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Autore: hakodate93    29/06/2019    0 recensioni
Nella Terra di Mezzo, durante la Terza Era, viveva un giovane principe nano della Casata dei Piediroccia, Austri. Una notte accade l'inevitabile, un incontro voluto dal destino. E così la sua vita vira verso un nuovo futuro di speranza. "La tua discendenza sarà numerosa come le stelle del cielo" così gli aveva promesso la nobile dama. Tra nani, draghi, orchi, stregoni e strane creature alate, una storia che trae libera ispirazione dall'universo fantasy tolkeniano.
Genere: Fantasy, Guerra, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nani, Nuovo personaggio, Pallando, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 7

 

Ora io stesso non saprei che cosa consigliarti. Vedi, sia che si conti sulle proprie forze, o anche su quelle dei compagni, nessuno può prevedere il risultato finale. Perciò, in qualsiasi caso, ricorda che l’importante è non avere alcun rimpianto.

(Levi a Eren – Shingeki no Kyojin)

 

Pallando aveva imboccato la stradina per primo, seguito da Austri e infine Metatron. Il nano si voltava spesso a guardare l’angelo, ormai irrimediabilmente stregato dalla sua bellezza. Lo faceva di nascosto, o almeno ci provava, ma in realtà Metatron lo guardava a sua volta sorridendo. Sembrava che l’angelo avesse dei poteri che le permettevano di leggere nel pensiero. Inoltre a un certo punto era priva delle otto ali, sparite chissà dove, e assumeva più la forma di una normale donna mortale. Durante la discesa, lo stregone raccomandò ancora al principe nano di non fare cavolate e di non parlare con nessuno, all’infuori di loro due. Austri quasi si sentì trattato da idiota e stava per spazientirsi e mandarlo a quel paese. Fortunatamente arrivarono agli ingressi delle grotte (la scogliera assumeva in quel punto la forma di una mezza luna convessa in cui si aprivano almeno tre grotte) e i tre imboccarono la prima.

 

La volta della grotta era molto alta, seppur non altissima, e appariva in penombra; la grotta era molto profonda, scavata all’interno della scogliera, e la luce riusciva a lambire solo l’ingresso. Pallando borbottò qualcosa, forse una formula magica, e la sfera della punta del suo bastone si illuminò, permettendo al trio di vedere nell’oscurità. Procedettero verso l’interno e l’aria diveniva un po’ putrida, puzzando di chiuso. In quell’ambiente con poche aperture, l’umido si faceva percepire parecchio e rendeva l’atmosfera pesante.

 

Lungo le pareti rocciose si aprivano delle strette fenditure, dove non avrebbero potuto passare né uomini né orchi. Probabilmente vi potevano passare solo animali di piccola stazza. Ma in quelle lande desolate si vedevano perlopiù uccelli marini. Austri osservava tutto con insaziabile curiosità. Sembrava un bambino che riceve diversi giocattoli e ha l’imbarazzo della scelta. Era la prima volta che vedeva le terre nordiche; e poi c’era l’angelo con la sua bellezza indescrivibile. La baldanza tipica della sua giovane età e l’incoscienza dovuta alla mancanza di esperienza, lo rendevano cieco e incapace di analizzare criticamente la situazione. Neanche si chiedeva se un nano poteva stare al fianco di una creatura immortale. Nel suo cuore cresceva un’emozione per lui nuova e inebriante come nettare. Ormai ne era totalmente assuefatto. Senza contare che era in terra di draghi, forse i peggiori nemici per la stirpe dei nani.

 

Dopo aver camminato per un bel po’ all’interno della grotta, Pallando chiese con una scusa di fermarsi e si appartò con Metatron:

- Sei proprio sicura di volerti portare dietro il nano? Più ci penso, più mi convinco che sia un’imprudenza di cui ci pentiremo. Lasciamolo ad aspettarci qui.

- Non ti pare tardi per pensarci? Avresti dovuto cacciarlo sin dalle rive del Luhun. Lo hai visto, eppure hai lasciato che ti seguisse fino a qui.

- Pensavo fosse una spia e volevo smascherarlo.

- Se lo lasciamo da solo, potrebbe davvero accadergli qualcosa di brutto. E dovresti sapere a cosa mi riferisco. Se lui lo incontrasse, potrebbe approfittarne a suo vantaggio.

