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Autore: Sabriel Schermann    22/07/2019    2 recensioni
Era l’alba quando Dante mise piede per la prima volta a Sparta.
Una ragazzina dal volto giovane e fresco lo osservava con gli occhi spalancati, brillanti alla luce notturna.
Per un istante gli balenò nella mente il pensiero, come un ricordo sfocato, che la avesse già vista da qualche parte prima d’allora.
«Bimbetta mia…»
[Fanfiction classificata al quinto posto al contest "A zonzo nel tempo!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dante Vale, Zhalia Moon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era una fredda sera d’inverno quando un uomo dall’addome possente e i capelli scuri e arruffati irruppe nella stanza che gli era stata affidata da quando risiedeva al palazzo reale. I due uomini, insieme agli altri disertori ateniesi, si erano garantiti vitto, alloggio e protezione grazie ad informazioni e consigli strategici a favore dell’armata spartana.
Dante non avrebbe mai voluto fare del male al suo popolo; avendo accettato di aiutare il suo amico, però, non aveva avuto scelta ed in qualche modo aveva indirettamente acconsentito a far morire di fame gli abitanti di Atene.
L’uomo, che nonostante l’età pareva ancora agli albori della giovinezza, gli si avvicinò, prendendo posto sul letto accanto a lui. Dante lo osservò perplesso, potendo solamente immaginare l’ultima bravata del compagno di avventure. Tuttavia decise che, qualsiasi oltraggio avesse commesso, lui gli sarebbe rimasto accanto.
Alcibiade era un abilissimo oratore, in grado di ammaliare e convincere anche lo stratega più diffidente. Si trattava però anche di un individuo meschino, pronto a tradire chiunque pur di salvaguardare i propri interessi. Nonostante ciò, era riuscito a convincere il re di Sparta a dargli credito e Dante riconobbe che senza le sue doti, lui stesso e gli altri probabilmente in quell’istante non si sarebbero più nemmeno trovati al mondo.
Il ragazzo lo guardò crucciato: «Dobbiamo andarcene». Dante ebbe un sussulto, ma l’altro lo precedette: «Re Agide ce l’ha con me, non c’è più tempo, vogliono farmi fuori».
Prima di prendere la porta, gli intimò di raccogliere i propri averi al più presto e portarsi dietro anche tutto il necessario per combattere, in caso ce ne fosse stato bisogno.
La pace era stata intensa, ma come tutte le cose positive, non era durata più di un battito d’ali.

 

˜

 

Entrarono in casa e Dante si accomodò su uno sgabello di legno, intagliato da lui stesso tempo addietro, impugnando del pane ormai secco e versando un po’ di latte in una ciotola.
La invitò a prendere posto di fronte a lui, ma alzando lo sguardo la trovò ancora immobile innanzi alla porta. Dopo varie sollecitazioni, l’uomo posò il pane su un tavolino e si avvicinò alla donna, sollevandole il viso con delicatezza.
Ebbe un sussulto quando vide che su un occhio le si erano posate per qualche ragione tutte le sfumature di grigio che conosceva e vari graffi recenti campeggiavano qua e là sull’intero volto.
Scioccato, l’uomo prese un panno, lo intinse nella poca acqua fresca rimasta in casa e glielo passò sul viso. La ragazza, che fino ad allora aveva tenuto gli occhi serrati, li aprì improvvisamente e Dante poté notare quanto in realtà si fosse ingannato inizialmente: un mare di sfumature comprese tra un color erba acerbo e un caldo color miele spiccava dalle iridi della donna, incorniciate da lunghe ciglia scure. La invitò nuovamente a sedersi e le porse il latte fresco che aveva appena versato per lei.
«Come ti chiami?» chiese l’uomo curioso. Lei non rispose, né bevve ciò che l’uomo le aveva porto. Alzò uno sguardo interrogativo su di lui, che si andò presto a posare di nuovo sulla ciotola.
«Devo pur chiamarti in qualche modo» aggiunse l’uomo, cercando disperatamente un modo per ridurre la tensione. «Sai, tu mi ricordi…» mormorò, ma venne interrotto da un crepitio improvviso e insistente: stavano bussando alla porta e Dante capì che probabilmente si trattava di qualcuno interessato a qualche sua creazione.
«Mangia» le suggerì indicando il cibo, lasciandosela poi alle spalle.

