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Autore: Mitnal    30/07/2019    0 recensioni
[Dragon's Dogma]
[Dragon's Dogma]Può un Arisen mettere un punto finale all'Eterno Ritorno e trovare la sua felicità senza dimenticare, senza sacrificare, senza abbandonarsi all'oblio della solitudine? Può una Pedina interrompere l'evoluzione a cui è destinata, e amare come un vero essere umano?
"Unione" offre un punto di vista alternativo sullo svolgimento del destino dell'Arisen e della sua Pedina, nonché sul commovente finale di Dragon's Dogma.
Rispetto alla storia "Rinascita", già pubblicata qui, offre uno svolgimento alternativo per l'umanizzazione della Pedina, ragion per cui la storia presenterà delle modifiche solo dalla seconda parte in poi -la prima parte rimane identica a "Rinascita"-. Il punto d'inizio di queste modifiche verrà segnalato con un titolo in grassetto.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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DRAGONS' DOGMA - UNIONE
(Versione con seconda parte differente da quella di "RINASCITA"- La parte modificata inizia dal grassetto!)

 

-Dintorni della vecchia cava, tardo pomeriggio.-

 

 

«Resistete, padrona!»

La pedina aprì uno squarcio tra i suoi nemici con un poderoso colpo di spada e scudo. Pezzi di carne putrefatta si staccarono violentemente dagli urlanti non-morti, che in breve si dissolsero nel suolo. I muscoli delle gambe del guerriero scattarono, portandolo attraverso altri mostri che sbaragliò con una tale furia da non accorgersi minimamente dei rischi che stava correndo. I suoi occhi erano puntati sull'Arisen, bloccata alle spalle dalla stretta di un morto vivente gigante che tentava di trascinarla con sé. L'Arisen aveva la lama incastrata tra le costole rotte di uno scheletro e non riusciva a tirarla fuori. Resisteva alla dolorosa trazione del non morto, ma non avrebbe retto ancora per molto e non poteva nemmeno urlare per chiamare aiuto. O forse non voleva. Le era parso di sentire la sua pedina chiamarla e, quando vide la sua lama scintillare, avvertì un enorme sollievo. La sua funesta figura balzò sopra di lei, le mani sollevate a trattenere la lunga, pronte a scagliare la lama sul cranio del mostro. Per un istante l'Arisen si ritrovò a scrutare gli occhi della pedina fissi in quel di lei, a sincerarsi che stesse bene... lui, la pedina, era ferito, ma avrebbe dato la vita pur di salvarla.

Il morto vivente gigante, preso alla sprovvista, emise un urlo atroce che rimbombò nelle orecchie dell'Arisen. Ella strinse gli occhi, si liberò immediatamente della presa, fece una giravolta liberando anche la spada e infuriò sul corpo marcescente con una feroce tecnica di falciate, sufficiente a rispedirlo nei recessi degli inferi. Una volta a terra, con la lama piantata ancora nella carcassa, sbuffò tergendosi il sudore dalla fronte, esausta. Guardò il risultato della sua opera e si apprestò a recuperare la spada con uno scatto schioccante.

«Credo di dover fare più attenzione con questi affondi» ammise con sarcasmo, dando uno strattone stizzito sull'impugnatura. Mentre rinfoderava l'arma accanto a uno dei due pugnali da assassino, la pedina le si fermò innanzi, lo sguardo impassibile come sempre. Guardò brevemente il non morto che si dissolveva rinfoderando l'arma a sua volta, poi incrociò di nuovo lo sguardo esausto dell'Arisen.

«Sono d'accordo, padrona. Non dovreste mettervi in rischio così. Lasciate che sia io ad occuparmi dei nemici potenti.»

«Non voglio buttarmi sconsideratamente nella mischia, Tez» così amava chiamare la sua pedina, Tezcacotal «ma non sono nemmeno d'accordo che sia tu a doverti occupare da solo dei più pericolosi. Siamo una squadra. O forse non mi ritieni all'altezza?»

La pedina chinò lievemente il capo in segno di scuse «non era nelle mie intenzioni insinuare ciò. Siete molto abile, padrona, ma la vostra vita...»

«E' importante per certe ragioni, lo so. Proteggermi è il tuo compito, ci sei per questo» disse a mo' di mantra.

«Sì...» lui lasciò le parole in sospeso, come spiazzato dal suo tono «è il mio compito», confermò. L'Arisen diceva bene, ma qualcosa che non seppe definire lo aveva in qualche modo turbato... se “turbato” era la parola giusta. Forse era stato il tono stressato dell'Arisen?

«Siete ferita, padrona» si rese conto che la donna -il cui nome era Maya, ma come pedina non aveva alcun diritto di chiamarla diversamente da “padrona”- sanguinava alla spalla e al fianco. Si avvicinò di qualche passo, giusto per rendersi conto che la cotta di maglia era stata sciolta dai liquami acidi di un morto vivente grasso «venite, torniamo a Gran Soren. Avete bisogno di cure e di riposarvi. Mi occuperò di inviare un messaggero al ciambellano per informarlo che abbiamo ripulito la zona.»

L'Arisen si lasciò aiutare. Sì, aveva bisogno di riposo. Erano giorni che non dormiva decentemente e si chiedeva come fosse riuscita a combattere fino alla fine. Non faceva in tempo a terminare una missione che giungeva un'altra richiesta. Tutti si rivolgevano a lei, tutti invocavano il suo aiuto. Mai un momento di riposo, di diversione, di... di stare con qualcuno, si disse. Lo stress si stava accumulando nelle sue membra e non faceva un bagno caldo da almeno quattro giorni. Mentre lasciava che la pedina l'aiutasse a camminare, si domandò se anche lui provasse lo stesso bisogno di prendersi una pausa da tutte quelle fatiche. Non lo aveva mai sentito lamentarsi, si preoccupava unicamente per lei. Eppure, il suo non era quel vero e proprio sentimento di premura per come lo conoscono gli umani... era una pedina, un essere diverso pur avendone l'aspetto. Era più uno strumento che una persona, generato solo per proteggerla. Privo di sentimenti ed emozioni umane, dicevano. Quando Tezcacotal si mostrava apprensivo nei suoi confronti, i suoi occhi erano costantemente impassibili, senza mostrare alcunché, come non avesse idea di poter muovere i muscoli del viso per cambiare espressione. Eppure gli occhi che aveva incrociato mentre si era trovato sopra di lei, pronto a scagliare quel fendente, le erano parsi in qualche modo diversi, più... vivi, in un certo senso. Scosse la testa, dicendosi che in fin dei conti aveva semplicemente temuto di non riuscire ad adempiere al suo compito, di vederla sparire nel sottosuolo con il morto vivente gigante. Si domandò cosa sarebbe successo a Tez se fosse morta. Si sarebbe spento anche lui? O sarebbe tornato nella faglia? Aveva sentito di un paio di storie di Arisen passati a miglior vita la cui pedina aveva sofferto la solitudine e la mancanza del suo padrone. Sarebbe stato così anche per lui?

«E' tutto a posto, padrona?» la sua voce profonda e avvolgente la distolse dai pensieri.

«Sì, a posto. Andiamo, Tez. Questa sera voglio farmi un bagno caldo e cenare in taverna. Sei invitato, quindi non c'è bisogno che torni nella faglia.»

«Bene. E' per me un onore potervi accompagnare, padrona.»

«Maya» la donna chiuse gli occhi per un momento «puoi chiamarmi con il mio nome, non te lo impedisco.»

«Io... siete la mia padrona, Arisen. Non...»

Maya si soffermò sul suo smarrimento: le sembrò assumere le tipiche sfumature dell'imbarazzo, come se per Tez, il chiamarla per nome, fosse una richiesta eccessiva, una vera e propria mancanza di rispetto, e certo lui non osava. O semplicemente non comprendeva le ragioni di quella richiesta, perciò simulava quelle che a lei sembravano emozioni vere e proprie.

«Capisco. Non importa», si limitò a dire. Mentre si girava, Tezcacotal lesse nei suoi occhi un velo di mestizia. C'erano molte cose che non comprendeva degli umani e una di esse era l'incredibile varietà di espressioni che assumevano, derivanti da emozioni di cui non era mai stato protagonista, ma che aveva in gran parte imparato a riconoscere al volo. Il loro significato con il tempo gli era divenuto noto, ma faticava ancora a capire i motivi per le quali venivano assunte. La sua padrona era divenuta triste per un momento... ma perché? Avevano solamente concluso una battaglia e parlato. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato? Quando fu sul punto di scusarsi per avere usato un tono forse poco adeguato alla situazione, si accorse che ormai Maya stava dirigendosi tranquillamente alla locanda e decise che non era il caso di riprendere l'argomento. La seguì in silenzio, assicurandosi che le ombre non nascondessero ulteriori minacce per quella lunga giornata in via di conclusione.

 

 

 

-Locanda di Gran Soren, sera.-

 

 

Il locandiere, Asalam, aveva accolto Maya con rispetto e ammirazione, occupandosi immediatamente di depositare la sua roba e facendo preparare un bagno caldo in due delle stanze migliori che aveva a disposizione -seppur le pedine non avessero realmente bisogno di lavarsi: a loro bastava tornare nella faglia per uscirne come nuove-. Dopo un'oretta, Tezcacotal si fermò ad attenderla pazientemente all'uscita. Varie persone entrarono ed uscirono: tra di esse vi era un cavaliere accompagnato da una pedina, la quale, non essendo egli un Arisen, non eseguiva gli ordini come avrebbe voluto. Tez sentì il cavaliere rivolgerle frasi sprezzanti, fino ad arrivare a calciarla nello stomaco sotto agli occhi di tutti. Asalam si animò immediatamente per sedare l'atteggiamento dell'uomo fuori dalla locanda, in modo da non recare fastidio alla quiete degli altri clienti. Un fastidio che Tezcacotal, senza capire come o se veramente fosse quello, gli sembrò di percepire a livello del petto. Di fronte al maltrattamento nei confronti di quella pedina si era come smosso qualcosa dentro di lui: respirò con calma, riflettendo sulla scena, cercando di comprendere se avvertiva ancora quella specie di spinta, di sussulto emotivo... come poteva definirlo? Continuò a pensarci anche quando arrivò la sua Arisen, che all'inizio scambiò quasi per un'altra cliente. Maya, rinfrescatasi dalle fatiche, aveva rinnovato il suo aspetto pettinandosi la lunga chioma ondulata, di un bel rosso mogano, truccandosi gli occhi e le labbra e indossando abiti da dama, composti da un corsetto scollato e una gonna che risaltavano la sua pelle brunita. Non era molto alta, appena un metro e sessantacinque centimetri di altezza, ma era ben fatta, con forme piuttosto pronunciate, la vita stretta e una muscolatura tonica. Quando si fermò di fronte alla sua pedina senza che le dicesse alcunché, alzò le sopracciglia, divertita.

«E questo silenzio? Non dovremmo avere una specie di legame che ti consenta di riconoscermi al volo?»

«Ah, padrona... perdonatemi, ero distratto. Non sono abituato a vedervi senza l'armatura.»

L'Arisen mostrò un allegro stupore «tu, distratto? Stento a crederlo. Bé, che te ne pare, allora? Sto bene anche così?»

«Io... immagino di sì.»

Maya piegò di poco la fronte, portando le braccia conserte.

«Come sarebbe a dire “immagino”? Voi pedine non...» mentre cercava le parole giuste lo guardò perplessa, dritto negli occhi «non avete degli ideali... dei gusti? Qualcosa che vi permetta di distinguere ciò che ritenete bello? Sì, insomma... non avvertite mai un'attrazione particolare guardando una persona o...?» Tezcacotal rimase immobile a rimuginare sul significato del discorso. Maya non gli dette praticamente il tempo di rispondere «ma certo che no. Ormai sarai stufo marcio di ricordarmi che non sei umano.»

