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Autore: cut_wing    19/07/2019    0 recensioni
Fingon cerca di consolarlo, di convincerlo che era solo un pezzo di carne, e nervi, e ossa, ma per lui simboleggiava molto di più.
Era quella mano, che lui e Maglor si stringevano sempre.
Era quella mano, che i gemelli afferravano.
Era quella mano che maneggiava la spada, che dispensava carezze ai fratelli, che scriveva lettere alla madre, che firmava documenti.
Non era solo un pezzo di lui. Era parte della sua essenza, del suo fuoco interiore che prima giudicava inestinguibile.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maedhros
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-Maedo! Maedo! -
Curufin si scostò appena in tempo, evitando di venire travolto da due pesti dai capelli di fiamma.
-Amrod, Amras. Cos’avete da gridare così? – chiese, seccato. Stava studiando alcuni dei vecchi lavori di suo padre, quando i fratelli minori lo avevano interrotto. Aspettò spiegazioni ma, vedendo che al momento sembravano troppo sfiancati per parlare, fece per rimettersi al lavoro. -È tonnato Maedo! – ripeté uno dei gemelli, con il fiatone.
Curufin ci mise un po’ a capire a chi si riferissero; avevano appena compiuto cinque anni -il giorno prima, in effetti- ma facevano ancora fatica a pronunciare alcune parole. Così lui veniva chiamato “Cuin”, Caranthir “Cai”, Celegorm si era trasformato in “Ceom”, Maglor si era ritrovato (senza che nessuno ne capisse il motivo) il soprannome di “Momo” e Maedhros era diventato “Maedo”.
-Maedhros- li corresse, calcando la voce sulle consonanti per mostrare che, nonostante avesse solo tre anni più di loro, era intellettualmente molto più maturo –non tornerà prima di qualche settimana. Rassegnatevi, dirlo non lo farà diventare reale. –
Alla sua glaciale risposta si aspettava di vedere i due abbassare lo sguardo ed uscire dalla stanza mogi mogi, lasciandolo in quel modo libero di farsi gli affari suoi, ma ciò non accadde.
-Ha detto che palla con papà e poi viene. – Insistette Amras, che sembrava non riuscire a stare fermo un secondo.
-Addiamo a chimae Cai, Ceom e Momo. Ciao Cuin! – Risero, lasciando un titubante Curufin a chiedersi se non avessero appena inventato un nuovo scioglilingua.
Trovarono il resto dei fratelli nelle stanze del secondogenito che, con l’arpa in mano, suonava una melodia appena composta da lui stesso. I gemelli rimasero imbambolati qualche istante, lasciando che la voce di colui che molti chiamavano “Possente cantore” prendesse il sopravvento sulle loro menti e li trascinasse verso una terra di luci e di canti soavi. Fu proprio Maglor, accortosi della loro presenza, che interruppe la magia di quel momento.
-Piccoli, che ci fate qui? – domandò, con quella voce che modulava con la stessa cura canti e normali conversazioni. Amrod e Amras borbottarono qualche parola, cercando di ricordarsi il motivo della loro precedente fretta.
-Spero che abbiate una buona ragione per averci interrotti. – li rimbrottò Caranthir, seccato per l’intrusione in quello che doveva essere uno dei pochi momenti di intimità che i fratelli maggiori si potevano concedere.
Celegorm invece, unica testa bionda tra le chiome corvine che gli sedevano ai lati, sorrise loro, incoraggiante.
-Oh, sì: Maedo! È tonnato! – rammentò Amrod d’un tratto, esibendosi in un enorme sorriso.
I tre scattarono in piedi. –Dov’è? - -Giù. –
I maggiori corsero per le scale, seguiti dai gemelli che cercavano di stare loro dietro saltellando.
Maglor fu il primo a giungere nel salone di fronte allo studio del padre, e lì lo vide.
I vestiti sporchi di fango e polvere che coprivano quel corpo possente e tuttavia capace di esprimere dolcezza e protezione verso tutti i fratelli, i lunghi capelli fulvi raccolti in una treccia sottile che lasciava libero il viso dai tratti decisi, gli occhi color della tempesta che però in quel momento esprimevano solo un’infinita gioia; ogni singolo dettaglio, dalla fossetta che gli si creava sulla guancia destra quando sorrideva, al suo strano modo di risvoltare i pantaloni sopra agli stivali, gli era mancato più di quanto riuscisse ad esprimere.
Maedhros ricambiò il suo sguardo, allargando le braccia come per invitarlo ad avvicinarsi, cosa che fece senza esitazione. Quando si trovò di fronte a lui si sorrisero e alzarono entrambi la mano destra, intrecciandole fra loro e sfruttandole per trascinare l’altro in un forte abbraccio. Rimasero in quella posizione per qualche istante, poi la voce sprezzante di Caranthir li interruppe.
-Avete finito? Guardate che ci siamo anche noi. –
Maedhros rise, cingendo con un braccio lui e con l’altro Celegorm.
