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Autore: Izumi V    01/10/2019    4 recensioni
Storia scritta per l'evento "Il tempo passa, la Johnlock resta" indetto dal gruppo fb "Johnlock is the way... and Freebatch of course!"
“Sei tornato davvero.” La voce bassa, involontariamente sensuale di Sherlock gli accarezza il timpano non appena mette piede nella libreria.
“Avevi dubbi?” risponde lui senza scomporsi, prima ancora di vederlo nella fioca luce della stanza.
La figura longilinea del ragazzo emerge finalmente da dietro uno scaffale, reggendo un paio di libri in mano e diretto al bancone. Gli scocca un’occhiata veloce.
“Perché, avrei dovuto?”
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mike Stamford, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Storia scritta per l’evento “Il tempo passa, la johnlock resta”, indetto dal gruppo fb “Johnlock is the way… and Freebatch of course!”
(Verrà pubblicata in due capitoli)
 
Un grazie speciale a E., che mi sprona sempre, più di quanto meriterei. 
 
 
Prompt:
Lavorare sotto copertura pensava fosse più emozionante, ma ovviamente Mycroft non poteva che trovargli il lavoro più noioso del mondo. Il mercante di libri usati. Cosa c’era di peggiore che stare in un negozio tutto il giorno costretto ad avere rapporti con la gente? Era la sua prima indagine ufficiale ed era il più giovane detective in servizio, ma temeva che non avrebbe potuto fare molto. Stava preventivando l’idea di farsi scoprire da quei criminali per movimentare le cose, finché un giorno non compare sulla porta del negozio un ragazzo, più o meno della sua età, che da quel momento rende le giornate del giovane detective molto più interessanti.
 
 
 
 Undercover
Parte 1
 
 
 
Sfoglia distratto un libro preso a caso dalla pila che si è accumulata al suo banco. Lo fa spesso, lascia che l’ammasso di volumi cresca un po’ in modo da evitarsi inutili avanti e indietro. A volte, perso nelle proprie elucubrazioni, non si rende conto di quanto effettivamente la torre sia cresciuta, fino a occultargli la vista del povero cliente di turno.
Cosa può farci, si annoia.
Maledetto Mycroft e le sue stupide idee. Sono ormai nove giorni che lavora lì ed è un miracolo che non sia già morto di nullafacenza. È sicuro che quell’incarico sia tutto parte di un piano per indurlo ad abbandonare la professione che si è scelto. Conosce abbastanza bene il fratello maggiore per dedurre cosa esattamente si aspetti da lui e i subdoli modi che userebbe per convincerlo. Naturalmente, Mycroft si sbaglia di grosso se crede che un po’ di tempo perso a fare il libraio possa impedirgli di diventare un detective professionista.
Anzi, no. Non un detective.
Un consulente investigativo!
Sorride fra sé e sé trionfalmente, pregustando il momento in cui il fratellone dovrà arrendersi alla realtà dei fatti. Perché quel momento arriverà, può starne certo. Gli serve solo la giusta occasione.
Si guarda intorno e l’entusiasmo si spegne tutto d’un colpo. Un grugnito di disapprovazione e frustrazione abbandona le sue labbra. Certo che in quel postaccio c’è ben poco da entusiasmarsi.
Il locale è immerso nella penombra, benché sia pieno giorno. Questo probabilmente è dovuto non solo alle finestre piccole e locate troppo in alto, ma anche agli scaffali che spesso arrivano fino al soffitto, coprendo in parte o del tutto le poche fonti di luce. In realtà, gran parte dell’illuminazione arriva dalla porta d’ingresso, composta per la maggior parte da due grandi pannelli di vetro smerigliato incastonati in un’intelaiatura di legno scuro.
All’interno, lo spazio per muoversi è al minimo sindacale. Sugli scaffali i libri sono incastrati in ogni anfratto disponibile: verticale, orizzontale, diagonale. Se solo fosse disponibile una quarta dimensione, userebbero anche quella. Per non parlare delle pile per terra, da far concorrenza alle strutture druidiche degli antichi Celti. Ogni tanto, a movimentare la situazione, basta un lieve sfioramento per far crollare l’intera scultura. E lì sì che è un’impresa, rimettere tutto come prima.
Una volta gli è capitato.
 
