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Autore: kanagawa    29/08/2019    3 recensioni
"Capitano... lei sa, cos'è il mare?"
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione: ritorniamo al momento in cui Erwin viene ritrovato in fin di vita fuori dalle mura di Shiganshina e viene riportato da Levi.
E niente, io sono ancora in lutto dopo quell'episodio. Sono nuova del fandom. Spero che apprezziate questo mio confuso tentativo di restituire le lacrime versate. Sono infantile.
Buona lettura.

 


 

EruRi

Il cielo fuori - 3.565 parole

 




Ehi, Levi, dimmi la verità. Hai venduto l’anima al diavolo nell’istante in cui hai visto il cielo fuori dal Wall Maria. 
A te... Non è mai importato di cose come la salvezza dell’umanità, i nobili ideali e la speranza. Niente più che fottuti preconcetti. 

‘Respira ancora.’
‘È ancora.. vivo.’

Chi vuoi darla a bere.
Un uomo solo non è in grado di salvare l’umanità. E io, non ne faccio eccezione. 

Non prendertela male. È perché tu sei così... che ho potuto affidarti la mia vita. 
E per questa mia decisione, non hai potuto fare altro che odiarmi. 

In quel momento hai visto nei suoi occhi la disperazione di chi a cui è stato portato via il Mondo. Lo smarrimento di chi per cui il Sole è stato strappato via dai quattro angoli del cielo. 
Una vita in cambio di un’altra vita. 
La stessa disperazione che si è affacciata anche al tuo cuore in quell’istante, perché hai avuto paura, perché hai avuto speranza. 
Per te, che non conoscevi speranza, né paura. Per te, che guardavi il cielo stellato da un buco in fondo agli abissi della Terra, e dicevi di non avere sogni.
E mi sono ricordato della tua strana gentilezza, del tuo coraggio, e di altre stronzate che avresti pronunciato con disprezzo e che io infinitamente ho amato di te.
Mi sono chiesto se fossi pronto... Ma era una domanda idiota. Mi prenderesti a calci solo per averlo pensato. 
Avresti potuto uccidermi mille volte a partire dal giorno in cui ci siamo conosciuti in quel vicolo lercio e malfamato. Ci stavi pensando ancora, vero?

‘Capitano... lei sa, cos’è il mare?’

Era decisamente... una domanda idiota. 



Se c’è una cosa di cui mi pento, è di averti dato quel cielo. 

Tieni dritto la schiena, guarda avanti, non ti voltare e continua a camminare. Levi. 
E un giorno, di sicuro...





La notte si svegliava gridando nel terrore immobile della sua stanza, lacerato da incubi incessanti che l’oscurità cullava per la sua mente, come un labirinto distorto da cui non trovava via di fuga. Nel nido delle sue braccia riavvolte intorno alle spalle tentava di riaddormentarsi, e gli sembrava che l’alba non dovesse mai arrivare...
Anche quella notte lui lo abbracciava, sussurrandogli nei sogni che ritornava. 
Il peso della sua mano sui capelli, in una pigra mattina piena di luce, lui veniva a sedersi sulla sponda del letto e gli diceva di dormire un minuto ancora, e lui pensava “sei rimasto ancora in piedi tutta la notte a lavorare...” convincendosi che in fondo non fosse mai andato via. 
Ma poi si rendeva conto che non avevano mai visto l’alba insieme, loro due.


“Hai ancora quegli incubi?” 
Faceva regolarmente visita nel suo studio per farsi passare dei farmaci sottobanco, e ogni volta Hanji glieli prescriveva maldisposta grattandosi il capo. “Dovresti farti visitare da un medico vero, io non sono specializzata in esseri umani...”
In quella stanza immersa nel netto chiaroscuro creato dal lume di una singola candela accesa, la schiena ricurva di Levi a distanza di scrivania le sedeva di fronte. La fronte accerchiata da una nube tenebrosa, le sue braccia circondavano il ginocchio su cui il mento poggiava. 
“Che cosa c’è?” Le era parso pensieroso.
Levi fissava davanti a sé, senza mettere a fuoco, i lividi neri dell’insonnia sotto gli occhi parevano più acuti del solito. “Avrei dovuto spezzargli entrambe le gambe.” disse con fiato borbottante.
“Che cosa??” Hanji strabuzzò gli occhi.
Che era strano, lo era sempre stato... 

