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Autore: Menade Danzante    13/07/2019    2 recensioni
Londra, 1941. In cui un angelo vorrebbe davvero odiare un demone, ma finisce per fare una scoperta oltremodo mirabolante.
"Ma Aziraphale non sta ascoltando la conversazione: pensa solo che non vede il demone da quasi un secolo e che dovrebbe essere terribilmente arrabbiato con lui. Dopo la storia dell'acqua santa questo sarebbe il minimo: dovrebbe odiarlo, anche se questo è impossibile. Eppure non è che provi proprio simpatia per i fascismi che hanno deciso di mettere a ferro e fuoco l'Europa. Se si impegnasse un po' di più, forse riuscirebbe a riservare lo stesso sentimento di rancore nei confronti del demone."
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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pugno di libri

Per un pugno di libri






Incredibile. È del tutto inammissibile. Inammissibile e inaccettabile. Insomma, non è stata un'idea sua bombardare una chiesa – Cielo, una chiesa! Se Gabriel viene a sapere che c'era pure lui, Aziraphale è un angelo morto, o quantomeno discorporato. Perché ora dovrebbe eseguire un miracolo per tirare fuori dai guai sé stesso e quell'idiota di Crowley? A lui è venuta la brillante idea di presentarsi in chiesa, non l'ha chiamato nessuno, non l'ha invocato nessuno – certo non Aziraphale. Che cosa credeva di fare quello lì saltellando come uno sciocco? Avrebbe dovuto pensare lui a tutto, senza contare sul buon cuore dell'angelo. Perché è ovvio che Aziraphale interverrà quando le bombe cadranno sulle loro teste, ma non è giusto che Crowley lo abbia dato per scontato dall'inizio. Aziraphale non è tenuto a fare un bel niente per il demone, non ha obblighi di alcun tipo, eppure anche stavolta è con le ali al muro: vuole veramente affrontare la burocrazia del Paradiso per avere un nuovo corpo? Vuole veramente dover spiegare i motivi per cui ha bisogno di un nuovo involucro? Gli basta immaginare la faccia di Michael che lo deride e che gli ricorda che fidarsi di una spia è una cosa da stupidi per sapere esattamente che non vuole compilare moduli e scartoffie, non date le circostanze. Non vuole rischiare che qualcuno di loro proponga addirittura di non farlo tornare affatto sulla Terra, considerata la sbadataggine nel portare a termine una missione non commissionata da nessuno. Perché c'è anche quel particolare: Aziraphale ha agito di testa propria, ha creduto di potercela fare senza guide, senza sotterfugi e, soprattutto, senza Crowley a guardargli le spalle come al solito. Ma si è sbagliato: ha creduto di aver aiutato a coordinare un'operazione rischiosa e pericolosa ai danni dei nazisti, ma è stato ingannato – si è lasciato ingannare – malamente, ora ha una pistola puntata contro e Crowley è davanti ai suoi occhi che sposta il peso da un piede all'altro perché quello è un dannato suolo consacrato e no, un demone non è progettato per camminarci sopra. Ha fallito, lo sa, e sa anche che non ha la forza di guardare Gabriel negli occhi mentre gli dice che è meglio che tenga per sé le sue idee, visto i danni e gli inconvenienti che provocano. «Per un pugno di libri, poi», può sentirlo ridere nella sua testa. È meglio che questo errore rimanga tra sé e, suo malgrado, Crowley.

Crowley che blatera minacce con voce strozzata dal dolore. Ma Aziraphale non sta ascoltando la conversazione: pensa solo che non vede il demone da quasi un secolo e che dovrebbe essere terribilmente arrabbiato con lui. Dopo la storia dell'acqua santa questo sarebbe il minimo: dovrebbe odiarlo, anche se questo è impossibile. Eppure non è che provi proprio simpatia per i fascismi che hanno deciso di mettere a ferro e fuoco l'Europa. Se si impegnasse un po' di più, forse riuscirebbe a riservare lo stesso sentimento di rancore nei confronti del demone. Invece no: è lì con la fronte corrucciata a dirsi che Crowley è vivo, sempre uguale a sé stesso (a parte gli abiti e i favoriti) e sfacciato come l'ha sempre visto. Ah, e si chiama Anthony, adesso. Anthony J. Crowley. Che cosa stupida. E gli sta chiedendo un miracolo per tappare i buchi del piano che ha elaborato perché ovviamente non può fare brutta figura con i dirigenti: deve bombardare una chiesa, ma deve uscirne vivo per raccontarlo ai Lord infernali.

