Il mio Angelo
È passato qualche anno da quella
giornata di primavera, quella
giornata che ha cambiato totalmente la mia vita, che mi ha fatto rinascere come
vampiro e mi ha concesso l’opportunità di trascorrere il resto della mia
esistenza accanto all’angelo più splendente che potesse esistere.
Passai la maggior parte dei mesi
invernali del
Quando riuscivamo a trovare un’automobile, più che
altro a rubarle ai nostri padri, andavamo a passare le serate in città:
ballavamo, bevevamo qualcosa, scherzavamo con le ragazze, ma il divertimento
finiva presto. Sapevamo tutti che ci saremmo
dovuti alzare all’alba per ricominciare a lavorare. Così, il vero svago
arrivava insieme alla primavera. Io e i miei fratelli, insieme ad altri ragazzi, nostri coetanei,
preparavamo fucili e abiti mimetici per dare la caccia agli orsi appena usciti
dal letargo. Questo li rendeva ancora più irritabili e pericolosi... e noi ci
divertivamo da matti a provocarli, a giocare con loro e renderli irrequieti.
La primavera del 1935 arrivò in
fretta e in paese cominciarono a girare voci sull’avvistamento di un grizzly
gigante che aveva creato il panico anche tra i cacciatori più esperti, nonché di altri animali non meglio
identificati, molto feroci e che non lasciavano tracce. Eravamo caricati al massimo, dopo queste notizie, non vedevamo
l’ora di trovarci davanti al grizzly. Eravamo giovani e incoscienti, non ci
spaventava niente ed eravamo pronti ad affrontare qualsiasi cosa.
Non potevo sapere che durante una
chiara giornata d’aprile il mio destino sarebbe cambiato.
Dopo una settimana, nessuna
traccia di orsi. Ci stavamo
divertendo, indubbiamente, ma la mancanza di bestie feroci ci toglieva parte
dello svago. Le scommesse sul primo di noi che avrebbe
abbattuto un grizzly si alzavano sempre di più ed eravamo tutti impazienti di
vincere.
Una mattina mi alzai prima degli altri, mi sentivo agitato. Un senso
d'inquietudine si era impossessato di me la sera prima, tanto che il mio sonno non fu affatto rilassante e mi
svegliai quando i primi raggi solari fecero capolino tra le foglie. Mi lavai la
faccia con l’acqua gelida del fiumiciattolo che passava là vicino, cercando di
scacciare gli incubi che avevano affollato la mia mente durante la notte. Immagini di dolore e morte, di sangue e carne. Non riuscivo
a spiegarmele.
Presi il mio fucile e cominciai ad aggirarmi da solo
nella foresta. Senza accorgermene, mi ritrovai in una piccola radura illuminata
dal sole, parecchio lontana dal campo. Ci eravamo
capitati un paio di giorni prima, senza però scorgere neanche l’ombra di un
animale. Alzai gli occhi al cielo e rimasi accecato dal disco luminoso che vidi
alto sulla mia testa. Avevo camminato per ore, senza rendermene conto. Un
fruscio improvviso alla mia sinistra mi fece tornare in me e andai a
nascondermi dietro un cespuglio, accanto a
un albero.
Vidi le foglie muoversi, sentii
dei versi animali farsi sempre più vicini e riconobbi l’inconfondibile bramito
di un orso. Puntai con calma le canne della mia arma verso il folto cespuglio
che nascondeva la bestia ai miei occhi e aspettai che si mostrasse nella
radura. Percepii l’adrenalina scorrere nel mio corpo e darmi scariche
elettriche sempre più potenti, il cuore mi batteva a mille. Ma il turbamento di quella mattina tornò a prendere
possesso della mia mente e persi la lucidità di cui avevo bisogno. Sparai prima
del dovuto, il tonfo sordo del colpo rimbombò per la foresta e stormi di uccelli si alzarono in volo. Il
suono di un guaito raggiunse le mie orecchie e capii di aver centrato il mio
bersaglio. Uscii dal mio nascondiglio col fucile ancora imbracciato e carico,
nel caso in cui l’animale fosse uscito
allo scoperto. Raggiunsi a passi
volutamente lenti l’altro capo della radura e con la canna del fucile scostai
le foglie per ammirare la mia preda.