«Padrona...» Tez piegò leggermente la testa di lato per studiarla con più attenzione. Durò solo per pochi secondi, ma furono sufficienti a infondere un'incredibile tensione in lei, che arrossì di colpo «anche noi abbiamo dei gusti in senso estetico. Il tempo ci fa capire molte cose, soprattutto al fianco di qualcuno come voi, Arisen. Il mio è sufficiente per confermarvi che siete una signora di bell'aspetto e che questi indumenti vi donano molto. Sì, siete una donna molto bella, padrona. E io, come vi sembro? Ho cercato di adattarmi all'occasione» spiegò allargando le braccia.

Ancora una volta, Tez non comprese l'espressione della sua Arisen. Aveva il viso più colorito, molto più colorito del solito. Gli occhi erano quasi spalancati, forse in tensione? Perché? La vide deglutire e cercare brevemente aria. Fece un passo indietro ed espresse un sorriso che gli ricordava quelli fatti dalle persone che si dicevano “imbarazzate”. Perché? Aveva sbagliato di nuovo a parlare? Era davvero così difficile dire le cose senza offendere gli umani? Maya ci mise così tanto, a rispondere, che fu sul punto di chiederle perdono per la sua sfrontatezza. Forse, nel domandarle che cosa pensasse di lui, era stato inopportuno. Non poteva certo sapere che il cuore di Maya stava rimbombando nel suo petto dalla felicità. Le aveva fatto un apprezzamento. Non lo aveva creduto possibile! Stava sognando? No, le aveva detto che le piaceva. Certo, forse sorvolava sul fatto che il concetto di “piacerle” poteva essere ben diverso per uno come lui, più paragonabile al guardare un bell'oggetto che all'ammirare una bella persona da desiderare al proprio fianco, ma lo riteneva un enorme progresso nella sua capacità di esprimersi. Che la sua pedina stesse...? No, quello non era possibile. In ogni caso, avrebbe voluto rispondere alla sua domanda dicendogli che non conosceva nulla di comparabile alla sua bellezza. Che lo trovava meraviglioso, straordinario, bello come poteva essere un Dio. Le piaceva tutto, di lui. Tutto. Del resto era normale che fosse così, poiché lei stessa aveva deciso il suo aspetto nel momento della sua generazione alla pietra della faglia. Ogni cosa, ogni più piccolo dettaglio del suo viso e del suo corpo, incontravano il suo gusto con una perfezione tale da averla sorpresa ben più di una volta. I suoi lineamenti massicci, dagli zigomi alti e pronunciati, le sopracciglia sottili, quasi sfuggenti, la mascella forte, la pelle brunita, gli occhi inclinati e sottili di quel colore plumbeo che risaltavano sotto la chioma d'ebano, quasi sempre legata in una coda di dreadlocks... e il corpo muscoloso, ma senza eccedere nell'inutile gonfiore, distribuita su di una fiera struttura di media altezza, sembrava fatta apposta per starle accanto... ciononostante non voleva esprimere troppo apertamente ciò che provava per lui, anche se la voglia di gridarlo a gran voce non le mancava affatto, anzi. Diventava ogni giorno più difficile trattarlo da semplice pedina e fare finta di nulla. Per un attimo pensò al Legame dell'Arisen in forma di anello che custodiva ancora nel borsello della cintura, in attesa di essere donato alla persona con la quale avrebbe deciso di passare il resto della vita. Stava arrivando al limite e quella sua domanda, di certo innocente e un po' ingenua come quella di un bambino, la invitava spietatamente a rivelarsi, a regalargli l'anello una volta per tutte. Invece le bastò un piccolo sforzo per riprendere il controllo di sé, accennando infine a un sorriso composto.

«Dal mio punto di vista, non ti manca proprio nulla rispetto agli uomini di Gransys. Vedo che hai pure buon gusto in fatto di abiti. Ti donano. Soprattutto quella camicia.»

La pedina si sentì sollevata all'udire la risposta della sua padrona e il suo apprezzamento lo rassicurò, seppur non avesse ancora colto il significato di quella varietà di espressioni. L'Arisen gli era sembrata sorpresa e imbarazzata e, in generale, emozionata in senso buono... felice, ecco. Forse avrebbe dovuto farle complimenti del genere un po' più spesso? Lo annotò mentalmente, ricordandosi di aver visto più volte gli umani che si dedicavano belle frasi, rimanendone colpiti. Ma sapeva anche che certe frasi venivano scambiate solamente tra quelle persone che formavano una coppia e dunque doveva stare attento a non assumere atteggiamenti che la sua padrona non avrebbe accettato da parte sua. Ma come poteva sapere con precisione quali cose poteva dire e quali no? Per capirlo senza commettere errori, avrebbe dovuto studiare gli umani molto di più e, per una cosa del genere, non poteva certo dire di avere tanto tempo a disposizione.

«Sono lieto di sentirvelo dire. Speravo di aver scelto qualcosa di degno per accompagnarvi. Andiamo?»

Le offrì il braccio, come un vero galantuomo. Lei lo prese delicatamente, godendosi gli attimi di contatto e calore. Tez, dal canto suo, si incuriosì nel percepire quanto fosse caldo e morbido il braccio della sua padrona senza la cotta di maglia e l'armatura: era la prima volta che sentiva il suo contatto così. Per tutto il tragitto verso la taverna non smise di pensare a quella percezione fisica, nonché al profumo che si sprigionava attorno a lei, diverso dal solito.

 

Una volta giunti, voci, grida, canti e suoni di strumenti li travolsero in un'aria di festa e i profumi dei cibi rustici riempirono rapidamente i loro polmoni. Per Tez era istintivo guardarsi attorno attentamente per assicurarsi che la sua padrona non corresse alcun rischio, ma lì non vi erano bestie, bensì uomini che, in ogni caso, sapeva che quando bevevano molto alcol potevano diventare molesti. Inoltre, potevano sempre esserci ladri e furfantelli. L'aiutò a passare tra la folla attorno al bancone e la diresse verso un tavolo libero, il più lontano dal caos, dove lui poteva avere una buona visuale su tutta la sala. Il pensiero della sua incolumità era onnipresente, un compito a cui non poteva esimersi nemmeno nei momenti di riposo. Era l'unica e precisa volontà che possedesse.

«Gradite sedervi qui, Arisen?»

«Sì, è perfetto. Sediamoci e pensiamo a che cosa mangiare. Ho tanta fame da poter divorare un orco.»

«Un... orco? Volete mangiare un orco, padrona?»

Maya lo guardò immobile per un attimo, poi cercò di trattenere educatamente una risata, senza riuscirci. Le sfuggì un breve suono allegro.

«No! Dicevo tanto per dire. Per farti capire quanto sono affamata.»

«Mmh... capisco» annuì la pedina, l'espressione rilassata, anche se l'inaspettata risata di lei gli aveva fatto percepire nuovamente qualcosa... qualcosa di simile a quando aveva visto il cavaliere maltrattare la sua pedina, lì nel petto, anche se in modo diametralmente opposto. Non erano il senso di fastidio e allerta provati quando c'erano nemici nei paraggi... era molto, molto diverso, qualcosa che continuava a non avere nome «allora siamo in due, Arisen» si affrettò a dire per interrompere i pensieri «anche io avrei piacere di mangiare un buon piatto per farvi compagnia. Che ne dite di uno spezzatino di carne mista?»

«Con polenta e stufato di funghi in salsa di erbe di campo? Giusto per iniziare» alzò una mano, attirando l'attenzione della cameriera, che stava passando a raccogliere alcuni piatti ai tavoli vicini. Quando arrivò e chiese che cosa desideravano, fecero entrambi più ordinazioni. Ben presto il tavolo si riempì di cibo e buon vino e durante la cena decisero di evitare di parlare del drago e di altri argomenti preoccupanti, dedicandosi invece a raccontare alcune esperienze del passato. Per Maya fu una sorpresa scoprire ciò che Tezcacotal aveva vissuto in altri mondi raggiungibili dalla faglia, con altri Arisen e pedine, ed egli si sentì onorato di essere ritenuto degno di conoscere il suo passato a Cassardis. Gli sembrava come se la sua padrona volesse renderlo partecipe della sua vita e della sua anima e la cosa lo faceva sentire molto bene, oltre che fortunato. Durante il loro viaggio non aveva mai conosciuto un umano come lei, capace di rasserenarlo e farlo sentire un suo simile. Infatti, a differenza dei più, non lo temeva e non temeva nessuna pedina in generale. Non le importava nemmeno del fatto che lo fosse, a ben vedere. Lo trattava... come trattava le persone come lei e gli amici. Se ne rese conto solo in quel momento. Non lo aveva mai chiamato “pedina”. Lo aveva chiamato costantemente per nome, sin dalla prima volta che si erano trovati all'accampamento. Si preoccupava per lui quando era ferito o ammalato, quando combattevano, quando viaggiavano, quando riposavano...

«Arisen, posso farvi una domanda?»

«Certo» Maya fermò la forchetta a mezz'aria, colma di polenta fumante su cui colava una salsina scura «che vuoi sapere?»

«Volevo chiedervi... perché voi non mi-»

«Maya! Ehiii, Maya!!»

La voce di un vecchio arzillo, forse anche un po' alticcio, lo interruppe bruscamente. Tezcacotal lo guardò calmo, alzandosi e chinando il capo in segno di saluto e rispetto. Maya, colta di sorpresa, si alzò a sua volta, stringendogli la mano e regalandogli un sorriso stupefatto.

«Vecchio Topec, siete davvero voi? E' un piacere rivedervi dopo tanto tempo.»

«Eh, eh» il vecchio chinò il capo verso Tezcacotal, appoggiò il suo bicchiere sul loro tavolo e si sedette accanto alla pedina «anche io sono contento di ritrovarti qui, mia bella figliola. Ormai non si fa altro che parlare di te, giù a Cassardis, lo sai? Sei una vera celebrità!»

«Bé, immagino non solo a Cassardis» Maya sorrise in modo arreso «come state? Credevo ve ne foste andato da Gransys.»

«Ci ho provato, ma poi mi mancava troppo... tutto questo, sai» disse allargando le braccia «sì, si dice che ci sia il drago e che il Duca stia diventando matto, ma è la mia terra. E le persone... qui ho tutti i miei amici e la mia famiglia! Diamine, ricominciare da capo, soprattutto alla mia età, è più difficile di quanto pensassi.»

«Mmh... me lo immagino» Maya annuì lentamente, sovrappensiero. Tezcacotal non smetteva di studiarla. Quell'espressione era di preoccupazione. Si sentì premere leggermente sul fianco e si accorse che l'uomo lo aveva toccato con il gomito.

«Allora, questo giovanotto è la tua pedina? E' incredibile che tu sappia come controllarle. A vederlo, mi sembra un tipo tutto d'un pezzo! Suppongo tu sia in ottime mani, Maya.»

«S...sì» di nuovo l'imbarazzo. “Padrona, che vi succede?” «Tez è... è fantastico. Senza di lui sarei morta centinaia di volte.»

«Non esagerate, Arisen. Siete una combattente eccezionale.»

«E' vero, sai?» il vecchio si rivolse alla pedina «la tua signora, quando era piccola, se non le davo i dolci d'uva che sfornava mia moglie mi calava le braghe e mi bastonava le chiappe con i mestoli di legno... faceva parecchio male!»

«Vecchio Topec!» sbottò Maya, sollevandosi di colpo dalla sedia «p-per favore... non dite queste cose.»

«Ahahahahah!», rise l'uomo «e perché? Eri solo una bambina... ah, che tempi, quelli. A volte mi domando se torneranno mai.»

