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Autore: Sonrisa_    02/11/2019    1 recensioni
["Altri" = Froy, Bernard, Irina e Valentin Girikanan]
Aveva impiegato gli ultimi quattordici anni a fortificare il proprio primogenito e non avrebbe permesso che un marmocchio, per di più malato, rovinasse tutto diventando la debolezza di Bernard.
[...]
«Guardandovi mi è venuto in mente qualcuno. Parlo del mio fratellino, ha la vostra stessa età.»
Una volta glielo aveva detto, suscitando per quel bimbo sconosciuto la curiosità di quei piccoli scalmanati che, presa confidenza con quel ragazzo dai sorrisi enigmatici, lo avevano sommerso di domande a riguardo.
[...]
Froy aveva temporeggiato davanti la porta socchiusa della stanza del maggiore, dondolandosi sui talloni mentre stringeva a sé un peluche bagnato delle sue lacrime. Asciugatosi gli occhi con la manica del pigiama, il piccolo era entrato, incapace di controllare il tremolio della voce nel chiamare il fratello.
[...]
«Bernard.»
Non lo chiamava mai per nome, anche a quindici anni utilizzava quel nomignolo che aveva usato fin da bambino, ma in quel frangente non vedeva per niente il fratello. Quello era solo l’involucro di una persona che aveva smesso di esistere da tempo, sciocco lui ad avere fiducia che, nonostante tutto, certe cose fossero rimaste inalterate.
«Froy.»
[...]
«Non ti lascio solo. Non voglio.»
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Brothers






Bernard, prossimo al compimento dei quattordici anni[1], tentennò prima di avvicinarsi alla culla. Lei era rimasta piuttosto contrariata alla proposta di fargli saltare le lezioni extra del corso di inglese per vedere il neonato e il primogenito temeva già possibili ripercussioni, nonostante l’idea non fosse stata sua.
 
«Dopo nove mesi in attesa, qualche ora in più non farà la differenza: si parla del futuro di mio figlio!»
«Irina cara, mantieni la calma, hai partorito da poche ore, non ti fa ben-»
«Io sto benissimo!»
«Certo cara, ma Froy è appena nato e avrà bisogno di calma e silenz-»
Come ad avvalorare la veridicità delle parole del padre, il pianto di un neonato si levò forte e chiaro.
«Ecco, ora sarai contento, no? Se tu non mi avessi fatto alterare, io non avrei perso la pazienza e tuo figlio non si sarebbe messo a piangere. Sei contento?!»
«Irina, ne parliamo meglio di persona, che dici? Io e Bernard siamo quasi arrivati.»
Per tutta risposta la moglie aveva interrotto la chiamata e Bernard, che aveva udito tutta la conversazione, si era ritrovato a stringere con forza la stoffa dei pantaloni fra le dita, rannicchiandosi sul sedile posteriore dell’auto. Il padre aveva colto il suo disagio e gli aveva carezzato il capo: «Stai tranquillo, è tutto stress per via del parto.»
Bernard aveva annuito poco convinto.
 
