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Autore: Shakethatangstforme    09/07/2019    1 recensioni
College!AU | Stucky
Steve Rogers è uno dei migliori studenti del corso d’arte dell’università di New York City, se ne vanta poco, ma non ha mai negato di esserne fiero.
James Barnes è quello nuovo e si sente abbastanza un outsider in quel contesto dove sembrano tutti conoscersi con tutti, anche perché non è quello nuovo del primo anno, quanto quello nuovo che si è trasferito a metà anno accademico.
E poi si incontrano e gli amici di Steve hanno tutta l'intenzione di fare qualcosa a proposito.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Natasha Romanoff, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers, Tony Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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We were one with our destinies entwined
 
Steve Rogers è uno dei migliori studenti del corso d’arte dell’università di New York City, se ne vanta poco, ma non ha mai negato di esserne fiero.
Ha una buona cerchia di amici che lo supportano, amici con cui si allena la mattina, va a correre, esce. Sicuramente la stessa cosa non si può dire del lato sentimentale, però.
Da quando Steve ha iniziato a frequentare l’università, la sua vita amorosa ha subito un drastico calo, l’università lo ha completamente assorbito.
Stando a sentire Sam, il suo migliore amico (studente di psicologia), è stato Steve stesso a farsi inghiottire in questa spirale dove sembra non esserci spazio per l’amore romantico – adesso Steve è solo, anche sua madre è morta, tornando a Brooklyn c’è solo una casa vuota… anche se fosse come dice Sam, Steve ritiene di avere più di una ragione per chiudersi.
Una valvola di sfogo per tutte queste emozioni c’è, ed è il disegno. Quando Steve poggia il carboncino sul proprio album traccia quelle linee lasciando impressa anche parte della propria anima. Un animo fiero, implacabile, ma allo stesso tempo solo, con una grande voglia di proteggere chi ama, per esempio i propri amici.
 
James Barnes è quello nuovo e si sente abbastanza un outsider in quel contesto dove sembrano tutti conoscersi con tutti, anche perché non è quello nuovo del primo anno, quanto quello nuovo che si è trasferito a metà anno accademico.
Quindi, tutti i propri compagni di corso hanno già dei rapporti consolidati l’un l’altro. Sa di essere stato notato da più di una persona, considerando che ad alcuni di questi ha pure rivolto uno dei propri sorrisi ammiccanti, ma nessuno degno di nota, non qualcuno che avrebbe ricordato di lì a una settimana – considerando anche che non si è presentato a nessuna di quelle persone. Non per timidezza o insicurezza, ma sta effettivamente studiando l’ambiente, incerto anche su quanto tempo sarebbe rimasto, visto la facilità con cui la propria famiglia si sposta – sua madre ha assicurato che questa volta non sarebbe successo, erano tornati a casa e basta, ma chi può dirlo?
Quindi eccolo lì, la tracolla su una sola spalla, i capelli lunghi che coprono il viso, mentre si aggira per i corridoi di quel complesso in cerca delle classi. Da bravo nerd, sta studiando robotica. Tutta colpa dei propri genitori: è chiaramente il risultato di aver portato un ragazzino a vedere i prototipi di macchine volanti.
 
Steve viene trascinato in giro da Tony più del solito, in quel periodo. Tony Stark è uno degli studenti più brillanti dell’NYU, un grande genio e un ottimo inventore, ormai prossimo alla laurea – come sia possibile che sia anche amico di Steve è un bel mistero.
Tony ha deciso di investire il proprio tempo libero nell’inventare chissà cosa (la sua ragazza, Pepper, non è molto felice della cosa) e che tutti i propri amici devono essere sempre messi al corrente di quali modifiche o miglioramenti ha apportato, Steve compreso. Inutile dire che non è che tutti sono in grado di seguirlo.
Però Steve vuole bene a Tony quindi lo segue, è anche una scusa per stare con i propri amici, alla fine.
 
In quel momento sono tutti fuori, le lezioni concluse. Steve, Natasha e Sam sono seduti a terra, Tony è al centro che parla, ma sta guardando Bruce e Rhodes, che sembrano gli unici a parlare la sua lingua, Pepper lo guarda sorridendo, ogni tanto tornando a leggere il proprio libro (che in realtà dovrebbe studiare). Steve sta ritraendo gli altri due seduti con lui, Sam che ascolta Nat, la testa appoggiata sulle gambe di lui, Steve non sta ascoltando quello che si dicono, troppo intento a imprimere su carta un momento così quotidiano.
È difficile far distogliere lo sguardo a Steve dai propri disegni, è per questo che tutti si straniscono quando succede.
 