Mentre Tezcacotal cercava di figurarsi la piccola Arisen che faceva la monella con gli adulti, senza riuscirci con la bella donna seria e composta che aveva di fronte a sé, i due iniziarono a raccontarsi episodi del passato che comprendeva solo in parte. Riprese a mangiare senza reale necessità in silenzio, se non che qualcosa lo scosse in modo ancora più forte e inaspettato di prima. Il vecchio disse qualcosa e improvvisamente l'Arisen esplose in una risata alta e dal suono cristallino, l'espressione che si aprì in un sorriso grande e candido, contornato dalle labbra rosse. Strinse gli occhi, continuando a ridere forte, tenendosi persino l'addome con una mano. Tezcacotal si bloccò impietrito. Più il vecchio parlava, più la sua padrona sembrava divertirsi con un trasporto e una gioia tali da essere certo di non averli mai visti in lei. E lì, lo capì: vederla sorridere in quel modo era un suo preciso desiderio. Vederla sorridere e star bene, saperla felice e tranquilla per il suo futuro... viva e al sicuro. Eppure c'era ancora qualcos'altro, qualcosa che gli impediva di scollare gli occhi dal suo volto e continuare a mangiare. Una sensazione indescrivibile lo allarmava, ma al contempo generava in lui un'attrazione irresistibile e sorprendentemente gradevole. Non capiva che cosa gli stesse prendendo di preciso, se aveva qualche tipo di disturbo. Sapeva solo che non riusciva ad evitare di guardarla, cedendo a quell'istinto innaturale senza opporre alcuna resistenza. Maya se ne accorse solo poco dopo, quando ormai il racconto del vecchio era concluso ed era già tornata composta. Lo sguardo impietrito di Tezcacotal, che la fissava con occhi acuti, la colpì immediatamente. Piegò la fronte, concedendogli un lieve sorriso nel sentirsi un po' in colpa per non averlo reso partecipe.

«Ti chiedo di scusarci, Tez... non ci hai capito un bel niente, vero? Qualche volta ti dovrò raccontare delle avventure di Topec, e forse riuscirai a ridere persino tu.»

«Siamo piuttosto ligi al dovere, vedo» il vecchio appoggiò una mano sulla spalla di Tez «come pedina non puoi sapere cosa significa spaccarsi in due dal ridere, eh? Bé, raccontagli ciò che vuoi, Maya... magari sarai la prima a farne ridere una! Visto quel che hai fatto sin'ora, non mi sorprenderei.»

«Già» la donna sorrise a bocca stretta, guardando il vecchio alzarsi dal suo posto. Dentro di lei si domandò quanto bello sarebbe stato il volto sorridente di Tezcacotal.

«E' stato bello rivederti, Maya, ma devo proprio andare. Spero di rincontrarti ancora, uno di questi.»

«Probabile. Passerò presto a Cassardis. Salutami la famiglia, Topec.»

Topec alzò la mano e si allontanò tra la folla. Maya e Tezcacotal rimasero di nuovo soli al loro tavolo, circondati dalla folla schiamazzante. Lei affondò la forchetta nel piatto, poi sollevò gli occhi nei suoi mentre riprovava a mangiare. Lo notò sovrappensiero.

«Va... tutto bene?»

«Sì» la guardò come se la domanda lo avesse sorpreso, rimanendo come in attesa di ulteriori domande o parole. Maya, corrugando la fronte, appoggiò la forchetta e abbandonò il mento sulle mani incrociate, fissandolo come un medico impegnato a fare un'analisi.

«E va bene, facciamo una prova. Ridi, Tez. Prova a imitare una risata.»

«Una... risata...? Come la vostra di pochi istanti fa?»

«Non per forza così fragorosa. Diamine, scusami ancora. Deve essere stata parecchio fastidiosa» sospirò «prova piuttosto a sorridere. Così» Maya distese le labbra ed emise una risatina breve e leggera «pensi di poterci riuscire?»

Tez non rispose. Non ne aveva la più pallida idea. Rimuginò per qualche secondo, poi si sforzò di distendere le labbra nel modo in cui le aveva illustrato, mostrando la sua candida dentatura. Un secondo dopo, aprendo la bocca, emise dei suoni che volevano imitare, nel modo più fedele possibile, quelli della risata che aveva appena udito. In poche parole, fu un disastro: il sorriso era il più statico che Maya avesse mai visto sul volto di una persona e la risata era più simile alla pronuncia macchinosa e ripetuta di un insieme di vocali.

«Che cosa ve ne è parso, padrona?» le domandò con innocenza, curioso di scoprire il suo giudizio. Maya abbassò il viso, trattenne un'altra risata e scosse la testa.

«Era terribile.»

«Davvero? Sono spiacente... ho fatto del mio meglio, Arisen.»

Spiacente...” ripeté Maya nella sua testa. Ma più lo guardava e più non lo riteneva affatto dispiaciuto. Perché diceva di esserlo, se non poteva provare emozioni del genere? Il suo viso era il solito: espressione neutra, impassibile. Non severa, bensì calma e rispettosa, di un uomo educato e contegnoso. Aveva ben pochi cambiamenti, quasi impercettibili: in battaglia era più concentrato e guardingo. Se veniva sorpreso i suoi sensi si svegliavano di colpo, ma non spalancava mai gli occhi dallo stupore, né il suo viso si era mai stravolto dall'ira. Poteva provare alcune emozioni, ma non più del senso di allerta e di pericolo, del timore, del sollievo e dell'inquietudine. Il dirsi dispiaciuto, ma senza palesarlo, era il risultato di un'imitazione o era qualcosa che provava sul serio? Poteva sì provare preoccupazione nei confronti della propria vita, ma “dispiacere”...? La cosa le generò un principio di rabbia per il suo sconsiderato uso di parole e serrò i denti cercando di riflettere. Ma era una pedina... non aveva nessuna colpa per non essere come lei avrebbe tanto voluto. Facendo un sospiro profondo, divenne seria all'improvviso. Tez se ne accorse ma non disse nulla, attendendo che fosse lei a continuare. Poteva forse averla delusa con quella pessima imitazione?

«C'è una cosa... che mi dispiace immensamente» Maya alzò lo sguardo, colmo di una nostalgia che Tez non si aspettò di vederle in quel momento. Così tante espressioni in pochi secondi, così tanto da capire...

«Arisen... vi vedo turbata. Spero di non avervi delusa per non essere riuscito a...»

«Non è quello!» Maya aprì la bocca, esitò per qualche attimo e poi abbassò gli occhi verso il tavolo «ciò che mi crea tanto dispiacere è il non poter condividere tutte queste emozioni. Con te, dico. Vorrei tanto che le provassi anche tu. Vorrei che le sentissimo insieme. Ma come fare?» per quanto si sforzasse di trattenere la tristezza, avvertì gli occhi bruciarle leggermente. “No... no, no, no, Maya, non dirglielo... ti pentirai del male che sentirai dopo!”, si disse deglutendo il pesante nodo alla gola; una pausa, poi lo guardò come se fosse l'ultima volta che lo avrebbe visto «sai, uno dei miei più grandi desideri è quello di vederti sorridere. Intendo in modo spontaneo, senza imitazioni» gli disse con una voce che si sforzava di non incrinarsi. Nella mente di Tezcacotal si generò un insieme di informazioni caotiche che lo pietrificarono un'ennesima volta. All'esterno era fermo e impassibile, gli occhi rapiti, puntati in quelli della sua Arisen, ma nel suo spirito c'era un vortice che lo stava facendo impazzire, formato da cose che, per qualche strano motivo, generavano anche delle sensazioni attraenti, forse addirittura piacevoli.

«Non... Arisen...»

Maya non poté sostenere quegli occhi impassibili, o avrebbe ceduto al pianto. Si alzò, si allungò leggermente verso di lui e fece qualcosa di cui sapeva si sarebbe presto pentita: le sue labbra si appoggiarono delicatamente sul suo viso, a sinistra, a donargli un bacio. Il suo cuore batteva tumultuoso e le tremavano le membra e, prima che Tez potesse accorgersene, tornò a sedersi. Lo guardò attentamente, in cerca di qualsiasi reazione, ma la pedina sembrava semplicemente senza parole, forse un po' confusa, perché effettivamente era come se non riuscisse a esprimersi di fronte a qualcosa di così nuovo per lui.

«Ecco. Facciamo così» disse Maya, cercando di mostrare più indifferenza possibile «ti darò un bacio di ringraziamento per tutti i tuoi sforzi ogni giorno. Forse, prima o poi, qualcosa di nuovo avverrà e ti verrà da sorridere.»

Tez si toccò la guancia, il punto in cui aveva percepito le labbra morbide e calde dell'Arisen. Il caos emotivo era quasi insopportabile, non sapeva nemmeno da dove incominciare per fare ordine. Perché il suo corpo era scosso da quel fremito? Stava succedendogli qualcosa di grave? Aveva subito un'alterazione fisica durante l'ultimo combattimento senza che se ne fosse reso conto? Stava avvenendo in lui una mutazione di qualche tipo? Doveva forse avvisare l'Arisen?

«Padrona... ho...»

«Sì, lo so che ora non riesci a capire, ma non importa. In fondo, ringraziarti in qualche modo mi sembra anche giusto e provare non mi costa nulla» “non è vero, idiota. Baciarlo ogni giorno?! Ti annienterà l'anima, quando ti renderai finalmente conto che mai proverà nulla più della devozione di una pedina nei confronti del suo Arisen”. Facendogli un occhiolino, aggiunse «scusami, mi assento un attimo. Vado a rinfrescarmi» gli sorrise in modo sfuggente, sventolandosi la mano davanti al collo «fa molto più caldo che alla locanda, qui dentro.»

Tezcacotal non riuscì a dire altro. La seguì alzarsi e procedere verso le latrine, dimentico di controllare che tra la folla non vi fossero minacce per lei. Il suo sguardo era fisso sulla sua figura di spalle, il suo pensiero vagava ancora nella baraonda nella sua testa che, se ne rese conto solamente dopo, gli aveva pure fatto accelerare la frequenza cardiaca. Chiuse gli occhi, cercando di capire se poteva uscire da quei pensieri e riprendere la calma. Il pensiero del gesto dell'Arisen, quel bacio, sembrava come peggiorare la situazione fino a procurargli una sorta di dolore pungente al petto, che si premette con il pugno chiuso. Il cuore batté forte, facendo sorgere in lui nuove domande. Si concentrò sui suoni circostanti: il vociare degli astanti sembrò aiutarlo, riportandolo lentamente alla calma, anche se le domande sulle strane espressioni e quell'inaspettata azione dell'Arisen continuavano ad assalirgli la mente in modo involontario. C'era decisamente qualcosa di diverso in lei, non era come al solito. Forse era per questo che era assalito in continuazione da tutto quel caos? L'Arisen stava soffrendo o cambiando per qualche motivo e il loro legame glielo faceva percepire in quella maniera? Del resto, se era vero che lo scopo di una pedina era quello di “assomigliare all'Arisen”, ogni suo cambiamento poteva spontaneamente generare degli scompensi in lui... eppure lei non le era sembrata nemmeno così sofferente. Poteva sforzarsi quanto voleva, ma continuava a non comprenderlo, perché era qualcosa che non aveva mai visto nemmeno in altre persone... ecco perché provava tanta confusione. Scosse il capo, appoggiandosi le mani alle tempie, i gomiti posati al tavolo. Forse avrebbe dovuto chiederle direttamente che cosa le stava succedendo, ma non era detto che volesse parlarne a una pedina. Lui poteva aiutarla e supportarla in battaglia, ma per il resto poteva fare ben poco.

Non sapeva quanto in realtà si sbagliasse.

 

 

 

-Giorni dopo, pressi delle Catacombe, pomeriggio inoltrato.-

 

 

Il frusciare del fogliame dei piccoli cespugli era intenso, ma non abbastanza da coprire le grida stridule dei goblin. Tez, davanti a Maya, piegato dietro ad alcune piante, teneva la situazione sotto controllo.

«Hanno circondato la biforcazione del sentiero, Arisen. Osserviamo ciò che fanno. Troveremo il modo di sbarazzarcene in fretta.»

«Aspetta...» Maya gli afferrò la mano, un gesto che aveva compiuto più volte, eppure non poté ignorare quella lievissima sfumatura che lo rese diverso da tutte le altre «guarda, possiamo passare anche da qui. C'è abbastanza spazio tra le piante e le pareti e potremmo aggirarli di nascosto invece di combatterli.»