«Vieni a conoscere il tuo fratellino.»
La voce calda del padre, unita alla sua mano che si posò sulla spalla, lo fece ritornare al presente e Bernard avanzò di qualche passo fino ad arrivare di fronte la culla.
Il piccolo Froy, pelle di porcellana e capelli radi e chiarissimi, emise un leggero vagito muovendo in aria i pugnetti chiusi, quasi come se si fosse accorto della nuova presenza.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiese il ragazzino spaventato, balzando all’indietro.
«Certo che no. Froy ti stava salutando.» lo tranquillizzò il padre, invitandolo a riavvicinarsi alla culla «Ciao piccolino, io sono il tuo papà e questo giovanotto è il tuo fratellone Bernard. Siamo molto felici di averti finalmente con noi.» aggiunse con voce calma, poggiando il palmo della mano sul pancino del neonato per lasciarvi una carezza leggera. Valentin sentì gli occhi del primogenito addosso e, sorridendogli incoraggiante, gli prese una mano allungandola poi verso quella del neonato. Appena le dita dei fratelli entrarono in contatto, il minore strinse nella manina l’indice del fratello e se lo portò vicino alle labbra. Bernard rise, Froy emise un verso indefinito e il padre sorrise con infinita tenerezza.
«Ti andrebbe di tenerlo un po’ in braccio?»
Il volto di Bernard parve illuminarsi:
«Posso davvero?» chiese entusiasta.
«Certo, è tuo fratello. Devi solo fare attenzione perché Froy è particolarmente delicato, d’accordo?»
Bernard annuì con un sorriso emozionato ad incurvargli le labbra sottili e Valentin prese tra le braccia il neonato, così da mostrargli come fare, e successivamente aiutò il primogenito a metterlo nella giusta posizione. Froy si rese conto del cambio di braccia e schiuse leggermente gli occhietti verso il fratello, poi mosse le labbra e si addormentò. Bernard rimase per tutto quel tempo immobile, timoroso di fare qualche danno, e solo in un secondo momento, su suggerimento del padre, iniziò a cullarlo piano piano.
«Ecco, così, bravissimo.»
Per interrompere quell’armonia famigliare fu sufficiente l’ingresso in stanza di Irina, seguita da un’infermiera che cercava di sostenerla nel camminare nonostante la ferma opposizione della donna.
«Sono perfettamente autonoma, io.»
«Certo signora, ma non vorrei che si affaticasse troppo…»
La replica della infermiera non fu nemmeno ascoltata da Irina, troppo impegnata ad alternare lo sguardo dal marito al primogenito, ignorando completamente il neonato. Bernard si irrigidì di colpo, rendendosi conto di non riuscire nemmeno a dondolare sul posto per cullare il fratellino, troppo spaventato da possibili obbiezioni da parte della donna: sapeva che fino a quando c’era il padre con lui, Irina si sarebbe limitata ad alzare la voce, ma anche le sue parole, sempre taglienti e cattive, lo ferivano nel profondo. Non si accorse subito di aver aumentato la presa sul fratellino stringendolo un po’ di più a sé; quando se ne rese conto fu sul punto di rimetterlo immediatamente nella posizione originale, ma Froy, quasi a manifestare il proprio dissenso per quell’intenzione, alzò una manina e poggiò le dita sul petto del fratello. Bernard sorrise di riflesso.
«Sua moglie mi ha detto di parlare con lei.» disse all’improvviso l’infermiera che si era avvicinata a Valentin «Sono venuta a prendere il piccolo per la visita di controllo con il dottore: vanno eseguiti degli accertamenti.»
L’uomo annuì con una strana espressione in volto ed aiutò il primogenito a mettere Froy nuovamente nella culla, affinché l’infermiera potesse portarlo via. Nella stanza calò un pesante silenzio, interrotto dal sussurro di Valentin che invitò Bernard a lasciare la stanza ed attenderlo in corridoio, così da permettergli di parlare con calma con la moglie.
 
 
 
 
Bernard aggrottò le sopracciglia e guardò il padre confuso: «Quindi cos’ha Froy?» chiese, guardando il fratellino che, ai suoi occhi, pareva un bambino normalissimo. Che i medici si fossero sbagliati?
«È solo un po’ più debole rispetto agli altri bambini, ma crescendo si rafforzerà sempre più[2].» cercò di spiegare Valentin mantenendosi sul vago «Te lo dico perché è importante stare molto attenti e trattarlo con la massima delicatezza, ancora di più in questi primi mesi.» aggiunse il padre, continuando a dare il latte tramite il biberon al secondogenito. «Quando io non sarò a casa mi aspetto che tu gli stia accanto per assicurarti che stia bene. Conto su di te.»
Bernard annuì e si avvicinò, poi lasciò una lieve carezza sulla manina del fratello: «Io devo andare a studiare, ciao Froy.» lo salutò «…dopo posso tenerlo in braccio?» chiese, alzando gli occhi verso il padre.
«Certo.»
Bernard sorrise e si avviò verso la sua stanza.
Valentin aspettò che il figlio uscisse dal soggiorno prima di sedersi sul divano ed emettere un flebile sospiro. Guardò il piccolo Froy che continuava a bere il latte e gli strinse delicatamente una manina fra le dita.
«Quindi sei qui.»
La voce di Irina non lo colse di sorpresa perché aveva già udito il rumore dei suoi passi in corridoio farsi vicino.
«Buon pomeriggio, Irina.»
La donna gli rivolse un semplice cenno del capo e si guardò attorno con attenzione.
«Dov’è Bernard?»
«Nella sua stanza, sta studiando.» rispose il marito, alzandosi lentamente per evitare movimenti bruschi che potessero dar fastidio al figlio che teneva fra le braccia «È un ragazzino molto giudizioso, sono davvero fiero di lui e sono convinto che anche Froy…»
Irina smise di ascoltarlo e Valentin, accorgendosene, tacque, continuando a confidare in cuor suo che quel disinteresse fosse solo una fase passeggera.
Per Irina esisteva solo Bernard, da cui pretendeva solo l’eccellenza. Froy era una presenza che non meritava tanta attenzione, un figlio di serie b verso il quale lei non nutriva alcun tipo di interesse. Era stato così fin dall’inizio, fin da quando i due genitori avevano scoperto che il loro secondogenito avrebbe avuto dei problemi, che sarebbe stato più debole, che avrebbe avuto bisogno di molta attenzione e maggiori cure nei primi anni di vita. Per Irina era stato difficile accettare l’idea di trascorrere mesi a letto a causa di quella gravidanza a rischio, per preservare la vita di un figlio non ancora nato ma che le impediva di seguire a dovere il primogenito. Froy avrebbe compiuto tre mesi il lunedì successivo ed Irina non lo aveva ancora preso in braccio.
 