-Come potrei mai dimenticarmi di voi? – mormorò, baciando ognuno sulla fronte.
-Ci sei mancato. – sussurrò il cacciatore, stringendosi ancora di più a lui e strappandogli un sorriso intenerito.
-Curufin. – lo richiamò, accarezzandogli i capelli. Fra loro c’era sempre una barriera, quella del padre che, anche se non era lì in quel momento, aveva creato tra loro una certa rivalità. Nonostante questo, per una volta il prediletto sembrò felice di quella carezza; come amava dire il nonno, dispensando consigli e saggezza, “a volte la lontananza avvicina più di quanto non possa fare il vivere sotto uno stesso tetto”.
-Maedo! –  
-Ambarussa! – Lui era l’unico a chiamarli così, un’abitudine che aveva preso ancora prima che venissero alla luce e che quindi era dura da mandare via.
I gemelli gli si avvicinarono e alzarono le manine, cercando di imitare il saluto che lui ed il secondogenito si erano scambiati. Lui le strinse entrambe nella sua, che a confronto sembrava quella di un gigante, prendendoli in braccio.
-Quanto siete cresciuti! – si finse sorpreso, soppesandoli con lo sguardo. –Aspettate… tu sei Amras. E tu Amrod. –
-No! – risero i due.
-Ma come? Sono sicurissimo! Credete che possa sbagliarmi? – li prese in giro. Ad un loro cenno affermativo si chinò in avanti, simulando di farli cadere.
-Ah, davvero? Ripetetelo se avete il coraggio! – I gemelli fecero un paio di urletti, ridendo a crepapelle.


Sembra passato un secolo da allora.
Maedhros si guarda il braccio, partendo dalla spalla ed arrivando fino alla mano. O, almeno, a dove dovrebbe trovarsi.
Sovrappone l’altra mano al moncherino del polso, ottenendo solamente un’ulteriore mano sinistra dove invece dovrebbe stare la destra.
Ma lui ricorda che fine ha fatto. Ricorda, e per un istante vorrebbe non aver visto.
 
Si convinse che sarebbe andato tutto bene se non avesse guardato.
Era un pensiero sciocco ed infantile, come quando da piccolo Maglor insisteva a giocare a rimpiattino nascondendosi e poi canticchiando per passare il tempo, sicuro che lui non lo avrebbe trovato ugualmente, o come quando, per “eguagliare” la sua lunga capigliatura, i giovani Ambarussa si erano legati i capelli tra loro ed erano andati in giro schiena contro schiena per un pomeriggio intero.
Era una cosa stupida, ora se ne rende conto, ma in quel momento gli sembrò un buon modo per affrontare la situazione. Per affrontare la morte.
Con la consapevolezza che suo cugino stesse prendendo la mira chiuse gli occhi, sentendo però la voce di suo padre rimproverarlo per la sua codardia. Lo ignorò. Quella era la sua fine, e nessuno avrebbe potuto dirgli come viverla. E con quel pensiero, sentì il peso di anni di aspettative scivolare via, insieme ad una piuma che gli cadde sul viso.
Aspetta… una piuma?
Riaprì gli occhi, ritrovandosi faccia a faccia con Fingon.
-Io ti libererò. Costi quel che costi. – gli disse, lacrime negli occhi di zaffiro. Fu con quelle parole che ancora gli rimbombavano nelle orecchie che, dopo aver provato in tutti i modi a rompere e divellere la catena che lo teneva sospeso sul baratro, estrasse la spada.
-Perdonami, è l’unico modo. – mormorò, facendogli appoggiare la testa sul suo petto. –Mi… fido. – gli rispose con un sussurro roco, chiudendo nuovamente gli occhi.
Fu in quell’istante che accadde. Lui urlò. Un grido disumano, pieno di dolore, che costrinse Fingon a premergli la bocca contro la sua casacca.
Prima di perdere i sensi Maedhros sentì le lacrime scorrergli a fiumi lungo le guance e impregnare la stoffa, e vide qualcosa staccarsi dalla catena e cadere nel dirupo. Una mano.
La sua mano.


Fingon cerca di consolarlo, di convincerlo che era solo un pezzo di carne, e nervi, e ossa, ma per lui simboleggiava molto di più.
Era quella mano, che lui e Maglor si stringevano sempre.
Era quella mano, che i gemelli afferravano.
Era quella mano che maneggiava la spada, che dispensava carezze ai fratelli, che scriveva lettere alla madre, che firmava documenti.
Non era solo un pezzo di lui. Era parte della sua essenza, del suo fuoco interiore che prima giudicava inestinguibile.
-Quel fuoco continuerà ad ardere per sempre. – gli dice Fingon, posandogli una mano sul moncherino e poi sul cuore. –Qui… - gli lascia un delicato bacio sulla fronte, dove la pelle chiara lascia spazio ad una cicatrice biancastra e rugosa. -…e qui. –
Maedhros non dice nulla, si limita a guardare di fronte a sé ed a nascondere il braccio destro sotto al mantello.