Fui preso da un moto di panico
quando una scena che nessun cacciatore vorrebbe mai trovarsi ad osservare mi si
presentò davanti. Sgranai gli occhi preso
dal terrore. Avevo sparato a
un cucciolo. Preso dall’agitazione avevo sparato a un cucciolo d’orso. Mai sparare a un cucciolo. Se c’è un cucciolo, sua madre sarà nei paraggi. E le madri sono sempre molto
protettive nei confronti dei figli. Questo ci ripeteva sempre nostro padre.
L’orsa non tardò ad arrivare, me la ritrovai
di fronte in tutta la sua maestosità. Non fui
abbastanza veloce nel puntarle il fucile contro, con una zampata me lo tolse
dalle braccia. Feci l’unica cosa sensata che avrei potuto fare: mi girai e
cominciai a correre, sperando che non mi raggiungesse.
Ma l’orsa era furiosa e una possente zampa si abbatté
sulla mia schiena, lacerandomi il dorso con gli artigli. Caddi rovinosamente e
la bestia mi fece girare con una musata. La ferita bruciò a contatto con la
terra e gridai il mio dolore, ma questo sembrò far inferocire ancora di più
l’animale. La vista mi si annebbiò quando
i suoi denti affondarono nella mia carne. Il suo peso mi schiacciava, un freddo
glaciale mi penetrò nelle ossa e un silenzio irreale ci circondò; l’orsa parve
avvertire il pericolo imminente e fermò la sua vendetta.
Ero allo stremo delle forze, per
me era finita, lo sentivo. Il mio corpo si alleggerì, la belva non mi pesava
più addosso e l’apparizione di un angelo dai capelli biondi e la pelle
splendente mi fece capire che la mia morte era vicina. Mi guardò con aria preoccupata, almeno così mi sembrò
nel mio delirio. La vidi respirare a fatica e poi sparì.
Dove sei, Angelo? Non
abbandonarmi...
Un brivido mi scosse e mi
sorpresi di riuscire a sentire freddo, nonostante il gelo che già sentivo.
-Guardami, guardami negli occhi,
non mi lasciare...-
Fissai quei dolcissimi occhi
dorati e mi sentii in
Paradiso. Era quello il luogo dove sarei arrivato, alla fine? Neanche un
passaggio dal Purgatorio? E pensare che in vent’anni di vita mi ero divertito parecchio... Con le
donne, con gli amici, con i miei fratelli...
Raccolsi ogni briciolo di forza
che mi era rimasta, mentre
l’Angelo volava tenendomi in braccio. I contorni della foresta erano sempre più
sfocati, nello sforzo di concentrarmi su quel viso. Non capivo perché non si
fosse ancora alzata in cielo. Il suo volto era concentrato e la vidi storcere
il naso parecchie volte, in una smorfia buffa che riuscì a farmi sorridere,
anche se me ne pentii subito, date
le fitte che mi colpivano atroci al busto. Perché,
se ero morto, continuavo a provare dolore? Questo non lo sapevo, ma ogni volta che mi contorcevo, Lei mi
stringeva di più e tornava a guardarmi.
-Resisti, ti prego. Resisti. Manca poco e poi starai
meglio, te lo prometto.-
Cercai di
parlare, ma ogni mio singolo movimento portava ad un dolore lancinante che mi
scuoteva dalla testa ai piedi. Mi parve di veder apparire sul suo volto una
smorfia di dolore, ogni volta che accennavo un movimento, quasi stesse
soffrendo insieme a me. Durante il viaggio, il freddo si fece sempre più
pungente, sentii le forze abbandonarmi, ma non volevo distogliere lo sguardo
dal volto angelico che avevo di fronte. Tremai convulsamente, senza riuscire a
trattenermi e la preoccupazione più totale si dipinse sul Suo viso.
-Ci siamo quasi, manca poco... Pochissimo! Resisti ancora un po’, te ne prego...-
La Sua voce era dolce e calda, quelle parole mi arrivavano
come una ninna nanna, ma sentivo che non dovevo chiudere gli occhi o l’avrei
persa per sempre.