Era il terzo giorno di lavoro. Facendo lo slalom tra un paio di piloni, per mettere via un tomo di milleduecentoventitré pagine, il ragazzo urtò accidentalmente un volume situato in seconda posizione dall’alto. Non l’avesse mai fatto. Non solo era crollata quella torre, ma ne aveva trascinate con sé altre tre.
Le imprecazioni tirate in quell’occasione è meglio non ripeterle.
Come se non bastasse, proprio mentre era intento a rimediare al danno, un cliente era entrato nel negozio. Anche il malcapitato si era beccato, a sua insaputa, un paio di improperi. Inoltre, il finto libraio non aveva alcuna intenzione di abbandonare la propria postazione solo per andare incontro allo sconosciuto. Quest’ultimo, avanzando nel negozio, procedette con cautela guardandosi intorno.
Era evidentemente la prima volta che metteva piede lì.
Si schiarì la voce. “Ehm, c’è nessuno?”
“Sì? Di cosa ha bisogno?” Aveva risposto il detective, sventolando un braccio per aria in modo da farsi notare. Forse in altri casi non si sarebbe nemmeno premurato di rispondere, ma quella voce, d’istinto, gli era piaciuta. Sbrigativa, asciutta ma senza scortesia, dava l’impressione di una persona pratica e molto concreta. E poi aveva un bel timbro – Ma perché diavolo dovrebbe interessarti il suo timbro?
“Ah!” Il nuovo arrivato raggiunse la fonte della voce, trovandosi davanti un giovane uomo, a occhio e croce della sua età, seduto in mezzo a – o meglio, sommerso da – una montagna di libri sparpagliati in ogni direzione. Corrugò la fronte confuso.
“Tutto bene? Vuole una mano?”
L’altro alzò appena il mento: “Assolutamente no, è tutto sotto controllo. Ma la ringrazio.”
“Uhm, ok.”
Trascorse qualche secondo di silenzio in cui, per un motivo ignoto a entrambi, mantennero il contatto visivo senza scambiare una sola parola. Fu poi il detective a interromperlo, sbattendo le ciglia imperturbabile: “Beh? Di cosa ha bisogno?”
Il cliente si riscosse e si morse l’interno della guancia.
“Ehm, nulla di particolare. Ero passato a dare un’occhiata. Sa, ehm, volevo…” Rimbalzò il peso da un piede all’altro e si mise le mani in tasca. “Beh, è stato un… piacere? Ci vediamo. E buon lavoro con quelli.” Indicò con un cenno e un mezzo sorriso le decine di volumi sparsi in giro, girò sui tacchi e uscì dal negozio.
Questa poi…!
Il ragazzo, suo malgrado, era rimasto interdetto. Ma almeno aveva avuto il tempo di scandagliare il nuovo venuto nei pochi secondi di osservazione reciproca che si erano concessi.
Niente male, proprio niente male.
 