“È inutile che continui a pensarci,” Hanji sospirò. “Alla fine hai preso la decisione più spontanea e umana, chiunque al tuo posto si sarebbe trovato in difficoltà.”
Farsi compatire da quella fujoshi invasata... Stava toccando il fondo. 
Eppure in fondo a quelle parole non c’era traccia di misericordia... Era solo una velata accusa. Ma non sapeva che ognuno di loro se le ripetesse per potersi giustificare, per dare sollievo a se stessi, per potersi almeno un po’... perdonare. Perché era sempre stato facile potergli dare tutte le colpe... Non sapeva che le sue unghie si conficcassero segretamente nei pugni, nascoste nelle tasche del lungo camice bianco che ancora a quell’ora tarda indossava, come lei non poté vedere la prospettiva vuota dei suoi occhi...
Le dava le spalle, sul tetto a terrazzo del quartier generale che si apriva sul panorama notturno sotto di sé, le fioche luci della città che sprofondava nella notte. In lontananza, un nero ancora più nero del cielo, la parete che si stagliava enorme ai margini delle case. 
“Ti sbagli.” lo sentì replicare, in un bisbiglio lontano quasi inudibile.

La linea delle sue spalle dall’ossatura minuta, ma inamovibile... Le ritornò in mente di quando le aveva viste affacciate sul fianco del letto su cui era stato adagiato il corpo di Erwin, dopo che era stato portato giù dal tetto della casa su cui si erano arroccati, al sorgere di un’alba su cui i suoi occhi non avrebbero più riaperto... Quelle stesse spalle incassate e gli incessanti tremori che le percuotevano da parte a parte, i pugni stritolati sul bianco funereo delle lenzuola contro cui la sua fronte premeva, senza emettere un singolo suono, da solo, in quella stanza desolata.
‘C’è ancora una cosa che dobbiamo fare, Levi.’ 
Gli disse di alzarsi e andare via da lì, e come mai prima la propria voce le era sembrata tanto estranea e incolore. Non poteva permettersi di crollare, pensò, non qui, non ora. Non lei. Doveva convincersi di sapere dove stessero andando, tutti loro, che in fondo non stessero brancolando in una nera voragine senza fine, che c’era una risposta a tutto questo, che doveva di certo esserci... Anche se a questo mondo nulla aveva mai avuto davvero un senso.
Ricordò ancora i suoi pugni stretti, e la voglia inesorabile di colpirlo in quel momento. Colpirlo, per abbattere il senso di impotenza che la braccava, tanto, tanto forte da riscuotere quelle spalle gelide dal silenzio... Ma non fece altro che restare lì, a tremare. 
Tremare, immobile, definitiva.
Levi aveva gli occhi asciutti quando la raggiunse alla porta, le passò accanto, ma non pronunciò una sola parola.

Perché non c’era tempo per piangersi addosso. Perché da qualche parte in quella città ricoperta di macerie c’era la chiave del loro futuro. E lui, di certo, era già andato avanti, precedendoli, e li stava aspettando proprio davanti a quella porta sotterranea... La porta che portava agli abissi della verità... qualunque essa fosse stata. Lui che scioccamente la rincorreva, sacrificando ogni cosa che avesse di più caro su questa terra.
Speranza o disperazione, a quel punto... quanto potevano essere differenti? Non gliene era mai fregato niente. 

“Ti sbagli...” le aveva detto quella notte. “Ho agito unicamente per mio interesse personale.”
E Hanji lo odiò, si odiò profondamente per questo.





‘Capitano... lei sa, cos’è il mare?’

Forse gli esseri umani non sono davvero in grado di raggiungere i propri sogni, dal momento che essi si dissolvono davanti agli occhi quando sono tanto vicini da poterli afferrare. 
Eppure, così scioccamente, questa forza è sempre stata sufficiente a farli andare avanti. 