Agli occhi di Steve questa scena è esattamente come una di quelle tipiche dei film sui liceali completamente stereotipati. Davvero, da vergognarsene.
Prima di vedere il resto vede degli anfibi neri infilati sotto un paio di jeans del medesimo colore, aderenti che fasciano due gambe snelle ma allenate, una giacca nera, la mano sinistra infilata nella tasca di questa, l’altra a tenere ferma una tracolla sulla spalla, un viso… be’, un viso che mozza il fiato, incorniciato da dei capelli lunghi fin sopra le spalle. Steve si rende conto di star fissando il ragazzo quando questi sorride, ammicca, probabilmente tutti lì, a quel punto, si sarebbero aspettati di vedere Steve abbassare lo sguardo colto in fragrante, invece gli sorride. Il ragazzo sembra soddisfatto mentre lo supera.
“Vi prego, passatemi della candeggina, mi devo lavare gli occhi”, Tony interrompe così il silenzio che è calato.
“Tony…”, inizia Pepper, accogliendolo fra le braccia, l’espressione di lui troppo drammatica per essere vera.
“Pep, non supererò mai il trauma di vedere Rogers ammiccarsi con uno che sembra uscito da un film d’amore sui bad boy di serie C”, si interrompe, posando lo sguardo su Sam, indicandolo: “Tu, Wilson, tieni l’agenda libera, sarò il tuo primo cliente”.
“Non sembrava uscito da un film, dai”, è la debole protesta di Steve, conscio che ormai nessuno impedirà a Tony di continuare la sua scenata.
“Non stai negando gli ammiccamenti!”
“Lui lo stava facendo palesemente, non nego l’evidenza”. Natasha che ride di sottofondo è più che udibile.
“Anche tu stavi ammiccando”.
“Io stavo sorridendo”.
“Che in risposta a quello significava molto di più di un sorriso gentile”
“Oh, dai, Tony, smettila di prendere in giro Steve per la sua nuova cotta”, si intromette Sam che riceve in risposta dal biondo uno sguardo oltraggiato, vedi tu come gli amici tradiscono
Steve si alza, sbuffando, l’album sotto braccio. “Vi odio”.
“Non è vero”, ribatte Natasha, con lo sguardo di chi a certe frasi dette da lui non crederebbe mai.
“È vero, ma me ne sto andando lo stesso”.
“Ti organizziamo un bell’appuntamento, mio ghiacciolo preferito, tranquillo!”, sente Tony dietro le proprie spalle, ma ormai Steve si sta davvero dirigendo verso il dormitorio.
 
Quando Sam torna in camera, che condivide con Steve, trova quest’ultimo evidentemente appena uscito dalla doccia, visto i capelli ancora un po’ umidi, è seduto a letto che rassetta i propri disegni, solleva lo sguardo verso Sam facendogli un cenno con la testa, Sam scivola nel letto della parte opposta, apre il libro da studiare. Stanno in silenzio, sì, ma è un silenzio piacevole riempito dalla presenza costante dell’altro.
“Non ti sei offeso davvero, no?”, chiede Sam dopo un po’, vedendo che Steve ormai aveva praticamente finito con i suoi disegni.
“No, non preoccuparti”.
“Era da un po’ che non ti vedevo così interessato a non guardare noi soliti”, allora lo provoca un po’, visto che Steve non è di cattivo umore – e non è mai consigliabile stuzzicare troppo uno Steve di malumore.
“È che voi siete gli amori della mia vita”, ironizza un po’, lasciando la risposta parecchio vaga in ogni caso. Ma dopo che Sam gli rivolge lo sguardo Steve aggiunge, in un borbottio: “Era un bel ragazzo, non lo sto negando”.
 