Al ricordo di quel giorno, senza volerlo, un angolo della bocca si piega all’insù. Poi però la mano comincia a tamburellare impaziente sul piano del bancone: quel ragazzo non si era più fatto vedere. Il senso? Non lo capisce. Ogni suo gesto, in quell’occasione, dava a presagire che si sarebbe fatto rivedere. E invece sono passati sei giorni e di lui nessuna traccia.
Inutile nascondere a se stesso che l’idea di rivederlo lo intriga non poco.
Sbuffa ancora, sollevando involontariamente il sottile strato di polvere sul volume che tiene in mano.
Ah, giusto, la polvere.
La polvere forse è la vera sovrana di quel luogo. Altro che il libraio. Non che gli dia questo gran fastidio, eh. A dirla tutta, non gli importa molto di quanta polvere sia accumulata in ogni centimetro di superficie disponibile. Ma dà fastidio ai clienti, e loro si lamentano con lui. Tuttavia, non ha la minima voglia di mettersi pure a far le pulizie. Già è una tortura insopportabile star chiuso lì dentro otto-nove ore al giorno…
Uno scricchiolio improvviso dalla porta d’ingresso lo avvisa per tempo dell’arrivo di un cliente.
Il detective alza lo sguardo speranzoso – più speranzoso di quanto non vorrebbe lui stesso – per poi riabbassarlo due secondi netti dopo. Una donna giovane, sulla trentina, passeggia con noncuranza osservando la mole spropositata di libri che sembrano spuntare persino dai muri.
Si avvicina al bancone con un bel sorriso e lo sguardo basso.
Ok, è timida. Meno pericolosa di quanto temesse, più facile da liquidare in caso di necessità. Ottimo.
“Buongiorno!”
“Buongiorno. Ha bisogno?”
“S-Sì. Cercavo…” tenta di guardarlo negli occhi, ci riesce per una frazione di secondo. Li riabbassa e si arrotola una ciocca attorno al dito. Sembra pensarci su. “Cosa avete su Jane Austen?”
L’uomo trattiene a stento uno sbuffo impaziente. Troppo facile capire il suo gioco. “Se mi dice un titolo preciso posso controllare subito nell’archivio online.”
“Oh, certo,” risponde lei troppo in fretta. Si morde un labbro. “Northanger Abbey.”
Lui inserisce le lettere velocissimo. Nessun riscontro. “No, mi spiace.” La guarda. “Non ce l’abbiamo.”
“Che peccato!” La donna resta lì, sembra voler aggiungere qualcosa, tentenna. “Senta, mi chiedevo se…”
Ma lui è più veloce. “Ma certo, se dovessimo averne una copia in futuro l’avviseremo sicuramente!”
“N-no, io veramente…”
“E non si dimentichi di iscriversi alla nostra newsletter!” continua imperterrito con eccessivo, simulato, entusiasmo. Esce dal bancone e l’accompagna alla porta: “Ora mi scusi ma devo chiudere per qualche minuto per portare alcuni volumi in magazzino. Arrivederci e grazie!”
La poverina si lascia condurre fuori senza trovare nessun modo per ribattere. Prima ancora che possa rendersi conto di cosa è successo, la chiave gira nella toppa e il cartello viene preventivamente voltato con il “Closed” rivolto all’esterno.
“Ma che modi!” mormora lei. Rimane ancora un attimo a guardare sconfortata il vetro, prima di incamminarsi al prossimo impegno, ben decisa a dimenticarsi del bel libraio intravisto qualche giorno prima.
Il detective torna al proprio bancone senza rimorsi. Si ricorda di quella ragazza, è già venuta altre volte, senza mai rivolgergli la parola. Probabilmente non trovava il coraggio. E ora ha nominato un autore a caso, il primo che le è venuto in mente, e un suo romanzo, sempre a caso, pur di interagire con lui. Come fa a dirlo? Perché le altre volte ha guardato di tutto, dalla sezione storica a quella di medicina, dalla letteratura tedesca alla geologia. Se le fosse servita davvero Jane Austen, avrebbe puntato direttamente alla letteratura inglese, che è, tra l’altro, la più vicina all’ingresso. Quello che poi l’ha definitivamente messa fuori gioco è stata la scelta del libro. Ne aveva già uno in borsa, e il titolo era fin troppo visibile – per lo meno, per la sua vista acuta: Northanger Abbey. Per quale assurdo motivo avrebbe dovuto chiederne in prestito un altro, se quello già ce l’aveva? Come già detto, troppo facile.
Ne approfitta per portare davvero i libri in magazzino. Recupera i volumi da sotto il banco – una quindicina, anch’essi ammonticchiati da giorni – e un poco alla volta li riporta al loro posto, borbottando nel mentre contro le implicazioni di un lavoro del genere.
“Mycroft lo ammazzo sul serio. In che razza di situazione mi ha cacciato! E non è la prima volta…”
Finisce coi suoi avanti e indietro e con riluttanza riapre il negozio, dimenticandosi però di ribaltare il cartello. Inizia invece a vagare tra gli scaffali, sopraffatto dalla noia.
È distratto.
Ed è strano da parte sua, ma la frustrazione gli ruba troppe energie mentali. Ha risolto il caso già da quattro giorni, eppure è costretto a rimanere lì.
 