 

˜

 

Vagava solo per le strade della città, non sapeva dove andare e aveva paura, si trovava in territorio nemico e aveva perso di punto in bianco ogni tipo di protezione.
Alcibiade si era dileguato insieme agli altri e una volta usciti dal palazzo si erano divisi senza troppi convenevoli, intenzionati a disperdersi sul territorio peloponnesiaco come tanti piccoli ragni appena nati. Dante era furioso, non avrebbe mai perdonato il suo amico per averlo messo in quella situazione, si era comportato come un vigliacco e un approfittatore come lo era stato in patria, interessato solamente a salvare la propria pelle.
Era completamente solo, non aveva provviste e nemmeno armature: aveva dovuto abbandonare tutto prima di fuggire, combattendo contro qualche guardia. Era stremato, affamato e afflitto. Cosa ne sarebbe stato della sua misera vita, per di più così lontano da casa?
Non poteva accarezzare i capelli chiari della madre, che sembravano fili d’erba fresca sotto il suo tocco, non poteva nemmeno stringere la sorella, da sempre sua fedele compagna di marachelle e racconti notturni. Avrebbe voluto dire loro che li amava e che il suo desiderio più ardente era rivederli, almeno una volta, ancora una, prima di cadere nel baratro.
Dopo qualche ora di cammino, ormai lontano dalla vitalità della città, vide un appezzamento di terra simile a della sabbia. Sembratogli un luogo tranquillo e solitario, prese posto tra i granelli morbidi e sottili che lo accolsero con calore, aderendo al suo corpo.
Si distese con lentezza, privo di qualsiasi altra visuale diversa dal cielo poco dopo il tramonto, tinteggiato delle più diverse sfumature di celeste cosparse qua e là di ombre dorate. Aveva sempre amato osservare le tonalità di colori che la natura può offrire.
Disperdendosi nei ricordi più dolci, esausto, si addormentò.
Fu un grido improvviso a svegliarlo, forse di un animale, o il fragore di un tuono mandato da Zeus per rammentargli la sua presenza in terra nemica.
Tuttavia, Dante poteva vedere tanti piccoli barlumi sfavillare nel cielo, con al centro la loro madre creatrice, la dea Selene. Inquieto, si mise a sedere stropicciandosi gli occhi, mettendo a fuoco il panorama davanti a sé.
Una ragazzina dal volto giovane e fresco lo osservava con gli occhi spalancati, brillanti alla luce notturna. Era accovacciata a pochi metri da lui, il capo coperto con del tulle, ma il corpo avvolto in un peplo¹ corto e candido. Dante non aveva dubbi, si trattava di una giovane spartana.
Si portò d’istinto una mano dove solitamente teneva la propria daga, sperando invano di poterla trovare, ma tastando solamente il tessuto ruvido che univa i suoi vestiti.
Lasciò scivolare lo sguardo sul corpo immobile della ragazza, notando che in una mano teneva un oggetto simile ad una lancia. Era piuttosto corta, ma Dante poté notare chiaramente la sua punta affilata risplendere alla luce della luna. L’uomo si tirò in piedi in uno scatto, temendo il peggio.
Lei cominciò a correre rapidamente e Dante si rese conto di quanto la ragazzina fosse agile e allenata, come si aspettava fosse qualsiasi abitante di quella terra maledetta. L’uomo però, di gran lunga più robusto e temprato della giovane, la raggiunse con un balzo, sovrastandola.
Col proprio volto incastrato nel collo della donna, ansimante e visibilmente spaventata, Dante poteva sentire il suo odore fresco, come se fosse stata a lungo immersa nell’acqua.
La osservò meglio in viso: aveva l’aspetto di una dea e se ne sentì subito attratto. Avrebbe voluto possederla lì, in quel momento, ma era un uomo ateniese ed era un uomo perbene. Non avrebbe mai fatto nulla del genere. I loro corpi aderivano perfettamente l’uno all’atro, quando l’uomo si alzò in piedi con indifferenza, tentando di nascondere la propria eccitazione.
I loro sguardi si incrociarono per qualche istante, poi il soldato decise di rompere il silenzio della notte: «Sai dove posso trovare un po’ d’acqua?».
Col volto buio, la ragazza si sistemò i vestiti, che lasciavano fuoriuscire il suo seno piccolo e immaturo. «Certo che lo so» rispose bruscamente, «ma non ho alcuna intenzione di dirtelo» terminò, allontanandosi un poco per raccogliere la propria lancia.
L’uomo la guardò perplesso. Doveva trovarsi davanti la figlia di un ricco personaggio locale, se aveva l’impertinenza di rivolgersi in quel modo.
«Non è bene che una bambinetta come te se ne vada in giro tutta sola durante la notte» ribatté l’uomo con uguale asprezza, «a disturbare la gente in giro per la città, per di più» concluse duramente.
La ragazza si voltò appena:«Non sono affatto una bambinetta» rispose stizzita, «a me non interessa la guerra, né il matrimonio con chicchessia» fece una rapida pausa, «io sono una donna spartana, sono nata forte e libera» continuò, impugnando il giavellotto con fierezza, guardandolo negli occhi. «La mia famiglia mi ha già trovato un consorte» volse lo sguardo alla luna, «ma io non mi sposerò».
Dante la osservò pensieroso e confuso. «Gli dei vorrebbero ti sposassi, in fondo sei abbastanza grande per farlo» considerò l’uomo. Lei si volse verso di lui con uno scatto, puntandogli la lancia al petto con aria tutt’altro che pacifica.
«Gli dei ora vogliono che tu venga con me, sporco ateniese» sibilò. Dante ebbe un sussulto e il cuore cominciò a battergli forte in petto.
«Muoviti!»