 
 
 
Froy, ancora addormentato, rotolò su un fianco finendo addosso al fratello che, nel sonno, allungò il braccio per creare una barriera protettiva per il piccolino. Il minore emise un sospiro soddisfatto e strinse fra le ditina la maglia del ragazzo, come per assicurarsi che non andasse via.
Irina osservò la scena con le labbra increspate in una strana smorfia e i pugni serrati lungo la vita. Quell’esserino, da lei stessa partorito e che non sapeva nemmeno camminare, avrebbe dato sempre più problemi e il rapporto che si era instaurato fra lui e Bernard in una decina di mesi era preoccupante. Era da sciocchi legarsi così tanto ed affezionarsi ad una creaturina tanto fragile e problematica.
«Belli, vero?»
La donna non replicò e li osservò come davanti ad un qualcosa di incomprensibile, inclinando la testa e incrociando le braccia al petto.
Valentin non si scompose e si avvicinò al letto per coprire meglio i figli, guardandoli con una dolcezza infinita che Irina non colse, scambiandola per debolezza. Aveva impiegato gli ultimi quattordici anni a fortificare il proprio primogenito e non avrebbe permesso che un marmocchio, per di più malato, rovinasse tutto diventando la debolezza di Bernard. La donna si voltò e, senza curarsi del rumore prodotto dai tacchi delle proprie scarpe, uscì da quella stanza, schioccando la lingua contro il palato.
 
 
 
 
«Fino a quando rimarrai a San Pietroburgo?» chiese Bernard seguendo il padre oltre la soglia di casa. Froy lo raggiunse poco dopo con passetti malfermi aggrappandosi alle gambe del fratello per non perdere l’equilibrio e Valentin sorrise nel vedere Bernard tendere la mano al piccolo per assicurarsi che non cadesse.
«Presto, fra quattro giorni sarò di nuovo a casa.» rispose l’uomo, scompigliando con fare affettuoso i capelli dei suoi figli «Voi fate i bravi.»
Bernard annuì e Froy agitò la manina per salutare il padre, sebbene fosse ancora piccolo per avere piena consapevolezza di ciò che stava accadendo.
Prima di entrare in casa, i due attesero che l’uomo salisse in macchina e che l’autista mettesse in moto, ma varcata la soglia dell’abitazione trovarono Irina a braccia conserte. Bernard deglutì ed istintivamente spinse dietro di sé il fratellino, senza lasciare la sua mano. Irina non apprezzava mai che i due trascorressero del tempo assieme e Bernard temette di star per assistere all’ennesima sfuriata.
«Bernard.»
L’interpellato si irrigidì, schiuse le labbra per spiegare che avevano semplicemente salutato il padre, ma la paura non gli permise di emettere un fiato. La vide avvicinarsi con lentezza e il suo primo pensiero andò a Froy che, in silenzio, era ancora dietro le sue gambe.
Quando la donna si trovò a qualche centimetro di distanza, Bernard abbassò lo sguardo con reverenziale timore ed incontrò gli occhi di Froy che lo fissavano di rimando. Non riuscì a comprendere cosa si celasse dietro quelle iridi chiare così simili alle proprie, se il fratellino avesse paura, se avesse percepito il terrore che il maggiore sentiva, se avesse colto l’astio di Irina, se fosse solo confuso per quel cambio repentino di atmosfera.
A Bernard dispiaceva farsi vedere in quel modo da lui, paralizzato e timoroso, ma proprio non trovava la forza di fare alcunché, così quando Irina lo strattonò per un braccio conducendolo via, non si ribellò in alcun modo e serrò le labbra per non lasciarsi sfuggire nemmeno un lamento.
Froy lo chiamò debolmente e provò a seguirlo, ma la donna fu lesta a chiudergli la porta in faccia prima che il piccolo riuscisse ad imboccare il corridoio per rincorrerli. Bernard udì il pianto del fratellino, ma fu quasi sollevato che Irina si fosse limitata ad escluderlo in quel modo, almeno Froy si poteva considerare salvo.
 