“Ottimo lavoro, fratellino. Ero certo che sarebbe stato fin troppo semplice per te. Ma abbiamo bisogno che resti lì, continuando a comunicarci i loro scambi. Più informazioni raccogliamo sui loro traffici, più facile sarà arrivare ai loro complici. Naturalmente, inutile dirti che non dovrai in alcun modo farti scoprire.”
 
Vana era stata ogni protesta, ogni minaccia, ogni parola tentata per fuggire a quell’orrenda situazione.
Mycroft era stato irremovibile. Dannazione.
Lo sguardo gli cade su una torretta che pare particolarmente stabile. La adocchia un attimo, come a chiederle il permesso, per poi sedersi su di essa. Ringrazia mentalmente il proprio fisico esile, ai limiti dell’eccessiva magrezza. Si appoggia con un gomito al ginocchio, il mento sulla mano chiusa a pugno.
Sì, il suo primo caso ufficiale da detective era stato davvero troppo facile.
Traffico di droga, nulla di così originale. Un gruppo aveva deciso di spostare la propria base operativa da Brighton, troppo fuori mano, a Londra. Con il risultato di finire immediatamente nel mirino di Scotland Yard, che come al solito non aveva idea di dove cominciare, e di Mycroft.
Non gli è stato subito chiaro il motivo, a dirla tutta. Il Governo inglese ha di meglio da fare che dare la caccia a un paio di cani sciolti. A meno che… non fossero dei semplici spacciatori. Qualche ricerca su internet, qualche domandina ad amici del giro e bingo! Aveva trovato quel che cercava. Gli uomini in questione non si erano spostati casualmente a Londra, ma per stare più vicini alla testa di un’organizzazione più vasta. Probabilmente sotto richiesta del capo stesso.
Il capo.
L’ultimo pezzetto del puzzle che ancora gli manca. Ha infatti compreso in pochi giorni la modalità di comunicazione della banda. Sfruttano proprio quella libreria. Utilizzano un metodo tanto antico quanto semplice da usare, ossia i codici: la mattina lasciano una scritta col gesso sul muro – due, tre numeri al massimo – che corrispondo alla pagina, alla riga e alla parola di un libro precedentemente definito. Quando il criminale in questione passa da lì, entra e trova il messaggio seguendo le cifre, per poi cancellarle andando via. Hanno poi verificato che i messaggi corrispondessero ai luoghi di scambio.
Insomma, gli manca solo di capire chi muova i fili di tutto.
La sua curiosità è ulteriormente stimolata dalle specifiche direttive di Mycroft, che gli ha severamente vietato di addentrarsi troppo all’interno della questione.
 
“Fammi capire, mi stai dicendo di continuare questa farsa per raccogliere più informazioni, e allo stesso tempo devo tenermene fuori? Che razza di contraddizione è?”
“Non mi aspetto che tu comprenda…”
“Meno male, perché sarebbe a dir poco impossibile.”
“Fratellino, ascolta. Fidati di me. Ci devi solo aiutare ad arrivare ai loro immediati complici. Quando avremo loro, il tuo compito sarà concluso.”
 
Certo, come no. Se crede davvero che al momento buono si ritirerà nel proprio angolino, di nuovo si sbaglia di grosso. O suo fratello è tremendamente ingenuo, o sta già ideando uno dei suoi piani per tenerlo fuori dai guai quando sarà il momento.
Povero stolto!
Non ha assolutamente idea che lui, per conto suo, ha già elaborato più di uno scenario allo scopo di movimentare le cose. Quello di far scoprire la propria copertura, mettendosi in bella mostra come bersaglio, è al momento l’opzione favorita.
Si tamburella distrattamente sul mento con le lunghe dita sottili. Potrebbe perfino dare il via al suo piano quel giorno stesso. C’è solo un ostacolo al momento, e questo gli brucia da morire.
Farsi scoprire avrebbe voluto dire terminare con il proprio lavoro di libraio, abbandonare la libreria, non rivedere più…
“Permesso?”
 