Mi ritrovai in una stanza calda e
illuminata, dal soffitto bianco. Il dolore non accennava a diminuire, anzi
sembrava aumentare sempre di più; il freddo che sentivo dentro mi stava gelando
le ossa, non riuscivo più a muovere un solo muscolo. Delle voci mi arrivarono
lontane, una era quella dell’Angelo, l’altra doveva essere quella dell’uomo
biondo, quello che, avevo dedotto,
probabilmente era Dio e ora mi stava giudicando.
-No, Rosalie! Non posso farlo, tu sei stata
l’ultima.- Rosalie? Era quello il suo nome?
-Ti prego Carlisle...- Un tono di disperazione rendeva la
sua voce più acuta, sembrava stesse piangendo.
-Ti ho detto di no.-
-Ti prego, ti supplico... Per
favore, papà... Salvalo.-
Salvarmi da cosa? Forse in vita
mia ne avevo combinate troppe
e il Paradiso non mi era concesso. Lei voleva tenermi con sé? Per questo era
disperata? Mi stupii di riuscire ancora a sentire qualcosa, conciato com’ero.
-Rosalie, quello che mi stai
chiedendo non è un gioco. Mi stai chiedendo di mettere fine ad una vita, di
condannarlo come noi a
un’esistenza senza fine…-
-Ti prego...- Silenzio.
-Va bene, ma dovrai spiegargli
ogni cosa e insegnargli a cacciare. E se dovesse
decidere di andarsene dovrai lasciarlo libero, non potrai costringerlo a
restare con noi.-
-Certo! Penserò a tutto io, te lo prometto! Ma ora, ti prego, salvalo. Non gli
rimane molto tempo.-
La Sua voce era più calma ora,
quasi sollevata.
Non avevo molto tempo, aveva detto. Questo voleva forse dire che qualcuno reclamava la mia
presenza in un luogo diverso da quella camera bianca?
Non riuscii a darmi una risposta, non riuscii a fare
nient’altro. Un torpore improvviso si impossessò
del mio corpo e il dolore sparì del tutto... Stava succedendo, stavo davvero
andando in Paradiso. Finalmente ero morto e tutto ciò che era stata la mia vita
non aveva più importanza: da quel momento in poi avrei avuto un angelo accanto
a me, ma non uno qualsiasi... Avrei
avuto il mio Angelo, la mia Rosalie.
Poi tutto cambiò di nuovo,
qualcosa di duro e affilato affondò nel mio
collo e urlai disperato, non capivo cosa mi stesse succedendo. Sentii ogni briciola di forza abbandonarmi
velocemente e un fuoco infernale mi avvolse completamente. Cosa stava succedendo? Un attimo
prima mi trovavo in Paradiso, pronto a passare l’eternità con una creatura
meravigliosa, e un attimo dopo ero stato gettato tra le fiamme dell’Inferno?
Non so quanto tempo passò, da
quel momento. Il fuoco non mi abbandonava, ardeva furioso ogni istante di più;
la vista era annebbiata, ero sicuro di trovarmi nella stessa stanza di prima,
il soffitto era sempre lo stesso, ma quando provavo a girare la testa i
contorni delle cose intorno a me apparivano sfocati. Non riuscivo più a vedere
Lei e credevo mi avesse abbandonato,
ma proprio nel mezzo di quella tremenda tortura, incontrai di nuovo i suoi
occhi e mi sentii stranamente meglio. Il suo viso dolce mi osservava affranto.
-Mi dispiace... So quanto è
doloroso, quanto brucia il fuoco che senti dentro...
Ma passerà presto, te lo prometto...-
Era preoccupata per me. Mi accarezzò con tenerezza una
guancia, la sua mano era gelida in confronto al mio viso: mi diede sollievo,
almeno per un po’.
Lentamente il fuoco cominciò a indebolirsi, mi sentivo più
lucido e la presenza di Rosalie mi dava forza.
