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Autore: Lisaralin    18/06/2019    4 recensioni
"One single master equation, unification of the great and small."
(The Theory of Everything, Ayreon)
L'ambizioso apprendista di Radiant Garden, il Freddo Accademico dell'Organizzazione XIII, lo scienziato in cerca di redenzione. La raccolta definitiva sul personaggio più figo di tutto Kingdom Hearts, nonché vero eroe morale e materiale di Kingdom Hearts III.
[Even/Vexen + apprendisti, Organizzazione XIII, personaggi Disney e Final Fantasy (anche non apparsi nella saga) | Coppie varie e non canoniche]
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Organizzazione XIII, Vexen
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più contesti
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Se siete arrivati qui c’è una buona probabilità che Vexen non vi faccia troppo schifo.

Se Vexen non vi fa troppo schifo e masticate bene l’inglese, vi consiglio di dare un’occhiata alle fanfiction di Perosha su Archive of Our Own.

Io non ci guadagno nulla a farle pubblicità, se non contribuire a contrastare l’odio verso Vexen nel mondo.

Qualcuno dovrebbe inoltrare una petizione alle Nazioni Unite per far dichiarare i fan di Vexen minoranza etnica.



Upadate perché vedo un po' di gente confusa dal tono onirico della storia (scusate, nella mia testa era tutto chiarissimo, ma si vede che non sono capace di renderlo su carta '^^): la storia è ambientata prima del risveglio di Even in KH3 e si svolge interamente nel suo inconscio. Consideratelo un lungo sogno in varie parti :)



#091 - The Four Seasons

 

Il viaggiatore non riconosce il giardino in cui si trova. Non sa nemmeno come ci sia arrivato. È sicuro di non avere mai visto quel castello in lontananza. Incombe sul giardino come un presagio nefasto, un concerto di torri e guglie conficcate nel cielo grigio, gonfio di pioggia.
Il viaggiatore però si rende conto che i suoi passi non producono alcun rumore calpestando le foglie secche, i suoi stivali non lasciano tracce sulla terra morbida. E questo è un segnale di allarme.
Perciò non si stupisce troppo quando l'uomo che sbuca di corsa dagli alberi avanza verso di lui e gli passa letteralmente attraverso.
Questo mondo è un'illusione, oppure io sono un fantasma.
Certo, sapere chi sia io sarebbe molto d'aiuto.
L'uomo che lo ha attraversato indossa un qualche tipo di divisa militare ed è di corporatura robusta. Il viaggiatore si rende conto con un attimo di ritardo che lo sguardo dello sconosciuto è puntato su una seconda figura, apparsa come per incanto nel giardino. Non lo aveva notato subito perché sembra confondersi con i tronchi spogli e sottili degli alberi: ha il viso scavato e si regge in piedi con difficoltà, ondeggiando nel vento insieme ai rami secchi.
"Non dovresti essere qui."
La voce dell'uomo robusto è un rombo basso, quieto ma inesorabile. O forse si confonde con i tuoni in lontananza.
"Aeleus, ti prego. Vorrei solo parlargli una volta."
La seconda voce invece è simile al lamento del vento tra i rami spogli. Fragile come la persona a cui appartiene.
“Ienzo ha sofferto abbastanza. E tu lo hai deluso troppe volte, Even.”
Le spalle del secondo uomo - Even - sembrano incurvarsi sotto il peso di ogni parola.
Aeleus lo incalza senza muovere un muscolo, senza nemmeno alzare la voce:
“Dov’eri mentre lui passava giorni in laboratorio per aiutare l’Eroe del Keyblade? Quando si è caricato sulle spalle la responsabilità di Radiant Garden, dei nostri, dei tuoi errori?”
L’odore di pioggia si fa sempre più forte, i tuoni più vicini. Nessuno dei due sembra curarsene. Even tiene lo sguardo incollato a terra, e le sue spalle tremano.
Il viaggiatore vorrebbe provare pena per lui, ma la verità è che gli sembra patetico.
“Lo so, Aeleus, lo so. È solo colpa mia. Io… ho avuto paura. Ma se adesso… “
“No.”
Il soldato si limita ad incrociare le braccia, ma l’altro sussulta come se lo avesse schiaffeggiato.
“Hai avuto la tua seconda possibilità, come tutti noi. Ma hai scelto di scappare.”
Non c’è altro da dire. Il viaggiatore vorrebbe attirare la loro attenzione, chiedere cosa stia succedendo, ma capisce che non possono sentirlo. Even si lascia scivolare in ginocchio, spezzato e inutile.
La pioggia picchietta leggera sulle foglie secche.