Quella voce.
È lui.
Il ragazzo dell’altro giorno.
Presto, devi andargli incontro.
Questi i pensieri che gli rimbalzano nel cervello, di norma dieci passi avanti rispetto al resto del corpo.
Di fatto, tutto ciò che si vede dall’esterno è lui, seduto su quella pila di libri, che sobbalza e cade rovinosamente per terra, trascinando con sé la massa verticale che lo sorreggeva.
“Ehi!”
Il ragazzo fa uno scatto nella sua direzione, per fermarsi a pochi passi da lui. Lo sbircia al di là di un tavolino, manco a dirlo coperto di volumi, ed emette uno sbuffo divertito.
“Allora il tuo è un vizio!”
“Dovrò pur avere un difetto.” Risponde prontamente lui, senza scomporsi. O almeno ci prova.
Incrocia lo sguardo del nuovo arrivato e ridono all’unisono.
Approfittando del momento, il ragazzo decide di circumnavigare il tavolino per raggiungerlo. Gli tende una mano per aiutarlo ad alzarsi.
È calda, leggermente callosa, la presa forte e decisa.
“Grazie,” borbotta il detective.
“Figurati.”
Le mani sono ancora strette l’una all’altra.
“Piacere, comunque. Sono John Watson.”
“Sherlock. Sherlock Holmes.”
Sherlock…” ripete lui con un accenno di sorriso, guardandolo fisso.
John.” Gli fa eco il detective, con un piccolo cenno del capo.
Un battito di ciglia spezza il silenzio di attesa che si era creato.
“Volevi tenere lontani i clienti, con quel cartello?” gli chiede John, ritirando con delicatezza la mano che era stretta alla sua e indicando la porta.
“Come? Cos- ah! Mi son dimenticando di voltarlo.”
“Allora era davvero per tenere fuori qualcuno?” ridacchia.
“Mmh, più o meno.” Poi ci pensa su e corruga la fronte. “E tu perché sei entrato? Se il cartello diceva chiuso…”
L’altro fa spallucce. “Mi sembrava strano fosse davvero chiuso, tutto qui. E soprattutto, molti più commercianti di quel che credi se lo dimenticano nella posizione sbagliata.”
Sherlock assottiglia gli occhi mentre un angolo della bocca si solleva appena all’insù. “Hai un buono spirito di osservazione.”
“Nah… ma sono spesso in giro. Finisci per notare questo genere di cose.”
È allora che il detective ne approfitta per guardarlo bene, questa volta. Nella precedente occasione aveva avuto giusto il tempo di notare la statura decisamente non alta, i capelli biondissimi, folti ma dal taglio corto, le labbra sottili e gli occhi.
Oh, i suoi occhi.
Oggi che ha tempo di analizzargli meglio, gli fanno perfino più effetto. È sempre stato abituato ai commenti che la gente fa sui suoi, di occhi – taglio felino, colore acquamarina chiarissimo, una macchiolina dorata in quello destro – ma adesso è lui che si sente magneticamente attratto da quello che vede.
Gli occhi di John non sono definibili.
Avrebbe giurato, dal ricordo che ne aveva della volta precedente, che fossero grigi. Ma oggi sono blu. Che diamine…?
Ok, non è decisamente il caso di costruirci sopra una teoria. Non in questo momento, per lo meno. Deve sfruttare i pochi secondi che ha prima che si accorga che gli sta facendo lo scanner.
Nota la rasatura fresca, probabilmente di quella stessa mattina. Nota le occhiaie, non sono estemporanee, è abituato a non dormire. Nota gli abiti, casual ma non casuali, gli piace curarsi del proprio abbigliamento non tanto per moda quanto per passione. Nota – ah, se nota – i quadricipiti definiti che tendono la stoffa dei pantaloni sulle cosce.
“È per questo che sei ‘spesso in giro’… Bici?”
 
