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Autore: MoeniaDea    20/07/2019    0 recensioni
tutto è iniziato durante il Natale 2018. avevo guardato un Astrocaffè sulle sonde Voyager, seguivo l'avvicinamento di New Horizons a Ultima Thule, e da poco avevo letto della scoperta di Farout, quando l'idea mi balza in mente. perché non raccontare di una sonda che viaggia verso il nuovo pianeta nano?
ho provato a partecipare a un concorso del Premio Calvino con questa storia, e ciò mi ha permesso di rielaborarla, anche aggiornandola in termini astronomici. premetto che ogni elemento, come il tempo di viaggio e la velocità, sono state calcolate basandosi su dati reali (soprattutto dalla missione New Horizons). ho cercato la maggiore fedeltà astronomica.
enjoy.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bip. Bip.
Un segnale inviato. Un segnale ricevuto. Decine di chilometri in pochi secondi, da un mondo all’altro. Questa è la mia vita. Fluttuo nel vuoto che colma lo spazio tra i pianeti. Al mio interno, un cuore radioattivo mi alimenta. Ogni mio organo, viene saziato. Continuerò a lavorare ancora per molto.
Sono il frutto dello sforzo di molte nazioni, nei laboratori dove sono nata e poi assemblata ho sentito molte lingue. Era come tornare a Babele, anche se non ci sono mai stata. Magari alcuni degli atomi che mi compongono sì: chissà che storie hanno vissuto. Sono la reincarnazione del desiderio di conoscenza dell’Homo sapiens.
Nel frattempo, continuo a viaggiare solitaria. Il mio potente occhio imprime in zeri ed uno tutto ciò che vede, e lo invia alla Terra. Gli uomini hanno bisogno di me e delle mie sorelle per conoscere ciò che fisicamente non possono raggiungere, ci hanno costruito per questo.
 
Continuo a registrare informazioni, perché così potranno nascere altre sonde, forse più specifiche per un pianeta, o una luna, o chissà quale altro oggetto. Io stessa ho uno scopo. L’umanità desidera nuove case, la loro sta soffrendo: rinnegano le responsabilità di custodi e scappano.
Salto di pianeta in pianeta, usando la loro gravità come forza propulsiva, come quando un umano nuota in una piscina ed esegue una virata per cambiare direzione: anche questa è una delle informazioni che custodisco. Gli umani mi hanno fornito non solo strumenti, ma anche schede piene di dati che possono sembrare futili per me, ed invece si rilevano essenziali. Per chi? Ai loro discendenti forse, che nasceranno in future colonie sviluppate con una tecnologia migliore della mia. O ad altri abitanti dell’Universo. Hanno addirittura composto un brano per ogni pianeta che avrei incrociato sul mio cammino. Li riproduco nel silenzio dello spazio, però il suono non si propaga. Sto scandendo il silenzio.
Bip. Bip.
Nuove istruzioni giungono. Dopo aver toccato Plutone, come mia sorella New Horizons, andrò verso uno degli ultimi pianeti della famiglia: 2018 VG18, battezzato Farout.
Sono pochi i dati che possediamo su questo corpo celeste. I miei strumenti sono adatti a studiarlo, e lo incrocerò sulla mia rotta. È molto lento, ci mette un millennio a compiere una sola rivoluzione, e vi giungerò tra venticinque anni terrestri, dopo Plutone. Passerà molto tempo, verrò ibernata. Un sonno senza sogni, perché noi sonde non possiamo che morire: tra Thanatos ed Hypnos, solo il primo ci avvolgerà con le sue ali.
Bip. Bip.
Ricevuto, casa.
 
