Buon 62° anniversario,
John e Paul. <3
I’m in love with a
friend of mine
Tutto poteva pensare meno di trovarlo lì, proprio quella
sera.
Quando John entrò negli studi di Abbey road, vide la fin
troppo familiare schiena di Paul china sul pianoforte.
La cosa lo sorprese. Infinitamente. Dopotutto…
John
si era svegliato a ora di pranzo come sempre, e quando raggiunse Yoko in cucina
per mangiare qualcosa, lei lo fissò in attesa di qualcosa.
“Cosa
c’è?”
“Tu ne
sapevi qualcosa?”
“Di
cosa?”
A
quello Yoko non rispose, si limitò semplicemente ad accendere la televisione.
Proprio
lì sullo schermo, il giornalista stava dicendo che… Paul McCartney si era
sposato?
Non
era possibile.
Eppure eccolo lì, tutto contento, a stringere la
sua neo-moglie, quell’americana neanche troppo carina. Cosa ci trovava in lei?
Non
era possibile, ma era successo.
E John
non poteva neanche concedersi il tempo di rimuginarci sopra, perché cazzo, Yoko
lo stava guardando con i suoi occhi indagatori. E a quelli John non riusciva
mai a nascondere un cazzo.
Doveva
stare attento.
“No.”
rispose, scrollando le spalle, “Non ne sapevo niente.”
“Strano
però, non ti sembra?”
“Beh,
è grande e grosso. Per quel che mi riguarda può fare quel cazzo che gli pare.”
La risposta doveva averla convinta, perché non gli chiese
più niente e non ne parlarono più.
Ma questo non impedì a John di pensarci più tardi. Anzi,
per il resto della giornata. Avrebbe voluto urlare la sua rabbia e la sua
frustrazione perché erano arrivati a quel punto, al punto in cui il suo
migliore amico, o presunto tale, neanche lo informava di un evento così
importante.
Una stupida vocina gli suggeriva che lui stesso avesse
contribuito a quell’atmosfera di tensione fra di loro.
Tuttavia
pensava, sperava che almeno per certe
questioni fossero ancora come ai vecchi tempi. John e Paul, Lennon e McCartney,
solo loro.
Aveva deciso di scaricare tutta la sua frustrazione negli
studi di registrazione. Suonare con la rabbia che scorreva nel suo corpo poteva
avere dei risvolti positivi. E per una volta era riuscito a convincere Yoko a
restare a casa. Aveva necessariamente bisogno di non averla attorno, per un
po’.
Così quando trovò Paul nel loro studio, tutto intento a
suonare una melodia distratta, un miscuglio di emozioni lo sopraffecero. La
gioia di vederlo lì, proprio la sera del suo matrimonio, la rabbia di essere
stato escluso ancora una volta dalla sua vita, la nostalgia di quello che erano
e che inconsciamente lui voleva ancora, e poi quel folle sentimento che lo
aveva sempre accompagnato, da quando la prima volta lo aveva sentito suonare
per lui.
“Suppongo di doverti fare le mie congratulazioni.”
John decise di agire e Paul sobbalzò, spaventato, troppo
preso dalla sua musica.
"O forse dovrei dire mazal tov! Non è tipo ebrea la tua mogliettina?"
“John.”
“Paul.”
“Hai saputo, allora?” domandò, lo sguardo vagava in un
alone intorno a John, ma non riuscì mai a guardarlo davvero negli occhi.
“Non certo grazie a te.”
“Io…”
“Cos’è successo, Paul?” sbottò John, infastidito dalla sua
vigliaccheria, “Ti sei svegliato e hai detto, ‘cazzo, è proprio una bella
giornata per sposarsi, vero, amore?’”
“John-”
“O forse le poste reali hanno perso la mia partecipazione
di nozze. È assai probabile, sai. Chissà se posso far ricorso direttamente a
Sua Maestà.”
“John, ascoltami.”
“Oh dovrei, vero? Dovrei ascoltare
le tue stupide scuse, come sempre, no? Non c’è mai stata una volta in cui ti
sia preso la responsabilità delle tue azioni. Sempre lì a trovare scuse. Sei
così infantile, Paul.”
John lo aveva visto, il modo in cui l’espressione di Paul
era cambiata, mentre John parlava. Era passato dall’essere evidentemente
dispiaciuto all’essere arrabbiato. Troppe volte John lo aveva visto e sapeva
riconoscerlo ad occhi chiusi, dal modo in cui il respiro di Paul cambiava,
quasi si fermava.