Sciorina la domanda senza nemmeno rendersene conto. Quando si accorge che ha parlato ad alta voce, è già troppo tardi. John lo sta guardando interdetto.
Perché per lui sono passati solo un paio di secondi, ma nella testa di Sherlock hanno tutto un altro valore, il che gli rende possibile dedurre tutto ciò che gli serve sull’altra persona pur facendo trascorrere solo una manciata di attimi.
“Sì. Come accidenti- Hai visto la mia bici?”
“No. Ma ho visto… te.”
“Cosa sei, un sensitivo o qualcosa del genere?” chiede, gesticolando appena come a cacciare lui stesso quell’idea dalla sua mente.
“Per carità! Io osservo, tutto qui. Il tuo, ehm, tono muscolare fa pensare che tu vada spesso in bici. Per non parlare della fascetta magnetica che porti al polso. Quella la usi per i pantaloni, vero? Per non sporcarli con l’olio della catena.”
John abbassa gli occhi involontariamente sulla propria fascetta.
“È corretto, sì!” Ghigna, per poi dire qualcosa che getta Sherlock nel panico: “Beh, se volessi ingannare la gente facendoti credere ciò che non sei, ci riusciresti benissimo.”
Deglutisce pesantemente.
“C-Come prego?”
“Il sensitivo! Potresti far credere alla gente che sei un sensitivo.” E ride da solo all’idea.
Il detective tira un sospiro di sollievo: ci manca solo che venga scoperto da uno sconosciuto qualunque.
“Tutto ok?”
“Sì! Sì, certo.” Lo sbircia con la coda dell’occhio, stuzzicato da un’idea. “John. Tu cosa dedurresti di me, invece?”
“Io?” John tentenna, colto alla sprovvista. “Cosa centro io, mica ho le tue stesse capacità.”
“E che ne sai, ci hai mai provato? Non sono mica super poteri.”
“Esatto, che ne so. Magari sei un super eroe sotto copertura!”
Ma lo fa apposta?
Sherlock si trova di nuovo a sudare freddo, se ne tira fuori col sarcasmo. “Hai finito di dire cavolate? Avanti. Tu vedi esattamente quello che vedo io, devi solo osservare di più.”
“Facile a dirsi, Mister-sguardo-di-ghiaccio…” borbotta lui di rimando, ma in modo così sommesso da non renderlo comprensibile.
“Che hai detto?”
“Nulla, nulla,” sospira. “E va bene. Cosa devo guardare?”
“Tutto.”
John ha un singulto involontario. Comincia a credere che il ragazzo che ha davanti non abbia davvero piena coscienza di se stesso. Come potrebbe uscirsene con risposte del genere, altrimenti?
“Uhm, dunque. Vedo…” sposta il peso da un piede all’altro, come gli ha visto fare già l’altra volta. Si passa velocemente la lingua sul labbro inferiore. “Hai i capelli neri, mossi – no, ricci. Disordinati.” Gli lancia uno sguardo fugace, sembra un insulto? Va avanti lo stesso. “Quindi forse non ti interessa più di tanto, diciamo, il tuo aspetto.” Al mezzo sorrisetto di Sherlock, John acquista sicurezza. Anzi, il suo tono di voce, morbido e basso, si tinge di una nota nuova. “Però sai cosa ti sta bene addosso. Il completo scuro, la camicia viola… beh, ti stanno bene e credo tu lo sappia.”
John sta… flirtando?
“Anche se, a dirla tutta, non è l’abbigliamento che mi aspetterei da un libraio.”
Sherlock si riscuote da una sorta di torpore. La voce di John è calda e avvolgente, come una coperta. Ma quell’ultima affermazione gli ha fatto partire un campanello d’allarme.
“Che intendi, scusa?” La sua voce perde compostezza.
Perfino John si accorge del cambiamento, lo guarda sorpreso.
“Niente, che per uno che lavora in un posto del genere mi aspetterei abiti più comodi, visto che maneggi tutto il giorno ammassi di libroni impolverati. Ma evidentemente tu prediligi l’eleganza.”
Questo ragazzo comincia a preoccuparlo sul serio. Non riesce a capire quanto le sue affermazioni siano consapevoli o gettate lì per caso.
“Sì, mi piace vestirmi elegante, in effetti.” Gli concede, più per cambiare argomento che altro.
“Vedi? Allora almeno su una cosa ci ho preso!”
“Già. Almeno quella.”
“Ehi! Non puoi aspettarti grandi cose, non sono io quello con i super poteri.”
“Ma la finisci con sta storia?”
“Non credo proprio,” mormora John, facendogli l’occhiolino. E qualcosa nel petto di Sherlock fa una piccola capriola. “Adesso devo andare…”
“Oh, ok.”
“Ci vediamo presto.”
“Ah sì?”
“Beh, sì.
Sorride, John, ed esce dal negozio. Non prima di aver voltato il cartello nel verso giusto, lanciandogli un ultimo sguardo che sa proprio di arrivederci.
Scusa, puoi continuare a sorridere così per il resto della tua vita?
Il detective scuote la testa maledicendosi.
Ci mette un minuto buono a far mente locale su ciò che è appena successo, non è sicuro di aver elaborato tutto nel modo giusto. Si passa una mano sulla nuca, arruffando ancora di più i ricci scomposti. Poi, suo malgrado, un sorriso divertito fa capolino sulle sue labbra.
È da tanto che non si diverte così con qualcuno.
John Watson. Che tipo.
Poi, in completo contrasto con l’umore di poco prima, impreca. In tutto ciò, si è lasciato sfuggire una valanga di informazioni! Gira sempre in bici, ma perchè? Fa consegne? E qual è la sua occupazione? Perché è pieno giorno e non sta lavorando. Quindi cosa fa, è uno studente? Potrebbe. Ma ha più o meno la sua stessa età, quindi o è parecchio indietro, o frequenta una facoltà che richiede parecchi anni di studio.
Infine un’ultima domanda, forse quella che gli interessa più di ogni altra.
Che ci faceva alla libreria? È la seconda volta che viene, e ancora non gli ha chiesto nulla su nessun libro.
Vuole tutte le risposte, e le avrà. Parola di Sherlock Holmes.
 