Tez non ebbe nulla in contrario e, rimanendo dietro di lei in modo da poterla tenere d'occhio ed evitare che un nemico la prendesse alle spalle, la seguì quatto lungo la stria di cespugli e rocce che oltrepassavano il nugolo di goblin. Dopo alcuni metri, Maya si fermò di colpo con un sussulto: tenendo le piante spostate con una mano fece segno a Tez di avvicinarsi. La pedina si affrettò, avvicinando il viso a quello di lei per osservare dallo spiraglio. Una fragranza, dolce e avvolgente, riempì le sue narici. Gli occhi del guerriero scivolarono automaticamente in direzione del profilo della sua Arisen, tanto vicino da poter distinguere chiaramente la calura che la sua pelle emanava. Ma quel profumo... quel profumo che anche in un momento del genere, e dopo aver camminato per ore, continuava ad emanare... era così vicino, tanto da riempirgli i polmoni intensamente. Il battito accelerò leggermente, in concomitanza con uno strano verseggiare di cui non si accorse. Non si accorse nemmeno del ruggito alle sue spalle. Gli occhi di Maya incrociarono i suoi per un istante e solo allora si accorse che erano pieni di terrore. Si ritrovò cappottato a terra con un colpo violentissimo, mentre un grido guerresco si levava dalla sua padrona. Avvertì un dolore tremendo alla spalla e al fianco, che lo fece gridare, poi ci fu una sorta di violento strappo: il corpo di un lupo mannaro, dal pelo bianco schizzato di sangue, si catapultò oltre i cespugli per finire tra i goblin. Ci furono grida e clangori, che Tezcacotal, frastornato, sentì a fatica intorno alla sua padrona. Si rialzò il più rapidamente possibile, allarmato all'idea che potessero ferirla gravemente e, ignorando il lancinante dolore al fianco e il copioso sanguinamento sia da esso che dalla spalla, si buttò nella mischia non senza difficoltà, in quanto il punto in cui si erano infilati, vicino ad alcune rocce e cespugli, non consentiva di muovere agevolmente la spada. Protesse l'Arisen come meglio poteva, ponendo lo scudo di fronte a lei e affondando la lama nel nemico, rimanendole accanto come un'ombra. Cercava di lanciare occhiate per assicurarsi che non fosse ferita, ma ogni volta un nuovo goblin saltava sopra di loro. Maya li respingeva a sua volta, lì dove lo sguardo e la difesa di Tez non potevano arrivare. All'improvviso la sentì urlare «sei ferito!»

Tez sentì un mancamento e il ginocchio avanzato gli tremò come se non fosse più in grado di sostenere il peso del suo corpo e dell'armatura. Lo appoggiò a terra, alzando lo scudo e affondando un'ultima volta prima di piantare la lama nel suolo e chinarsi. Maya respinse gli ultimi due da sola, si assicurò che la situazione fosse tornata alla tranquillità e, con il cuore in gola, si gettò accanto a Tezcacotal, che fissava l'erba con la vista annebbiata.

«Tez! Fammi vedere.»

Togliendogli la spada di mano, lo fece accostare con cautela. Bastò una rapida occhiata al fianco e alla spalla per capire la gravità di quelle lacerazioni, da cui sgorgava ancora sangue: l'erba intorno a loro era imbrattata più del suo che di quello nemico. Prese in fretta dei panni puliti dalla bisaccia e li premette su entrambi gli squarci «devo toglierti l'armatura», disse sfilandosi in fretta la bisaccia e ravanando al suo interno «userò le erbe di campo potenti, i filtri... e ti richiuderò la ferita.»

Tez le afferrò delicatamente il polso. O forse debolmente, perché si rese conto di incominciare a fare troppa fatica persino per alzare il braccio.

«Ne sono rimaste poche, padrona. Conservatele per voi... prendete anche le mie e andate avanti senza di me. La strada dovrebbe essere sicura, da qui in avanti... voi... potrete richiamarmi da una faglia. Credo che ne troverete almeno una all'interno, ma vi prego... state attenta...»

«Cosa stai...?» Maya guardò i suoi occhi seri e apparentemente indifferenti, scosse la testa come scandalizzata e mostrò una smorfia «lasciarti morire per risparmiare i medicinali, solo perché tanto sei una pedina e potrai risorgere dalla faglia? No! Non...» con un sospiro gli tolse il mantello e mise mano sui ganci e le cinture del pettorale rotto. Tez socchiuse gli occhi, senza comprendere il motivo di tanta insistenza. La sua morte non era reale, sarebbe tornato risanato da ogni ferita. Si accorse che a Maya tremavano le mani.

«Padrona, state tremando. State... bene?» disse con affanno, ma la sua lucidità era ancora sufficiente a permettergli di eseguire il suo dovere, quello di sincerarsi che l'Arisen stesse bene. Maya serrò i denti in un ringhio, tolse il tampone imbevuto di sangue e applicò il cataplasma che aveva realizzato schiacciando e masticando le piante. Non sembrò servire a molto, ormai. Fece un singhiozzo.

«Padrona... state... piangendo?»

Maya sentì le dita della pedina sfiorarle la guancia rigata dalle lacrime prima che il suo braccio si abbandonasse al suolo e i suoi occhi si chiudessero. Singhiozzando tra le lacrime, guardò il globo della faglia materializzarsi per qualche istante sopra al corpo di Tezcacotal privo di vita, poi svanì insieme a tutto ciò che aveva, come se la sua immagine non fosse stata altro che un'illusione per tutto quel tempo. Si ritrovò da sola, come appena risvegliata da un incubo. Frastornata, con il suo sangue ancora a terra e sulle mani, si asciugò le lacrime che faticavano a ritornare indietro. Era sola. Da quando aveva incominciato il suo viaggio, mai, mai le era capitato di rimanere sola. Certo, si erano dovuti separare alcune volte... ma in quei casi aveva sempre e comunque avuto la consapevolezza che lui era vivo, che in qualsiasi momento avrebbe potuto ritrovarlo o chiamarlo, e lui sarebbe accorso subito. Adesso, invece, su quel piano dimensionale non esisteva più e doveva trovare una faglia se voleva rivederlo. Per quanto ne sapeva, la prima a trovarsi più vicina poteva essere quella di Gran Soren. Sarebbe dovuta arrivare alle catacombe da sola e affrontare l'intero labirinto senza di lui? Sarebbe stata in grado? Sapeva che Tez era vivo, là da qualche parte nella faglia... eppure non poteva fare a meno di soffrire, perché in ogni caso, seppur non definitiva, aveva pur sempre assistito alla sua morte. Da quando si erano incontrati non era mai successo... e a proposito... com'era potuto succedere? Il nemico che lo aveva ferito mortalmente non era affatto uno dei più temibili che avessero incontrato, tutt'altro! E allora perché era riuscito a fargli tanto male? L'unico modo per scoprirlo era andare avanti. Rinfoderò i pugnali e se ne andò a passo sostenuto. La cripta che portava alle catacombe non era lontana, ormai... si orientò con la mappa tra le mani e, sbucando in un sentiero, lo seguì. Come le aveva detto Tezcacotal, l'area era sgombra e non incontrò altri nemici. Se così fosse stato, li avrebbe fatti a pezzi con tutta la rabbia che covava dentro. Proseguì finché in lontananza non scorse la sommità della struttura: Maya inghiottì un nodo, assalita dal disagio al pensiero di dover passare chissà quanto tempo all'interno delle catacombe senza il suo Tez. Fu quasi sul punto di fermarsi e decidere di fare ritorno in città, alla gilda delle pedine, dove avrebbe potuto ritrovarlo, e d'istinto mise la mano nella borsa, cercando la pietra del viaggiatore: con quella avrebbe potuto tornare indietro in un attimo, anche se poi gli sarebbe toccato ripetere il viaggio dall'inizio... solo allora si ricordò che aveva ceduto la pietra a Tez. Lo sconforto l'assalì: senza di quella le sarebbe toccato affrontare un viaggio lungo il doppio, se non il triplo. Considerati i rischi, tanto valeva ormai andare avanti. Sospirò arresa finché, giungendo verso le porte della cripta, i suoi occhi non captarono una sagoma familiare appena di lato, contornata da un lieve luccichio verdastro. Quella sagoma divenne improvvisamente la cosa più preziosa che avesse mai visto in vita sua: una pietra della faglia! Con gli occhi spalancati dallo stupore, si catapultò sulla roccia e ne afferrò i bordi frastagliati con entrambe le mani.

«Tez!!»

Alle sue spalle ci fu un bagliore e l'atmosfera si aprì come un portale che concedesse il passaggio a un'altra dimensione. Maya si voltò di scatto e di fronte a lei discese l'amata figura di Tezcacotal, che con la consueta serietà la guardava silente. Mentre alzava la mano, a mostrare l'inconfondibile cicatrice che gli segnava il palmo con linee luminose, si sentì travolgere dal corpo dell'Arisen. Maya lo abbracciò forte, ignorando la freddezza dell'armatura che gli proteggeva di nuovo il corpo risanato.

«Dio, Tez! Non hai idea di quanto mi sollevi rivederti!»

La pedina, dopo un secondo di esitazione, abbassò lentamente il braccio. Con il capo chino guardava la sua Arisen attorniata a lui, rendendosi conto che le sensazioni di caos e confusione che aveva provato nei giorni scorsi non erano affatto svanite, anzi, stavano tornando tutte in un colpo solo proprio in quell'esatto momento... questo gli confermò che non si trattava affatto di un'alterazione fisica come aveva creduto, altrimenti il ritorno nella faglia lo avrebbe guarito.

«Padrona, sapete bene che non mi è concesso il riposo eterno. Mi solleva che abbiate trovato una pietra della faglia così vicina, ma non c'era ragione di preoccuparsi tanto.»

Maya si distaccò solo di poco. Alzò il viso stravolto da sentimenti di contentezza e sofferenza per ciò che aveva provato di fronte alla sua morte, negando più volte.

«Sarei dovuta rimanere indifferente di fronte alla tua agonia? Forse altri Arisen lo hanno fatto prima di me, ma io non sono loro. Ho davvero avuto paura di... insomma... mi sono sentita...»

«Va bene, non dovete delle giustificazioni a questa pedina» la sua voce calda assunse un tono premuroso, una dolcezza che forse era la prima volta che Maya gli sentiva «ma vi sono grato per la considerazione di cui mi onorate, Arisen. E perdonatemi per avervi fatta involontariamente soffrire... cercherò di fare in modo che non accada più.»

Maya sentì le farfalle nello stomaco. Il silenzio li avvolgeva, tranne che per il lieve rumore di fondo generato dalla pietra. Sapeva che, se non avesse trovato il modo di evitarlo, sarebbe finita con il baciarlo. Solo all'ultimo la sfiorò un pensiero sufficiente a distoglierla da quelle intenzioni e la tensione nell'aria si alleggerì spontaneamente.

«A proposito, puoi spiegarmi che cosa è successo? Abbiamo combattuto bestie ben peggiori dei mannari. Non riesco a capire come abbia potuto coglierti alla sprovvista a quel modo.»

«Perché non stavo...» quando Tez si ricordò delle ragioni per la quale era stato attaccato, le parole gli morirono in bocca. Fissando l'Arisen con le labbra ancora schiuse cercava di spiegare a se stesso, ancor prima che a lei, ciò che era accaduto... ma non ne era in grado, la sua mente era vuota. O meglio: sapeva che si era distratto, ma le ragioni di quella distrazione erano qualcosa che non riusciva a descrivere.

«”Non... stavi” che? Tez?»

«P... padrona... credo, in effetti, che...»

La fronte di Maya si piegò. Quella che aveva di fronte era davvero la sua pedina, il guerriero di nome Tezcacotal? Con quegli occhi così smarriti?

«Ehi, un momento; non è che la pietra della faglia mi ha dato soltanto una tua copia, vero? Si può sapere che ti prende all'improvviso? Non ti ricordi che cosa ti è successo?»