-Stai meglio, vero?- Mi guardò
negli occhi, quelle iridi dorate mi fecero
perdere ogni frammento della mia anima, mi ci persi dentro senza avere la
voglia di uscirne, legai indissolubilmente ogni fibra del mio essere a lei
attraverso una promessa silenziosa. Non mi sarei mai allontanato da Lei. Mai.
Annuii, stavo meglio, ma non mi
sentivo in grado di parlare, non ancora.
-Ci sono delle cose che devo
dirti.-
Qualsiasi cosa, dimmi quello
che vuoi. Mi basta ascoltare la tua voce. Sperai che mi capisse, che
riuscisse ad ascoltare i miei pensieri, interamente dedicati a Lei.
-So che ti sembrerà assurdo
quello che sto per dirti, ma
è la verità.-
Niente di ciò che dici può
essere assurdo.
Si guardò intorno mordendosi le
labbra; quel suo gesto involontario mi fece venire voglia di darle un bacio, un
solo piccolo bacio.
-Non so da dove cominciare...- Si
portò le mani sul viso e poi tornò a fissarmi. -Io mi chiamo Rosalie. Che
idiota, non è certo la cosa più importante che devo dirti... Accidenti!-
Imprecò e si morse di nuovo le
labbra. L’osservai meglio, era seduta accanto a me sopra quello che sembrava un letto matrimoniale e le sue
mani si contorcevano e torturavano nervose. Osai muovere un braccio e avvicinai
la mia mano alle sue, l’accarezzai piano e un’espressione stupita le si dipinse sul volto. Non mi
sembrava più gelida come poco -o tanto, chi poteva dirlo?- tempo prima. Quel contatto sembrò darle la volontà di
continuare. Cosa doveva dirmi
di così terribile? Che ero
morto lo sapevo già...
-Vedi, la mia famiglia... Noi siamo...- Era ancora incerta
e combattuta. Cercai di stringere con più forza
le mie dita intorno alle sue. -Noi siamo vampiri...- Vampiri? -Lo so, è assurdo. I vampiri non
esistono. Lo credevo anch’io prima che Carlisle mi trasformasse, ma è proprio così. Siamo vampiri e ci
nutriamo di...-
Continuò a parlare senza sosta,
probabilmente colta dal panico più totale. L’espressione sul mio volto doveva
averla sconcertata. Avevo storto il naso e la bocca, come se avessi appena
mangiato un limone intero. Vampiri? Esseri leggendari che si nutrono di
sangue, dormono nelle bare, si trasformano in pipistrelli e bruciano al sole?
Non avevo mai creduto a queste storie, ma se era Rosalie a raccontarmele almeno un fondo di verità
doveva esserci.
-Quando la trasformazione sarà completa potrai fare
quello che vorrai. Se vorrai allontanarti dalla nostra famiglia non te lo impedirò. Come vampiro sentirai spesso il bisogno di
nutrirti di sangue umano. Per noi rappresenta un sacrificio privarcene, ma
preferiamo vivere in questo modo piuttosto che vagabondare per il mondo e... non so, fare quello che fanno
gli altri vampiri.-
Un milione di domande mi affollavano la mente: che ne
sarebbe stato di me? E della
mia famiglia? Cosa sarebbe successo
se fossi tornato da loro? Sicuramente i miei fratelli avrebbero trovato il mio fucile e i brandelli dei miei
abiti e avrebbero capito ciò che era successo. E se davvero ero un vampiro,
come avrei reagito se me li
fossi trovati davanti?
Sentivo la gola secca, bruciava
da star male... ancora fuoco, ancora fiamme... come avrei fatto a spegnerle?
Avevo sete, una sete ardente
mai sentita prima. Come avrei potuto placarla? Era questa la sete di cui Lei mi
stava parlando? Non riuscivo a percepire chiaramente tutto quello che mi
diceva, mi perdevo nell’osservare le Sue labbra che si muovevano e non
desideravo altro che catturarle tra le mie. No, non desideravo altro che
bere... Che diavolo mi succede?
-E questo è tutto.- Concluse.
È tutto? Tutto cosa, io non capisco… Ero confuso e
disorientato, l’unica cosa certa che avevo di fronte erano i suoi occhi dorati.