Da non credere. Ma Aziraphale ormai sente il bombardiere che arriva e non può poi tanto esimersi dal fare quanto il demone gli ha imposto. Meno di trenta secondi ed è ricoperto di detriti e polvere per colpa di un piano mal organizzato da un idiota da strapazzo. Un idiota che, deve ammetterlo, gli ha salvato la vita e gli ha evitato una ramanzina di Sopra. Un idiota che, non sa se vuole sapere come, l'ha rintracciato giusto in tempo per fargli vivere altri anni sulla Terra. E che è vivo a qualche passo da sé.

L'angelo si toglie il cappello, ma non sa cosa urlare al demone che si pulisce gli occhiali dalla fuliggine. Vorrebbe dirgli che ha vissuto nel timore di non vederlo più dal 1862, nella paura che un'altra delle sue conoscenze gli avesse fornito quello che aveva osato chiedere a lui. Vorrebbe dirgli che lui, Aziraphale, non meritava e non merita tuttora quel dolore perché lui è un angelo buono, amorevole e non può sopportare tutta quella disperazione così come non può odiare. Vorrebbe dirgli che invece di maledirlo per quasi un secolo, ha pregato che fosse in buona salute, non depresso e lontano da qualsiasi pillola del suicidio. Ma niente di tutto questo viene fuori.

«È stato molto gentile da parte tua», dice invece, come se gli ultimi settantanove anni fossero stati cancellati.

«Chiudi la bocca». Crowley è rude come sempre, ma Aziraphale per la prima volta da quando l'ha visto si concede un sorriso mentre spiega che non subirà ritorsioni dai suoi superiori. Anche dall'altra parte è come se fosse tutto normale, come è sempre stato: uno dei due finisce nei guai e l'altro fa qualcosa per salvarlo o per riportare la partita in parità. Forse non dovrebbero lasciar correre così. Forse dovrebbero parlarne e chiarire, spiegare, ma-

«O no, i libri!», questa è la preoccupazione più importante dell'angelo al momento. «Ho dimenticato tutti i libri!». Quello che gli scorre nella voce è il panico. «Oh, saranno tutti bru-»

Aziraphale si sente morire. Forse dopotutto il suo miracolo non è servito a niente e lui morirà lo stesso e dovrà subire l'ira di Gabriel e la derisione di Michael. È stato tutto inutile: sì, perché quello che avverte mentre guarda Crowley che si avvicina al cadavere di un nazista è un qualcosa di indefinibile – ineffabile – che lo paralizza e gli fa male e bene allo stesso tempo. Più male che bene. La fitta è dolorosa, ma è un dolore perverso perché Aziraphale non vorrebbe farla andar via. C'è forse qualcosa di sbagliato in lui? Che sia davvero giunto il momento di cambiare involucro? Non ricorda nulla riguardo al deterioramento dei corpi nei quali gli angeli si incarnano, ma è anche probabile che abbia saltato qualche paragrafo del manuale di Gabriel, che non è proprio un grande scrittore e prima o poi qualcuno dovrà pur dirglielo. Forse il suo corpo non sta funzionando bene e deve provvedere alla manutenzione. Tuttavia sembra reagire agli impulsi esterni perché la sua mano afferra il manico della borsa che il demone gli sta porgendo con grande naturalezza. Ma non è usuale che Crowley gli dia dei libri.

«Un miracolino demoniaco da parte mia», chiarisce l'altro con voce leggera. Aziraphale non sa bene se chiedergli aiuto perché adesso è sopraggiunta l'afasia più completa. Ma gli sembra scortese, dato che il demone ha salvato non solo sé stesso, non solo l'angelo ma anche i libri di profezie. Per un attimo vorrebbe rinfacciargli il fatto che, visto che ha salvato i libri, avrebbe potuto salvare pure i loro corpi senza obbligarlo a intervenire, ma nessun suono esce dalla sua bocca e, di nuovo, non gli sembra una scelta opportuna. Non dopo che le prime edizioni di Aziraphale sono tornare al sicuro nella sua stretta grazie all'intervento di Crowley.

