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Autore: WhiteWitch    17/08/2019    3 recensioni
Lui era razionale. Era sempre stato un'entità dalla mente quadrata, a cui non piacevano le sorprese. A cui piaceva che ci fosse un Piano, che ci fosse qualcuno a dirgli cosa fare.
Eppure ora, nonostante fosse inusuale per lui dare ascolto a ciò che gli umani chiamavano sesto senso, sentiva che sarebbe bastato pochissimo: sarebbe bastato un gesto, uno sguardo, o semplicemente l'avvicinare la mano di appena un centimetro, perché qualcosa cambiasse.

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Un Arcangelo e un Principe Infernale entrano in un bar.
E ricordano un passato in comune che fa male a entrambi.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belzebù, Gabriele
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'm missing my same old us

 

Ricordava benissimo la Caduta. Ricordava di essere stata strappata via da dove si trovava, lacerata, spezzata a metà.

Dopo di allora, ogni volta che lo guardava in faccia non riusciva in alcun modo a dimenticare quanto lo avesse amato. Dopo di allora, in qualche modo, oltre ad amarlo lo odiava.

Lo odiava perché era cambiato ed era diventato crudele e meschino e arido, dalla mente chiusa e dal sorriso freddo. Lo odiava perché non aveva nulla, assolutamente nulla dell'angelo che era stato, dell'angelo che lei tanto aveva amato e ammirato. E lo odiava anche perché, nonostante tutti quei cambiamenti, era rimasto lo stesso: era rimasto grande, alto, bellissimo e colmo di Grazia come se non fosse trascorso nemmeno un giorno.

E odiava se stessa, con tutto il suo cuore, perché una piccola parte di lei le diceva di correre da lui, di prendergli la mano e chiedergli di portarla via da un passato che non potevano cancellare. Una piccola parte di lei voleva farsi stringere e farsi dire che tutto andava bene, che tutto era come era sempre stato.

Sapeva che non era vero. Mentre camminava a passo trascinato verso di lui, l'espressione acida e annoiata, sapeva che nulla sarebbe più tornato come prima.

Oh, sì, rifletté mentre si sedeva accanto a lui, ricordava benissimo dove si trovava quando era Caduta.

Era tra le braccia di lui.

 

*

 

Gabriel si girò verso di lei. Non l'aveva sentita arrivare.

Nel suo ampio petto, il suo cuore fu come stretto da una morsa. Gli accadeva ogni volta che la guardava e se lo avesse raccontato a un umano qualsiasi si sarebbe sentito rispondere che era la stretta dell'amore.

Lui, però, sapeva che non era affatto amore, quello che sentiva per lei. Era qualcosa di più amaro, qualcosa che sapeva di deprivazione e luoghi chiusi e di buio. Aveva conosciuto l'amore e quello che sentiva non poteva essere più distante.

All'epoca la chiamava Bee. Ora, se ci avesse provato, era possibile che lei gli avrebbe strappato la lingua con un morso.

Somigliava ancora molto alla creaturina fragile che era stata la sua compagna: era piccola, così piccola che avrebbe potuto romperla, e con i capelli più neri che avesse mai visto. Tuttavia, la Bee che ricordava era avvolta dalla più pura luce celeste, mentre quella che aveva davanti era solo un'ombra.

Era con lei, quando aveva iniziato a Cadere. La teneva stretta, come se sperasse che questo le avrebbe impedito di bruciare. Aveva ancora le sue grida nelle orecchie, il suo pianto triste che da spaventato si era fatto sempre più tenue, fino a sparire nel silenzio.

E poi era sparita anche lei, come se non fosse mai stata lì, come se Gabriel non le avesse tenuto le mani fino a un istante prima.

Avrebbe dovuto sentirsi addolorato. Avrebbe dovuto piangere la sua perdita, piangere come tutti i suoi fratelli e sorelle che si struggevano per i Caduti anche mentre li trafiggevano con lance e spade.

Invece non aveva versato neanche una lacrima e, se all'epoca non aveva saputo perché e aveva pensato che fosse una sua debolezza, una sua mancanza di empatia, ora sapeva che non era così. Sapeva perché non aveva pianto.

Perché lei se n'era andata: aveva scelto di farlo. Aveva scelto di ribellarsi. Gabriel si era sentito...

Si era sentito...

La guardò ordinare un Moscow Mule al bancone del bar.

