarono dietro di lui. La luce che filtrava dalla botola era quella artificiale delle torce, segno che il sole non era ancora sorto.

“C’è stato un terremoto. Eri tu?” domandò Derek.

“Probabile. Il demone è stato bandito con successo.” grugnì mentre si issava sui gomiti, “Nessuno è morto. I Sinclair sono solo privi di sensi, come la nostra Gorgone.” si annusò e storse la bocca in una smorfia, “Ho bisogno di un bagno.”

Le sue orecchie colsero un brusio concitato. Derek fece cenno a qualcuno di avvicinarsi, poi entrò, seguito da…

“Signora Greenwood?” balbettò spaesato Regan.

La botola si richiuse alle loro spalle. La sorpresa e lo shock impedirono ai muscoli di Regan si muoversi come dovevano, lasciandolo paralizzato sul pavimento freddo, al buio.

La signora Greenwood si accostò a lui, gli accarezzò amorevolmente le guance e lo spinse a stendersi supino. Senza sapere il perché, Regan non oppose resistenza.

“D-Derek? Che succede?”

“È per il tuo bene.”

“Cos-”

Derek sfilò una siringa dalla tasca e iniettò aglio concentrato direttamente nel suo collo. Ah. Credeva che l’aglio fosse il suo punto debole, giusto. Frizzava un pochino, ma era sopportabile.

La vecchia adagiò i palmi ai lati della testa di Regan e sorrise emozionata: “È da tanto che non assorbo qualcuno. Cercherò di non farmi trascinare troppo dall'entusiasmo, promesso. Mmm, carne fresca, finalmente...”

Regan soffermò lo sguardo spiritato su Derek, che si era inginocchiato alla sua sinistra. Avrebbe volentieri preteso spiegazioni, se all’improvviso non fosse stato pervaso da una stanchezza che trasformò i suoi arti in gelatina. Le tempie pulsarono.

Leggendo la domanda nei suoi occhi, Derek gli fornì le informazioni che voleva, anche se Regan faticava a comprendere le sue parole a causa dell’ovatta che gli riempiva il cervello.

“La signora Greenwood è una Vila, una ninfa dei boschi. Assorbirà la tua natura soprannaturale, assieme a tutti i tuoi poteri, così tornerai ad essere umano. Nessun cacciatore avrà più motivo di temerti, non correrai più alcun pericolo. Non hai sempre desiderato una vita normale? Questa è la tua occasione.” si sporse verso di lui e gli sorrise, “Potremo finalmente stare insieme, Regan. Potremo avere un vero appuntamento! Poi ti inviterò a cena da me una volta a settimana per farti conoscere meglio la mia famiglia e, chissà, magari ti verrà voglia di aiutarci nella nostra crociata. Saremo una vera coppia!”

Le tempie vennero lacerate da una fitta acuta e Regan urlò.

“Fa’ piano!” udì Derek rimproverare la ninfa.

“Sto facendo piano, ma lui sta lottando!”

“Regan? Regan, concentrati sulla mia voce. Non agitarti, va tutto bene.”

Durante i secondi successivi, le rare volte che riuscì a mettere a fuoco i contorni della realtà, Regan vide la signora Greenwood ringiovanire a vista d’occhio. I capelli ricaddero in una cascata bionda e fluente sul seno, le rughe svanirono e gli occhi brillarono di un verde limpido. Avvertiva la propria energia assottigliarsi alla stessa velocità in cui la ninfa ringiovaniva, risucchiata in lei attraverso le mani ancorate alle sue tempie.

Conficcò le unghie nel cemento, serrò le palpebre e biascicò un flebile “Ora”.

Un sibilo. Un’inalazione sgomenta. Un gemito strozzato.

La presa intorno alla testa si allentò fino a sparire del tutto.

Un fruscio. Un rumore metallico. Un tonfo.

Un sibilo assordante.

Esclamazioni di sorpesa.

Uno sparo.

Silenzio.

Dopo un po’, Regan si azzardò a sbirciare dalla fessura tra le ciglia e tese le orecchie. Siccome captò soltanto i battiti regolari dei tre lupi riversi a terra, si convinse a spalancare entrambi gli occhi.

Derek aveva lo sguardo puntato verso la sua sinistra. Una mano stringeva la pistola, l’altra era piantata sul pavimento per tenersi in equilibrio. Il busto era proteso in avanti, in procinto di attaccare.

Regan sollevò a fatica una gamba e diede un calcetto al corpo di pietra del cacciatore. Quando lo vide sbilanciarsi di lato e andare in pezzi, una risata proruppe dalla sua bocca.

Al sentire le grida di Tamara, si chetò.

“Vince! Roman! Sean!”

Tamara si calò giù fulminea dalla botola. Regan la osservò precipitarsi al fianco del marito e scuoterlo, per poi fare lo stesso con Sean e Roman. La lupa non si curò di dove metteva i piedi, calpestando intrugli di erbe e simboli arcani senza alcun rispetto.

Regan sospirò e chiuse gli occhi, stremato sin nel midollo. Un pisolino non glielo avrebbe negato nessuno. Anzi, se lo era meritato.








 
  
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