 
John intanto si sta avviando nuovamente alla sua bici, pronto a sfrecciare in università. È un miracolo che quel giorno non avesse tirocinio, così da poter passare alla libreria.
Erano stati sei giorni di intensa attesa.
Una distrazione che non aveva assolutamente preventivato.
Tutta colpa di Stamford! Mike Stamford è, o meglio era, un suo compagno di università. Hanno conseguito la prima laurea in medicina insieme, poi le loro strade si sono separate. Mike ha deciso di continuare in ambito accademico, insegnamento e tutto il resto. John invece è riuscito a passare in chirurgia, il sogno di una vita. Ora Mike è “solo” un grande amico.
Probabilmente l’unico vero che ha.
Ed è stato proprio lui a farlo finire in quel piccolo guaio, come solo i grandi amici fanno.
 
“John!”
“Ehi, Mike, ciao. Che strano beccarti qui.”
“In università?! Guarda che studio ancora, anche se non frequentiamo più gli stessi corsi!”
“Hai ragione, hai ragione. Scusa.”
“Tempo che diventerai chirurgo a tutti gli effetti, ti dimenticherai pure che esisto.”
“Questo mai! Parola mia.”
“Vedremo, vedremo. Senti, avrei un favore da chiederti. Cerco un libro di medicina generale introvabile. Ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che ne hanno una copia usata in una libreria vicino casa tua. Ti spiacerebbe fare un salto lì per me?”
“Che sono, il tuo fattorino?”
“Potresti pensarci, come carriera alternativa. La bici ti piace così tanto.”
“Mike, addio.”
L’altro era scoppiato a ridere.
“Dai, scherzo. Non ho davvero tempo in questi giorni, puoi farlo?”
Un sospiro. “E va bene. Ma non garantisco di riuscirci a breve.”
“Tranquillo, mi serve per la fine del mese.”
“Andata.”
“Lo sapevo, sei un amico!”
 