 
 
 
«Oooooh
Bernard rise per l’entusiasmo di Froy che, scalciate le coperte, iniziò a gattonare sul letto slanciandosi verso di lui. Il maggiore lo prese al volo prima che il piccolo di due anni e mezzo si sbilanciasse troppo, rischiando di cadere sul pavimento, e mantenne in equilibrio il pallone da calcio sul piede. Gli occhi di Froy si illuminarono e il bimbo iniziò a battere le manine contento, poi indicò se stesso: «Anche io!»
Bernard scosse la testa e Froy arricciò le labbra contrariato: «Anche io!» ripeté con voce un po’ rauca.
«La prossima volta.» gli promise Bernard, facendo alzare il pallone per prenderlo con una mano e riporlo al proprio posto «Ora devi riposarti, così starai meglio.»
Froy si imbronciò, ma non trovò la voce di opporsi perché iniziò a tossire violentemente, impensierendo il fratello che si rese conto di aver ripreso a respirare solo dopo che il minore ebbe smesso di tossire. Bernard si affrettò a riportare Froy sotto le coperte, aggiustandogli i cuscini affinché non fosse troppo disteso e lasciandogli una lieve carezza sulla fronte. Il piccolo si lamentò per gli ulteriori colpi di tosse che infransero il silenzio della stanza e si rannicchiò su se stesso, allungando il braccio verso il maggiore affinché gli tenesse la mano. Bernard gliela strinse e si sedette sul bordo del letto, osservando Froy che pian piano chiudeva gli occhi e si addormentava.
La porta si schiuse lentamente e Valentin fece il suo ingresso nella stanza: «Come sta?»
«Un po’ meglio rispetto a stamattina.» mormorò Bernard allentando la presa dalla mano del fratellino e spostandogliela sotto le coperte, prima di alzarsi dal materasso ed affiancare il padre «I medici cosa dicono?»
«Niente di nuovo, purtroppo.» sospirò l’uomo «Con questo freddo un peggioramento del genere era prevedibile secondo loro, ma mi hanno detto di continuare la terapia fino a dopodomani. Se non dovessero esserci miglioramenti degni di nota prenderanno in considerazione l’idea di ricoverarlo.»
Bernard sospirò.
 
 
 
 
I due schiaffi si abbatterono con precisione letale sulle sue guance con una forza tale da confonderlo per parecchi secondi. Bernard avvertì la pelle bruciare e sentì gli occhi pizzicare, ma dalle sue labbra non uscì nemmeno un lamento e le lacrime rimasero impigliate fra le ciglia. Irina caricò di nuovo il braccio e Bernard incassò la testa fra le spalle, pronto a ricevere il secondo colpo. Nessuno schiaffo arrivò, ma il ragazzo rimase immobile con gli occhi serrati, certo che si trattasse di attimi prima che un ulteriore ceffone si abbattesse su di lui.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto? Della figura che mi hai fatto fare? Ignorare Mar’jia Andreevna Sokolova[3] per trascorrere del tempo con lui?!» gridò Irina, stringendo il mento del figlio in una morsa, così da costringerlo a guardarla negli occhi «Cos’era, un atto di ribellione nei miei confronti per non aver invitato quella sciacquetta di Yuliya[4] al tuo compleanno?»
Bernard pensò anche di dirle che lui non si sarebbe mai nemmeno sognato di ribellarsi a lei, che non era così stupido da pensare che fare muro contro muro potesse dare risultati, ma la sua bocca rimase serrata. Sarebbe stato inutile anche spiegare di aver deciso di ignorare la figlia degli amici di Irina e raggiungere il fratellino perché quella ragazzina aveva riservato commenti poco gentili su Froy, quindi Bernard tacque. E allora lo schiaffo arrivò, preciso, letale e violento come sempre; proprio come Irina.
 