gli anni di follia

le persone che hai tradito

è il momento di pagare

 

sei solo


La luce lo acceca.
Il giardino è lo stesso, ma inondato di sole.
Fa un caldo afoso, eppure l’uomo davanti a lui indossa un maglione azzurro, appoggiato sulle spalle come un mantello.
Il viaggiatore lo riconosce: Even. Come il giardino, anche lui è lo stesso, ma allo stesso tempo diverso. Più anziano, ma meno fragile. Siede su una panchina dipinta di verde e il suo viso, attraversato da una fitta rete di rughe sottili, è sollevato a godersi il sole. Sorride con evidente beatitudine.
Nell’aria si sente profumo di gelsomini.
Questo Even deve essere importante. Forse è la chiave per uscire di qui.
Ovunque sia qui.
Il viaggiatore indugia all’ombra di un albero, certo ormai di non essere visto. Un istinto che non saprebbe spiegare gli dice che il suo compito in quel momento è soltanto osservare. Analizzare con attenzione tutto quello vede. Per imparare cosa, non lo sa ancora.
Non deve attendere molto: presto un uomo più giovane appare da un sentiero nascosto da una volta di rampicanti in fiore e si siede accanto a Even. Il viso dell’anziano si illumina di gioia.
“Ienzo.”
Verdi. Gli occhi di Even sono verdi.
I due scambiano qualche battuta irrilevante. Commenti sul tempo, sulle ginocchia di Even che sembrano trarre giovamento dal clima caldo, sul risultato di un esperimento che sta dando filo da torcere al giovane.
Poi lo sguardo di Ienzo si perde nella distanza. Si sporge in avanti, le mani intrecciate sulle ginocchia. I suoi capelli sono strani, un taglio asimmetrico con un ciuffo argentato che copre quasi completamente l'occhio sinistro.
Il calore del pomeriggio sfuma i contorni della vegetazione, e tutto intorno si solleva, uniforme e rilassante, il frinire delle cicale.
"Sei sicuro della tua decisione?"
"Non vedo perché dovrei avere dubbi."
Per qualche misterioso motivo, la serenità nella voce di Even rassicura l'animo inquieto del viaggiatore.
"Potresti regnare ancora molti anni."
L'anziano ride di gusto. "Oh, ho intenzione di vivere ancora a lungo! Non me ne vado certo perché penso di essere sull’orlo della tomba. Ma io e Tiana ci meritiamo un po' di riposo e di tempo solo per noi, non credi?"
"Lo so, Even. Hai ragione. È il mio egoismo a parlare per me."
Lentamente, Even posa una mano sul braccio del giovane. Le sue dita sono sottilissime e la pelle chiara lascia trasparire ogni piccola vena azzurra al di sotto, ma la presa è salda e gentile. Paterna.
"Di cosa hai paura?"
"Even il Saggio. Colui che ha capito le intenzioni di Xehanort e Braig, fermato i loro piani, salvato il suo maestro, difeso i suoi compagni e protetto Radiant Garden dall'oscurità. Un grande scienziato e un eroe. Come potrò mai essere all'altezza?"
Il viso di Ienzo è rivolto verso il basso, e adesso entrambi gli occhi sono nascosti dal ciuffo argentato. Il viaggiatore deve sporgersi per ascoltare le parole successive, poco più che un sussurro annegato nel canto degli insetti estivi.
“In questa storia ero solo un ragazzino da proteggere.”
Even posa la mano libera su quella del giovane. Ogni suo gesto è carico di una dolcezza piena di grazia che fa salire al viaggiatore le lacrime agli occhi.
“È semplice. Non devi mai dimenticare che senza quel ragazzino Even il Saggio non sarebbe mai stato quello che è stato.”