Tu... lo avevi capito, vero, Levi?

Sei sempre stato così prevedibile. 
Mi chiedo perché avessi continuato a seguirmi, nonostante ti abbia privato di così tanto, nonostante non fossi mai riuscito di restarti accanto... Tutte le battaglie che abbiamo combattuto insieme, con te accanto, sebbene non facessi altro che gettarti tra le braccia dell’inferno tutto il tempo. 
L’essere potuto morire per mano tua, in questa vita, mi ha reso molto felice.

Anche questa notte, chiudi gli occhi.
Non lasciare che le tenebre ti sconfiggano. E domattina, per favore, ritorna a vivere. 




A ogni svolta lui era lì ad attenderlo, con quegli stessi abiti laceri e insanguinati addosso. Non diceva una parola, ma si limitava a fissarlo con aria severa.
In ogni corridoio deserto, vicolo remoto. Nei momenti più inaspettati della giornata, sia che sognasse o che avesse gli occhi ben aperti.
Era lì con lui, anche se fingeva di non vederlo, perché il terrore di voltarsi lo paralizzava. 

Si convinse solo di stare impazzendo. 

A fatica rammentava le fattezze del suo volto, quella mattina, la serena immobilità del suo corpo coricato sotto il cielo fuligginoso, stranamente composto e illeso... Ricordava solo la bellezza struggente dell’aurora che aveva intravisto alla fine di quella notte senza fine, il calore del sole sulle sue guance macchiate di sangue scarlatto, e la gentilezza del vento che gli asciugava la fronte. La vita che sentiva scorrere dentro di sé, con infinito sgomento.
Il tempo che occorreva a un corpo per diventare un ammasso di carne fredda e putrida, quante volte aveva osservato quel processo ripetersi con i suoi occhi... Avrebbe solo voluto restare a parlare un attimo di più con lui, e quei secondi erano scivolati come sabbia tra le dita, prima ancora che potesse rendersene conto. 

‘Andare a vedere il mare tutti insieme?’ pensava tra se e se, guardando la volta cerulea schiudersi tra i detriti della battaglia, ‘...che sciocchezza.’

‘Sai di essere una persona talmente noiosa, vero... Erwin?’






‘E dopo che lo avrai raggiunto, il tuo sogno, cosa pensi di fare?’
‘Questo... ancora non lo so.’

E invece lo sapevi benissimo, non è così?
Fottuto bastardo...


Dopo la morte non rimane più niente.
Né il calore di quelle mani, né l’odore della sua pelle, né la morbidezza delle labbra... 
Ho sempre pensato che se fossi riuscito a prenderti la vita, un giorno, saresti stato finalmente mio. Ma tu volavi in un cielo molto più alto del nostro... E alla fine sei caduto in quel modo miserabile.

Per noi due, la morte costituiva la condizione primaria d’esistenza. 
Lo abbiamo accettato già da tempo. Come soldati e come esseri umani nati all’interno di questo folle mondo.




Lui non si voltava mai indietro.

Quando perse il braccio destro, gli disse che sarebbe diventato lui, il suo braccio destro. 
Stringendo la lunga manica della divisa militare che penzolava vuota e inerte dalla spalla di Erwin, gli aveva giurato che sarebbe diventato la sua forza e il suo scudo.
E ora, come fu con l’arto reciso, stava cercando di lasciare alle spalle anche lui?