I suoi fratelli stanno per arrivare, sente i loro passi impazienti fuori dalla tenda.
Quando entrano, lui dà loro le spalle.
Sente Fingon uscire, ed è solo in quel momento che si volta.
I suoi fratelli sono sconcertati, riesce a capirlo dal sobbalzo dei più giovani e dallo sguardo imbarazzato degli altri.
Maglor gli si avvicina.
Sembra commosso, non pare badare alle cicatrici che lo ricoprono. Lo guarda negli occhi, forse sperando di trovare ancora una scintilla di ciò che era. Maedhros abbassa lo sguardo; non troverà niente. Suo fratello, Maitimo, è caduto nell’oscurità di un burrone permeato di grida e sangue e lacrime, non è rimasto più nulla di lui. Contro ogni aspettativa, però, lo sente avvicinarsi.
Alza lo sguardo sulla mano aperta che il fratello gli sta porgendo e, senza pensare, lo imita.
Maglor sgrana gli occhi, lo vede combattere contro la tentazione di fare un passo indietro, di sottrarsi a quella vista. Sente qualcuno soffocare un grido, ma non ha il coraggio di guardarli. Immagina le loro smorfie di disgusto, disapprovazione e, cosa ancora peggiore, delusione.
Sente gli occhi riempirsi di lacrime come quel giorno, la prima volta che ha pianto da quando ha imparato a camminare. Si vergogna, e non vuole che quella stessa vergogna ricada sulla sua famiglia.
-Maitimo… - lo chiama Maglor, ed al suono della sua voce abbassa la testa di scatto, come se si aspettasse di venire sgridato per qualcosa. Invece, sente qualcosa avvolgersi attorno al moncherino. Alza lo sguardo e vede il fratello sorridere, afferrando ciò che rimane del polso con la mano e portandoselo al petto. Gli porta l’altro braccio attorno al collo, appoggiandogli la tempia contro la sua mandibola, e Maedhros non può fare a meno di abbracciarlo, lasciando che alcune di quelle lacrime a lungo trattenute scendano a bagnare i capelli d’ebano del minore.
Gli altri fratelli si uniscono a loro uno dopo l’altro, finché ne rimane solo uno.
-Papà? – lo chiama Maedhros irrigidendosi, per un attimo dimentico della sorte che è toccata al genitore. L’elfo che gli sta di fronte non è suo padre, e ad una seconda occhiata si chiede come abbia fatto a scambiarlo per lui. Ci assomiglia molto, è vero, ma riconosce nella sua postura e nel suo sguardo una morbidezza ed un’insicurezza che Feanor sostituiva con capacità e disciplina.
-Curufin… - si corregge.
Il fratello gli si avvicina lentamente, squadrandolo da capo a piedi, ed è in quell’istante che Maedhros capisce che in realtà sperava che fosse Feanor. Perché vuole il suo perdono, e l’unica persona che può concederglielo in sua vece è quel fratello con il quale si è tanto confrontato, sfidato e che nonostante tutto lo ha sempre preceduto agli occhi dell’unica persona di cui Maedhros volesse veramente essere degno.
-Eravamo preoccupati per te. – gli dice, appoggiandogli una mano sulla spalla. Lui inspira, accorgendosi di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, e gli sorride.
-E dai! – Si lamenta Amras, prendendo un braccio di Curufin e spingendolo nel mucchio. Tutti quanti ridacchiano, e la tensione svanisce.


Prima di perdere i sensi Maedhros sentì le lacrime scorrergli a fiumi lungo le guance e impregnare la stoffa, e vide qualcosa staccarsi dalla catena e cadere nel dirupo. Una mano.
Potrebbe essere stata di chiunque.
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
Buongiorno a tutti!
Sono molto felice di scrivere in questo fandom!!!
Ho appena cominciato a leggere il Silmarillion, che è il primo libro di Tolkien che leggo (se non contiamo la trilogia del Signore degli Anelli, in cui però ho saltato un mucchio di pagine ed ho letto solo i paragrafi dove trovavo le parole “Legolas” o “elfi”, che sono meno di quanto immaginassi…), per cui per molte cose mi sono affidata a Wikipedia.
Spero di non aver fatto casini con i personaggi e con gli avvenimenti, anche se ho appositamente cercato di scrivere principalmente su missing moments per evitarlo.
Per quanto riguarda l’età dei personaggi, me la sono inventata di sana pianta e quindi mi scuso in anticipo per tutti gli errori (o, ma speriamo di no, gli orrori) che posso aver fatto.
Alcune parti di questa storia mi hanno presa molto, anche più del solito, e spero di esservi riuscita a lasciare qualcosa delle emozioni che ho provato scrivendola.
Grazie a tutti quelli che leggeranno o che recensiranno, e grazie a Tolkien che mi ha permesso di prendere ottimo e lode all’esame!!!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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