 
 
 
Toc Toc
«Avanti.» mormorò Bernard cercando di mettersi più dritto alla scrivania.
Il padre entrò nella stanza, il volto disteso in un placido sorriso: «Disturbo?»
Il figlio scosse la testa e chiuse il libro di fisica mettendo tra le pagine una matita per lasciare il segno e ritrovare più in fretta il paragrafo da finire.
«Mi chiedevo se ti andasse di fare una passeggiata in giardino con me e Froy, mi piacerebbe approfittare di questa giornata mite. I medici dicono che sta reagendo bene alle cure e sostengono che stare all’aria aperta possa aiutarlo ancora di più.»
Bernard fu sul punto di accettare, ma fu costretto a declinare l’invito.
«Mi piacerebbe, ma dovrei prima finire di studiare, sai i compiti di fine trimestre non sono mai semplici, soprattutto quelli dell’ultimo anno.»
«Sei un ragazzo molto giudizioso, sai dare priorità ai tuoi doveri.» mormorò avvicinandosi al figlio «Sono fiero di te.» aggiunse dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Bernard represse un gemito di dolore, ma al padre non sfuggì la smorfia che comparve sul volto del figlio.
«Tutto bene? Non pensavo di essere stato troppo forte.» disse l’uomo, guardandosi la mano perplesso.
«Tranquillo, papà, è solo che non me lo aspettavo.»
Valentin aggrottò le sopracciglia e poggiò nuovamente la mano sulla spalla del figlio; lo fece in maniera più delicata, ma percorse con le dita tutta quella zona. Bernard si morse il labbro inferiore per non lasciarsi sfuggire nemmeno il lamento più lieve e pregò che il padre smettesse al più presto di infliggergli quella tortura, fisica e mentale. Poteva resistere.
«Bernard, sei sicuro che vada tutto bene?» domandò l’uomo, spostandosi al fianco del figlio.
Era così strano pensare a quanto un nome potesse sembrare più bello se pronunciato in maniera diversa. Irina lo chiamava sempre utilizzando solo un tono di voce che implicava un ordine, che fosse di seguirla, di rimanere in silenzio, di andare in camera per studiare. Valentin invece era capace di usare la dolcezza.
Il padre si allungò verso il figlio e sfiorò con la mano il suo volto, in una carezza tanto delicata quanto inaspettata. Le sue dita erano leggermente ruvide, ma a Bernard parvero dolcissime mentre percorrevano la propria guancia più volte, fermandosi solo per raccogliere una lacrima che il ragazzo non si rese conto di aver versato.
Il ragazzo deglutì il groppo che aveva in gola e stirò le labbra in un sorriso tremulo: «Certo, tranquillo papà.»
«E allora perché piangi?»
Bernard scosse la testa e si allontanò, asciugandosi le lacrime in fretta mentre la sua mente elaborava possibili spiegazioni.
«Non lo so… sarà lo stress.» inventò sul momento «Ho paura di deluderti, di non essere all’altezza delle aspettative e del tuo cognome. Scusami, non succederà più, sarò più forte e questi momenti di debolezza non ci saranno più.» farfugliò, incredibilmente sincero.
«Ma cosa dici, perché mi chiedi scusa?» domandò il padre, prendendogli le mani «Tranquillo, è normale avere dei giorni no, sentirsi confusi, piangere. Succede.» mormorò, stringendo il figlio in un abbraccio «Ma ricordati che tu non potresti mai deludermi. Sei mio figlio, pensi che possa smettere di volerti bene? Non succederà mai, qualsiasi cosa tu faccia.»
Bernard annuì con il volto basso.
«Ora vieni con me, staccare un po’ ti farà bene. Fidati di me.»
 
 
 
 
«Sei sicuro che funzionerà? Che potrà essere utile?»
Bernard sembrava piuttosto scettico: il calcio come avrebbe salvato il fratello?
«A Froy serve un obbiettivo. Un sogno da inseguire, un motivo per cui andare avanti, che lo spinga ad avere fiducia in un domani, nonostante i problemi.»
Bernard fissò lo sguardo sul fratellino che giocava sul tappeto del grande salone della casa, senza far caso alla loro presenza. Il piccolo, prossimo ai quattro anni, sembrava non trovare qualcosa che lo coinvolgesse abbastanza: passava dalle costruzioni ai pastelli a cera, dai peluche alle automobiline, stancandosi dopo un po’ di ogni cosa e ripetendo il giro.
«Proviamoci, allora.»
Valentin sorrise: «Chissà, magari se dovesse rivelarsi davvero un metodo efficace potremmo pensare di impiegarlo sul larga scala… Sono tanti i bambini che potrebbero trarne giovamento.»
 
