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Autore: QueenVictoria    01/07/2019    26 recensioni
I Cavalieri d’Oro vengono richiamati al Santuario per una riunione straordinaria, questa volta partecipa anche Mu dell’Ariete che torna in Grecia di sua spontanea volontà per sondare la situazione. Ambientata due anni prima dell’inizio della serie classica, questa storia vedrà l’incontro tra i Cavalieri d’Oro in un momento in cui la situazione al Santuario è molto tesa; una breve missione li porterà in viaggio in Asia Centrale e li costringerà a interagire e confrontarsi tra loro.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gold Saints, Leo Aiolia, Pisces Aphrodite, Virgo Shaka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II



 
Marin scendeva correndo lungo la strada sterrata che si allontanava nel terreno brullo e sassoso.
 
“Fermati!” gridava, mentre il suo giovane allievo continuava ad allontanarsi a passo spedito. Finalmente lo raggiunse e riuscì ad afferrarlo per un braccio costringendolo a fermarsi.
 
“Che ti prende, Seiya?!” gli chiese con voce più preoccupata che severa.
 
“Perché dovrei restare qui!? Perché dovrei continuare ad addestrarmi? Spiegamelo!” rispose il ragazzino gridando con tutta la voce che aveva in corpo, gli occhi lucidi dalle lacrime trattenute a stento, i pugni serrati fino a sbiancare le nocche delle dita.
 
Si voltò di scatto per andarsene ma si trovò a sbattere contro qualcuno. Si ritrasse alzando gli occhi, la rabbia quasi già sbollita per l’imbarazzo; riconobbe Aiolia che lo guardava sorridendo, era talmente arrabbiato che non lo aveva sentito avvicinarsi.
 
“Ehi Seiya, calmati. Cosa succede?” chiese questi.
 
“Tutti continuano a ripetermi che solo i greci possono diventare cavalieri, gli stranieri come me non hanno speranze. Non ha senso che rimanga qui!”
 
Aiolia gli posò entrambe la mani sulle spalle e si chinò leggermente su di lui.
 
“Non so chi ti abbia detto queste cose ma non sono affatto vere. Le potenzialità di un Cavaliere non dipendono dalla sua nazionalità. Quello che importa è avere la capacità di dominare il proprio cosmo. È già un po’ di tempo che sei consapevole del tuo cosmo, vero? Ormai stai cominciando a dominare questa grande forza racchiusa dentro di te.”
 
Il ragazzino annuì.
 
“È questa l’unica cosa che conta, dovrai solo imparare a usarla fino in fondo. Guarda Marin, per esempio, anche lei è giapponese come te ed è un Cavaliere. E sia tra i cavalieri d’oro che tra quelli d’argento ci sono diversi stranieri. Non devi lasciarti influenzare dalle persone attorno a te. Abbi fiducia in te stesso e nella tua maestra.”
 
Aveva parlato lentamente, Aiolia, con una voce calda e carica di sincerità. Seiya sembrò calmarsi, rincuorato da quelle parole.
 
“Hai ragione, non devo mollare!” disse poco dopo.
 
“Bravo, così mi piaci!” rispose l’altro scompigliandogli affettuosamente i capelli.
 
Marin, il volto celato dietro la maschera d’argento obbligatoria per le donne al servizio di Athena, lo ringraziò con un cenno del capo.
 
Aiolia si trattenne ancora qualche minuto a parlare con loro, poi si congedò, non prima di aver detto al piccolo Seiya ancora qualche frase di incoraggiamento.
 
La ragazza si soffermò a guardarlo mentre si allontanava lungo la strada polverosa.
 