«N-no. Vi chiedo di perdonarmi» con un piccolo sforzo riuscì a tornare composto e a calmarsi. Doveva fare ordine e spiegare le cose come le ricordava, senza cercare di darsi risposte da solo. Forse l'Arisen poteva farlo. Forse lei, che era umana, poteva dirgli che cosa gli stava accadendo «credo che avrei dovuto parlarvene prima, padrona. Temo che mi stia succedendo qualcosa che non comprendo e che non sono in grado di spiegarvi.»

Per Maya fu un colpo. La preoccupazione si fece strada attraverso il suo sguardo e, con una breve occhiata nei dintorni, si fece da parte, trascinandolo più vicino al muro della cripta «va bene, parti dall'inizio», gli disse. La pedina aveva il viso basso, a fissare la cintura dell'Arisen.

«Come in effetti avete detto, mi sono lasciato distrarre. Il mannaro è riuscito ad attaccarmi senza che me ne rendessi conto. Non era mai successo, Arisen», le confessò tornando a guardarla.

«Lo so. Ma cosa di tanto importante può averti distratto a tal punto da permettere a un mannaro di ucciderti?»

«I... il vostro odore, credo.»

Maya spalancò gli occhi, arrossendo come se le avesse rivelato un segreto imbarazzante «il... mio odore?!»

«Sì. Voglio dire... il vostro profumo, padrona. Quando mi sono avvicinata a voi era molto intenso e in qualche modo ha distolto la mia attenzione da ciò che stava succedendo.»

La donna era sinceramente allibita. Di tutti i motivi che avrebbe ritenuto possibili, quello era sicuramente l'ultimo.

«Forse... forse gli odori possono causare problemi alle pedine? Mi ero lavata da poco, forse quel sapone floreale era troppo forte?»

«Non che io sappia. Ma... non è semplice spiegarmi, Arisen... in un certo senso... mi attirava, se questa è la parola giusta. Era... inebriante e gradevole. Diverso da qualsiasi altro odore che abbia mai sentito.»

Maya fece un passo indietro, lentamente. Se la sua emozione era evidente, non le interessava. Le interessava che qualcosa di diverso dal solito era successo alla sua pedina. Qualcosa di stranamente umano, per uno come lui. Ma per il momento non erano al sicuro, lì fuori.

«Ascolta... ciò che mi dici è pazzesco. Dobbiamo assicurarci in qualche modo di che cosa si tratta, ma non possiamo farlo ora. I mostri potrebbero sentire il nostro odore e raggiungerci. Per il momento, se pensi di farcela, occupiamoci di portare a termine questa missione. Ne riparleremo più tardi... va bene?»

«Sono assolutamente d'accordo, padrona.»

 

 

 

-Settimane dopo, nord ovest di Gransys, vicinanze della Spiaggia di Sangue, notte.-

 

 

Maya si sentiva ciondolare le braccia, scosse dal movimento deciso e scattante di Tezcacotal, che tenendola stretta a sé correva senza badare al peso dell'armatura, delle sacche e delle armi che entrambi indossavano. C'erano grida di mostri non troppo lontane e le striate di sangue sulle armi indicavano uno scontro difficile, da cui la pedina aveva avuto a malapena scampo. Quando i suoi occhi scorsero la tenda di un piccolo accampamento abbandonato o allestito appositamente per i pellegrini, si riempirono di gratitudine: ci si catapultò allo stremo delle forze, il fiato corto e i muscoli dolenti, ciononostante si premurò di adagiare Maya con quanta più cautela possibile. Si sedette al suo fianco e si appoggiò alla tenda, cercando di trattenere il respiro per qualche attimo. Le grida dei due ciclopi si stavano avvicinando e Tez lanciò un'occhiata colma di preoccupazione alla sua padrona, non più cosciente. Quando i versi sembrarono avvicinarsi ancora, fu assalito dal terrore: se li avessero attaccati, sarebbe stato davvero difficile proteggerla. Strinse le labbra e l'impugnatura della spada con la mano destra, pronto a reagire. Non poteva permettere che i ciclopi e i goblin si avvicinassero a quella tenda. Se li avesse sentiti arrivare, sarebbe uscito e avrebbe combattuto con le sue ultime forze per allontanarli, anche se non era affatto certo che Maya sarebbe sopravvissuta comunque: le sue ferite sembravano necessitare di urgenti cure e con loro non c'era nemmeno un mago. Non poteva neanche chiedere aiuto a qualcuno e la cosa lo catapultò in una disperazione profonda come un abisso. Mentre il panico stava per farlo impazzire, udì i mostri allontanarsi. I suoi muscoli si rilassarono automaticamente e con molta cautela arrischiò un'occhiata all'esterno: tutto taceva ed era tornato tranquillo e l'aria non portava più l'olezzo di quelle bestie. Quando fu certo che si fossero disinteressati del tutto all'inseguimento lasciò esalare un rumoroso sospiro di sofferto sollievo, giusto il tempo di ricordarsi che il pericolo non era affatto cessato, non per la sua padrona. Dispose la sacca e frugò velocemente per tirare fuori tutti i medicamenti che aveva, i ruoli invertiti rispetto alla volta precedente, quando si era trovato in punto di morte alle catacombe. Panni, fiasche di acqua e liquore, latte e succhi di tuberi, filtri, erbe, fasce: tirò fuori tutto ciò che aveva. L'armatura della sua padrona era stata spaccata in più punti ed era costretto a toglierla. Con molta cautela riuscì a sfilare ogni pezzo, ma dovette fare i conti con gli indumenti sottostanti. Non poteva curare le ferite lasciandoglieli indosso... senza pensarci, a mente fredda, con uno dei pugnali da assassino dell'Arisen iniziò a recidere la stoffa e a strapparla con le mani. Solo nel momento in cui ebbe il petto nudo della donna sotto ai suoi occhi si accorse di qualcosa di sconvolgente. Fu come se una scossa lo avesse fulminato, partendo dal petto e salendo fino al cervello. La visione del suo corpo, pur malridotto, riportò irruentemente il caos dei giorni scorsi nella sua mente, caos che si era placato spontaneamente, non senza sparire del tutto ma lasciandogli tregua dalle involontarie distrazioni. Ora sembrava che tutto fosse tornato più forte di prima, proprio nel momento meno adeguato.

«L'Arisen... ha bisogno di me.»

S'impose la calma. Doveva vincere quella confusione, non permetterle di prendere il sopravvento. La sua padrona era ciò che contava e suo dovere era prendersi cura della sua vita, si ripeté. Se non lo avesse fatto, non sarebbe sopravvissuta. Con il cuore che tambureggiava più veloce del solito, procurò di creare una bevanda e un impasto che l'aiutassero a proteggerla dalle infezioni. Ogni volta che i suoi occhi incrociavano le forme prominenti o che le sue mani le sfioravano, ignorava le intense percezioni mai conosciute prima, che poteva descrivere come una sorta di attrazione unita all'impellente bisogno di distogliere lo sguardo. Ancora cose nuove, la cui vera ragione continuava ad essergli ignota. Possibile che fosse quella la natura dell'evoluzione di una pedina? Eppure non aveva notato alcun cambiamento a livello fisico in lui, né gli sembrava di assomigliare in qualsiasi altro modo alla sua padrona. Lei era... così viva. Lui continuava a essere solo un fantoccio, un vaso vuoto da riempire. O no, forse no: ora aveva tutto quel caos a riempirlo. Ma non era nemmeno qualcosa che apparteneva a Maya, non stava nemmeno iniziando ad assomigliare a lei. Quello che avvertiva era diverso e indefinibile... mentre ci pensava la curava con premura, attento a ogni minimo movimento. Sterilizzò un piccolo ago ed effettuò delle suture, poi le rinfrescò la pelle laddove era ancora sporca di sangue e terra. Quando fu abbastanza pulita, si rese conto di un'altra cosa: il contatto con la sua carne, il calore che emanava, per tutto il tempo lo aveva avvertito con molta più intensità del solito. Mentre ella riposava, le sfiorò delicatamente l'addome con una mano, lasciandola appoggiare lentamente. Rimase immobile, lo sguardo rapito dalle sue dita a contatto con la pelle ambrata. L'Arisen respirava lentamente e il calore, dalla sua pelle, si diffondeva gradevolmente attraverso il suo palmo, risalendo il braccio fino ad arrivargli al petto. Sì, si rese conto che era così. Tutto si riversava e sorgeva da un unico punto: il petto. Appoggiò l'altra mano lì dove il proprio cuore stava battendo più vigoroso del solito, senza agitazione... era forse quella la sensazione che provava la sua padrona quando diceva di essere “emozionata”? Era il cuore... dal suo cuore nasceva il caos? Abbassò il capo e distolse lo sguardo. Le sue ferite erano medicate, ma aveva bisogno di almeno due giorni di recupero. Non erano in una zona poi così sicura e doveva essere vigile, nonché procurarsi ogni cosa necessaria per renderle confortevole la convalescenza. Si decise così che pensare troppo a se stesso l'avrebbe condotto alla distrazione come la volta precedente, quindi spense le lanterne ed uscì, ad assicurarsi che nessun altro mostro si avvicinasse all'accampamento.

 

 

(PARTE E FINALE MODIFICATI RISPETTO A "RINASCITA")

-Due giorni dopo, tardo pomeriggio.-

 

 

Maya stava appena uscendo dalla fonte della giovinezza, nuda. Afferrò un telo e iniziò ad asciugarsi, consapevole che la sua pedina si trovava appena fuori dal perimetro della fonte per farle da guardia. A Tez era già capitato di scorgere la nudità della sua padrona, ma poiché l'altra notte era rimasto stranamente scosso alla vista del suo seno così vicino a lui, capì di non sentirsi più così indifferente come una volta. Anzi, normalmente lo avrebbe ritenuto un oltraggio, ma ora sentiva persino l'irrefrenabile impulso di guardarla. Lasciò scivolare lentamente e con discrezione gli occhi in direzione della donna, seguendone le forme del corpo dall'alto in basso. Una pugnalata al petto gli ricordò dell'episodio del mannaro che lo aveva ferito e questo fu sufficiente per farlo tornare vigile. Il cuore gli scalpitava e provò come un senso di sconforto verso se stesso, forse l'imbarazzo che aveva riconosciuto diverse volte nella sua padrona. Deglutì di nuovo, accorgendosi che la sensazione al petto era accompagnata da altre stilettate più in basso, all'altezza dell'inguine... poi Maya lo chiamò. Asciugata e vestita, aveva bisogno di un piccolo aiuto per camminare. Tez, scoprendo di non riuscire a sostenere il suo sguardo, l'aiutò in silenzio e la riaccompagnò in tenda.

In serata, quando il guerriero entrò reggendo una ciotola colma di zuppa, Maya era seduta con il petto completamente fasciato fino alla vita. La pedina si chinò accanto ed ella prese la ciotola tra le mani, volgendogli un devoto sorriso di ringraziamento.

«Bevete, padrona. Spero gradiate.»

«Altroché» i fumi della zuppa le scaldarono il viso e il profumo che emanava la commosse «Tez... ti ringrazio di cuore per tutte le tue premure. Ti sto dando un gran da fare.»

«Credo che dovremo procedere con maggiore cautela, Arisen. Vi suggerisco di reclutare qualche pedina che conosce meglio la zona... ci aiuterà ad evitare le aree più pericolose.»

Maya fece per portare la ciotola alle labbra, ma si fermò per osservare il liquido oleoso e lucido della superficie. La fece posare tra le gambe.

«Preferirei di no...»

Tez la guardò con fermezza, l'espressione mite di sempre, naturale e senza ostilità.

«Mh? Posso chiedervi per quale ragione non siete d'accordo, padrona?»

Maya sospirò sommessamente. “Perché voglio viaggiare con te. Io e te, nessun altro”, già s'immaginava quanto sarebbe stata puerile nel confessarglielo. Capiva bene che il suo era un capriccio infantile e decisamente stupido, eppure era ciò che sentiva. Scosse piano la testa, come a scacciare un moscerino.

«A pensarci bene... credo che tu abbia ragione. Sì» disse guardandolo e celando a fatica la contrarietà nei suoi occhi «un mago. Un arciere. O uno stregone. Rischieremmo molto meno.»