 

˜

 

Quando Dante tornò nell’ingresso di casa si aspettava di trovarla lì, esattamente nello stesso posto e nella medesima posizione in cui l’aveva lasciata.
Quando capì che non c’era, provò a cercarla nei campi attorno alla casa, senza però trovare nulla se non il chiarore sfumato del sole incastrato dietro a una collina.
Realizzò di essere genuinamente preoccupato per la sua vita: quella ragazza era vestita di stracci e aveva il volto tumefatto, chiunque avrebbe potuto capire che si trattasse di una schiava e rapirla o seviziarla ancora. Tornò in casa e il suo sguardo si posò accidentalmente sul tavolino, su cui campeggiava solamente la ciotola vuota. La donna doveva essersi nutrita e poi essere scappata mentre lui si intratteneva con qualche cliente.
Si diede dello stupido per non aver pensato a una tale eventualità ed entrando nel laboratorio prese lo scalpello consumato e si avviò rapidamente per i campi. Ormai era sera e il sole era tramontato quasi completamente, ma non sarebbe tornato indietro.
Avrebbe ritrovato quella donna e l’avrebbe portata a casa salva, sana, viva.
Attraversò i prati lucenti della notte, corse su per la collina raggiungendo l’agorà ormai deserta, inoltrandosi nella parte opposta, scoprendo una zona della polis in cui non si era mai addentrato.
Si imbatté in un teatro anonimo circondato da un ampio terreno circolare, fino ad arrivare a un fitto bosco. Poteva sentire la terra bagnata gracchiare sotto i suoi piedi, accompagnata da altri rumori di fondo. Era cosciente di correre forse un pericolo, ma tentò di giustificarsi con il pensiero che quella ragazza, che aveva comprato solo qualche ora prima, fosse in condizioni peggiori.
Ciò gli infondeva una qualche sorta di coraggio, spronandolo a spingersi oltre, a superare il bosco ed i propri limiti, per introdursi in territori sconosciuti e lontani da casa.
Raggiunse uno spiazzo sterrato, circondato da colonne di pietra malandate e debolmente illuminato dal chiarore della luna che fuoriusciva dalle nubi. Sentì un rumore di passi scalpitanti sul terreno, parevano di un cavallo sperduto o forse qualcuno che si avvicinava minaccioso alle sue spalle.
Si voltò, ma vide solamente oscurità. Fu in quel momento che notò una figura nera tra i pilastri, che sembrava sistemarsi quello che doveva essere un peplo: si trattava senz’altro di una donna, la luce della luna ne tracciava le forme delicate, ne illuminava le gambe quasi completamente scoperte e uno dei seni che fuoriusciva dal tessuto, piccolo e tondo.
Poi la vide correre veloce, le gambe agili fluttuanti nell’aria. Dante si sarebbe quasi aspettato di vederla librarsi nel cielo. Si avvicinò, cercando di scoprire chi fosse quella donna misteriosa che si affaticava con tale fervore durante la notte.