l’unico disegno è nella tua mente


Le torri del castello sono spezzate. Le loro macerie si distinguono appena nella landa ricoperta di ghiaccio. Il viaggiatore fatica a distinguere i contorni delle cose: il cielo è scuro, non a causa di nuvole o nebbia, ma perché qualcuno o qualcosa ha obliterato il sole. Una luminosità violacea, fredda e spettrale, è tutto ciò che ne resta. Si riflette nel cielo e sulle rovine senza provenire da una fonte precisa. Il buio completo, forse, sarebbe meno inquietante.
Il vento tagliente penetra fin dentro le ossa, ulula parole malvagie alle orecchie del viaggiatore.
La parodia di luce accarezza anche le guglie acuminate di una piramide di ghiaccio. Deve lottare contro il vento per avvicinarsi, ma alla fine il viaggiatore riesce a scorgere una figura umana prigioniera tra le stalagmiti. Gli ricorda un’offerta sacrificale: le braccia e le gambe divaricate, inghiottite dal ghiaccio fino ai gomiti e le ginocchia. Ha i capelli lunghi e arruffati, il viso tumefatto. Quando solleva a fatica lo sguardo, il viaggiatore vede che l’uomo ha un occhio solo. L’altro, il destro, è coperto da una benda.
L’unico occhio si dilata di paura e il viaggiatore per un attimo pensa che lo sconosciuto stia guardando lui. Alza le mani in un gesto conciliante.
Non voglio farti del male.
Ma ovviamente l’uomo nel ghiaccio non può vederlo. L’oggetto della sua attenzione è una figura incappucciata che sembra essere appena stata sputata fuori dalle tenebre. Si avvicina senza fretta, le vesti nere scosse dal vento, e il viaggiatore viene percorso da un brivido che probabilmente non ha nulla a che vedere con il freddo di quel mondo senza vita.
Vorrebbe fuggire, ma le gambe lo inchiodano al terreno ghiacciato.
“Tu non… sei… Xeha... nort.”
Parlare costa uno sforzo immenso al prigioniero, che stringe i denti per soffocare un gemito di dolore. Chissà da quanto tempo è lì.
La figura nera arriva fino alla base del blocco di stalagmiti e incrocia le braccia. Le dita avvolte in un guanto nero accarezzano pensierose il mento: non ha fretta di rispondere.
Infine, quando si ritiene soddisfatto da qualsiasi ragionamento si sia svolto nella sua mente, solleva lentamente le braccia e abbassa il cappuccio.
Lunghi capelli argentati scivolano liberi sulle spalle, spettrali nel chiarore violaceo.
Il viaggiatore sussulta e dalla sua bocca fuoriesce un grido senza suono.
Conosce quell’uomo.
Negli altri sogni non aveva gli occhi color ambra e quel sorriso spaventoso che gli attraversa il viso come una lama, ma non può non riconoscerlo.
È sbagliato. Tutto il suo essere si ribella contro quello che ha appena visto. Even ha gli occhi verdi.
“Diciamo piuttosto che adesso Xehanort è me. O una parte di me, se vogliamo essere precisi.”
La risata di Even-che-non-è-Even stride come due blocchi di ghiaccio che sfregano tra loro. Si protende leggermente in avanti per esaminare il prigioniero, assottigliando quegli occhi gialli così innaturali. Per un attimo uno dei due sembra diventare più grande dell’altro.
“Devo concedervelo, il vostro piano era ambizioso e meritevole, Braig.”
Il prigioniero sussulta quando le dita della cosa che indossa il corpo di Even gli serrano il mento, obbligandolo a guardarlo.
“O forse dovrei dire Luxu?”
“No… come… non… è… “
Luxu (o Braig?) soffoca nelle sue parole e nel suo stupore. Difficile capire se il suo viso appaia bluastro per la luce strana o perché è sul punto di morire congelato. Ma il viaggiatore sa di non poter fare niente per lui.
“L’Oscurità rivela molte cose.” prosegue l’Even dell’incubo. “Il prezzo è stato alto, ma ben commisurato al guadagno. Uno scambio equivalente, tutto sommato. Come dicevo, il piano di Xehanort era di tutto rispetto. Solo un punto non mi convinceva.”
Di nuovo quel sorriso, di nuovo quella luce negli occhi spaventosi. Come se l’anima dentro di essi fosse stata rimpiazzata da una scintilla di follia.
“Perché sarei dovuto diventare un contenitore per l’anima di Xehanort, quando lui poteva diventarlo per la mia?”
“Cosa… vuoi… da me?“
“Oh, stai tranquillo.” Questo Even ama ridere, ma la sua risata è più fredda dell’ululato del vento. “Ho già trovato i contenitori che mi servono. Radiant Garden è… era popolosa, fortunatamente. Per te ho un altro scopo, mio caro Luxu. Ci sono ancora degli stralci di conoscenza che mi eludono, e vorrei rimediare al più presto a questa orribile mancanza. Perciò ora rispondi alla mia domanda.”
Non farlo, prega il viaggiatore. Non dargli modo di cadere ancora più a fondo nell’Oscurità.
Perché gli interessava più salvare Even che quel pover’uomo prigioniero dei ghiacci?
“Dimmi tutto quello che sai di una certa Scatola Nera.”