Aveva passato così tanto tempo con quell’uomo che conosceva
ogni sfaccettatura del suo viso in ogni singola situazione, lo aveva visto con
i suoi occhi. Conosceva ogni lato del suo carattere, lo aveva provato sulla
propria pelle. Conosceva ogni sentimento provato dal suo cuore, erano gli
stessi che scorrevano in lui.
E in quel momento sapeva, come Paul, che quella rabbia era
una maschera, per coprire e nascondere qualcosa che non poteva più
manifestarsi.
“Vaffanculo, John, sei uno stronzo di merda.” sbottò Paul,
prima di voltarsi per recuperare le sue cose, “Ero venuto per spiegare, ma vedo
che non sei dell’umore.”
Detto ciò, Paul fece per andarsene e John lo avrebbe
lasciato andare, non fosse stato per quel folle sentimento che scalpitava
dentro di lui.
Il suo braccio scattò in avanti e si parò davanti a Paul,
che si fermò con uno sbuffo.
“Cosa?”
“Ho esagerato.” mormorò John con un filo di voce, quasi
vergognandosi di mostrarsi così.
“Quindi?”
“Quindi…” ripeté John, abbassando il capo e sistemandosi
gli occhiali sul naso, “Mi dispiace.”
Paul sospirò, “Sì, lo dici sempre.”
“È vero.”
“Lo so, per questo ti odio.”
“Non mi odi.”
“Vorrei.”
“Provaci.”
“Non posso.”
“Perché?”
“Lo sai.”
“Dimmelo.”
John non se n’era accorto, forse perché era sempre stata la
normalità, avere gli occhi di Paul così vicini, e il suo respiro che sfiorava
il suo naso.
Ma Paul era così vicino ora e John ne era appena diventato
consapevole. Era pericolosamente vicino. John era come paralizzato, perché Paul
gli stava chiedendo solo di restare così, fermo per un secondo, altrimenti non
avrebbe avuto il coraggio di farlo.
Ma lo fece.
Incurante di chiunque potesse entrare da un momento
all’altro, Paul lo baciò e John pensò che questa fosse la cosa più coraggiosa
che potesse aspettarsi da lui. E decise di goderselo, più che poteva.
Così inaspettato e perfetto, nonostante tutto. Proprio come
era sempre stato Paul per lui.
Inaspettato e perfetto.
“Non era esattamente la risposta che mi aspettavo.” mormorò
dopo.
Paul sorrise malizioso, “Non mi sembra che ti sia
dispiaciuto.”
“No, ma cosa vuol dire, Paul? Perché sei qui?”
“Volevo vederti.”
“E’ il giorno del tuo matrimonio.” ribadì John, come se
Paul se ne fosse già dimenticato.
Lui annuì, il sorriso assunse una lieve tinta di amaro, “Lo
so. Per questo volevo.”
“Allora perché l’hai sposata?”
“Sembrava la cosa giusta da fare.”
“Non è una risposta.”
“Cosa vuoi che ti dica?” chiese allora Paul, sbuffando
appena e allargando le braccia.
“Non lo so, che la ami. O forse… che l’hai sposata perché è
incinta.”
“Non è così.”
“Perché allora?”
“Perché ho bisogno di lei ora.”
La risposta di Paul andò a sbattere contro le pareti dello
studio insonorizzato e venne assorbita, non lasciandone traccia alcuna, se non
nello sguardo di John. Lui strinse le labbra appena, guardandolo fisso, senza
nessuna emozione.
“E non hai più bisogno di me.”
“Non ho detto questo.” si affrettò ad aggiungere Paul.
“Ma lo hai pensato.”
“No, cazzo, John. Non mettermi in bocca parole che non ho
mai detto né pensato. Io ho maledettamente bisogno di te, John.”
“E allora perché lei?”
“Perché con lei posso stare senza rendere conto a nessuno
di quello che faccio. È più facile stare con lei alla luce del sole. Lo
capisci?”
John sapeva che Paul avesse ragione. Non era accaduto lo
stesso anche a lui? Era più facile stare con Yoko, lei era forte, lei avrebbe
pensato a tutto e John aveva maledettamente bisogno di qualcuno che si
prendesse cura di lui ora che Paul non poteva più farlo.
Sapeva che le cose dette da Paul fossero vere, ma non
rispose. E Paul continuò.
“Noi siamo condannati a stare per sempre sotto i
riflettori. Non esiste un cazzo di luogo in questo fottuto mondo dove potremmo
stare solo noi due, in pace.”
“Esisterebbe, se lo volessimo davvero.” gli fece notare
John, ma Paul scosse il capo immediatamente.