Aiolia aveva sofferto molto nella sua vita, il dolore però non lo aveva indurito o indisposto verso gli altri come spesso accade, al contrario, lo aveva reso molto empatico e sensibile agli stati d’animo delle persone attorno a lui. Non parlava mai spontaneamente della morte del fratello ma, agli occhi attenti di un’amica come Marin, era evidente quanto quella tragedia avesse segnato la sua vita. Era una persona cordiale, assisteva spesso agli allenamenti degli allievi più giovani dispensando pareri e consigli. In questo, oltre che nell’aspetto fisico, assomigliava molto ad Aiolos.
A vederlo affiancare gli altri istruttori, con addosso abiti da allenamento con le semplici protezioni in cuoio, l’atteggiamento umile e cordiale, lo si sarebbe potuto scambiare per una persona qualsiasi; nessuno avrebbe detto appartenesse alla cerchia dei Cavalieri d’Oro. Ma era anche in quel rifiuto inconscio di indossare la sua armatura, se non quando strettamente necessario, che si leggeva il suo disagio interiore nei confronti del Santuario.
 
 
 
 
Erano ottantotto i guerrieri dell’esercito di Athena, ognuno protetto da una diversa costellazione. Erano chiamati indifferentemente Cavalieri o Santi, a seconda della tradizione.
 
I più alti in grado della gerarchia erano i Cavalieri d’Oro così chiamati per il materiale che componeva gran parte delle loro armature, dette anche Vestigia, a sottolinearne l’antichità. I Cavalieri d’Oro erano in tutto dodici, protetti delle costellazioni dello Zodiaco, prendevano ordini direttamente e solo dal Grande Sacerdote, o da Athena stessa, e la loro mansione principale era svolgere missioni su loro richiesta. Nei periodi di presenza presso il Santuario erano tenuti a vivere nelle Dodici case dello Zodiaco disposte lungo la ripida scalinata che portava al Tempio di Athena. Le Case, oltre che loro dimore, erano considerate presidi di difesa che ogni Cavaliere doveva proteggere a costo della vita.
 
Più bassi in grado erano i Cavalieri d’Argento che, oltre a difendere il Santuario e la Valle Sacra, si occupavano dell’addestramento delle nuove reclute e custodivano le armature non ancora assegnate. E ultimi, la casta inferiore, i Cavalieri di Bronzo che diventavano in gran parte assistenti di quelli d’Argento.
 
 
 
 
Aiolia si diresse verso l’arena, dove i ragazzi più giovani si stavano ancora allenando, la costeggiò lentamente e imboccò la strada in salita che conduceva alla piazzola da cui partiva la lunga gradinata che portava al Tempio, attraversando una a una le Case dello Zodiaco.
 
Raggiunta la Quinta Casa, entrò nelle stanze private. I pezzi dell’Armatura d’Oro del Leone erano accatastati in malo modo sul pavimento esattamente dove li aveva lasciati la sera precedente prima di andare a dormire. Li raccolse uno alla volta e li indossò meccanicamente. Il diadema invece era stato appoggiato sul ripiano di un vecchio mobile, accanto a un ritratto incorniciato; lo prese e lo infilò tra i capelli castani e riccioluti, facendolo ben aderire alla fronte e ai lati della testa.
Si soffermò a guardare il ritratto, lo prese un momento in mano, lasciando scorrere le dita lungo la cornice di legno. Era un disegno a matita: lui e il fratello Aiolos, tanti anni prima. Sorridenti. Sereni. Alla sua morte tutti gli effetti personali erano stati sequestrati, quel ritratto, ricordo di un giorno felice della sua infanzia, era tutto ciò che gli rimaneva di lui.
 
Ancora pensieroso, uscì dalla Casa e si sedette stancamente in cima ai gradini davanti al suo ingresso, il busto piegato in avanti, i gomiti appoggiati sulle gambe. Mezzogiorno era passato ormai da un pezzo ma il sole batteva ancora forte sulla pietra circostante, qualche nuvola di passaggio, schermandolo temporaneamente, offriva un po’ di ombra.
 
Ripensò a ciò che era accaduto poco prima, alla crisi di pianto del piccolo Seiya, sperava di essere riuscito a tranquillizzarlo e non soltanto per essere di aiuto a Marin, che era forse l’unica vera amica che aveva, ma perché in quel ragazzino, in più di un’occasione, aveva avuto la sensazione di rivedere se stesso.
La stessa grinta, la stessa fragilità nascosta, lo stesso disagio verso l’ambiente circostante dove cercava di lottare pur sentendosi un pesce fuor d’acqua.