Sam Wilson è diventato il migliore amico di Steve nel giro di due settimane, senza che Steve stesso se ne rendesse conto. Un giorno era appena arrivato, pieno delle sue paranoie e dolori, quello dopo era disteso nel proprio letto a parlare con questo ragazzo che ascolta davvero.
Sam non ha mai messo pressione a Steve, ma è comunque rimasto lì ad aspettare che si sentisse pronto per condividere cosa stesse tormentando il suo cuore.
Era passato solo un anno, ma per Steve è come se fosse passato una vita intera – e una vita nel mezzo è davvero passata. Adesso c’è un prima e un dopo, c’è un quando la mamma era viva e adesso che può vederla solo attraverso una foto.
Quando Sam ha conosciuto Steve, Sarah era ancora viva, ma le era stato appena diagnosticata quella malattia che se la sarebbe portata via nel giro di pochi mesi. Sam è l’unico dei suoi amici ad aver conosciuto Sarah Rogers, ma, nonostante ciò, tutti sono andati al funerale quando è successo, tutti erano pronti a stringersi attorno a Steve che, a quel punto, non aveva più nessuno. Neanche dei nonni.
Sam era stato al suo fianco per tutto il tempo, sempre pronto a porgere l’orecchio e mai giudicare, per questo, secondo Steve, è così facile parlare con lui. Sam scherza, ironizza, ma mai, mai, giudica.
Infatti, non si crea alcun tipo di problema nell’ammettere che quel ragazzo aveva attirato la sua attenzione, senza che se ne rendesse conto, ma, chiudendo gli occhi, riesce ancora a vedere il sorriso ammiccante dietro le palpebre.
“Amico, hai diritto a non rimanere solo per sempre”, è l’unica cosa che Sam gli dice.
 
Dopo due settimane Steve si illude che gli altri si siano dimenticati del ragazzo (che lui non ha invece dimenticato), considerato il silenzio stampa e il fatto che effettivamente non l’abbia mai visto nei corridoi – questo però se lo spiega facilmente pensando che non faccia niente di legato all’arte.
Ma no, ovvio, come potrebbero dimenticarsi una cosa del genere? Natasha, Sam e Tony si sono posti un obiettivo e, dopo tutto quel tempo, sedendosi a mensa, Natasha può finalmente annunciare, guardando Steve dritto in faccia: “James”.
“Eh?”, è una risposta ovvia e confusa da parte di Steve.
“Il tipo, ovvio, si chiama James Barnes, Tony lo ha conosciuto”.
“Nel senso che, quando l’ho visto nei corridoi dove faccio lezione io, ho trovato un modo per fermarlo, ringraziami dopo”, è davvero fiero della cosa, Tony. È una cosa da veri amici, no? L’attaccare bottone con le cotte dei propri amici per poterli poi presentare.
“Non ve lo siete dimenticati, quindi”, constata Steve, ricevendo in risposta un verso da parte di Sam che, seppur non detto a parole, significa palesemente come potevamo?
“No, certo, l’abbiamo invitato a pranzo”, Natasha ride vedendo che a Steve per poco non va il boccone di traverso.
Quindi rotea palesemente gli occhi, ma l’espressione si fa più cordiale quando vede quel ragazzo, James, avvicinarsi, cercando con lo sguardo il loro tavolo. Tony lo vede e gli fa cenno.
A quel punto Steve può osservare tutti i dettagli che non aveva visto settimane prima, adesso i capelli sono legati e lasciano intravedere un viso spigoloso, ma che risulta comunque armonioso, una leggera barba, le maniche corte lasciano vedere che il braccio sinistro è tatuato, Steve immagina del tutto. Si siede di fronte e adesso può anche far caso a dei bellissimi occhi grigi.
 
“Sono Bucky”, si presenta da sé il ragazzo al biondino che aveva visto già un po’ di tempo prima, ma che non era più riuscito a trovare – c’è un motivo per cui ha accettato l’invito a pranzo, ricordava che era insieme al ragazzo che lo aveva invitato, sperava fossero abbastanza amici da trovarlo lì. Fortuna.
“Steve”, si presenta l’altro stringendo la mano che gli aveva porto, Bucky probabilmente la stringe un po’ più del dovuto. Quando la lascia e fa per presentarsi agli altri viene interrotto ancor prima di iniziare dal tipo che lo aveva invitato… Tony?
“Ma non eri James?”, chiede proprio lui.
Bucky fa spallucce, spiegando: “James Buchanan, preferisco semplicemente Bucky”. Suona meno distante, alle sue orecchie, più amichevole, e Bucky desidera davvero trovare degli amici.
“Amico, lasciatelo dire, ma Buchanan è davvero un nome tremendo”, dice un ragazzo ridendo, ma evidentemente senza cattiveria. “Sono Sam, comunque”. Poi si presenta Natasha, una bella ragazza dai capelli rossi e infine Tony conferma che si ricordava il nome giusto.
 