Dopo la perdita del braccio dominante molte cose erano diventate complicate. Come vestirsi o scrivere, azioni quotidiane che prima credeva naturali come respirare. L’impossibilità di combattere in prima linea non era che uno degli innumerevoli inconvenienti a cui non poteva più fare fronte.
Il giorno in cui doveva essere dimesso, aveva cercato di rendersi presentabile per gli impegni ufficiali. Tentava di radersi con la sinistra, ma i risultati erano alquanto penosi.
“Sei inguardabile.” 
Levi lo adocchiava truce alle sue spalle, le braccia incrociate sul petto. Gli sfilò il rasoio dalle dita, irritato dall’attesa, e si pose in piedi davanti a lui. Almeno così avrebbero risparmiato tempo. 
“Stai fermo...” La lama sottile scendeva lentamente lungo la curva tesa della mandibola, grattando la pelle con delicatezza, vicinissimo al suo collo scoperto. 
Il comandante sedeva inerte sulla sedia, le spalle rilassate e l’espressione che aveva perso un po’ del solito vigore.
“Sei stato incauto.” 
Sentì la voce di Erwin vibrare sotto i suoi polpastrelli. “Già, mi dispiace.”
“Perché ti stai scusando...” fece per ripulire la lama dai residui di schiuma su un asciugamano e continuò. “La prossima volta potresti non essere così fortunato.” 
Il suo sarcasmo avrebbe voluto risultare distaccato, eppure in quel momento fece calare una lunga nota di inquietudine in quella stanza asettica d’ospedale. 
Erwin non rispose. 

Era incavolato.
Quella volta aveva pensato, se invece di lui fosse tornato solo il braccio amputato? Non sapeva che farsene di un pezzo del suo corpo come souvenir... E poi come si poteva fare un funerale a un braccio? Magari l'avrebbero messo dentro a una di quelle bare minuscole, come quelle per gli infanti, e qualcuno avrebbe depositato sopra una merda di omaggio floreale con qualche elogio altisonante e sarebbe stato uno spettacolo penoso...

Le labbra di quest’uomo che aveva mandato a morire un numero inconcepibile di vite umane. Lui che gli aveva tolto ogni cosa, strappandolo via da tutto ciò che una volta possedeva. Dal giorno in cui era strisciato fuori dal sottosuolo e aveva visto il primo raggio di sole, condannando così i suoi compagni, la sola famiglia che avesse al mondo, a quella morte orribile... Sapeva che non avrebbe più potuto fare ritorno. Allora la sola cosa vivente a cui si era potuto aggrappare, in mezzo a quella distesa inanimata di sangue e fango, fu la schiena di un assassino efferato quanto gli stessi Titani che avevano fatto scempio dei suoi amici.
Il prezzo che pagò per la sua libertà. Il patto di sangue che strinse con quell’uomo. La promessa di seguirlo all’inferno, se gli fosse stato ordinato. 

In silenzio, la sua fronte ricadde verso il corpo di Levi, spingendosi contro il filo del rasoio che gli lasciò un sottile taglio lungo la guancia. Lo abbracciò con la forza dell’arto ancora vivo, celando il respiro nel calore del suo torace. La mano che reggeva l’impugnatura della lama giaceva immobile sul fianco di Levi, sporca del suo sangue.
A lungo si lasciò stringere.
Levi gli accarezzò il volto con l’altra mano, e lui sollevò il mento. 
Perché, lo stava guardando in quel modo?
“Sto ancora aspettando che tu lo faccia...” sussurrò Erwin.


La sensazione di avere un cappio stretto al collo, ogni gradino compiuto per salire in cima a quel patibolo, lo elettrizzava quanto solo il pensiero di poter strappare la verità alla tirannia dell’ignoranza. Anche a costo di erigere un inferno in terra.
Il suo scudo e la sua forza.
Se quella mano che lo sfiorava con tanta gentilezza si fosse attenuto al suo proposito, sarebbe stato un facile rimedio a questa lunga agonia... Ma sfortunatamente, ogni suo tocco gli faceva desiderare di vivere. 
Vivere, anche solo un giorno in più... aggrappandosi a questa folle speranza.




Alla fine fu come una scommessa. Perché la posta in gioco era grande, e tale sarebbe dovuto essere il sacrificio messo in palio. Ma non aveva idea di come sarebbe andata a finire... Questo non gli era dato di saperlo. 
Un assassino dalle mani insanguinate che aveva tolto la vita a centinaia e migliaia di persone, era l’incarnazione stessa dell’Umanità chiamata a giudicare.
E lui, era stato forse pronto a scegliere, ponendo sulla bilancia del destino ciò che di più prezioso aveva?