Greco in terra greca, Aiolia, non aveva mai avuto a che fare con il razzismo che spesso nasce verso gli stranieri, ma aveva avuto comunque modo di rendersi conto di quanta cattiveria gratuita si nascondesse dentro le persone. Dal giorno della morte di suo fratello, avvenuta undici anni prima, la sua vita al Santuario era cambiata radicalmente. Non soltanto aveva perso l’unico familiare rimastogli, ma sembrava che tutti gli avessero voltato le spalle. Per ordine del Sommo Sacerdote gli era stato possibile rimanere al Santuario e continuare il suo addestramento; secondo qualcuno per l’estrema generosità del Sommo, per qualcun altro solo per essere sorvegliato.

Non era stato facile crescere come il fratello del traditore, che secondo qualcuno aveva ereditato il suo sangue maledetto e non sarebbe stato degno neppure di vivere in quel luogo sacro né tantomeno di diventare un Cavaliere. E qualcuno si era opposto davvero alla sua investitura, ma fortunatamente erano le stesse armature a scegliere la persona che ritenevano alla loro altezza; il giorno in cui aveva superato l’ultima prova, lo scrigno contenete le Sacre Vestigia d’Oro del Leone si era aperto davanti a lui riconoscendolo come nuovo custode. Questo fatto aveva messo a tacere molte persone, ma non tutte.

Nel frattempo anche nel suo cuore era cambiato qualcosa. Al dolore per la perdita del fratello si era affiancato il rancore verso quella situazione. Aveva cominciato a sentire il bisogno di riscattarsi, di dimostrare di essere diverso da lui. Quel tradimento che non era mai riuscito a comprendere e accettare era ormai divenuto un’onta da lavare per riabilitare il suo nome. Era vissuto così, negli ultimi anni, diviso tra l’amore per Aiolos e il desiderio, non libero da sensi di colpa, di non essere più paragonato a lui.  
 
 
Ancora assorto nei pensieri, venne distratto da una figura che si avvicinava salendo lentamente la scalinata. Il riflesso del sole rifulgeva sull’armatura d’Oro che indossava mettendone in risalto i dettagli. Riconobbe le grandi corna che ornavano le spalle delle Vestigia dell’Ariete; doveva trattarsi di Mu, da quello che aveva sentito era stato lui a divenirne custode. Mu, da quanto tempo non lo vedeva?
 
Dopo quella maledetta notte in cui era morto Aiolos, sembrava essere svanito nel nulla. Lo aveva cercato dappertutto, nei giorni successivi, prima di rendersi conto che aveva lasciato il Santuario.
Per un momento, gli sembrò di sentire ancora nel cuore la delusione provata allora, appena aveva realizzato se ne fosse andato. Mu, che si era sempre mostrato così affezionato sia ad Aiolos che a lui, lo aveva lasciato solo come tutti gli altri.
 
All’epoca aveva immaginato che il Sacerdote, che era il suo Maestro, lo avesse mandato altrove per allontanarlo da lui. E forse era stato proprio così. In fondo, al tempo, erano solo dei bambini che dipendevano dagli adulti, tutori o maestri che fossero. Ma tutto sommato non aveva importanza; nel giro di pochi giorni tutti coloro che  aveva considerato amici lo avevano abbandonato. Con alcuni di loro, negli anni successivi, era riuscito in un modo o nell’altro a riallacciare i rapporti, Mu invece non si era fatto più sentire.
 
In quegli anni erano giunte voci che vivesse in qualche luogo sperduto tra le montagne tra l’India e la Cina. Era molto conosciuto e rispettato per la sua abilità di riparare le sacre armature ma veniva allo stesso tempo criticato per la sua continua lontananza dal Santuario. Esattamente come Dohko della Bilancia che se ne stava chissà dove per, si diceva, compiere una segretissima missione affidatagli da Athena stessa duecento anni prima. Qualunque fosse il motivo della loro continua assenza, dal canto suo poteva solo invidiarli. Quante volte aveva desiderato scappare da quel luogo, lontano da tutto e da tutti. Forse era stato solo il suo orgoglio a trattenerlo dal fuggire.
 