Pallando era ora confuso, anche se non voleva rassegnarsi. Ad ogni modo Metatron quasi gli intimò di non insistere oltre. Ad Austri c’avrebbe pensato lei, mentre portavano avanti quella misteriosa missione.

 

Ripresero a camminare. Austri neanche si chiese di che avevano parlato gli altri due. Sorrideva beota all’angelo, vittima della sua stessa incoscienza e di quel dolce veleno che è l’amore. Il pericolo però era veramente in agguato. Giunsero in un’area circolare, in buona parte priva di soffitto da cui arrivava la luce esterna. Alla luce del sole, quelle pareti fredde e dure risplendevano come uno specchio. Mentre i tre si fermarono a guardare e riposare, Metatron vide qualcosa simile a un’enorme frusta che si rifletteva nelle pareti. Aprì la bocca per lanciare l’allarme, ma quella cosa si schiantò violentemente contro il pavimento, che si frantumò in diversi punti. Metatron istintivamente lievitò; Pallando si aggrappò a una vicina sporgenza grazie al bastone, ma Austri precipitò giù finché sbatté forte con la schiena contro un altro pavimento di pietra. A causa del forte impatto perse i sensi.

 

Quell’enorme frusta, che in realtà era una coda, sbatté violentemente per una seconda volta, ma stavolta colpì la parte superiore di una parete che cadde rovinosamente giù. Pallando cercò di tornare all’esterno e di mettersi in salvo; ma Metatron restò ben salda a mezz’aria e cercò di contrastare l’enorme creatura che tentava di sbarrare loro la via. Ma la seconda frana alzò un’enorme polverone e, quando Metatron controllò l’area circostante, di quella creatura non c’era più traccia. Ma la cosa che la angosciava di più era l’assenza di Austri, precipitato giù e sicuramente ferito. Essendo sicura che lo stregone non si era fatto nulla, si fiondò in volo nello squarcio del pavimento e si mise alla ricerca del nano. Non c’era un minuto da perdere. Austri correva un grave pericolo, e non solo per la caduta, ma perché rischiava di incontrare il flagello della razza dei nani.

 

Austri era piombato di botto sul pavimento del livello sottostante l’ingresso della grotta. Mormorando per il dolore causato dalla botta, si mosse un po’ e riuscì ad alzare le spalle e la testa. Le sue pupille dovettero abituarsi presto dal buio pesto alla luce vivida di quella che sembrava essere una fiamma. Sì, era proprio il fuoco vivo di una torcia di considerevole grandezza. Ma quando guardò bene dietro la torcia e dovette alzare lo sguardo, un brivido gelido gli corse lungo la schiena. Per la barba di Durin… quello era un drago! Se per un verso poteva crepare per la paura, per un altro la sua maledetta curiosità lo spingeva a volerlo osservare da vicino. Sapeva che i draghi sono molto intelligenti e si chiedeva che tipo di conversazione poteva sostenere con quell’essere che poteva far tremare un intero esercito di nani. Il drago, a sua volta, lo scrutava con un ghigno e altrettanta curiosità.

 

Dai racconti di Erebor (e non solo da quelli, ma anche dai racconti più remoti dei reami delle Montagne Grigie) Austri aveva udito parlare dei draghi. Sapeva che non erano tutti uguali (c’erano quelli che avevano le ali e quelli che strisciavano come serpenti, quelli che sputavano fuoco e quelli che esalavano gas tossici). Quello che gli si parava innanzi sembrava simile a Smaug, uno sputafuoco alato. Nonostante la penombra si intuiva che era enorme e con un paio d’ali da pipistrello dall’apertura a dir poco spaventosa. Era di un colore verde ossido. Bahamut, così si chiamava il drago, mosse leggermente la testa e iniziò a parlare, ma non prima di togliersi il ghigno dal volto e dissimulare le sue vere intenzioni con un’espressione di stupore mista a cordialità:

- Oh mia piccola creatura… Sei forse stata inviata dai Valar a consolare la mia povera anima solitaria? Mi ero ormai rassegnato al mio eremitaggio e al non poter mirare un volto amico per il resto dei miei giorni.