È chiaro, Bucky non rimane solo mentre mangia con Steve, ma nonostante ciò scopre che quel gruppo di persone è più che interessante, sono tutti piacevoli e lo lasciano integrare (Bucky è anche abbastanza certo che stiano cercando di accoppiarlo con Steve e la cosa non gli dispiace affatto). Scopre che non ha più visto Steve perché studia arte, che è praticamente dal lato opposto del campus, a quel punto Bucky si entusiasma davvero nel mostrare a Steve il proprio tatuaggio, dalla spallo fino alla mano vi è disegnato un braccio meccanico, che serve anche a coprire delle cicatrici di un brutto incidente, ma non è sicuramente il momento di dirlo. Steve cambia posto per mettersi accanto, osservando così meglio i dettagli di un disegno così complicato. Bucky ne approfitta per osservare Steve, gli occhi azzurri, il viso sbarbato.
In quel momento gli amici di Steve decidono che è il momento per loro per andare in biblioteca a studiare, Bucky li saluta con un sorriso leggero, Steve fa un cenno con la mano.
Rimangono così, per diversi istanti… dovrebbero salutarsi anche loro?
“Bucky?”, richiama la sua attenzione Steve.
“Sì?”
“Ti andrebbe di andare a bere qualcosa venerdì sera?”, la domanda gli viene posta in modo così veloce che Bucky potrebbe pensare di non aver sentito bene. Ma no, insomma, non è né cieco né stupido, è però intrigato da questa proposta che non si aspettava così presto.
“È un appuntamento?”, chiede, tornando a rivolgergli quel sorriso che sì è ammiccante, ma è anche di sincero interesse.
“Sì, è un appuntamento”.
 
Steve in quelle due settimane aveva pensato e ripensato a quelle parole dette da Sam. Hai diritto a non rimanere solo. Ma cosa significa davvero?
Perché a quel punto, per Steve, è ovvio che non fosse solo un discorso di bel ragazzo o no, Steve è solo non perché è single. Essere single non è un problema.
La solitudine, la sensazione di non avere nessuno, però, è molto più profonda e radicata. Ed è anche una sensazione che fa sentire Steve ipocrita, in un certo senso falso verso i propri amici. Loro ci sono, tra discussioni, uscite e risate sono sempre stati uniti. Ma non riesce a non pensarlo. Nessuno di loro lo sa, Sam lo ha intuito, ma Steve non ha mai confermato, Natasha conosce le linee generali del pensiero perché ha avuto l’onore di conoscere uno Steve ubriaco e particolarmente loquace.
Sarah Rogers ha cresciuto Steve da sola, in quanto suo padre è morto ancor prima che Steve nascesse, non lo ha mai conosciuto se non dai ricordi di sua madre.
Steve sa che suo padre lo ha amato dal momento in cui ha scoperto che Sarah era incinta, sa che era un uomo buono, ma l’unica famiglia che Steve ricorda è comunque quella composta da lui e sua madre. Erano legatissimi, Sarah è sempre stata la più grande sostenitrice di suo figlio e lo ha supportato sia quando era un ragazzino con più di qualche problema di salute, sia quando questo ragazzino è diventato un uomo forte, piacente e con il sogno di utilizzare l’arte come mezzo per esprimere sé stesso.
Una vita che Steve sa essere in salita, come lo sapeva Sarah, ma i Rogers sono una famiglia di combattenti, se è questo il sogno di Steve, Sarah lo avrebbe supportato senza se e senza ma.
Ed è per questo che perdere lei era stato così devastante. Era stato perdere un pilastro nella propria vita, quel qualcuno che aveva le risposte anche quando queste sembravano impossibili da trovare.
Si sente solo.
Amico, hai diritto a non rimanere solo per sempre, le parole di Sam continuano a rimbombargli in testa, da quando le ha pronunciate.
 
È così che quando Steve si rende conto di quanto sia semplice stare attorno a Bucky, di quanto il carisma di quel ragazzo sia coinvolgente, si trova a proporgli di uscire.
Sam ha ragione e Steve lo sa, quindi, perché non seguire il suo consiglio? E Bucky ispira davvero una persona che può farlo uscire senza farlo sentire un pesce fuor d’acqua nel giro di due minuti.
Erano stati praticamente un’ora a parlare come se si conoscessero da una vita e non se ne sono resi conto fino a quando gli altri se n’erano andati.
 