 
 
Mu ormai lo aveva raggiunto e si fermò a pochi passi da lui, accennando un sorriso quasi imbarazzato. Non era cambiato molto negli anni; gli stessi occhi profondi color malachite, i lineamenti delicati tipici della sua stirpe e quelle piccole e buffe sopracciglia dalla forma tonda. I capelli, diventati lunghissimi, avevano mantenuto i riflessi rosati e il suo portamento era divenuto piuttosto elegante.
 
“Sono passato per la Casa dell’Ariete qualche ora fa e non ti ho visto. Sei arrivato adesso?” chiese Aiolia, più per rompere il ghiaccio che per vero interesse.
 
“Sì,” rispose l’altro parlando con la sua consueta voce tranquilla “sto andando al Tredicesimo Tempio per avvisare del mio arrivo. Sei la seconda persona che incontro; a parte quella del Toro, le altre Case erano deserte.”
 
“Sì. Al momento contando anche te siamo in cinque, gli altri dovrebbero rientrare entro questa notte...”
 
Non fece in tempo a finire la frase che percepì qualcosa di strano attorno a loro. Nell’aria. Nella luce. Se ne accorsero entrambi. Rimasero immobili, in silenzio, cercando di capire di cosa si trattasse.
 
Alzarono lentamente gli occhi. Le nuvole avevano un aspetto più tetro, pur non essendo diventate davvero più scure. L’aria improvvisamente sembrava pesante, impregnata di piombo. Istintivamente si voltarono verso l’inizio della gradinata, luogo da dove ora sembrava provenire quella tensione.
 
“Vado a vedere cosa succede,” disse risoluto Mu iniziando a scendere.
 
“Vengo con te!”
 
“NO! La prima casa è una mia responsabilità.”
 
Aiola annuì, un po’ contrariato ma ben conscio del fatto che quelle fossero, in effetti, le loro disposizioni.
Quanto odiava le regole del Santuario! Sbuffando, si sedette di nuovo sugli scalini e rimase a guardare Mu che scendeva correndo, maledicendo mentalmente la potenza del Sacro Cosmo che regnava in quel luogo costringendo chiunque, e qualsiasi cosa, a muoversi solo passando obbligatoriamente attraverso tutte le dodici Case. Questo, in linea di massima, era sempre stato un buon metodo di controllo, ma in casi come questo diventava uno svantaggio per loro. Mu, che aveva il dono del teletrasporto e avrebbe potuto raggiungere direttamente la Prima Casa, stava perdendo parecchio tempo percorrendo di corsa l’intera scalinata e attraversando tutte le Case una a una. Per uno come Aiolia, pratico e impulsivo, era una cosa incomprensibile.
 
L’Ariete scese di volata attraversando la Quarta e la Terza Casa, entrambe deserte, e raggiunse la Seconda, dove trovò Aldebaran del Toro, in piedi con le braccia conserte che guardava verso il basso.
 
 “Passa!” gli disse questi senza nemmeno volgersi verso di lui “ti guardo da qui, hai le spalle coperte.”
 
Quando arrivò finalmente alla Prima Casa dell’Ariete, ne attraversò correndo il porticato, fermandosi a pochi passi dall’ingresso. Mentre riprendeva fiato si guardò attorno, e poi verso il piazzale ai piedi della scalinata, cercando qualcosa di anomalo. Apparentemente non c’era niente di strano, ma attorno si era formata una strana quiete, tutto sembrava sprofondato in un silenzio innaturale, come avvolto da qualcosa. Non si udiva nessun rumore, nemmeno il ronzare di un insetto. Cosa stava accadendo?
 
Dopo alcuni minuti l’atmosfera sembrò cambiare, la luce tornò quella di prima e furono nuovamente udibili gli abituali rumori del circondario; il frinire delle cicale, il cigolio delle ruote di un carro che risaliva la strada lastricata dietro alla collina. Qualcuno esultava nell’arena non lontana.
 
La tensione nell’aria sembrava svanita. Tutto pareva essere apparentemente tornato alla normalità, ma non per i Cavalieri, che rimasero in guardia. In particolare Mu, dotato di poteri soprannaturali come la capacità di teletrasportare se stesso e altri da un luogo all’altro e aprire varchi dimensionali, si rendeva perfettamente conto di cosa stesse accadendo. Qualcuno, venuto da lontano, era in agguato a pochi passi da loro.
 