Sono passati venticinque anni. Centodiciannove unità astronomiche da casa. Oltre diciassette miliardi di chilometri. Nel mezzo, il vuoto. Nel mio viaggio, non ho incontrato solo desolazione, ma ho visto da lontano piccoli mondi, come Eris ed Ultima Thule, oltre ad asteroidi e comete che vagavano senza meta nel vuoto, soggiogati solo dalla gravità del Sole.
Ora sono alla mia nuova meta. Sono felice di essere qui. Un nuovo mondo, che verrà ricordato grazie a me nella mente corta degli umani. Felicità? Posso provarla?
Mi avvicino. Davanti a me appare una sfera rosata. Ghiaccio, ghiaccio ovunque sulla superficie. È tutto frantumato, con crateri e lunghe crepe. C’è poca luce qui. Il mio occhio necessita di più tempo per una singola foto. Inizio però a scattare. Tutti i miei organi lavorano, riesco a capire la massa dalla gravità, da come mi attira a sé; riesco a percepire l’assenza di un suo campo magnetico. Ma è solo una sfera di ghiaccio e roccia col diametro di poco inferiore ai cinquecento chilometri, non poteva essere altrimenti. Piccolo mondo, saremo legati nella storia.
Mi avvicino ancora, ma per poco. È il momento dell’addio, dopotutto era solo un flyby. Riposo, se così si può chiamare, prima di nuove istruzioni. Prima di conoscere il mio destino.
Il segnale impiega sedici ore e mezza per viaggiare da me alla Terra, e viceversa. Alla fine, gli umani hanno scelto la mia sorte.
Bip. Bip.
 
Addio, Farout. Fratello per poco tempo. È ora che io parta, mi aspetta l’Universo. Cos’altro vedrò me lo saprà dire solo il tempo.
Dietro di me, impassibile a tutto, si avvicina un gigante: pianeta enorme, con una gravità spaventosa, che da lontano mi richiama a sé. Lo avevo percepito già vicino al mio piccolo mondo rosa, la sua presenza era innegabile: il Pianeta Nove. Da casa, tutti festeggiano per la conferma della sua esistenza. Le mie immagini, dove appare come un grande punto bianco sul nero dello spazio, sono per loro il mio massimo successo.
Posseggo abbastanza carburante per recarmi verso quel misterioso pianeta. Sento gli umani fiduciosi di farcela, interrogano la matematica pensando solo a come farmi effettuare un flyby complesso oltre ogni aspettativa. Non sarà come su Farout, ma orbiterò attorno al pianeta nel tentativo di effettuare una fionda gravitazionale. Ed alla fine tornerò a viaggiare alla deriva.
Bip. Bip.
Ci siamo. Invertire la rotta, a questa velocità era impossibile. Ho consumato più carburante del previsto, ma sono riuscita ritornare verso il Sole facendo una parabola. Mi avvicino sempre più al gigante. Sto per risolvere il mistero sul Pianeta X, bramo di catturare ogni dato possibile con i miei strumenti danneggiati dal tempo e dai raggi cosmici. La sua figura sorge maestosa.
Bip. Bip.
Arrivano nuove comunicazioni: ogni dato dovrò salvarlo col nome di battesimo scelto per il pianeta, Tartaro. Mi avvicino sempre più. Nell’ombra, appare grande il triplo della Terra, la sua massa è dieci volte quella di casa. La gravità mi trascina verso la superficie, riempiendo di terrore il flusso di dati verso la Terra. Ogni goccia di carburante viene usata per tenermi in orbita, mentre tremo nello sforzo di resistere. I calcoli erano sbagliati, non posso farcela.
Col mio occhio, catturo immagini del mostro. Cerco ogni dato possibile, consumando ogni isotopo della mia batteria. È questo quello che gli umani chiamano infarto?
In questa spirale suicida, mi ritrovo a vedere il Sole un’ultima volta. Mi volto per l’ultima volta verso la mia casa. Devo compiere il mio dovere, continuare a placare la sete di conoscenza dell’essere umano.
Bip. Bip.
 
A casa si chiederanno come mai io abbia detto loro “goodbye home”. Mi comprendono? O intendono solo che, magari per scherzo di qualche programmatore, giunta a questo punto avrei inviato quel messaggio?
Bip. Bip.
Casa, mi manchi. Non desidero più conoscere, ma tornare da te, per vedere un’ultima volta il blu dei tuoi oceani, anche solo da lontano, attraverso il mio occhio rovinato.
Cerco nell’archivio destinato agli altri umani. Partono canzoni sulla nostalgia nel silenzio. Non voglio morire, voglio dormire e risvegliarmi sulla rotta di casa. Ma sono senza carburante, il mio è solo un sogno.
Bip. Bip.
La batteria non ha più energia. I miei strumenti muoiono uno ad uno. Alla fine, muoio anche io, mentre Tartaro mi attira a sé, con la sua tremenda gravità. La sua atmosfera brucia attorno al mio corpo, rendendomi impossibile anche solo capire cosa io abbia attorno. È arrivata la fine, i pensieri finiscono insieme ai metri che mi separano dalla superficie.
Bip.
System arrested. Power: off.
   
 
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