Si era sentito messo da parte. E così aveva accantonato quel lato di sé che gli avrebbe consentito di amarla ancora.

 

*

 

Beelzebub avvicinò la cannuccia alle labbra e gli lanciò un'occhiata di sbieco. Si sentiva male.

Normalmente avrebbe accolto la sensazione di nausea con una certa gioia, perché quale demone non avrebbe adorato vomitare in un bar di lusso rovinando la serata ai presenti?

Questa volta, invece, la percepì come un campanello d'allarme. Si pentì di aver accettato di incontrarlo sulla Terra, su un piano materiale in cui era costretta ad abitare un corpo imperfetto, difettoso. Ovviamente era difettoso, perché come altro poteva spiegare quello strano tremore alle mani, la bocca asciutta, la difficoltà nel sostenere lo sguardo di lui?

Per qualche momento spostò lo sguardo sulle sue dita forti e mascoline, che scorrevano distrattamente sul bordo del bicchiere del Martini.

La cosa peggiore, rifletté, era il sapere di non aver fatto il possibile per evitarlo. Anzi, durante i primi tempi passati negli Inferi si era quasi dimenticata di cosa significasse l'averlo accanto.

Aveva faticato a ricordare cosa fosse accaduto, una volta piombata rovinosamente al suolo dopo quelli che erano parsi migliaia di anni di fiamme e di vento e di paura. Si era seduta, nuda e coperta di cenere, le ali ridotte a brandelli, e si era guardata intorno, timorosa anche solo di emettere un suono.

Era buio, tutto era oscuro e spaventoso.

Ma Beelzebub aveva sempre avuto un'attitudine al comando. Così, quando Lucifero era venuto da lei, le aveva teso la mano e le aveva offerto una nuova vita, aveva accettato il suo nuovo ruolo senza protestare.

Guardò Gabriel, illuminato dalla luce asettica di quel locale moderno, e lo ascoltò parlare per un po' dell'Apocalisse Che Non Era Avvenuta.

Come poteva lui, che incarnava tutto ciò che lei odiava, essere così ragionevole?

Anche Lucifero era parso molto ragionevole, in Paradiso prima e all'Inferno poi. Beelzebub aveva imparato a diffidare delle persone ragionevoli, perché alla fin fine non avrebbero fatto nulla per lei. Gabriel non l'aveva salvata dalla Caduta e Lucifero non le aveva risparmiato le fiamme infernali, trascinandola a picco con lui.

Notò sovrappensiero che Gabriel non stava bevendo. Certo, come dimenticare, lui avrebbe odiato insozzare il suo corpo con cibo e bevande. Beelzebub fece un mezzo sorriso al pensiero di uno degli Arcangeli che ordinava un Martini per salvare le apparenze.

Poi ricordò che non doveva sorridere e smise.

 

*

 

Gabriel vide il suo sorriso, ma non lo commentò.

Con che diritto Bee, la sua Bee, gli sorrideva, come faceva una volta, quando erano entrambi giovani e il mondo era ancora tutto da creare?

Ora non c'era più nulla da creare e Gabriel si era sentito così felice di poter finalmente distruggere tutto. Di poter infine estrarre una spada e abbatterla con furia su quelle creature demoniache, su quei corpi oscuri e diversi, su... su...

Su di lei. Gabriel avrebbe abbattuto la sua spada su di lei e non dubitava che Bee avrebbe fatto la stessa cosa a lui e sì, quanto sarebbe stato giusto distruggersi a vicenda, perché Gabriel ormai guardava il suo amato Paradiso, tutto bianco, tutto uguale, e scopriva che gli mancava qualcosa.

Qualcosa che non avrebbe avuto mai più.

Aveva covato una rabbia così violenta, all'epoca. Quanto tempo era passato? Diecimila anni? Centomila? Eoni interi?

Ed essere arrabbiato era così stancante.

Voleva solo dormire, chiudere gli occhi e staccare la spina e dimenticare, almeno per un po', dimenticare di aver perso il suo cuore, quel giorno.

Il suo cuore che era affondato con lei, lei che era bellissima e potente, potente in un modo quasi primordiale e spaventoso.

E lui la amava. La amava ancora e nello stesso tempo voleva annientarla, perché lei era ancora la stessa eppure non lo era.

Forse era per questo che Aziraphale non gli era mai piaciuto, pensò mentre lei prendeva la parola e ordinava un altro drink. Perché Aziraphale era riuscito sempre dove lui aveva fallito, era stato in grado di offrire una mano fraterna a un demone e lui non ci era riuscito.