Un’improvvisa luce accecante lo abbagliò per una manciata di secondi. Quando fu in grado di riaprire gli occhi vide tre guerrieri in piedi al centro della piazzola. Dovevano essere alti più di due metri, di corporatura decisamente robusta e rivestiti con delle armature molto spartane indossate sopra una cotta di maglia. Sembravano sbucati dal nulla.
 
 
I tre uomini avanzarono lentamente e si fermarono a pochi metri dall’inizio della gradinata. Uno di loro fece qualche passo avanti rispetto agli altri.
 
“Dobbiamo salire al Tempio!” gridò “Lasciaci passare.”
 
“Non posso lasciarvi passare. Andatevene!” rispose Mu, con voce calma ma allo stesso tempo decisa.
 
“Al tempio c’è una pietra che ci appartiene! È la Giada Rossa che ci è stata sottratta. Non ce ne andremo finché non l’avremo recuperata.”
 
“Non vi lascerò passare.”
 
“Ripeto che non ce ne andremo finché non l’avremo recuperata. Se non ci lascerai passare saremo costretti a ucciderti.”
 
“E io ti ripeto che non posso lasciarvi passare!” rispose ancora Mu, che cominciava a seccarsi per quel dialogo inutile. Ma pensavano davvero di poterlo convincere così?
 
Il guerriero più vicino congiunse le mani, le tenne per qualche secondo immobili davanti al petto e le riaprì rivolgendo i palmi in avanti. Mu fece appena in tempo a scansarsi quando sentì esplodere i gradini accanto a lui. Una vortice di luce accompagnato da una frana di pietre acuminate come punte di freccia vi si era scagliata contro con una forza tale da distruggerli.
 
Il nemico rimase immobile ma dalle sue mani uscì quasi immediatamente un altro fascio di luce ad accompagnare un’altra ondata di schegge. Mu riuscì a materializzare davanti a sé il Crystal Wall, l’invisibile muro protettivo in grado di riflettere l’attacco del suo avversario ritorcendoglielo contro. Sorrise soddisfatto appena vide il vortice luminoso e le schegge rimbalzare verso il guerriero.
 
Ma… un momento. Non lo avevano colpito! Lo avevano attraversato lasciandolo indenne! Inoltre erano rimbalzate un po’ da tutte le parti, avrebbero dovuto raggiungere anche i suoi compagni pochi passi dietro a lui, ma tutti e tre erano rimasti impassibili. Com’era possibile?
 
Il guerriero continuò a incalzarlo lanciando i suoi colpi e sembrava gli ci volessero solo pochi secondi per riprendere le forze tra uno e l’altro. Spostandosi continuamente, nel vano tentativo di rendergli le cose un po’ più difficili, continuava a respingere i suoi attacchi con il Crystal Wall, ma non riusciva mai a colpirlo.
 
Perché? Perché mai? Calma, forse semplicemente aveva poteri come i suoi, era capace di smaterializzarsi e riapparire evitando di essere colpito. O forse era talmente veloce da riuscire a spostarsi e tornare a posto senza che lui se ne accorgesse. In entrambi i casi un avversario così non si poteva certo battere semplicemente riflettendone i colpi di cui conosceva potenza e direzione; andava colto di sorpresa!
 
Respinto l’ultimo attacco lasciò dissolvere il muro e contrattaccò con lo Stardust Revolution: materializzò una grande quantità di polvere di stelle e meteoriti e la scagliò contro il nemico. Mentre enormi lampi illuminavano il cielo, rimase a guardare soddisfatto quella pioggia di dardi luminosi abbattersi sul guerriero.
Questi non si preoccupò neppure di spostarsi, evidentemente sicuro di non essere raggiunto, e lanciò un altro dei suoi attacchi. Questa volta i due compagni lo imitarono. Mu, per spostarsi più velocemente, cercò di usare il teletrasporto ma non vi riuscì. Perché? Perché no? Non poteva usarlo per coprire il percorso tra una Casa e l’altra, ma nell’area tra il piazzale e la sua lo aveva sempre fatto. Qualcosa lo inibiva? Faceva parte del potere dei nemici? Troppe domande. In meno di un secondo venne investito in pieno da un’altra frana di pietre e luce che lo scagliò con forza contro la parete rocciosa alle sue spalle.
 