Tez non disse nulla. Gli sembrava improvvisamente di capire molto di più la sua padrona. Normalmente si sarebbe fermato all'apparenza, ma ora, dietro a quella voce incerta e a quell'espressione sfuggente, gli sembrava di riconoscere qualcosa di forzato, come se gli stesse mentendo. Piegò leggermente la fronte, un accenno che Maya notò di sfuggita ma abbastanza da catturarle l'attenzione. La sua pedina aveva cambiato espressione, non era stata la sua immaginazione. Bevve la zuppa.

«E' buona. Con che cosa l'hai preparata?» confidò con sorpresa, per continuare a mostrare indifferenza ai suoi reali pensieri. Di solito, per ovvie ragioni, era lei a occuparsi del cibo, ma evidentemente Tez l'aveva osservata molto e da lì aveva imparato a cucinare un po'. Tuttavia, la pedina non parve interessata all'argomento culinario e la spiazzò con una domanda inaspettata.

«Arisen, perché mi mentite? Se non volete reclutare altre pedine, possiamo procedere io e voi soltanto, ma dovremo pianificare meglio il nostro viaggio. Se ve l'ho suggerito è perché mi sto preoccupando per voi e per la vostra vita. Questa volta avete rischiato molto...» Maya notò che la fronte del guerriero si muoveva, piccole vibrazioni come se tentasse di liberarsi da catene paralizzanti «ero... ero disperato, quando ho creduto di avervi persa.»

Tez seguì i lineamenti del viso della sua padrona mentre disegnavano un acceso stupore, comprendendo che ella non si aspettava di sentirgli dire quelle parole. La donna dovette tornare ad appoggiare la zuppa per non farla rovesciare. Questa volta scrutò indiscretamente ogni centimetro del suo viso, in cerca di qualsiasi altro cambiamento.

«”Disperato”...? Tu mi hai sempre detto che...» Tez abbassò lo sguardo, cercando di mettere insieme le parole per descriverle più precisamente ciò che aveva provato, ma era difficile «Tez, credevo che le pedine non provassero questo genere di cose. Anche l'ultima volta ti è successo qualcosa di strano, ma credevo fosse stato un caso per colpa del nuovo profumo.»

«Se posso confessarvelo, Arisen, non è stata solo quella volta... è iniziato ancora prima e non ha mai smesso» ammise con tono arrendevole «posso assicurarvi che sono in salute, ma nemmeno la faglia è in grado di sanare la confusione di cui sto soffrendo ultimamente.»

«Ma COSA senti, esattamente, quando parli di questa “confusione”? Non c'è modo perché tu possa farmelo capire con più precisione? Forse posso aiutarti a fare ordine... forse... forse il contatto prolungato con gli umani ti sta portando delle consapevolezze che prima non avevi?»

«Io... no, non ne sono sicuro, padrona, ma credo che mi succeda solo con voi. Forse la causa è il nostro legame come Arisen e pedina. Avverto come una nube di cambiamenti continui che da qui attraversano il mio corpo» disse appoggiandosi una mano all'altezza del cuore «non sono in grado di dirvi se siano gradevoli o meno... alcune volte mi sembra di sentire...» dopo secondi di esitazione, rilasciò un sommesso sospiro e abbassò gli occhi «non lo so, padrona. Non sono in grado di descriverlo senza il timore di usare parole sbagliate. Mi crea molta confusione... non riesco a capire che cosa sento esattamente.»

Il respiro di Maya accelerò. I suoi sospetti, a ogni cosa che Tez aggiungeva, sembravano confermarsi sempre di più. Ma non voleva illudersi: forse si trattava dell'evoluzione di cui Sofiah, Arisen di Selene, le aveva parlato in forma di spettro. Quando aveva saputo ciò, aveva sofferto. Amava già Tezcacotal e sapere che un giorno si sarebbe evoluto fino ad assomigliarle, come un essere che cercasse di umanizzarsi copiandone un altro, l'aveva sconvolta. Non voleva che lui diventasse umano solo per assomigliare a lei. Voleva che mantenesse l'aspetto, il nome, la voce e le caratteristiche che la propria volontà aveva scelto per lui, e che imparasse a diventare umano per conto suo, con la sua personalità... che in lui nascesse un'anima propria. Non voleva vederlo scomparire per avere una copia di se stessa. Il pensiero che quel temuto processo fosse già iniziato le creò un vuoto immenso. Gli si avvicinò cautamente, cercando di non piegarsi troppo, sorretta dalle fasce rigide. Tez rimase immobile a guardarla, scoprendo di non poter fare a meno di perdersi in quei luminosi occhi verdi, improvvisamente colmi di timore.

«Non sarà che ti stai evolvendo per assomigliarmi... vero? Come è successo a Selene, intendo... eppure... il tuo viso è sempre lo stesso...» socchiuse gli occhi, scrutando quelli grigi di lui «da ciò che mi descrivi, sembra quasi che tu ti stia umanizzando in qualche modo, ma...»

«Vi confesso che è ciò che ho pensato anche io all'inizio, padrona. Eppure, credo di non assomigliarvi per nulla. Ciò che mi succede mi sembra diverso dal cambiamento a cui pare siamo destinate noi pedine.»

Il fuoco acceso crepitava fuori dalla tenda, proiettando luci arancio anche all'interno. Maya scrutò con disperazione i lineamenti di Tezcacotal che tanto amava, gli accenni di rughe che gli conferivano l'aria di un uomo maturo, la pelle scura e il collo forte. Appoggiò una mano sul suo viso, mostrando i denti serrati.

«E che senso ha questo destino, dover diventare come il proprio Arisen? Perché dev'essere questo lo scopo? Perché una pedina non può diventare umana per conto suo? A cosa serve?!» disse quasi con rabbia, ancora inconsapevole del ruolo per le quali le pedine nascevano, nonché ignara di ciò che l'attendeva «io... io voglio che tu rimanga Tezcacotal, non che diventi una sorta di mia gemella. Come posso evitare che ti succeda?»

Tez sentì la delicata mano dell'Arisen sul suo viso e l'istinto lo spinse a prenderla. Scoprì che quel contatto gli piaceva realmente e osservò la propria mano che reggeva la sua.

«State soffrendo, padrona... ma posso assicurarvi che io continuerò ad essere con voi. Non vi abbandonerò, se è questo che vi preoccupa. Non finché non sarete voi a dirmi di tornare nella faglia.»

«No... non è questo, Tez, non hai capito! Non voglio la tua evoluzione in me! Voglio che tu ti evolva, sì, ma... rimanendo te stesso, così come ti ho creato. Non voglio un'altra me al mio fianco!»

«Così come sono...? Ma voi avete detto che vi piacerebbe se potessi provare anche io le vostre stesse emozioni. Evolvendomi, sono sicuro che potrò capire ciò che intendete.»

Maya lo guardò fino ad abbandonarsi in un pianto silenzioso. Abbassò la testa, rassegnata, e fece un singhiozzo. Eppure le era davvero sembrato che lui avesse incominciato ad emozionarsi per lei...

Tez, colto da nuovo caos, fu assalito dal panico nel vederla piangere per causa sua. Teneva ancora la sua mano e, senza accorgersi, la strinse. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma cosa? In qualche modo avvertì una disperazione simile a quella che aveva sentito durante lo scontro di due giorni prima, ma era nettamente diversa.

«P-Padrona? Non volevo... perdonatemi...»

«Padrona, padrona... sono davvero solamente una “padrona”, per te?» Maya alzò lentamente il viso rigato, la voce quieta spezzata dal pianto «Tez, non sopporto più che mi chiami così!»

«Voi... volete... volete ancora che vi chiami per nome? Perché?»

«Perché detesto quella parola! “Padrona”... mi fa sentire una schiavizzatrice e il pensiero di poterlo essere davvero mi angoscia. Io... vorrei sentire la tua meravigliosa voce pronunciare il mio nome, non quell'orribile parola. Vorrei che ci fosse confidenza tra noi... non voglio essere una padrona che dà ordini alla sua pedina come fosse uno strumento da usare solo nel bisogno, aspettandomi di vederla obbedire ciecamente! Abbiamo un legame che va ben al di là di questo, per quanto mi riguarda!»

Qualcosa colpì profondamente Tezcacotal, tanto che Maya lo vide spalancare gli occhi. Rimase a bocca aperta, incapace di parlare, con la mano a stringersi in quella di lei. Maya alzò il braccio, mostrandogli ciò che stava facendo.

«Questo... questo! Lo vedi? Mi stai stringendo, Tez... mi stai stringendo, e gli occhi che vedo non sono quelli di un mero fantoccio senza emozioni né volontà!»

«I-io non...» Tezcacotal fece scorrere gli occhi dall'espressione disperata di Maya alla propria mano, che non poteva fare a meno di stringersi in quella di lei. Non voleva farle male, ma il caos lo stava assalendo con tanta ferocia che temeva di tornare nella faglia da un momento all'altro. Il cuore gli batteva come non mai: quando Maya si avvicinò ancora, avvertì una moltitudine di stille che gli si sprigionarono nel petto come fuochi d'artificio e che, dopo essere esplosi, ricaddero nel suo stomaco a solleticarlo.

«Tez, ciò che voglio è la tua presenza al mio fianco... la tua, non la mia. Voglio la tua voce, il tuo calore... voglio guardare il tuo viso, i tuoi occhi... condividere ogni cosa con te, così come ti ho di fronte a me ora. Io ti...»

Maya non sapeva quanto Tez riuscisse a comprendere delle sue parole e se stava per caso peggiorando la situazione, rischiando di danneggiarlo in qualche modo, ma sentiva il battito del suo cuore da quei pochi centimetri che li separavano. Ormai era praticamente su di lui, seduto a terra. La mancanza di una sua reazione la lasciò in silenzio per qualche attimo, a metabolizzare ciò che in fin dei conti aveva sempre saputo, ma alla fine si decise lo stesso. Di fronte ai suoi occhi sperduti, si spinse automaticamente per portare le proprie labbra sulle sue. Lo baciò alzando l'altra mano e appoggiandola sul suo volto, provando una stilettata di eccitazione. Tez aveva labbra calde ma ferme, di chi non ha idea di che cosa stia succedendo. Sapeva solo che in quel momento il suo cuore aveva subito un'accelerazione, che si era irrigidito, che le aveva stretto ancora di più la mano -questa volta sì, facendole involontariamente male- e che respirava con lieve ansito. Pochi istanti dopo Maya si staccò lentamente, guardando l'espressione sperduta della sua pedina.

«Sei l'uomo che io amo, Tez. Pedina o meno, questo è ciò che provo per te. Ti amo così come sei e non voglio che cambi per una stupida evoluzione che ti farà assomigliare a me.»

«Voi... voi amate me?» Tez umettò le labbra due volte, continuando a ripensare a quel bacio. In quasi tutti i giorni scorsi ne aveva ricevuto uno sulla guancia e aveva scoperto che, giorno dopo giorno, gli faceva un effetto un po' diverso da quello precedente. Quel nuovo contatto, però, era stato come un'esplosione di percezioni fortissime, tutte diverse ma ugualmente abbastanza piacevoli da fargli battere il cuore con un fragore mai provato prima, nemmeno di fronte ai nemici più temibili. Forse quella sensazione era paragonabile all'enorme sollievo provato nel momento in cui si era sincerato che la sua Arisen non fosse caduta. Una cosa era certa: gli sarebbe piaciuto risentirla. La percezione delle loro bocche l'una contro l'altra aveva generato in lui un vero e proprio desiderio e si rese conto che quel bacio, quella vicinanza e quel contatto con il suo corpo, stavano creando ulteriori sensazioni, questa volta più fisiche, e che s'intensificavano ogni volta che seguiva i lineamenti del viso e del corpo dell'Arisen «amate me, padrona? Me, questa pedina... fra tutti gli uomini umani che avete potuto conoscere?»

Maya gli sorrise. Ormai era andata, non aveva più nulla da nascondergli.