 
 
 
Accade di colpo, senza che i due figli arrivassero a sospettare qualcosa o a scorgere i campanelli d’allarme di un rapporto ormai finito. Li avevano sentiti discutere in salotto, senza riuscire a capire bene ogni frase e quindi rimanendo ignari dei motivi del distacco repentino che avvenne nel giro di poco. Bernard e Froy videro Irina, dritta e fiera, marciare nella propria camera senza degnarli di uno sguardo e uscirne dopo meno di un’ora con una valigia.
«Sei sicura, Irina?»
Valentin parlò quando lei aveva già stretto fra le dita il pomello della porta fra le dita. La donna si fermò, ma non si voltò dando voce ad una semplice parola: «Sì.»
«Ti auguro il meglio.»
Froy e Bernard, rimasti in un angolo della stanza, la videro stringere con più forza la maniglia della porta, prima di sbatterla alle proprie spalle senza pronunciare altro.
Valentin si girò per tornare nella propria camera e i due figli rimasero per qualche secondo immobili, poi Froy trascinò il fratello fino alla porta, aprendola di scatto. Bernard abbassò lo sguardo sul fratellino che, stringendosi alle sue gambe, fissava la schiena della donna farsi sempre più lontana. Che aspettasse un saluto? Un gesto di affetto? Una spiegazione? Bernard non fu in grado di affermare cosa avesse spinto il piccolo a compiere un simile atto, seppe solo che anche in quel momento Irina non era stata capace di pensare a loro in quanto figli.
 
 
 
 
«Quindi ne hai parlato anche con lei?»
Valentin guardò il figlio, nel fiore dei suoi diciott’anni, che fissava il paesaggio scorrere oltre il finestrino dell’automobile diretta in aeroporto.
«Beh, certo. Anche se ci siamo separati, rimani figlio di entrambi e questa è una tappa importante per la tua vita.»
«E lei… cosa ha detto?» domandò il giovane, volgendosi verso il padre.
«Lei ha convenuto che, decidere di portarti con me in questo viaggio di lavoro, fosse una proposta ragionevole e io ho concordato con lei riguardo l’importanza, per te, di proseguire in ogni caso gli studi.» rispose l’uomo.
«E per quanto riguarda Froy?» chiese invece il ragazzo, sinceramente interessato.
«Ho già istruito a dovere Gustav e se sarà necessario prenderò in considerazione l’idea di farlo affiancare anche da Shinjou.» mormorò l’uomo «E poi rimarremo a Berlino solo per una settimana, non c’è niente di cui preoccuparsi.»
Bernard annuì, continuando a pensare al bimbo.
 
 
 
 
Froy scivolò sul pallone e cadde con un tonfo, poi emise un lieve lamento e sbatté i pugnetti chiusi sull’erba. Bernard lo guardò, trattenendosi dall’andargli incontro e limitandosi ad osservare la reazione del fratello che, dopo aver colpito con la mano la palla per spedirla lontano, sentenziò: «Io non gioco più.»
«E mi lasci da solo?» chiese il maggiore, incrociando le braccia al petto e trattenendo un sorrisetto divertito.
Froy scosse la testa: «Ti guardo.» rispose mettendosi seduto con le gambe incrociate.
«Ma non è divertente giocare da soli.» obbiettò Bernard, facendo qualche passo verso di lui.
«Ma io non sono bravo.» replicò il piccolo, incrociando le braccia al petto.
«Hai iniziato a giocare un mesetto, non puoi pretendere di essere già bravo.» gli fece notare il ragazzo, accovacciandosi accanto al minore che, guardandolo di sottecchi, arricciò le labbra.
«Non riesco a fare niente!» si lamentò, due lacrimoni pronti a rigargli le guance paffute «Tu sai fare tutto, io no.»
«Nessuno sa fare tutto e, soprattutto, nessuno è subito bravo a fare qualcosa all’inizio.» mormorò Bernard lentamente, lasciandogli un buffetto sul nasino «Io alla tua età non sapevo giocare bene a calcio.»
A quella ammissione Froy sgranò gli occhioni chiari, stupito: «Davvero?»
«Certo.» annuì l’altro «Ma dato che il calcio mi piaceva mi sono allenato tutti i giorni e sono migliorato.»
«Quindi se io mi alleno divento bravo come te?» chiese il bambino con un gran sorriso.
«Se deciderai di allenarti per bene diventerai sempre più bravo, persino più di me.» assicurò Bernard.
A quelle ultime parole le labbra di Froy si spalancarono in una o stupita.
«E tu mi aiuterai?»
«Certo, Froy.»
Il bimbo sorrise e si lanciò fra le braccia del fratello.
 