L’impatto con la pietra fu talmente forte da sgretolarla; non avesse avuto l’armatura d’oro, sarebbe morto sul colpo. Scivolò a terra rotolando un paio di metri lungo la scalinata, stordito, assieme ai frammenti di roccia ricaduti su di lui. L’onda di energia che lo aveva investito era calda e potente; portava l’eco di qualcosa di lontano, ebbe la sensazione di sentire granelli di sabbia tra i denti e sulla pelle. Una fitta al braccio sinistro gli fece capire di essere stato ferito.
 
Lo avevano attaccato tutti assieme. Tre contro uno; che ne era dell’onore? Non esisteva più? Ma che razza di cavalieri erano? Forse non lo erano proprio. In ogni caso questo non faceva molta differenza, anche questa volta la sua offensiva sembrava averli attraversati come niente fosse. Non riusciva a crederci. E non era più nemmeno in grado di usare il teletrasporto.
Inoltre c’era qualcosa di strano nella traiettoria di quell’attacco, quelle schegge erano ricadute su di lui con una traiettoria leggermente diversa da quella che si era aspettato.
 
Aprì gli occhi con fatica, la vista era leggermente annebbiata. Cosa c’era accanto? Altri cavalieri uguali a lui in tutto, compresa l’armatura identica alla sua, erano distesi lungo la scalinata. Chi erano quelle persone? Aveva battuto la testa così forte da avere allucinazioni?
 
Mu! Cavaliere della Prima Casa!” una voce lontana, qualcuno cercava di raggiungerlo attraverso il canale telepatico.
 
Chi sei?”
 
Sono Shaka, custode della Sesta Casa della Vergine. Voglio esserti d’aiuto. Ho creato delle illusioni, delle copie di te in modo da confonderli. Sei ferito?”
 
Sì, era quello che ci voleva.
 
Grazie Shaka! Ho qualche ferita ma non grave.
 
Il guerriero in effetti, al diradarsi della polvere alzata, si trovò davanti decine di cavalieri dall’aspetto identico ed ebbe un attimo di esitazione cercando di identificarlo in mezzo a essi. Mu ne approfittò per riprendere fiato per qualche istante, sapeva di non avere molto tempo prima che il nemico decidesse di attaccare a caso nel mucchio. Dando fondo alle ultime forze si alzò all’improvviso e lanciò ancora lo Stardust Revolution scagliandolo con tutta la sua forza contro l’avversario, questa volta cercando di concentrarla in un unico punto. Un altro fascio di luce si affiancò al suo, era Aldebaran che dalla Seconda Casa lanciava l’enorme potenza del suo Great Horn.
 
I nemici vennero attraversati da entrambi gli attacchi, come fossero fatti di aria e non si scomposero minimamente, ma anzi contrattaccarono ancora tutti e tre assieme, facendo contemporaneamente gli stessi movimenti con le mani lanciando contro Mu un altro vortice di luce e schegge. Anche questa volta venne centrato in pieno, sentì il corpo schiacciarsi contro la scalinata per effetto dell’onda d’urto; l’impatto con la pietra fu durissimo, sentì la pelle lacerarsi sotto l’armatura. Le punte affilate delle schegge gli trafissero braccia e cosce nelle uniche parti non protette dalla corazza; il dolore lo lasciò senza fiato.
 
Shaka ebbe l’accortezza di muovere e far ricadere a terra tutte le copie di Mu in modo che il nemico facesse ancora fatica a identificarlo; questi infatti restò qualche secondo fermo cercandolo con gli occhi.
 