La prima volta che si era presentato lì non aveva assolutamente idea di cosa – o meglio, chi – lo aspettasse.
Un bellissimo, stranissimo e misterioso ragazzo seduto per terra in mezzo a una montagna di libri, che per di più affermava di avere tutto sotto controllo.
Si era sentito decisamente preso in contropiede, tant’è che non era stato capace di spiccicare più di due frasette una in fila all’altra.
Ecco, oggi è andata nettamente meglio.
Forse troppo.
Come evocato da questa stringa di pensieri, il telefono comincia a vibrargli in tasca. Di fatti, è Mike.
“Ehi, Mike.”
“Ciao amico! Ti disturbo?”
“No, assolutamente. Dimmi.”
“Per caso sei riuscito a passare dalla libreria?”
Cazzo. È andato e si è dimenticato completamente di chiedere per il libro.
“Ehm, no. Cioè, sì. Sto… andando ora.”
“Grazie mille! Scusami, non voglio romperti le scatole...”
“Non preoccuparti, vado subito.”
“Grande. Perfetto. Beh, fammi sapere allora! A più tardi.”
“Sì, a più tardi.”
Attacca.
Accidenti. Deve tornare indietro.
Fa dietro front e in un paio di minuti è di nuovo alla libreria. Entra in silenzio, la porta cigola appena. Non sa nemmeno lui perché si senta così agitato. È in procinto di dire qualcosa, almeno per palesare la propria presenza, quando sente la voce di Sherlock provenire dallo stanzino sul retro del bancone. Sta parlando con qualcuno al telefono, e i toni non sembrano particolarmente amichevoli.
John Watson, esci immediatamente. Non è carino origliare.
Ma la curiosità è più forte di lui. Si immobilizza sul posto.
Il tono gli giunge ovattato, ancora più basso di quanto non sia di solito. Ma la concitazione rende comprensibile ogni parola.
“Che diavolo vuol dire che devo starne fuori?!”
Silenzio.
“Esatto, Mycroft. Non capisco, perché non c’è niente da capire. Non puoi escludermi adesso, non ora che avete deciso di passare all’azione. Non-”
John lo sente sbuffare d’impazienza. Si passa la lingua sulle labbra, concentrato al massimo.
“Questa settimana?! E me lo dici ora?! Ah certo, facciamo fare al fratellino il lavoro noioso: lui fornisce i dannati codici, poi noi ci prendiamo tutta la parte divertente.”
Un altro breve silenzio. Poi la voce di Sherlock si tinge di una nota sorpresa, come se dicesse una cosa ovvia.
“Beh, catturare quei criminali è senza dubbio la parte più divertente. Altrimenti non ti divertiresti così tanto tu a lasciarmi fuori.”
“…”
“Ti avverto, Mycroft. Non ti aspettare che io sottostia alle tue regole senza dire niente. Ti fornirò l’ultimo codice, poi deciderò io cosa fare.”
Riattacca con decisione, poi un altro sbuffo frustrato.
John si ritira nel più assoluto silenzio. In pochi secondi è di nuovo fuori e sta camminando, anzi correndo, a prender la sua bici.
Non si rende nemmeno conto della velocità che prende la propria pedalata, tanto è intento a rielaborare quanto sentito.
Ha parlato di criminali. Per la precisione, di catturare dei criminali.
Altro che libraio. Altro che sensitivo. Un poliziotto? No, impossibile.
Un detective privato? Più probabile.
Ma così giovane? Mai dire mai. Le capacità sembra averle tutte.
E sa il fatto suo, su questo non c’è dubbio.
Forse qualcun altro, nella stessa situazione, avrebbe rinunciato. Dimenticata la libreria, dimenticato il favore all’amico. Addio e arrivederci.
Ma non John Watson.
Un sorriso a mala pena trattenuto gli stira le labbra, mentre un leggero pizzicore gli punge la pelle.
Il cuore accelera il battito.
Interessante, decisamente interessante.






Fine prima parte



Grazie per essere arrivati fin qui! 
Presto verrà pubblicato anche il secondo capitolo.
Nell'attesa, se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, sicuramente sarà un piacere e un onore.
Al prossimo chap,
Izu
  
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