“È un appuntamento?”
“Sì, è un appuntamento”
Bucky sorride apertamente sentendo quella frase, se ne rende conto e non fa nulla per nasconderlo – sì, è una persona che non si è mai fermata dal flirtare o ammiccare, ma ciò non toglie che c’è un lato davvero dolce in lui, uno che ci tiene, che si prende cura delle persone. Spesso questa cosa era sembrata un’assurdità, come se fosse impossibile che due parti del genere di carattere potessero coesistere, alcune persone hanno accusato che fingesse, cosa che gli ha fatto girare i tacchi senza pensarci due volte.
Ma no, parlare con Steve tutto quel tempo era stato prendere una boccata d’aria fresca, niente se, niente minacce che presto si sarebbero spostati, no, solo persone che parlavano fra loro, poi Steve che sembrava entusiasta di vedere un disegno come il suo sul braccio, facendo proprio una serie di appunti su quella tecnica di sfumatura o di ombreggiatura – onestamente? Bucky non è un grande estimatore d’arte e ne capisce sicuramente poco di tecniche, però Steve sembrava così entusiasta che lo ha lasciato parlare senza interromperlo.
 
Si alzano, quel tipico imbarazzo che si ha quando non si sa davvero come ci si comporta, perché hanno deciso che avrebbero avuto un appuntamento, ma poi?
Bucky scuote la testa fra sé, una mano che va fra i capelli. “Mi dai il numero? Così ci possiamo organizzare per bene”, l’espressione che Steve fa, agli occhi del ragazzo, è davvero adorabile: è evidente che si fosse dimenticato di chiedere il numero, cosa abbastanza importante ma anche così ovvio da essere stato dimenticato.
“Te lo scrivo”, automaticamente Bucky gli porge il telefono e, una volta rimesso in tasca, ha un ghigno sulle labbra all’idea di avere fra i contatti Steve Rogers.
“Allora a venerdì, Steve”.
 