«Un passaggio a casa?», domanda il demone con noncuranza mentre si allontana verso una macchina, probabilmente la sua. Ma Aziraphale oltre all'afasia ora ha una paralisi alle gambe che non vuole andare via. È fermo, immobile, guarda la borsa con i libri e non può credere a quello che è appena successo. Perché Crowley ha salvato i libri? E perché questo gli impedisce di muoversi, di parlare, di pensare lucidamente e gli fa sentire un dolore forte ma anche piacevole? Forse deve davvero cambiare corpo perché quelli sono sintomi di una malattia, ma Aziraphale stavolta è sicuro che un angelo non possa ammalarsi. Deve assolutamente parlare con qualcuno ai Piani Alti e scoprire le cause del malfunzionamento, anche se già sospetta che quasi seimila anni di utilizzo abbiano un po' compromesso le capacità dell'involucro. Non può essere altrimenti, perché se così non fosse proprio non saprebbe darsi alcuna spiegazione del perché Crowley gli stia facendo quell'effetto. Vorrebbe ricordarsi di essere arrabbiato con lui, ma non ce la fa: la valigetta è un peso troppo gravoso perché possa dimenticare che il demone ha salvato per lui e per lui soltanto i libri che ama.

«Angelo?», si sente chiamare e i sintomi si intensificano all'improvviso. Crowley è appoggiato alla portiera di quella che ad Aziraphale sembra una Bentley – ma onestamente potrebbe essere qualsiasi altra automobile, l'angelo non è esperto di motori – e lo guarda con l'aria di chi non abbia troppo tempo da perdere.

L'angelo si muove, anche se non sa come, e finge di riscuotersi da un qualche torpore. «Lo shock», dice, toccandosi la tesa con la mano libera e concedendo al demone il sorriso più nervoso che riesca ad esibire. Non vede le iridi serpentine dell'altro, ma sa che si sono assottigliate per la scempiaggine appena ascoltata. Per lo meno ha il buon cuore di non dire niente e di infilarsi nell'auto in attesa che Aziraphale lo raggiunga a fatica.

Passano dei minuti interi prima che all'angelo venga in mente di non aver detto a Crowley dove andare. «Soho», inizia senza coerenza e con la voce roca data dal troppo silenzio. Si schiarisce la gola e ricomincia: «Vivo a Soho, ecco. M-Mi ero dimenticato di, beh, di dirtelo prima e-»

«Lo so, Aziraphale», interrompe bruscamente il demone e l'angelo è interdetto.

«Lo... Lo sai? Come?»

Crowley fa spallucce. «Lo so e basta. Ti sto portando lì, non riconosci la strada?»

No, Aziraphale non ha idea di dove siano, ma annuisce lo stesso con aria assente.

«Senti, lo so perché l'ho sentito in giro», continua inaspettatamente il demone e Aziraphale non osa interrompere. «E in giro ho anche sentito questa cosa dei nazisti e dei libri, dei roghi... Ho pensato – e ho pensato bene – che tu c'entrassi qualcosa. Che fossi indignato»

Aziraphale è in imbarazzo. Sa che Crowley non è come Gabriel e che non lo deride (più o meno) e non gli chiede di tenere per sé le proprie idee perché le ritiene stupide, ma percepisce lo stesso che il demone aveva capito subito la natura di quella situazione, mentre lui, il povero angelo ingenuo, si è dovuto ritrovare con la minaccia di una pallottola in fronte per capirlo. La vergogna è tanta che non ringrazia nemmeno una seconda volta e rimane con la valigia in grembo a fissarsi le mani.

Rialza lo sguardo solo quando avverte che l'auto si è fermata. Sa che è il caso di scendere, ma non lo fa. Piuttosto si muove a disagio sul sedile e tamburella con un dito sulla pelle della borsa, accennando un sorriso in direzione del demone. Questi, dal canto suo, ricambia lo sguardo, ma ha le labbra serrate in una linea sottile e la mandritta sul volante. Aziraphale ha il timore che l'altro non lo voglia più lì perché si è comportato da imbecille con un trio di smidollati. Sarebbe anche comprensibile, in un certo senso.

«Questa è nuova», tenta, indicando l'interno della macchina con gli occhi.

Crowley annuisce. «È utile. Più veloce delle carrozze e soprattutto senza cavalli»

È il turno dell'angelo di annuire con vigore. C'è così tanto che vorrebbe chiedergli per recuperare qualcosa di quei settantanove anni di separazione, ma non sa da dove cominciare e le parole gli muoiono sulla lingua. Forse potrebbe aiutarsi con dell'alcol. Ecco, quello sì che lo farebbe parlare.

