Il ragazzo lo accarezzò ancora, facendo attenzione a non sfiorare il cerotto sul dorso, e si chiese per l'ennesima volta cosa avrebbe fatto se il sensei non fosse tornato a essere quello di sempre: aveva una bocca grande che mangiava troppo e parlava ancora di più, e si ostinava sempre a sbandierare quanto fosse forte, invincibile, immortale... ma era bastato così poco per infrangere quel primato.
Una freccia, una singola freccia avvelenata non destinata a lui.
Il gattone tricolore si mosse appena dalla propria coperta, lamentò qualcosa, un po' come faceva quando aveva fame, ma invece di saltare in piedi e raggiungere la cucina, crollò in un sonno ancora più profondo.
Natsume sospirò, massaggiandogli appena una delle orecchie appuntite e guadagnandosi la cosa più simile alle fusa che Nyanko-sensei era in grado di fare. Sorrise appena, ma non riuscì a levarsi di dosso quella sensazione di irrequietezza.
“Parli sempre di quanto noi umani siamo fragili e delicati...” mormorò, socchiudendo gli occhi all'ultima luminosità del tramonto. “Non diventare mai come noi...”.