Credeva in fondo di non avere nulla da perdere. Orgoglio, ricchezze. Affetti, famiglia. Una casa e qualcuno da cui tornare. Nulla, tantomeno se stesso... Aveva capito da tempo che in questo mondo crudele, più cose possedevi e più avresti avuto da perdere. Era meglio avere le mani libere, così da poter impugnare più saldamente le lame d’acciaio.
Cosa avrebbe potuto offrire, cosa poteva sacrificare, uno come lui?
Eppure, la risposta ce l’aveva proprio davanti agli occhi.


Non gli era mai importato di come sarebbe morto. 
Se in un letto caldo o da solo per strada come un cane, era lo stesso... Se ne era fatto una ragione tanto tempo fa, quando aveva vegliato per giorni sulla salma di sua madre in quella stanza buia satura di odore dolciastro della putrefazione e aveva pensato che sarebbe morto anche lui in quel posto.
Per quanto gli riguardava, non esisteva una vita che non potesse essere sacrificata. Eravamo tutti carne destinata al macello, nessuno escluso.

Il riflesso di lui che montava in sella, l’attimo prima di lanciarsi nella sua ultima folle corsa, continuava a balenargli davanti agli occhi... Il sorriso di Erwin che, pallido, veleggiava nella memoria di quell’istante, quando di fronte alle mura di Shiganshina pressate dall’artiglieria nemica gli fece promessa di fedeltà eterna e gli chiese di morire.
Quel dannato, perché ne sembrava così stranamente felice...

‘È tutto nella mia testa, vero? È solo un’illusione infantile, vero?’

Non c’era mai stato nulla in quella cantina, per cui valesse la pena di morire. La verità, bene o male, l’aveva già intuito da un bel pezzo, anche senza l’ausilio di una chiave miracolosa. 

Il cielo fuori dal Wall Maria era selvaggio e sconfinato, di un blu limpido e vertiginoso. Non c’erano pareti o recinzioni a confinarlo e si aveva impressione che proseguisse così all’infinito... Non aveva mai immaginato che potesse esistere un cielo simile. Non pensava che quel mondo oscuro in cui era nato potesse recare tanta luce e bellezza.
Non aveva pensato di sopravvivere a quella promessa, dopotutto...
 
Se quel ragazzino bruciacchiato non avesse cominciato a tossire, in quel momento... Avrebbe inseguito quell’essere diabolico anche allo stremo delle sue forze, finché gli fosse rimasto respiro in corpo e non lo avesse fatto finalmente a pezzi.

Perché mai, gli esseri umani sono così avidi? Pur sapendo che non c’era nulla fuori da quelle mura per cui valesse la pena di morire... o vivere.





I dubbi tornavano a corrompere la sua anima.
Se in quel momento avesse scelto per gli interessi dell’umanità, invece che per il proprio egoismo... Se solo avesse avuto il coraggio di rinunciare al proprio cuore... Lui, avrebbe mai potuto perdonarlo? 
Il solo gesto d’amore che avesse mai saputo donargli, fu di infliggergli quella dolce morte. Sottrarlo all’inferno in cui era nato, e poterlo restituire al cielo a cui apparteneva. Aveva sempre combattuto strenuamente perché ciò accadesse... Fin dal giorno in cui lui lo aveva trascinato fuori da quelle tenebre maleodoranti e riportato con la forza in superficie, e lui aveva deciso che avrebbe seguito quella schiena solcata di ali in capo al mondo, finché non si fosse preso la sua vita. 
Quell’uomo dai saldi principi morali e stupidi ideali, che si erigeva sempre a testa alta, sguardo fiero, senza dubitare mai. Ma che ogni mattina, a termine di ogni battaglia, tornava sempre da lui. 
Fino alla fine. 
Lui, di certo avrebbe voluto tornare. Avrebbe di certo continuato a combattere, anche oltre quelle pareti invalicabili, anche se i mari si fossero prosciugati un giorno e il cielo consumato al di là di ciò che il suo sguardo riusciva a cogliere. 
Salvezza dell’umanità? ... L’umanità poteva andare a cagare. Se questo avesse voluto dire riportarlo accanto a sé. 

Avrebbe solo voluto restare lì un attimo in più, per potergli parlare... 