Di nuovo, si schiarisce la gola. «Mio caro-» e improvvisamente i sintomi si manifestano con una velocità allarmante, ma si sforza di proseguire e di far finta di niente mentre si sente morire un'altra volta – tre in una sera sono veramente troppe, «che ne diresti di bere qualcosa?». Crowley tace. «Ho una bottiglia del '73 che vorrei provare. Se desideri, possiamo godercela e... fare due chiacchiere». Il demone insiste nel non dire nulla e Aziraphale non sa cosa fare se non continuare a parlare per occupare quel pericoloso silenzio. «Ce lo meritiamo dopo stanotte, non credi?»

Dovrebbe essere furibondo con l'interlocutore muto per la storia dell'acqua benedetta, e invece gli offre involontariamente l'espressione più gentile e speranzosa di cui sia capace. Se possibile, il corpo gli fa ancora più male.

Finalmente Crowley fa qualcosa: si muove e annuisce, ma quello che dice è contraddittorio.

«No. Non ho ancora finito il giro delle tentazioni per oggi e non posso trattenermi», confessa. Sembra una scusa, ma Aziraphale sceglie di accoglierla come verità. Non gli sbotta contro urlando che non ha il diritto di saltare fuori dal nulla per salvarlo e per poi parcheggiarlo davanti alla sua libreria quando si è stancato di averlo intorno. Non lo fa un po' per codardia e un po' perché forse anche il demone ha tanto da dirgli e non è prudente sbronzarsi prima. O forse è Aziraphale ad avere tanto da dire, ma non vuole rischiare di esporsi con gli effluvi del vino.

«Certo, capisco. Allora vado», annuncia mentre la mano corre alla maniglia della portiera per salvarlo.

«Però possiamo fare un'altra volta». Un po' Aziraphale odia il demone per come dice le cose che dice. E un po' odia anche sé stesso quando si volta per fissare gli occhi sulle lenti dell'altro, in attesa che continui. «Magari a pranzo. Che ne dici, angelo?»

Aziraphale si odia un po' di più perché sorride fino a sentire le guance tirare. «È una splendida idea, mio caro. Fine settimana?»

Crowley annuisce come se gli fosse indifferente e accenna un vago sorriso prima che l'angelo esca dalla macchina e richiuda la portiera. Aziraphale non sa perché, ma appena entra nel negozio ha paura di essersi addormentato per sbaglio e di aver sognato quello che è successo. Ha paura di aver soltanto immaginato il ritorno di Crowley e di essere ancora irrimediabilmente solo. L'unica prova di aver vissuto veramente quella notte è la borsa nazista che stringe tra le mani.

Il pensiero gli fa arricciare il naso: in fretta libera i volumi dalla pelle e si pulisce le mani sul cappotto con aria schifata. Non crede che sia un manufatto demoniaco, ma decide lo stesso di far sparire la valigia con uno schiocco di dita. Questo lo solleva un poco, ma l'altro problema, la fitta che non ha smesso di accompagnarlo da quando Crowley ha salvato i libri, è ancora lì. Ora avverte anche distintamente una punta di sollievo e un pizzico di speranza, ma proprio non capisce. Non è mai stato così, non così intensamente. Deve sedersi e prendersi la testa tra le mani per provare a calmare il respiro. E deve davvero parlare con qualcuno Lassù perché non pensa di poterlo sopportare tanto più a lungo, quel dolore.

Gli scappa un risolino: se non fosse intelligente, probabilmente penserebbe di essere l'eroina di un romanzo rosa alle prese con il Vero Amore, ma, insomma, Aziraphale non ha proprio nessuno a cui rivolgere tale sentimento. È un angelo, ama tutti indistintamente e incondizionatamente. Più o meno. Certo non ama i nazisti come ama tutti gli altri, o come...

«No», nega, gli occhi ora sgranati e tondi come biglie e il respiro di cui non ha bisogno incastrato in gola. «No. No no no no no no. No

La sua mente è impigliata in quell'unica sillaba e non riesce a pensare ad altro. Aziraphale non glielo permette, perché ha capito dove andrebbe a parare e proprio non può farlo. È assurdo, è imprudente, è blasfemo.

«No.», pigola ancora, mente deglutisce a vuoto e dà un senso a tutto. «No.», ripete, e stavolta sembra più un , ma non lo dice nemmeno a sé stesso.

D'improvviso la sua testa si concentra su un'altra parola, una di quelle brutte e poco professionali che non stanno bene sulle labbra di un angelo.

«Ca... Cavolo!»

Si è graziato all'ultimo momento. Almeno quello non è cambiato.







[A Stria93, che sa essere molto convincente]

   
 
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