«All'inizio... quando il forgiato mi disse che il legame dell'Arisen sarebbe stato destinato a colui che avrei scelto per accompagnarmi, mi sono resa conto di non avere nessuno. Certo, ho aiutato molti e molti hanno aiutato me, non posso negarlo. Ho riso e pianto con molti di loro... ma per quanto indimenticabili, quei momenti non sono stati più di un raggio di sole passeggero in una continua tormenta, dove nessuno è riuscito a capirmi davvero, né a rimanermi accanto. Nessuno è rimasto di propria volontà per percorrere questa difficile strada insieme a me. Né io ho percorso una strada differente dalla mia. Le persone sono arrivate e andate via in continuazione, svanendo come ricordi nel tempo. Mi guardavo continuamente attorno, ma mi accorgevo di essere sempre sola. Per amare qualcuno avevo bisogno di dover conoscere questo qualcuno, non di scambiare quattro chiacchiere, fare dei favori, ricevere i ringraziamenti e infine salutarci. Come potevo dare l'anello a qualcuno per così poco? Al di là di ciò che ho fatto per loro, non ho mai conosciuto veramente le persone che ho aiutato, nemmeno quando abbiamo vissuto momenti particolari. Sono sempre stati incontri brevi, a volte più intensi, ma ugualmente limitati alla superficie. Forse qualcuno è rimasto un po' di più, o avrei voluto conoscerlo meglio, ma tutto si è sempre fermato allo stesso punto. Pensavo che non avrei mai trovato nessuno a cui donare l'anello... finché non ho aperto all'improvviso gli occhi. Mi sono resa conto che ho sempre avuto qualcuno accanto a me, in qualunque momento. Che mi ha sempre aiutata e difesa nel momento del bisogno. Che mi ha ascoltata e supportata anche quando non mi comportavo proprio benissimo e che mi ha rimproverata quando ce n'era bisogno. C'eri tu, Tez... ti ho praticamente amato dall'inizio, ma non volevo ammetterlo perché sapevo cosa significasse essere una pedina, e avevo paura che avrei sofferto troppo. Eppure, alla fine non ho potuto fare a meno di assecondare ciò che provavo. Ho imparato a conoscerti e a scoprire che in te c'è qualcosa che ti appartiene e che ti rende speciale ai miei occhi... anche se ammetto di aver pensato di essere io a convincermi di questo. Ma il tuo modo di parlare, la tua calma, la tua pazienza, il tuo consiglio nel momento giusto, la tua conoscenza, il tuo modo di affrontare tutto ciò che viene... il tuo coraggio... la tua bellezza; sono tante le cose che ti hanno reso per me l'uomo più speciale senza che tu te ne sia reso conto... ti hanno reso vivo esattamente come una persona normale, non come una pedina. Ai miei occhi, hai incominciato ad essere qualcuno di importante, al quale il mio pensiero si rivolgeva sempre più spesso. Ho iniziato ad amarti davvero, non era solo un desiderio passeggero... sentivo di non poter fare a meno della tua presenza. Ed ora... ora io voglio donare a te l'anello. Voglio che lo tenga tu. Perché se il nostro legame era già speciale, per me ora lo è ancora di più. Sei quel sole capace di dissipare la tormenta che mi circonda. E voglio stare sempre con te.»

Ciò dicendo, Maya aprì il palmo della mano, lasciando che Tez prendesse l'anello contenuto in essa. Con gli occhi fermi ma velati di un vago stupore, se lo mise al dito e poi la guardò. Maya sapeva bene che Tez non poteva comprendere né il significato delle sue parole né le sue emozioni, per lo meno non fino a quel punto... ma si sentiva ugualmente bene nell'avergli confessato tutto ciò che provava per lui. Invece, inaspettatamente, la sua mano sul fianco la spinse ad avvicinarsi e con l'altra le prese delicatamente il viso, quasi avventandosi sulle sue labbra. La baciò di propria volontà e in quell'istante fu come se si svegliasse da un lungo sonno: all'improvviso per Tezcacotal era tutto chiaro. Poteva finalmente capire ogni cosa di ciò che gli stava succedendo realmente, ciò che provava, ciò che desiderava. La volontà gli era come sgorgata dal cuore, infusa dalle parole e dai gesti della sua Arisen. Capì di amarla come lei amava lui e la baciò perché così sentiva di poterlo esprimere. La voleva, la voleva sentire attorno a sé, l'abbracciò stringendola al proprio corpo, facendo tutto ciò che l'istinto gli suggeriva. Maya rispose dopo l'iniziale sbalordimento, colta da un tripudio di gioia che lo rese il momento più bello e felice della sua vita. La sua pedina la stava baciando... la baciava e la stringeva, l'accarezzava e ansimava con il cuore in tumulto. Allora la sua confusione non era stata parte dell'evoluzione come avevano entrambi creduto: era invece ciò che Maya aveva sospettato! Tez, sotto l'influenza della sua anima e della sua volontà, aveva iniziato a provare sentimenti umani e ad innamorarsi di lei, slegandosi dalle catene del destino delle pedine. Non era riuscito a capirlo perché era stato tutto nuovo per lui e non aveva saputo come descriverlo. Pensandoci, Maya capì che doveva essersi sentito davvero smarrito.

Tezcacotal si staccò dalle sue labbra e la guardò come se fosse la prima volta che s'incontravano.

«Arisen... anzi, Maya. Non so come... ma adesso, finalmente, lo capisco. Mi avete... mi hai aperto gli occhi. Il mio cuore batte così forte... le tue parole... la tua bellezza...» esitò pochi secondi, ammirando il volto della sua signora «quello che voglio dire... è che forse il drago ti ha strappato il cuore, ma adesso... adesso hai il mio. Finalmente mi è tutto chiaro... grazie a te, finalmente posso capire cosa significa amare. Vi amo, padrona.»

Lei gli sorrise con arguzia, ponendogli un dito sulle labbra.

«Maya» rimarcò con un sussurro mentre, dimentica della sua convalescenza, si apprestava a baciarlo di nuovo.

Nei giorni seguenti, Tezcacotal scoprì per la prima volta le gioie dei piaceri passionali. Il loro momento nacque in modo spontaneo quando Maya si ebbe rimessa del tutto dalle ferite, di nuovo accanto a un docile fuoco ma in una zona molto più sicura. Tez aveva sentito tante storie riguardo i legami passionali tra umani, molte delle quali gli erano sembrate tutt'altro che gradevoli. Fu anche in quell'occasione che le spiegò di come alcuni Arisen si fossero approfittati delle pedine per soddisfare i loro bisogni più voraci, poiché le pedine potevano usare il loro corpo e le loro funzioni per recare piacere al loro padrone, pur senza funzionalità di riproduzione e senza provare alcunché a livello fisico, se non una normale sensazione tattile. Con Maya, invece, scoprì di poter provare emozioni talmente intense da togliergli il fiato e che gli piacevano tanto da desiderare di provarle più e più volte. A Maya era capitato di sentire i suoi desideri anche durante il viaggio, in momenti non sempre adeguati, ed era stato difficile resistere. Ma entrambi avevano avuto il buon senso di aspettare e così uno dei momenti più belli fu quel pomeriggio passato al mare in quel di Cassardis, nella più totale spensieratezza, a dimenticarsi per un solo giorno di ciò che li attendeva di lì a poco. La sera, a casa dell'Arisen, dopo una buona cena consumata insieme e un dessert gentilmente offerto da Topec -i famosi dolci d'uva-, si erano ritrovati a giacere in quel piccolo letto accostato alla parete, in modo spontaneo e senza bisogno di parole. Tez aveva scoperto l'irresistibile tentazione di ammirare e toccarle quel corpo tonico e pronunciato e aveva lasciato che lei facesse lo stesso, adorando il modo in cui si muoveva e con cui l'accarezzava. Fu sempre lì che ebbero entrambi, per la prima volta, la prova dell'intensità del legame carnale, spendendo metà della notte a godere della passione scaturita da un così profondo contatto, che fece sgorgare un frutto nel ventre dell'Arisen, il quale prese immediatamente a battere di nuova vita. I loro ansiti si persero tra le mura buie quando il fuoco si spense, trasportati dalla brezza salubre in soffusi mormorii, a suggellare il loro eterno amore. Ma non sarebbero stati solo in due a condividere le gioie della vita, bensì in tre... presto, Maya per prima lo avrebbe compreso.

 

 

 

-Due mesi dopo, Monte impuro, mattino.-

 

 

Quando il Drago aveva offerto a Maya la possibilità di sacrificare colui che amava, dopo un fiume di rivelazioni che le avevano penetrato l'animo, le era ribollito il sangue nelle vene. “MAI!”, aveva ruggito, stringendo la mano del suo guerriero. Tezcacotal vide lo sguardo di Grigori scivolare su di lui, tanto profondo da insinuargli l'inquietudine della morte. Non aveva certo avuto dubbi del fatto che Maya non lo avrebbe mai assoggettato ai suoi artigli... ma aveva tremendamente paura per lei e temeva che non fosse ancora pronto ad aiutarla e proteggerla, soprattutto con la situazione che lo tormentava ormai da troppo tempo.

«Ammetto che l'esito della deviazione che hai imposto nel tuo percorso mi coglie di sorpresa, Arisen» enunciò Grigori con una voce stentorea, calda e abissale come quella di un Dio «l'idea che la forza della volontà di un Arisen possieda la facoltà di snaturare disegni inarrestabili non sfiora chi è parte dell'anello» gli occhi dorati, dalla pupilla da ofide, scivolarono dall'alto in basso sulla pedina «molte sono le storie che sono state incise nella memoria dell'eterno ritorno... involucri corrotti o alterati dalla disperazione e dal vuoto del nero abisso, ma mai dall'animo di un Arisen in vita. Dopo tanti trascorsi, conosco nuovi significati per la definizione di stupore...» una breve risata di sbuffi fumosi gli sfuggì tra le fauci, bassa e dalla natura incerta «ma sarai pronta a lasciarlo in balia del vuoto dell'abisso? Sarà veramente questo il destino che aneli per lui? Nulla è ciò che sembra... nulla è certo.»

L'Arisen sapeva che il destino di Tezcacotal sarebbe stato quello di divenire come lei, ma non comprendeva l'esatto significato del suo enigma. Di quale abisso parlava? E che cosa c'entrava con ciò il destino della sua pedina? Anche Tez intuì che le parole del Drago contenevano un avvertimento ma, giunti a quel punto, non poteva fare altro che aiutarla a combatterlo. Si lanciò nello scontro insieme a lei, pronto ad affrontare il loro destino, qualunque esso fosse.

 

 

 

-Il Seneschal.-

 

 

Dopo il Drago, caduto con incomprensibili avvertimenti in lingua arcana mentre scrutava il legame al dito di Tezcacotal, arrivarono al cospetto dello Seneschal: molto diverso dall'essere surreale che Maya si sarebbe aspettata. Un essere dannatamente umano, quasi quanto lei, anche troppo.