 
 
 
Il viaggio in Brasile fu quello che lo segnò più nel profondo. Lì Bernard toccò con mano la veridicità delle parole del padre: tutto stava nei sorrisi. Nei sorrisi di quei bimbi che prendevano confidenza col gioco del calcio e scoprivano di riuscire a divertirsi, nonostante le difficoltà. Bernard aveva sviluppato uno strano affetto nei loro confronti, rivedendo in loro il fratellino dall’altra parte dell’oceano. In futuro non molto lontano si sarebbero potuti incontrare e avrebbero potuto giocare insieme, Bernard lo credeva davvero possibile e si impegnava per garantire qualche ora di divertimento a quei bimbi che con il loro modo di fare lo avevano conquistato.
«Guardandovi mi è venuto in mente qualcuno. Parlo del mio fratellino, ha la vostra stessa età.»[5]
Una volta glielo aveva detto, suscitando per quel bimbo sconosciuto la curiosità di quei piccoli scalmanati che, presa confidenza con quel ragazzo dai sorrisi enigmatici, lo avevano sommerso di domande a riguardo. Bernard aveva ceduto solo dopo parecchie insistenze, dapprima mantenendosi sul vago e poi soffermandosi su qualche aneddoto particolare che credeva di aver dimenticato. Aveva così scoperto che parlare del fratellino gli piaceva, perché riempiva il cuore di calore e accresceva il desiderio di tornare a casa per poterlo rivedere.
 
 
 