- Allora è vero che non ci sono altri draghi… - Austri intervenne di botto meravigliandosi di se stesso. Non aveva esitato, esprimendo a voce ciò che gli passava per la testa. Non lo temeva, anzi quasi sperava di poterne sapere di più su queste straordinarie creature che incontrava per la prima volta. Dal canto suo Bahamut intuiva di aver trovato una preda malleabile, che poteva manovrare a suo piacimento, e se ne compiacque.

- I racconti dei nani più anziani dicono che Smaug fosse l’ultimo della sua razza. Ma a quel che vedo non è così, anche se mi par di capire che siate gli ultimi. - continuò Austri.

- Ma allora Smaug è vivo! - Bahamut continuò con la sua recita di finto stupore – anche se mi vergogno a nominarlo. Mi rivelò, alcuni anni or sono, la volontà di attaccare uno dei vostri reami. Mi si spezza il cuore a immaginare i disastri che avrà causato. Ecco perché ho deciso di rimanere qui, in questi ghiacciai desolati, a finire i miei giorni in solitudine. Il mondo è troppo piccolo per noi draghi e non abbiamo alcun diritto di viverci. - E si dipinse sul volto un’espressione di rammarico.

- Beh io non la penso così… - Austri s’interruppe e lo guardò.

- Bahamut, è così che mi chiamo.

- Dicevo, Bahamut, che non la penso così. Se le tue intenzioni sono sincere, potresti scendere a patti con le altre razze. - D’improvviso ad Austri gli si prospettarono mille idee. Pensò a Thorin, a Erebor, a Moria e a tante altre cose. Grazie alla forza di un drago alleato, potevano liberare Moria dal Balrog e soprattutto Erebor da Smaug. Thorin poteva tornare trionfante e prendere nuovamente possesso della Montagna Solitaria. Il verde dei suoi occhi splendette come smeraldo, mentre Bahamut già sognava montagne d’oro su cui posare le sue zampe.

 

- Chiedo venia per la mia scortesia, non mi sono ancora presentato. Sono Austri figlio di Lofarr, nipote di Vindalfr, principe ereditario dei Piediroccia giù nelle Montagne Rosse. Grazie alla tua forza potremmo sovvertire le sorti della mia gente. Purtroppo il popolo di Durin, nonostante il suo alto lignaggio, ha perso i suoi reami più importanti. Tu potresti aiutarci a riprenderli e in cambio ti offriremo molto di più dell’amicizia. Rispetto, onore e una vita agiata.

Austri era proprio un ingenuo e un illuso. Pensava di potersi accordare facilmente con una bestia assetata di sangue e oro. Ed era pure uno stolto se gli stava dicendo queste cose senza alcuna prudenza. Ma ormai il danno era fatto. Bahamut non avrebbe dimenticato né il suo volto, né le sue parole.

- Le tue parole mi danno speranza, principe Austri. - Bahamut si inchinò ossequioso e, a testa in giù, il ghigno gli splendeva spaventoso in volto – Ti seguirò e ti servirò affinché queste nostre parole si tramutino in realtà. Sei venuto da solo sin qui?

- A dire il vero, il pavimento crollò e sono precipitato qua sotto.

- Oh, queste grotte sono ormai corrose dal mare. E’ una fortuna che tu sia ancora illeso. Ti conduco io all’esterno.

- Veramente sono venuto in compagnia… - A queste parole Austri strinse istintivamente il ciondolo e si ricordò delle raccomandazioni di Metatron e di Pallando, ossia di non parlare con nessuno all’infuori di loro due. Tacque e restò immobile, con un’espressione indecifrabile. Si stava ravvedendo e pensò di aver commesso un’imprudenza. Forse doveva consultarsi con l’angelo e lo stregone prima di rivolgere la parola al drago.

 

- Cosa c’è amico mio? - Bahamut mangiò la foglia e pensò che era giunto il momento di porre fine a quella breve amicizia a senso unico. Non era prudente lasciarlo andare vivo. Il nano poteva allertare i suoi compagni o, peggio ancora, il popolo stesso dei nani, che ormai da secoli odiava i draghi.

Stava per allungarsi in avanti e afferrare Austri, quando una luce piombò dall’alto a gran velocità e lo costrinse ad indietreggiare.

 

 

   
 
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