Steve quella sera (più corretto dire quella notte) riceve un messaggio: “Buonanotte, Steve – Bucky xx”, lo legge però solo l’indomani mattina.
Quelle semplici parole lo perseguitano tutta la giornata, quegli occhi, quel sorriso, quel modo di fare, arriva a essere quasi fastidioso, perché a un certo punto, mentre disegna durante una lezione, si rende conto di non star disegnando delle labbra, ma quelle labbra, di quel ragazzo con cui ha parlato una sola volta, ma che sembra essere parte della sua vita da sempre.
La sera arriva in stanza abbastanza frustrato per questa ragione. Sam se ne accorge, ma lo lascia stare.
Sam ha ormai imparato a lasciare che Steve si prenda del tempo per sé prima di chiedere, perché altrimenti si sarebbe beccato una rispostaccia per certo. Steve sembra pure una persona totalmente angelica, priva di qualsivoglia cattiveria all’apparenza, Sam non nega che sia estremamente buono, ma ciò non toglie che quella dose di impulsività che lo caratterizza non comporti un paio di scelte infelici nelle risposte. Ormai Sam lo sa, sa come evitarlo, altrimenti poi avrebbe dovuto sopportare le infinite scuse perché era stato sgarbato.
Infatti, prima Steve si va a fare una doccia, si cambia in vestiti più comodi e, a quel punto, tornato in camera, Sam chiede: “Mi accompagni a fare una corsa?”
Il clima è ancora piacevole abbastanza per poter correre senza gelare col sole che sta calando, anzi, il fresco è piacevole sulla pelle che inevitabilmente si riscalda con il movimento.
“Sì”.
Steve trova sia palese che questa è una scusa per farlo scaricare, però è innegabile che funzioni. Ogni passo, Sam alla sua sinistra, permette di concentrarsi su altro, razionalizzando così allo stesso tempo gli avvenimenti di quei giorni – realizzando che non c’è davvero bisogno di prendersela col mondo intero, anzi, probabilmente è stato pure poco garbato neanche a degnarsi di rispondere a Bucky.
Decidono di non mangiare alla mensa, Sam propone di ordinare una pizza e di tornare in camera, è stanco, dice, ma Steve lo sa che gli sta solo dando spazio per parlare. Preferibilmente senza Tony e le sue battute poco opportune.
Portano la pizza in camera, sedendosi a terra come ormai d’abitudine, la finestra aperta sulla fresca serata dopo una nuova doccia.
“Com’è andata col tipo, dopo che vi abbiamo lasciati soli?”, chiede a un certo punto Sam, cogliendo di sorpresa Steve, vista l’espressione che fa, ma ricomponendosi subito dopo.
“L’ho invitato a uscire, venerdì”.
“Domani, quindi”.
“Merda”.
“Linguaggio, Rogers”, che allora si becca proprio un’occhiataccia, ma Sam non può per sogghignare citando quell’episodio. Nessuno se lo dimenticherà mai o permetterà a Steve di scordarlo – quella volta in cui Steve ha rimproverato Tony per le troppe parolacce, con una spontaneità che ha lasciato tutti spiazzati, poi divertiti per l’imbarazzo suscitato in Steve, che probabilmente neanche si era davvero reso conto, di quanto fosse paradossale la cosa.
“Non gli ho ancora detto né dove né a che ora”.
Sam lo guarda per parecchi istanti in silenzio, finendo per sbuffare palesemente, uno procura appuntamenti a quel ragazzo e lui neanche si degna di farsi sentire! “E fallo! Ora, qui davanti, non vorrei che poi non lo fai davvero”.
È riluttante, Steve, nel prendere il cellulare (Sam nota che c’è già un messaggio da parte di Bucky a cui Steve non ha risposto).
“Ehi, Buck, ti va se ci vediamo domani alle otto?”, scrive Steve, attentamente sorvegliato.
La risposta non si fa attendere, Sam vorrebbe dire che quel tipo è già perso, ma non vorrebbe dare false speranze, però è pur vero che risponde a Steve nel giro di secondi. “Buck, mh? Il soprannome del soprannome?”, poi un secondo, che fa tornare a respirare Steve: “Mi piace. Comunque sì, per me va bene. Dove ci vediamo, Stevie? ;)”
Stevie. Inizia a considerare il lavaggio con candeggina degli occhi, Sam.
“Va bene, andiamo allo Shield?”
“Ok, ci vediamo domani allora. ‘Notte xx”
“Buonanotte, Bucky”
Steve solleva lo sguardo e Sam è decisamente soddisfatto nel vedere quel sorrisetto aleggiare sulle sue labbra. “Ma quindi perché eri così nervoso? Non mi sembra che fossi così incapace di reggere un paio di messaggi”.
“Non è che sono un incapace, Sam…è che oggi l’ho persino disegnato, passare dal niente a questo è… strano”.
Sam gliela concede, questa. “Tu dagli una possibilità, vedi come va, però ti avverto, sopporto la camera invasa da tramonti e paesaggi, ma guai a te se mi riempi la stanza con la faccia di Bucky, Rogers”. Steve ride, annuendo, Sam dichiara la propria missione d’amico conclusa – ma l’avvertimento è vero, assolutamente.
 