“No, John.”
“È solo che è una vita troppo difficile per te.”
“No. Non è questo. È che ho paura che ti odierei prima o
poi. E non posso odiarti. Non sono nato per questo. Non potrei sopportarlo.
Preferisco continuare ad amarti, anche da lontano, di nascosto, piuttosto che
odiarti. Non chiedermelo, John.”
“Non lo farò.”
“Grazie.”
Il silenzio che seguì sembrò così assordante che neanche le
pareti insonorizzate dello studio potevano attutirlo. E John lo odiava. Non era
con quel silenzio che voleva terminare quella giornata.
“Perché non mi fai sentire cosa stavi suonando?” gli chiese
infine John, indicandogli il pianoforte con un cenno del capo.
“E’ solo una stupidata, John.”
“Fammela sentire.”
Paul lo guardò titubante, prima di sospirare e tornare a
sedersi al pianoforte.
“Ti interessa davvero?”
John ridacchiò e si sedette al suo fianco, godendo della sua
vicinanza.
“Lo sai che è così. Sono sempre io, anche se a volte mi
comporto da stronzo.” esclamò John, aggiustando gli occhiali sul naso.
“Cazzo sì.”
Paul fece scrocchiare le dita, appoggiandole ai tasti
d’avorio, ma subito John coprì la mano dell’uomo con la propria, cogliendolo di
sorpresa.
“Ti capita mai di pentirti?”
“Di cosa?”
“Di avermi incontrato.”
“Come ti vengono in mente queste cazzate?”
“Se non fosse stato per me, non saresti in questo casino.”
Paul sospirò, “John, penso che preferirei mille volte
averti nella mia vita, che non averti conosciuto affatto.”
“Bugiardo.”
“E’ la verità. Sei la cosa migliore che mi sia mai
capitata.”
E come a voler ribadire la sincerità delle sue parole, Paul
girò la propria mano, intrecciando le sue dita con quelle di John. Questi
sorrise, il suo sguardo fu rapito da quanto perfette sembrassero le sue dita
intrecciate ancora una volta con quelle di Paul.
“Se tornassi indietro nel tempo e potessi parlare al Paul
del 1957, gli diresti di andare comunque a quella stupida fiera?”
“Cazzo sì. E gli direi anche di correre.”
“Sempre il solito esagerato.”
Paul rise e John non poté fare a meno di sorridere felice
ora.
Ecco, era così che doveva finire quella giornata.
*****
Paul
era arrivato. Sistemò la sua bicicletta in un angolo e si avviò verso
l’entrata. Ivan gli aveva detto che lo avrebbe aspettato all’interno.
C’era
della musica che arrivava dal cortile della chiesa di St. Peter. Paul storse le
labbra: era un arrangiamento decisamente molto goffo, ma c’era anche qualcosa
che lo stava attirando come se fossero due calamite.
Una
voce, graffiata eppure vellutata.
Si
chiese a chi appartenesse. Sembrava voler parlare direttamente a qualcosa di
profondo dentro di lui. Qualcosa che Paul non pensava di avere, in effetti.
In
quel momento un piccolo gruppo di ragazze con le gonne lunghe e le acconciature
ben cotonate gli passò di fianco. Una di loro gli sorrise e Paul riconobbe quel
sorriso. Un paio di moine e parole dolci e la ragazza sarebbe caduta ai suoi
piedi. Dopotutto, non era andato lì anche per rimorchiare?
Ma
quella voce lo attirava e stuzzicava la sua curiosità in un modo a cui Paul non
poteva resistere. Era così debole di fronte a certe tentazioni.
Così lasciò
che la ragazza si allontanasse ed avanzò nel cortile della chiesa.
Dopotutto
avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per rimorchiare.
Ma
quella voce, quella, Paul era sicuro, gli avrebbe cambiato la vita.
Note dell’autrice:
Salve
a tutti. Da quanto!!! :D Sigh, mi dispiace tanto di scrivere così poco. Avrei
un sacco di idee, ma zero tempo per scrivere. ☹
Comunque, in realtà questa os l’ho
pensata il giorno dell’anniversario del matrimonio di Paul e Linda, quando ho
letto che stranamente quella sera lui era andato a lavorare negli studi di
Abbey road. Quindi, insomma, la mia mente ha fantasticato e ha tirato fuori
questa roba.
E’ un po’ strana in
realtà, ma spero che sia piaciuta comunque. :D
Grazie a Vale che ha letto anche in pausa pranzo e grazie a chi leggerà.
Speriamo di sentirci presto. <3
kia85