Improvvisamente la figura si fermò per riprendere fiato, sistemandosi nuovamente il vestito, coprendosi il seno. Poi l’uomo la perse di vista, le tenebre sembravano averla inghiottita fino a quando non rivide una sagoma fluttuare nell’aria per qualche istante, per poi ricadere al suolo esausta. La scena si ripeté per qualche minuto, lasciando Dante estremamente ammaliato: si trattava certamente di qualcuno istruito ad un intenso allenamento fisico.
Forse é una donna spartana, rifletté, conoscendo la dura educazione a cui erano sottoposti gli abitanti di quella terra. Riuscì a nascondersi dietro una colonna alle spalle della giovane senza che lei lo notasse, mentre correva disperatamente per poi schiantarsi al suolo.
Il seno fluttuava libero nell’aria e Dante poteva quasi immaginarsi il capezzolo turgido irrigidirsi sotto gli sprazzi di luce lunare e il sudore imperlare la sua stessa schiena, inumidendo il tessuto sulla spalla sinistra. Immerso in questi pensieri soavi, lasciò che lo scalpello gli scivolasse di mano, provocando un rumore fugace ma assordante nel silenzio spezzato solamente dai passi snodati dell’atleta. La donna si arrestò con uno scatto, stanca e vigile. Prese da terra un oggetto sottile, sulla cui sommità Dante poteva facilmente immaginarsi una punta acuminata.
«Chi c’é?» squittì lei con voce allarmata, voltandosi nella direzione dell’uomo. La luce della luna illuminò il suo volto come un fulmine illumina il firmamento.
Dante non riuscì a reprimere un grido di stupore. La vide avvicinarsi minacciosa, l’oggetto in mano ed il passo spedito. Chiuse gli occhi, rannicchiandosi dietro la colonna, senza accorgersi che ormai la donna lo aveva scoperto.
«Tu!» sibilò indignata puntandogli un dito contro, «hai interrotto il mio allenamento!».
La giovane si ritrovò davanti un incendio di capelli rossastri come le ferite sul suo viso, accompagnati da due sconcertati occhi color ambra. Sbalordito, l’uomo si irrigidì, senza proferire parola. Lei ricominciò da dove si era interrotta.
«Per punizione combatterai con me» disse rivolta a lui, poi la vide puntare la lancia nella sua direzione. Erano questi i combattimenti che intendeva? Ferirlo a morte?
Dante chiuse violentemente gli occhi e senza che se ne accorgesse, la lancia lo oltrepassò, conficcandosi nel terreno. Vide la donna esultare. Poi si volse verso di lui. «Allora, vuoi combattere?».
Lui non rispose, avvicinandosi con aria irrequieta. Dove erano finiti gli stracci di cui era vestita poco prima? E come poteva conoscere quel posto? Aveva troppe domande a cui non trovava una risposta, ma fece appena in tempo a formulare questo pensiero che un pugno potente lo raggiunse allo stomaco, facendolo reclinare su se stesso, inerme.
Poi un forte dolore lo colpì a una guancia, prima di essere inghiottito dall’oscurità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹Peplo: abito femminile di colore bianco indossato comunemente dalle donne nell’Antica Grecia.


   
 
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