L’indomani, per Bucky, passa in maniera davvero veloce, lezioni, appunti, un caffè con Wanda e Pietro – amici di prima che si trasferissero. Non nega che in tutto questo pensi più di una volta alla serata. Bucky non è ipocrita, sa che c’è una grande componente di piacere estetico, ma poi ha pranzato con Steve e si è ritrovato a pensare che, forse, Steve sia molto più di un bel ragazzo.
Non si scrivono, ma non se ne stupisce. Se ne dispiace però un po’.
Concluse le lezioni, Bucky torna a casa, perché evitare di arrivare con la maglietta vecchia è il minimo se vuole fare colpo.
La famiglia Barnes, tornata a New York, era tornata a vivere a Brooklyn, che non è vicinissimo alla NYU (una buona mezz’ora di mezzi), ma era stupido prendere un alloggio lì, se c’è una casa e una famiglia che ti sostiene… e poi a Bucky piace stare in casa con i suoi fratelli, i suoi genitori e Winter, il gatto.
Winter è arrivato da poco in famiglia, è un cucciolo ancora, lo ha trovato Rebecca e Bucky se n’è innamorato subito, ma non lo ammette: lo sopporta, e intanto il gatto dorme con lui e il nome Winter lo ha scelto lui. Però sul nome è stato irremovibile, Becca voleva chiamarlo Snow che per un gatto bianco è un nome banalissimo, quindi è diventato Winter, gentilmente imposto da Bucky usando la ormai ovvia scusa sono il fratello maggiore.
“Sono a casa!”, chiama Bucky dall’ingresso, anche solo per capire chi è a casa, rispondono Becca e sua madre.
Seguendo le voci Bucky prende in braccio Winter, per poi salutare entrambe. “Io sta sera esco”, dice loro.
“Finalmente smetti di fare l’asociale!”, esclama Rebecca, facendo sollevare un sopracciglio al fratello.
“Io non sono mai stato asociale”.
“Ma non dire fesserie, sei il più grande dei nerd che fa le maratone di Star Wars”.
“Ma sono bei film, quelli!” … almeno la maggior parte.
“Io ogni tanto mi chiedo come sia possibile che siate voi i più grandi dei miei figli”, sospira Winifred Barnes, scuotendo la testa, i capelli del medesimo colore dei ragazzi ma leggermente striati di bianco.
“Io mi vado a preparare”, annuncia Bucky, sottolineando la propria maturità facendo una linguaccia a Rebecca.
“Fatti vedere, così approvo il look finale, nerd”.
È vero, Bucky non è mai stato un ragazzo asociale, anzi, apprezza parecchio la compagnia delle persone, quello che però è successo è stata una prima giovinezza da nomade, per lavoro suo padre ha dovuto spostarsi molto e di conseguenza tutta la famiglia lo ha seguito, questo ha fatto sì che le amicizie o in generale le relazioni, per i figli, fossero passeggere, poco stabili e durature – l’affetto c’è stato, ma se si parla di ragazzini il “per sempre” è difficile, anche solo per un’amicizia che durasse più di sei mesi. In compenso, tutti i fratelli Barnes sono cresciuti estremamente uniti. Adesso che sono tornati dove Bucky e Rebecca sono nati è surreale, il ragazzo non riesce a credere al fatto che non si sposteranno, che ha la possibilità di farsi la propria vita, ma allo stesso tempo ha un disperato bisogno di crederci.
 
Bucky non impiega troppo tempo per prepararsi, perché, a detta sua, anche quando è casual il proprio abbigliamento ha un suo perché. A detta di Rebecca, ha solo una fissazione esagerata per il nero.
Forse ha ragione considerato che, alla fine, si ritrova a indossare dei jeans neri aderenti, una camicia con una leggera fantasia bianca e i soliti e fidati anfibi, così come la solita giacca di pelle. Pettina i capelli e li lascia sciolti. Approvato il look anche da Becca e sua madre esce.
Raggiungere Steve è semplice (grazie, Google Maps), trovarlo ancora di più. Probabilmente Steve non sta cercando affatto di spiccare tra la gente, ma gli occhi di Bucky lo intercettano subito: alto, biondo e bello nella sua giacca a vento blu scuro, di quella bellezza non ostentata, come se ne fosse inconsapevole, rendendo Bucky ancora più attratto da questa persona – anche perché lui può benissimo fare per entrambi in quanto eccessiva sicurezza nel proprio aspetto… almeno adesso, c’è stato quel periodo in cui c’era qualcosa nel proprio aspetto che Bucky non sopportava. È così che è nato il tatuaggio.
“Steve!”, lo chiama, facendosi vedere, il sorriso storto sulle labbra. Gli occhi di Steve si soffermano sulla propria figura un paio di secondi, prima che il sorriso venga ricambiato.
“Ehi, Buck”.
Buck. È stupido ammettere che gli piace davvero troppo quel soprannome, considerato che deriva già da un altro soprannome, ma il modo in cui Steve lo dice, la naturalezza… fa in modo che a Bucky neanche venga in mente di impedirgli di utilizzarlo.
“Entriamo?”, chiede, tenendo la porta per Steve, che lo supera ridacchiando fra sé.
Si appropriano di un tavolo abbastanza isolato, dove arriva una piacevole musica di sottofondo, ma è abbastanza distante da permettere di chiacchierare senza alzare troppo la voce.
“Dopo due settimane, avevo iniziato a temere che il mio sorriso ammiccante avesse perso il suo fascino”, dice Bucky, iniziando la conversazione, perché Steve gli dà l’idea di non sapere bene come cominciare e, dallo sguardo che gli rivolge, può dire di averci preso.
“In realtà non ti ho più rivisto dopo quella volta in cortile, poi Tony ha scoperto il perché”.
“Quindi hai mandato i tuoi amici alla ricerca”, lo prende un po’ in giro, ma ammette che in fondo la curiosità c’è. Quanto è adorabile vedere le guance di Steve arrossarsi in quel modo?
“No… uhm, hanno fatto loro, ma ammetto che non mi sia dispiaciuto”.
“Neanche a me”, dice dopo aver squadrato un po’ il viso dell’altro, annuendo fra sé. “Anche se vedermi spuntare davanti Tony che mi ha detto che gli ero parso un fantasma, considerato quanto fosse difficile trovarmi, ma che a quel punto dovevo assolutamente raggiungerlo per pranzo, è stato strano, ma ricordavo che era fuori con te, ho pensato di approfittarne”. Senza contare la scena in cui Bucky accetta l’invito, Tony va via e ritorna nel giro di due minuti per presentarsi e chiedere il nome a Bucky.
“Be’, quello è stato inaspettato anche per me”.
“Mi auguro nel senso positivo”.
Steve sorride, Bucky pensa che sia davvero un bel sorriso, sincero, buono, di certo meno malizioso del proprio. “Sì, direi di sì”.
 