Ora era il turno di Bee di parlare e Gabriel quasi non la ascoltò, perché la sua voce era morbida e vellutata e sembrava una carezza per la sua mente esausta.

 

*

 

Si accorse che lui non la stava ascoltando. Beelzebub non se la prese. Meglio così, dopotutto. Lui era sempre il solito burocrate, innamorato della propria voce e poco incline ad ascoltare gli altri. Evidentemente non gli interessava sapere cosa lei avesse da dire e di questo si sentì quasi sollevata, perché le risparmiava la fatica di sentirsi in colpa per non avere la forza di allungare la mano verso di lui e toccarlo.

Smise di parlare e lui, allora, assunse un'espressione triste.

Solo che il volto di Gabriel non era fatto per essere triste, era un viso squadrato fatto per sorridere con condiscendenza o per dispensare rabbia e guerra, perciò vederlo con quell'aria mesta lo rese in qualche modo più spaventoso. Beelzebub si ritrasse sulla sedia.

E allora si ricordò.

Ricordò che anche in Paradiso a volte lui sembrava non ascoltarla. Sembrava perdersi in pensieri tutti suoi. E anche allora Beelzebub si arrabbiava e taceva e lui si faceva triste, perché in realtà lui la stava sentendo: sentiva la sua voce come una musica e la assaporava, più che ascoltarla.

Lo aveva dimenticato.

Laggiù, nelle profondità dell'Inferno, era facile scordarsi delle piccole cose. Il tempo si faceva sfilacciato, come un abito indossato troppo spesso, e tutte quelle inezie che la rendevano felice diventavano sottili, perdevano consistenza.

Beelzebub trattenne il fiato e il suo petto parve prendere fuoco. Sapeva cos'era: era quotidianità. Era dolcezza.

Abbassò lo sguardo in fretta e ricacciò indietro le lacrime.

 

*

 

Con un sussulto, Gabriel si rese conto che Bee stava facendo fatica a non piangere.

Non sapeva se per i demoni fosse comune commuoversi. Per lui di sicuro non lo era: Gabriel non ricordava di aver mai versato una sola lacrima. Aveva sempre preferito arrabbiarsi, invece di soffrire, e ora non sapeva cosa dirle.

L'ultima volta che l'aveva vista piangere era stata anche l'ultima volta in cui l'aveva toccata.

Lei era volata da lui, quel giorno, in un angolo remoto del cielo, e l'aveva supplicato di stringerla forte, perché qualcosa stava accadendo e non sapeva cosa fosse e aiutami, aiutami, ti prego, non lasciarmi andare e Gabriel non aveva potuto fare altro che prenderle le mani, premerla contro il suo petto e cercare di nasconderla da quel pericolo di cui non sapeva nulla.

Ora non poteva stringerla a sé. Era passato troppo tempo. Erano accadute troppe cose.

Lui era razionale. Era sempre stato un'entità dalla mente quadrata, a cui non piacevano le sorprese. A cui piaceva che ci fosse un Piano, che ci fosse qualcuno a dirgli cosa fare.

Eppure ora, nonostante fosse inusuale per lui dare ascolto a ciò che gli umani chiamavano sesto senso, sentiva che sarebbe bastato pochissimo: sarebbe bastato un gesto, uno sguardo, o semplicemente l'avvicinare la mano di appena un centimetro, perché qualcosa cambiasse.

Ed eccolo, il piccolo gesto, Gabriel si mosse sullo sgabello e spostò il gomito fino a sfiorare quello di lei.

La vide alzare lo guardo, sorpresa, e per un attimo temette che si ritraesse, che gli urlasse qualcosa di crudele, che ridesse di lui.

Bee rimase dov'era e Gabriel si accorse di avere più paura di quei due centimetri di pelle a contatto che della morte, perché la morte era prevedibile, ma questo...

Non sapeva cosa sarebbe successo e si accorse che il suo corpo stava reagendo con il cuore in gola e lo stomaco chiuso.

 

*

 

Beelzebub sentiva uno strano freddo irradiare dal punto in cui Gabriel la stava sfiorando. Era strano: si sarebbe aspettata di sentire caldo.

Tuttavia era giusto, no? Gabriel era freddo. Lo era diventato quando lei era Caduta.