L’Ariete rimase immobile cercando, con le ultime forze, di usare i suoi poteri psicocinetici per trattenere il sangue nelle ferite. Shaka era troppo lontano per vederle e riprodurle nelle immagini delle sue copie; se avesse lasciato colare il sangue lungo il corpo i nemici probabilmente lo avrebbero identificato subito. Inoltre non aveva intenzione di dare così tanta soddisfazione ai suoi avversari mostrandosi ferito né, tantomeno, di morire dissanguato. Era ancora stordito dal colpo subito, non aveva abbastanza forza per richiudere le ferite con i suoi poteri, ma il sangue sì, quello lo poteva ancora trattenere.
 
Faticava a respirare. Il cuore batteva forte. Tossì ripetutamente, aveva la gola secca, il sapore ferroso del sangue nella bocca. Osservò le varie copie di sé costruite da Shaka, erano davvero perfette. Si trovò a pensare quanto potente dovesse essere quel ragazzo per generare illusioni così precise standosene alla Sesta Casa. Fu così che notò un particolare di cui prima non si era accorto. Come aveva fatto a non rendersene conto?
 
Guardò la sua ombra che si allargava verso sinistra, lo stesso era per le copie di lui che aveva creato Shaka. Il guerriero nemico non aveva ombra. Com’era possibile? Semplicemente non era reale ma un’illusione creata da qualcuno, meno attento e meno abile del Cavaliere della Vergine, che si era dimenticato di disegnargli un’ombra.
 
Si sentì colpito nell’orgoglio, era stato battuto da persone così ingenue e impreparate?
 
Quel qualcuno doveva essere ben nascosto nei paraggi, era lui che in realtà scagliava gli attacchi mentre li distraeva con quelle immagini. Si era lasciato ingannare come un principiante.
 
Ancora disteso sulla scalinata si guardò attorno cercando di individuare il luogo in cui si trovava il suo nemico, non c’erano molti posti dove potesse nascondersi: doveva essere al riparto ma poter avere una buona visuale della piazzola e della scalinata, visto che doveva fingere che gli attacchi venissero da lì. Sì, poteva essere solo lungo la strada che risaliva la collina, dove il percorso faceva una curva; era l’unico luogo coperto della zona. Adesso comprese il motivo della strana traiettoria dei colpi del nemico, non venivano dai guerrieri davanti a lui ma da qualche centinaio di metri più lontano. Se ne sarebbe dovuto rendere conto subito, pensò con grande rammarico.
 
Mu! Mu! Rispondi! Ti ha colpito! Sei ferito?” la voce di Aldebaran gli risuonava nella testa.
 
Comunicò la sua scoperta ai compagni tramite il canale telepatico.
 
Devono essere lì. Non ho la forza di attaccare, non sarei abbastanza veloce.
 
Ci penso io!” rispose Aldebaran.
 
Mu strinse i denti. Aveva dolori dappertutto, le forze lo stavano abbandonando.
 
Vide la scia luminosa del Great Horn stagliarsi contro il cielo, passare qualche metro sopra a lui e abbattersi oltre la curva della strada. Subito dopo arrivarono delle scariche elettriche e un raggio di luce scarlatta; i suoi compagni stavano attaccando assieme. Le immagini dei tre cavalieri sparirono dal piazzale. Delle grida si udirono dalla strada.
 
Colpiti!” pensò Mu con un po’ di sollievo.
 
I Cavalieri d’Oro continuarono a lanciare i loro attacchi dall’alto delle loro Case, cercavano di respingere i nemici ma anche di impedire che colpissero ancora l’Ariete. Mu, ancora disteso, guardava quelle onde di luce e di energia passare sopra di lui che andavano a schiantarsi poco lontano. Era proprio in mezzo alla battaglia ma non aveva la forza di muoversi.
 
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi. Una delle schegge aveva colpito l’arteria femorale. Non ci voleva! Non era tranciata, ma aveva un bel taglio che andava riparato. Per i suoi poteri telecinetici richiudere una ferita non era difficile, ma in quel momento gli mancavano le forze. Si sentiva svenire. No. No. Doveva rimanere cosciente, sennò avrebbe ripreso a sanguinare e sarebbe morto in pochi minuti. Doveva rimanere sveglio, trattenere il sangue, non doveva perderne ancora attraverso le ferite. E doveva riparare quella maledetta arteria, sarebbe bastato qualche minuto. Come gli aveva insegnato il Maestro: concentrarsi, ignorare tutto ciò che era attorno e prendere coscienza del suo organismo, le singole cellule, i singoli atomi.
 