Di fronte alla sua proposta, ella non volle saperne di tornare alla vita di un tempo e fare come se nulla fosse mai accaduto, sia perché non poteva ignorare il fatto che un giorno il Drago sarebbe tornato per reclamare un altro cuore, facendo soffrire altre persone, sia perché questo avrebbe implicato perdere Tez, ed era decisamente fuori discussione. Decise così di affrontare le sue prove, Tezcacotal al suo fianco come sua pedina. Lo scontro non fu particolarmente lungo, ma in qualche modo fu il più pesante che avessero mai affrontato. La tensione nell'aria riempiva Tez di inquietudine, quasi nutrisse il sospetto che qualcosa non sarebbe andato nel modo che s'immaginava, eppure l'unione delle loro forze riuscì a respingere quella dello Seneschal e della sua pedina, determinando così la loro sconfitta. Il silenzio intercorse fra tutti loro solo per pochi istanti, ma contemporaneamente parvero eterni. Il Seneschal, chino di fronte a colei che lo aveva sconfitto ma con tanta forza di volontà da riempirgli ancora lo sguardo, rivelò ogni conoscenza che deteneva, definendo i piani con un'ultima richiesta. Egli chiese all'Arisen di renderlo libero e di prenderne il posto, così come le spettava. Maya, dapprima immobile, accettò di farlo con un cenno silente. Comprendeva l'agonia interiore di quell'essere, che un tempo era stato uomo e poi Arisen come lei. E diventare il Seneschal era la sua unica possibilità per mettere fine al ciclo del Drago e degli Arisen... o almeno così credeva, e lo stesso pensava Tezcacotal. Ma nel momento in cui Maya affondò la lama sacrilega nel petto dello Seneschal, giunse a un nuovo livello di comprensione. Con il cuore in tormento, comprese che diventare semplicemente il nuovo Seneschal non era ancora abbastanza. Non era ciò a cui era destinata. Non avrebbe regnato come un Dio su quel mondo travagliato e sofferente, decidendo ogni cosa per esso... perché il potere dello Seneschal non sarebbe stato in grado di impedire al Drago di tornare a rieleggere un nuovo Arisen. Se voleva mettere un punto finale in quella storia doveva fare un passo in più, quello definitivo... e ne ebbe una gran paura.

In quel luogo etereo, dove avrebbe potuto plasmare qualunque cosa dal nulla, come un vero Dio, il primo pensiero di Maya fu per Tezcacotal. Dopo che l'anima dello Seneschal ebbe lasciato quel mondo per trovare finalmente riposo, si girò a guardarlo con il sorriso più bello che lui le avesse mai visto. Questo, come ormai succedeva sempre, gli fece sentire la solita sensazione al petto. Per Maya, la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto il suo consueto sguardo impassibile e quieto fu una pugnalata al cuore. Non aveva il coraggio di dirglielo. Sentì un nodo in gola pronto ad esplodere... non poteva farlo, non avrebbe compreso. Eppure... non poteva sfuggire a ciò che sentiva essere un suo dovere. Per quanto non desiderasse altra cosa al mondo che stare insieme a lui, quel peso la schiacciava e non sarebbe riuscita a vivere serenamente sentendolo premere sulle spalle ogni giorno. Troppe altre persone avrebbero sofferto come lei e come chi aveva subito le disgrazie di quel maledetto ciclo senza fine. Se c'era qualcuno che poteva porvi una fine, era lei e lei soltanto. Non poteva vivere sperando che prima o poi qualcun altro l'avrebbe fatto al suo posto: sarebbero passati forse moltissimi anni prima di trovare qualcuno disposto a un sacrificio del genere e, nel peggiore dei casi, non sarebbe mai giunto nessuno. E poi, anche se fosse successo, questo qualcuno avrebbe comunque dovuto ucciderla per prendere il suo posto di Seneschal. “Non ho proprio scampo, eh?

Tez intuì che qualcosa non andava nel momento in cui la vide abbassare il viso, piegato da un'espressione d'improvvisa e insostenibile sofferenza. Subito dopo la vide voltarsi lentamente e alzare la lama sacrilega. L'orrendo rumore del suo petto trafitto dalla spada, sorretta nelle sue mani, non lo avrebbe mai dimenticato. Il mondo gli crollò addosso in un istante mentre Maya perdeva le forze con un ultimo, benevolo sguardo. Egli si catapultò di colpo, come destandosi all'improvviso da un sogno: il senso di caos che aveva provato per tutto quel tempo si fece come uno spettro che s'impadronì del suo spirito, e gli sembrò come di aprire gli occhi e vedere finalmente in modo chiaro tutto ciò che prima era annebbiato. Vedeva il mondo reale, per come lo vedevano gli umani, ma c'era sempre e comunque Maya prima di ogni altro pensiero. Le sue ginocchia batterono violentemente al suolo e, senza esitare, la prese tra le braccia, inorridito da ciò che ella aveva compiuto così inaspettatamente. La guardò con tanta disperazione da rendere triste persino l'espressione in fin di vita della sua Arisen, che gli parlò attraverso il suo spirito di Seneschal.

Mio caro e amato Tez... quando ho capito che questo era l'unico modo, ho avuto tanta paura... ma dovevo farlo. Vorrei tanto continuare a stare con te” un ultimo sforzo le permise di appoggiare la mano sul suo viso “ti amo e ti amerò sempre. Vivi per me.

«Padrona...? No, non... non mi lasciate!» Tez si sentì morire. Fu tentato di estrarre la lama dal suo petto, ma quando la sentì abbandonarsi tra le sue braccia e vide i suoi occhi chiudersi, le strinse le spalle «no! Restate con me... restate!»

Il terreno sotto di loro si aprì di colpo e la forza di gravità iniziò a pretenderli, trascinandoli nel vuoto. Cassardis, sotto di loro, risplendeva di luce, ma intorno a Tez era tutto nero se non per la figura della sua Arisen che, priva di vita, scendeva nel vuoto a pochi metri da lui, velocissima, circondata dall'ululare sferzante del vento.

«MAAAAAYAAAAAAAA!», la chiamò. E dopo quelli che parvero secondi interminabili, in cui non si accorse nemmeno delle energie spirituali che li circondavano, simili a quelle presenti nella faglia, ci fu il violento impatto contro le onde. Si risvegliò sulla spiaggia, gridando un'ultima volta il suo nome, e quando si rese conto che il mare aveva inghiottito nei suoi abissi il corpo della sua amata, cedette alle lacrime per la prima volta in vita sua. Mentre la gente di Cassardis, avendo assistito alla scena, accorreva intorno a lui, guardò l'orizzonte con una domanda che non smetteva di rimbombargli nella mente. Perché lo hai fatto?!

Ma si accorse di saperlo. Maya si era sacrificata per mettere fine al ciclo del Drago, per non permettere che altri soffrissero nuovamente gli eventi che si sarebbero inevitabilmente ripetuti. Aveva rinunciato a una vita serena insieme a lui, mettendo la pace innanzi alla sua felicità. No, sapeva che questo non voleva dire che Maya non lo ritenesse importante. Sapeva che non c'era cosa che Maya amasse più di lui e del loro futuro bambino, ma comprendeva perfettamente il suo bisogno di porre una fine a tutto. Smise di piangere, sordo alle domande delle persone attorno. Si alzò e si ricordò della sua casa. Con un prolungato sguardo di agonia diretto al mare, lì dove giaceva Maya, dedicò un pensiero profondo ad ella e al frutto in lei che non avrebbe mai visto la luce. Poi si girò e se ne andò come se intorno a lui non ci fosse nessuno.

 

 

 

-Cassardis, casa dell'Arisen, notte.-

 

 

Durante la notte, dopo che Tez si era sforzato di spiegare gli accadimenti al capo del villaggio e gli erano stati offerti cibo e dei vestiti puliti, si accostò in quello che era stato il letto della sua padrona e amata. Sorrise al pensiero del loro primo incontro e alla prima volta che lei lo aveva portato lì, quando non era stato più di un involucro guidato dall'unica volontà di proteggere la sua vita, nonché dai suoi ordini. Allora le era parsa come una Dea, un essere superiore e a cui ella non gli avrebbe mai concesso alcuna importanza. Invece l'aveva scoperta molto diversa dagli altri umani. Gli aveva insegnato a vivere, a poco a poco, giorno dopo giorno. Non lo aveva mai trattato da pedina ma da persona, e questo aveva mutato la sua natura e riplasmato la sua evoluzione, facendola innamorare e facendo innamorare anche lui, pur inconsapevolmente. Era distruttivo trovarsi in quel letto da solo. Avrebbe dovuto essere con lei, a godere della pace per la quale avevano tanto combattuto insieme. Avrebbero giaciuto, avrebbero atteso la nascita del loro figlio. Le lacrime gli bagnarono le gote, perché il ricordo di Maya gli spezzava il cuore. Che senso aveva essere diventato umano, come lei desiderava, se non potevano stare insieme come due persone normali? Che senso aveva vivere così? In quell'istante gli sembrò di risentire le parole del Drago: il loro destino, il vuoto dell'abisso... aveva avuto ragione, dunque. E capì anche che, se fosse rimasto pedina, avrebbe sofferto comunque, perché era la morte del proprio Arisen a provocare il risveglio definitivo delle emozioni. Ricordava bene di tutte coloro che erano rimaste senza padrone, ricordava della loro sofferenza, del loro infinito vagare, della loro corruzione... forse un destino del genere sarebbe stato molto peggio. Che il suo scopo fosse adesso proprio quello di vivere per lei? Imparare a vivere da umano, con le proprie forze, la propria volontà? Maya gli aveva concesso un dono meraviglioso, la vita da umano... ma sarebbe mai stato in grado di vivere sopportando la sua perdita e quella del bambino che portava in grembo? Gli sembrava davvero impossibile... voleva Maya e suo figlio con sé, non altre persone.

Arrovellato da questi pensieri, improvvisamente lo sentì: un cambiamento sordo ma pressante nell'atmosfera. Un suono, una lontana eco. La pietra...? Che la faglia lo stesse chiamando a sé? Cercò di tapparsi le orecchie. Non era più una pedina! Ma il suono si fece più alto, così opprimente da divenire insopportabile. Si alzò di colpo, furioso per non poter nemmeno piangere in pace la sua amata. Senza nemmeno preoccuparsi di rivestirsi, uscì in calzoni corti e a piedi nudi, camminando alla svelta nel cuore della notte. La sabbia era ancora tiepida, prova di una giornata soleggiata e prosperante, ma lui provava solo il gelo della solitudine. Quando arrivò, la pietra baluginava intensamente. Una strana sensazione lo pervase all'improvviso, facendogli dimenticare tutte le sue sofferenze. Si avvicinò cautamente, non comprendendo la natura di quel richiamo. La faglia non lo esigeva, bensì lo chiamava per qualcos'altro. Qualcosa di estremamente importante. La sua mano, ancora segnata dalla cicatrice luminosa, si alzò esitante. Pochi secondi e il palmo appoggiò sulla superficie incisa, facendo esplodere fumi verdastri. Alle sue spalle si aprì una breccia fumeggiante e circolare, un portale pronto a concedere l'arrivo di qualcuno. Chi mai poteva essere?

Quando la figura umana si materializzò di fronte ai suoi occhi, il cuore gli si fermò. E si rese conto che non era semplicemente una pedina con il suo aspetto. Era esattamente lei... Maya. Maya era di fronte a lui, in carne ed ossa, un sorriso felice sulle labbra. Il contatto con la pietra donò a Tez la scoperta che le acque avevano sì inghiottito il suo corpo, ma grazie al suo ultimo desidero in spoglie di Seneschal era riuscita a confinare la sua anima nella faglia e a rinascere come umana attraverso la volontà d'egli, la sua pedina, rafforzata e influenzata a lungo dalla propria di Arisen. Quando Maya alzò la mano, a mostrargli la cicatrice sul palmo e che portava anche sul petto, a indicare la sua appartenenza agli Arisen, gli rivolse un sorriso e uno sguardo che parlavano da sé ed egli comprese che nulla era cambiato del loro legame. La mano d'ella si appoggiò automaticamente alla sua e le loro dita s'incrociarono.

«Era questo il destino a cui anelavo. Porre fine all'eterno ritorno... e soprattutto, avere te al mio fianco. Non più schiavi dell'oscurità, ma liberi di scegliere. Liberi di vivere insieme, per il resto della nostra vita» sussurrò accarezzandosi il ventre e Tez capì. Gli sfuggì un sorriso di commozione, poi entrambi si strinsero forte e si scambiarono un bacio: mai come allora ebbero così chiaro il significato della felicità e delle lacrime di gioia. Maya aveva rinunciato all'essere il nuovo Seneschal per rimanere con lui e con il loro futuro figlio, rompendo definitivamente le regole sotto cui il mondo era rimasto troppo a lungo. Tutto sarebbe tornato come una volta, esattamente come entrambi avevano sognato, cancellando un giorno ogni traccia di Arisen e pedina rimasta in loro, per vivere come una semplice famiglia.

FINE

   
 
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