Guardandola ancora ebbi come la
sensazione che i vent’anni
vissuti fino a quel momento fossero stati
incompleti. Come avevo potuto vivere senza perdermi nelle sue iridi per tutto
quel tempo? Era strano, sentivo di non appartenere più al mondo che mi aveva
visto nascere e crescere e nacque dentro di me la consapevolezza che se fossi tornato dalla mia famiglia,
la mia nuova natura -che percepivo ad ogni singolo movimento, ad ogni occhiata
che mi davo intorno, ogni volta che inspiravo- li avrebbe spaventati.
Da
quello che mi aveva detto Rosalie, avrei
potuto essere attratto dal loro sangue e avrei potuto cibarmi di
loro e ucciderli. Questa possibilità mi terrorizzò e decisi che era meglio
lasciargli credere che fossi morto. Dissi addio a tutti loro, sperando che in
qualche modo riuscissero a sentirmi.
Ora stava per cominciare un’altra
vita e per quanto la cosa mi sembrasse
strana, per quanto avessi sempre pensato che i vampiri erano esseri dannati,
destinati a bruciare tra le braccia di Lucifero, la cosa non mi sembrava così
terribile come avrebbe dovuto. Come poteva essere terribile se al mio fianco
avrei avuto un Angelo meraviglioso?
Mi alzai a sedere e Lei mi guardò
stupita. Non riuscii a trattenermi
dall’accarezzare il suo volto... Strusciò la guancia sulle mie
dita, chiudendo gli occhi. Ora che riuscivo
a guardarla più lucidamente, mi sembrò assolutamente perfetta. Tutto in lei
rappresentava la perfezione: la pelle bianca e liscia, gli occhi dalle folte
ciglia scure, il nasino alla francese, la bocca sensuale e piena... morivo dalla voglia di assaggiare
quelle labbra e perdermi nel suo sapore, sentivo il suo profumo e tutti gli
altri odori sparirono all’istante. Per il resto della mia vita non avrei voluto
altro che Lei... Lei, Lei,
Lei, solo Lei nei miei pensieri... Per sempre.
E adesso, a distanza di anni, tu sei ancora qui. Bella
come non mai, ti fai cullare dai pochi raggi di sole che passano tra i rami
degli alberi che ci sovrastano e la tua pelle nuda riflette la luce come se
fosse composta da migliaia di
diamanti. Abbiamo appena fatto l’amore nella stessa radura che fu spettatrice del nostro primo
incontro ed ora celebra il nostro legame. Mi tornano in mente i ricordi della
nostra prima volta, del tuo imbarazzo a mostrarti senza vestiti, del dolore che
ti portavi dietro e di come, insieme, lo abbiamo cacciato via. La stessa
purezza che avevi allora, l’hai anche adesso.
Volevi vedere i luoghi in cui
sono nato e cresciuto, così dopo il nostro matrimonio sei voluta venire qui. Siamo capitati per caso in
questo posto e i sentimenti che proviamo
l’uno per l’altra hanno preso il sopravvento.
Hai gli occhi chiusi e strusci il
viso sulle mie mani, che ti accarezzano dolcemente, come piace a te. Li apri
lentamente e noti il mio sguardo perso ad ammirarti.
-Che c’è?- Mi chiedi.
Faccio di no con la testa e
sorrido. -Niente.-
Sorridi anche tu e mi sfiori le fossette con le dita. Le
bacio una ad una e tu ridi, riempiendomi il cuore di gioia. Torno a guardarti
negli occhi e come sempre mi perdo in quell’oro liquido. -Perché
mi guardi così?-
È il solo modo che conosco per
guardarti. -Così come?-
Ti avvicini a me. -Come se non
esistesse nient’altro al mondo...-
-Perché è così.-
Abbassi lo sguardo imbarazzata, io prendo il tuo mento tra le
dita e avvicino i nostri visi, fino a sfiorare le tue labbra con le mie e
bearmi del tuo sapore dolce e irresistibile.
-Ti amo...- Mi dici in un soffio.
Non riesco ancora a credere che questa fortuna sia capitata a me. -Ti amo, Angelo mio...-