Uno schianto a pochi passi da lui, alcune schegge lo colpirono ancora di striscio. Aprì gli occhi e guardò in quella direzione; gli altri Cavalieri non lasciavano respiro ai tre nemici, questi però riuscivano ancora a contrattaccare e qualche frammento di roccia poteva ancora a raggiungere le scalinate.
 
Non lasciarti distrarre!
 
Di chi era quella voce che gli parlava direttamente nella testa? Gli era sembrata quella del Maestro. Da quanti anni non la sentiva più? Era davvero lui? Percepì un leggero calore sulla spalla, come qualcuno vi avesse posato una mano come era solito fare lui quando era bambino.
 
Non distrarti! Non hai molto tempo.
 
Sì. Non doveva distrarsi, ma fidarsi dei compagni che lo proteggevano e darsi da fare. Strinse i denti.
Piano piano riuscì a prendere coscienza della composizione del sangue, lo sentiva scorrere vivo con ancora l’eco delle pulsazioni del cuore. Doveva formare piccoli coaguli sui quali ricostruire la struttura delle cellule. Ecco, così. Lentamente il corpo rispondeva, i tessuti ricostruiti ne fagocitarono altri, le piccole fibre si riallacciarono.
 
Forse aveva chiuso gli occhi, o forse in quel momento non era in grado di vedere, avvolto nei colori del buio e del sangue. Stava perdendo il contatto con il mondo esterno, era come immerso nel lavoro delle cellule. Il battito cardiaco, diventato quasi assordante, gli martellava nelle orecchie, nello stomaco, in gola.
 
Con immensa fatica riuscì a ricostruire la parete della vena. Sì. Ce l’aveva fatta. L’aveva saldata, così doveva essere sufficiente. Lo sforzo lo aveva stremato. Non sarebbe riuscito a fare altro, ma tutto sommato, le altre ferite non erano così gravi. Forse. Si sentì mancare definitivamente le forze, tutto attorno cominciò a girare vorticosamente.
 
“Resisti, vengo a prenderti!” gridò Aldebaran precipitandosi verso di lui.
 
Mu però non lo poteva sentire. Aveva già perso i sensi.

 
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Marin - Cavaliere dell’Aquila
Paese di Origine: Giappone
Età: 14 anni
 
e il suo allievo Seiya

 
 


Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra Cina e India)
Età: 18 anni
Particolarità: Telecinesi, teletrasporto
Colpi che gli vedremo usare:
Crystal Wall (muro di cristallo che lo protegge e riflette gli attacchi dei nemici)
Stardust Revolution (pioggia di polvere di stelle e meteoriti)
 


Aldebaran - Cavaliere del Toro
Paese di Origine: Brasile
Età: 18 anni
Particolarità: Grande forza fisica
Colpi che gli vedremo usare:
Great Horn (forte esplosione di energia cosmica)




(L'immagine a destra è una fan art di Marco Albiero)
Aiolia - Cavaliere del Leone
Paese di Origine: Grecia
Età: 18 anni
Particolarità: capacità curative
Colpi che gli vedremo usare:
Lightning Volt (fulmine alla velocità della luce)
 


Shaka - Cavaliere della Vergine
Paese di Origine: India
Età: 18 anni
Particolarità: Reincarnazione di Buddha, raggiunge l’illuminazione all’età di sei anni. È considerato l’uomo più vicino agli dei.
Colpi che gli vedremo usare: Capacità di creare illusioni

 



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Angolo di quella che scrive:
 
Dunque... è la prima volta che scrivo una scena con un combattimento… e temo che si veda. ^_^’’’
Tra descrizioni e considerazioni del povero Mu spero non sia tutto troppo lento e noioso, o almeno spero si capisca cosa succede. Prometto che per un po’ di capitoli non ne scriverò altre! ^_-
 
Grazie a tutti quelli che sono a leggere fin qui. Come sempre sarò felice se mi lascerete qualche commento con pareri e consigli.
   
 
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