Sentiva il solco delle sue braccia avvolgergli il torace, il calore del suo fiato che sussurrava il suo nome. 
Sbarrava gli occhi colmi di terrore, levando le mani e premendole con forza contro le orecchie. 
“Vattene via... Vattene via!” con respiro spezzato e voce gracchiante di tremore, sprofondando sulle ginocchia, mentre l’oscurità lo accerchiava. Non si rese conto di gridare. 
Le forme del mondo cominciarono a sgretolarsi intorno a sé. Ogni suono si fece vago e sempre più distante...
Le sue dita che gli accarezzavano le palpebre, velandogli la vista. Il tocco delle sue labbra lungo il collo, con dolcezza crudele.
Non era reale, eppure quanto avrebbe voluto che lo fosse...
Lottava, divincolando strenuamente per svegliarsi dalla stretta di quell’incubo interminabile, ma non lo volle davvero... nemmeno per un’istante. 
Una parte di sé avrebbe solo desiderato che lo trascinasse all’inferno con lui... Se questo avesse voluto dire, potergli restare accanto. 
Una parte di sé, in fondo, non desiderava il suo perdono.


 



‘La prossima vita, se potessi rinascere, vorrei essere un uccello.’




Erwin... 



                                                                                                 


Il mare è una distesa d’acqua salata, che i mercanti non potrebbero prosciugare neanche in una vita intera... ... lo sapevi, Erwin? 
È dannatamente fredda e azzurre le sue acque che sembra fare un tutt’uno con il colore del cielo. Ma se lo guardi bene, riesci a scorgere il sottile filo su cui si regge l’orizzonte di questo Mondo, oltre il quale non ci è dato di vedere... 


“Ehi, sta attenta, quattrocchi, potrebbe essere pericoloso!”
Hanji rideva in modo sinistro, squadrandolo in piedi nei suoi stivali, indeciso sul bagnasciuga e con quell’espressione di assoluta diffidenza in faccia che era come un invito a procedere.


“Che cazzo fai?” ruggì Levi in panico. “Mollami subito, ehi, mi hai sentito?!” 
“Ma pesi come un fuscello, Levi!” Hanji gongolava felice, mentre entrava in acqua. “Guarda... come un pisello nel guscio!” E Levi si divincolò disperatamente.
Nulla erano valse le sue minacce, alla fine, quando sentì le braccia dell’amica abbandonarlo, il vuoto improvviso sotto il sedere, e il resto lo seppero raccontare solo i pezzi sparpagliati di Hanji disseminati lungo la spiaggia...

Imparò che se si lasciava andare, il suo corpo poteva galleggiare tranquillamente sull’acqua increspata. 
E lì, tra le onde che dolci lo cullavano, i vestiti ormai fottuti ancora addosso e un vuoto infinito nello stomaco che gli era parso spaventoso eppure bellissimo, il colore del cielo che vide da quella prospettiva, Levi non lo raccontò mai a nessuno...



I miei piedi sprofondano ogni volta che la marea sale e si ritira, sulla lingua di sabbia che circonda l’isola.
Se ti ci butti, gli occhi possono bruciarti un po’, e il sapore dell'acqua è una vera merda. 
E per quanto ti agiti e inabissi, alla fine le onde ti riportano sempre a galla. 

Vorrei trascinarti giù da quel dannato cielo e strapparti le ali, così da poterti mostrare tutto questo... A me non è mai importato granché, ma tu lo avresti di certo amato. 

Non chiedermi di portare il peso dei tuoi sogni. 
Eri solo tu a credermi una persona gentile, a vedere in me la luce che non c’era mai stata, e a insegnarmi che nella più profonda oscurità siamo noi stessi a divenire luce.
E togliti quel sorriso soddisfatto dalla faccia, perché verrò a cercarti un giorno, anche in capo al mondo... Metterò a ferro e fuoco il mondo intero per scovarti, finché non sarai nuovamente mio, e potrai dimenarti quanto vuoi mentre ti restituisco il favore. 
Verrò a cercarti, dovesse costarmi un’intera vita...
Per ora, goditi il panorama. 










     
  
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