non è da te arrenderti


hai sempre avuto il controllo

mai un’esitazione


nel tuo cuore di ghiaccio


I fiori appena sbocciati sono già sporchi di sangue.
Al viaggiatore, però, sembra un dettaglio poco rilevante. Gli occhi di Even sono tornati verdi, e questa è l’unica cosa che conta.
Vorrebbe piangere di gioia.
Non lo preoccupa che Even sia in ginocchio in mezzo al prato, il volto contratto dal dolore e le mani premute sul petto su cui si allarga una ferita spaventosa.
Non lo preoccupa che dal suo corpo si sollevino filamenti di oscurità e brandelli di luce, gocciolando silenziosamente verso il cielo azzurro.
Non lo preoccupa nemmeno l’uomo con il viso attraversato da una cicatrice a forma di croce che incombe su di lui.
Even ha di nuovo gli occhi verdi, e ogni cosa è come dovrebbe essere.
“I traditori vanno eliminati.”
L’uomo con la cicatrice lo dice come se stesse enunciando un teorema. Non c’è rabbia nella sua voce, e il suo viso è disteso. Impassibile.
Anche la natura tutto intorno non sembra curarsi del dramma. I fiori oscillano pacifici nella brezza, nuvole bianche si stiracchiano nel cielo. Gli uccelli cantano, e a nessuno importa della vita che si sta spegnendo piano piano.
“Perché, Vexen?” Appena un’ombra di curiosità nella voce piatta dello sconosciuto. Il suo nome è Even, idiota.
“Xemnas stimava il tuo lavoro. Ti aveva dato carta bianca. E tu getti al vento la possibilità di continuare la tua preziosa ricerca per liberare quella… cosa.”
“Lei non è… una cosa.”
Even - perché il suo nome è Even - incontra lo sguardo dell’altro senza paura. Nonostante il dolore trova la forza di piegare le labbra in un debole sorriso.
“Mi fai pena, Saïx. Noi possiamo… possiamo riavere il cuore. Non c’è bisogno di Kingdom Hearts o… dei piani di Xemnas.”
“E lo hai capito studiando quello scarto di laboratorio.”
“Lei è… la cosa migliore che io abbia mai fatto. Vorrei… averlo capito prima.”
Even svanisce lentamente, avvolto dalle spire di oscurità.
Sul prato, dove il suo corpo era stato fino a un attimo prima, rimangono soltanto fili d’erba sporchi di sangue e una conchiglia colorata.


io sono il più forte di tutti

e ti aiuterò sempre a rialzarti

 

non sei solo


Il viaggiatore apre gli occhi e si alza a sedere di scatto.
Deve calmare i respiri affannosi prima di rendersi conto di dove si trova. Un letto, la luce del mattino che si insinua in una stanza ordinata. Lenzuola che profumano di pulito. Fiori sul davanzale.
No, non un letto. Il suo letto. La sua vecchia stanza, nel castello di Radiant Garden.
È sicuro di aver fatto dei sogni, ma più cerca di afferrarli e più quelli sfuggono alla sua comprensione. Si prende la testa fra le mani. Gli sembra che un martello gli stia sfondando le tempie.
Quanto ho dormito?
Pian piano, brandelli di ricordi affiorano dalla massa incoerente dei suoi pensieri.
Addio!”
L’odore disgustoso della carne bruciata, la sua. Il calore impossibile delle fiamme, il dolore, il terrore cieco e assoluto.
Istintivamente Even circonda il proprio corpo con le braccia e serra gli occhi, supplicando con tutte le sue forze che i ricordi lo lascino in pace.
Non voglio…
“Axel… “
Ma è ancora vivo, contro ogni logica.
No.
Non sono ancora vivo.
Sono di nuovo umano.


Note: universi alternativi? Sogni? Possibilità mai realizzate? Interpretate come volete le visioni nella mente di Even.
Le citazioni tra un paragrafo e l’altro sono traduzioni (molto libere) dalla canzone “Day 02: Isolation” di Ayreon, di cui io ABUSO in più o meno qualsiasi cosa che scrivo. Ma per me quella è la canzone di Even prima del risveglio, e lo penso da molto prima di KH3.

  
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