Una volta rotto il ghiaccio (e con un po’ di alcol in circolo), Bucky può scoprire che Steve oltre a essere buono è anche decisamente testardo e impulsivo, trovando quest’accoppiata interessante. Steve agisce in base a ciò in cui ritiene giusto e Bucky non può fare a meno di rispettare questa cosa.
 
“Avrò pure avuto quindici anni e l’asma, ma non potevo fingere di non vedere! Quello era palesemente un bullo”.
“Che hai definito tu stesso due volte te”.
“Sì”.
Steve”.
“No, Bucky, non capisci, a me non fregava niente di quanto fosse alto”.
“Hai intenzione di infilarti in qualche rissa nel futuro prossimo?”
“Mh?”
“Voglio dire, avvisami, almeno metto in mostra i miei anni da pugile”.
 
Steve ha una risata bellissima e gli occhi fieri, ma anche empatici e compassionevoli.
 
“Come mai hai scelto proprio questo tatuaggio?”
“Perché, in fondo, sono davvero un nerd quando si tratta di tecnologia”.
“Mi piace davvero tanto”.
“Copre delle cicatrici, è nato per questo scopo”.
“Oh…”
“Non dire che ti dispiace, non è che fossi presente”.
“Sono… stupito?”
“Mh, sì, questo va bene”.
 
Bucky non vorrebbe mai concludere quella serata, ogni secondo passato con Steve aumenta il desiderio di stargli accanto, ma anche la sensazione di conoscerlo da una vita intera.
Ma è ormai tardi e devono decisamente tornare, separarsi.
Si guardano, i sorrisi che si fanno più imbarazzati, la classica indecisione su come salutarsi.
“Domani pranzi di nuovo con noi? Fa niente se hai altri impegni però”.
Bucky ridacchia, scuotendo la testa. “No, Stevie, non ho nessun impegno, domani vi raggiungo”.
“Okay”.
Non è chiaro chi inizi quel bacio, è come se fossero attratti l’uno all’altro da una calamita invisibile, che li attrae senza scampo. Labbra che si incontrano, o, per meglio dire, si scontrano. Bucky poggia delicatamente la mano sulla nuca di Steve, avvicinandosi di più a lui. Non è sicuramente un bacio passionale, ma sembra una conclusione perfetta per quella serata, lasciandoli comunque senza fiato e, questa volta, le guance di entrambi arrossate.
Bucky sorride davvero, senza malizia o ghigni. “Buonanotte, Stevie”.
“Buonanotte, Buck”. E, questa volta, è evidentemente Bucky a sporgersi per baciare velocemente le labbra dell’altro, prima di lasciarlo andare.




Angolo autrice:
Innanzitutto, vorrei ringraziare
questo gruppo Facebook, dove si è organizzata una delle challenge più belle a cui ho partecipato, mi ha dato l'opportunità di avere un sacco di spunti per scrivere: questa fanfiction nasce come svolgimento di uno dei prompt, ma fin da subito ho desiderato ampliarlo ed è nata questa storia, che è la mia prima AU, solitamente mi muovo sul "What if". Se avete letto fino a qui grazie, se non l'avete fatto, ringrazio anche voi, anche se non lo saprete mai!
   
 
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