Non ci aveva mai riflettuto, prima. Era stata tanto impegnata a piangere la propria sorte e poi a rivolgere la sua rabbia agli altri, e così non si era mai soffermata a chiedersi come avessero reagito coloro che erano rimasti indietro.

Non aveva mai chiesto a Gabriel se avesse sofferto.

Non poteva più chiedere, ormai: il tempo aveva fatto sì che ci fossero domande che non potevano più essere poste. Dentro di sé, comunque, sapeva di essere la causa di ciò che Gabriel era diventato.

Ora lui si era avvicinato. L'aveva toccata.

Cosa doveva fare?

Anche lei si mosse sullo sgabello e spostò la mano proprio accanto a quella di lui. Non gliela strinse, ma lasciò che il suo mignolo ne accarezzasse il dorso.

Si accorse con sgomento che ora non avrebbe più potuto farne a meno.

 

*

 

Gabriel trattenne il respiro di cui non aveva bisogno. Non aveva mai permesso a se stesso di sentire la mancanza del suo tocco, ma ora che lei lo stava sfiorando non poteva più negarlo.

Ed era un tocco delicato, ma non era una sorpresa, perché Bee lo era sempre stata. Era sempre stata leggera ed effimera.

Non riusciva a staccarsi da lei, ora. Come avrebbe fatto ad allontanarsi? Sarebbe rimasto bloccato in quel bar per sempre, finché i muri non gli fossero crollati addosso e la terra non si fosse sgretolata sotto i suoi piedi.

 

*

 

Beelzebub era sempre stata la più ingorda, anche prima di Cadere, e ora che lui, quella mano, tutto faceva così male si accorse che non solo non voleva smettere, ma ne voleva ancora. Sì, voleva ancora sentirsi male, voleva ancora che il suo cuore sanguinasse, perché chi prendeva in giro? Quello era amore, era solo amore, e se prima lo aveva odiato, ora non sapeva cosa dovesse provare. E lui era vicino, tanto vicino...

Smise di pensare. Alzò l'altra mano e schioccò le dita.

 

*

 

Si ritrovarono in un luogo buio. Gabriel cercò di guardarsi intorno, ma era una stanza piccola e stretta e lui faticava a stare in piedi senza piegare la testa di lato.

Non era più accanto a lei, ora Bee gli stava davanti. Ne sentiva il respiro caldo sul petto. Anche nell'oscurità, sapeva che lei aveva gli occhi chiusi, perché Gabriel sapeva sempre quando lei lo guardava.

Nel buio era molto più facile. Era più facile permetterle di farsi vicina e permettere a se stesso di accoglierla. La sentì premersi contro di lui e istintivamente il suo corpo aprì le braccia. La strinse, le mani sulle sue esili spalle.

Come aveva potuto essere tanto arrabbiato per tanto tempo? Come aveva potuto sentirsi tradito? Non si era nemmeno chiesto perché lei fosse Caduta.

Aveva speso tante energie per cancellarla dalla sua mente e non aveva neppure provato a pensare che forse lei non aveva desiderato che finisse così.

 

*

 

Beelzebub non aveva mai detto a Gabriel cosa le fosse successo veramente. Durante tutti i millenni in cui la Terra era divenuta un porto per ogni genere di creatura non aveva mai preso in considerazione l'idea di chiedere un incontro e raccontargli la sua versione.

Si era detta che non ne valeva la pena, che la conversazione non valeva la fatica di salire sulla Terra, perché tanto lui non avrebbe capito.

Ora sapeva che non gli aveva mai dato la possibilità di capire. Forse, se gli avesse spiegato... Se avesse accantonato l'odio che provava per quel Dio che l'aveva abbandonata... Se solo avesse messo da parte l'invidia per ciò che lui era ancora e che lei non sarebbe più stata...

Era sciocco chiedersi cosa sarebbe successo, perché non era andata così e basta.

Non era sicura di dove avesse trasportato se stessa e Gabriel, ma a giudicare dal buio e dalla dimensione della stanza, dal forte odore di disinfettante e dal tenue bagliore che filtrava dalla serratura, doveva essere un ripostiglio.

Quasi si mise a ridere. Ci si aspetterebbe che gli incontri importanti avvengano in luoghi importanti.

Sì, quasi si mise a ridere e quasi si mise a piangere, perché erano stati separati per migliaia di anni ed era stato così stupido...

 

*

 

«Gabriel».

«Bee».

Era la prima volta che pronunciavano i loro nomi dopo molto, molto tempo.

   
 
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