 
Prima di spegnere il computer, Bernard lesse le ultime e-mail e si annotò alcuni dettagli da sottoporre al giudizio del padre. Viste le doti del figlio, Valentin aveva iniziato a lasciargli carta bianca in determinati contesti dopo appena sei mesi di affiancamento, ma il ragazzo continuava a preferire il confronto con lui prima di agire. Diede una rapida occhiata al cellulare solo per accertarsi di non essersi perso notizie dal genitore, andato ad accompagnare Froy ad una visita di controllo, e sospirò piano. Negli anni le condizioni del fratellino erano notevolmente migliorate, soprattutto nel corso dell’ultimo periodo. Bernard non sapeva se il calcio avesse davvero avuto un ruolo fondamentale nella ripresa di Froy, ma non si interrogava più di tanto sulla questione perché a lui bastava avere la certezza che il fratello fosse quasi completamente guarito. Si alzò ed uscì dall’ufficio del padre, che ormai condividevano senza problemi, impreparato all’incontro che ne seguì.
Irina, i capelli notevolmente più corti rispetto a quanto ricordasse, era davanti a lui.
«Ciao Bernard.» disse lei con uno strano sorriso.
Un senso di terrore, tristemente familiare, lo attanagliò e Bernard si ritrovò a boccheggiare, incapace di rispondere a quel saluto. Perché lei era in casa?
«È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti.» disse la donna «Forse dal tuo compleanno? Ormai mio figlio è un ragazzo impegnato, non trova tempo per venire a trovare me...» mormorò «Per fortuna sono riuscita a trovarti a casa, che fortunata coincidenza. Ero venuta a prendere alcuni documenti e ho saputo che eri anche tu qui.»
Bernard non seppe cosa replicare, quindi tacque.
«Ho voglia di una tazza di tè, sai, in Estonia non ne ho trovati di mio gradimento. Mi auguro che tu abbia piacere ad unirti a me.»
Senza aspettare risposta –lei dopotutto non aveva nemmeno formulato una domanda– la donna si voltò ed iniziò a camminare verso il salone, fermando una domestica per darle istruzioni circa il tè che avrebbe gradito bere. Giunti nella sala principale, Irina si accomodò capotavola e fece segno al figlio di sedersi accanto a lei. Bernard ubbidì, rendendosi amaramente conto di sentirsi come un bambino colto a commettere una marachella e pronto a prendersi una bella strigliata. Peccato che lui fosse maggiorenne e non avesse compiuto errori che meritassero una punizione.
Irina non parlò per lunghi minuti, accrescendo l’ansia del figlio che non trovava senso a quel silenzio che si protrasse fino all’arrivo del tè, servito con rapidità da due cameriere che, colta l’atmosfera tesa, si affrettarono a lasciare la stanza. Rimasti soli, la donna si portò la tazza alle labbra, bevendone giusto un piccolo sorso prima di riposarla sul piattino; intrecciò le dita sul bordo del tavolo e puntò gli occhi sul primogenito che, sguardo basso, aveva l’aria di un condannato in attesa della sentenza di morte.
«Froy sta bene?»
Bernard si accigliò per quella domanda inattesa, schiarendosi la voce prima di parlare: «…sta meglio.» rispose cauto, incapace di comprendere quale fosse il vero interesse di Irina, ma dubitando fortemente che quella domanda fosse stata posta per una sincera preoccupazione nei confronti di quello che, a conti fatti, era il figlio mai considerato.
«So che ora lui e il padre sono nella clinica della città, sai per quanto ancora saranno necessarie queste cure? Sono state molto costose nel corso degli anni.» commentò Irina aggiungendo un puntina di zucchero in più alla propria bevanda.
Bernard si mosse nervosamente sulla sedia, sempre più confuso: «Sta continuando a seguire le terapie, ma i dottori credono che presto non ne avrà più bisogno perché il suo fisico sta reagendo bene.» mormorò, decidendo di mantenersi sul vago, mentre un senso di disagio accresceva in lui.
La donna annuì e bevve un sorso di tè, assaporandone il gusto deciso con una calma misurata.
«Sarebbe un peccato se avesse una ricaduta all’improvviso, no? O se si palesassero altri problemi.»
Bernard gelò sul posto e sollevò lo sguardo, incapace di proferire parola. Era una minaccia? Un avvertimento? Un augurio?
Il ragazzo avvertì un forte senso di disgusto e serrò le labbra, ma Irina parve non notarlo o, più semplicemente, preferì ignorarlo.
«Con i bambini bisogna sempre stare attenti. Ce ne sono alcuni poi talmente fragili… certe volte basta solo un attimo di disattenzione…» continuò la donna, lasciando la frase in sospeso mentre fissava con finta attenzione il tè nella tazzina.
Il ragazzo si rese conto che con quegli ultimi commenti il terrore che nutriva nei suoi confronti era aumentato a dismisura, più di quanto anni di violenze non avessero fatto.
«Tuo padre si fida di te, no?»
Il cambio di argomento lo confuse ancora di più e Bernard, il timore per Froy che accresceva nella sua mente, annuì.
«Sì, ma-»
«Era quello che volevo sentirmi dire, ottimo.» lo interruppe lei con un sorriso indecifrabile ad incresparle le labbra.
 
 
 
 
Agire e concentrare i propri sforzi per il bene altrui, Valentin ne aveva fatto il proprio stile di vita e, di conseguenza, anche quello della propria organizzazione. Orion aveva senso di esistere perché si preoccupava degli altri, dei piccoli bambini come Froy. Era triste e paradossale che per proteggere quest’ultimo, Bernard avesse permesso ad Irina di guidare le proprie azioni, infangando il progetto del padre[6] senza che questi sospettasse qualcosa. Si sentì meschino, un traditore, e a fatica trovò il coraggio di entrare nello studio e affrontare il sorriso sereno del padre. Bernard si accomodò al proprio posto, faticando a concentrarsi sui vari documenti e ritrovandosi a leggere più volte la stessa frase prima di intenderne il senso. Dopo un’ora aveva compreso a stento il contenuto di due fogli, trovando sempre maggiore difficoltà col passare dei minuti.
«Perché non vai a giocare un po’ con Froy?»
Valentin aveva girato la sedia da ufficio verso il figlio, così da guardarlo in volto e rivolgergli un sorriso.
«Devo ancora finire di visionare questi documenti, servono per il prossimo incontro con gli investitori.» spiegò Bernard, indicando il plico che andava controllato.
«Lo faremo insieme più tardi.» propose Valentin «Siamo tornati da due giorni e Froy continua a chiedere di te per giocare. Ripartiremo nel fine settimana e credo faccia bene ad entrambi trascorrere del tempo insieme finché ve ne è la possibilità. E poi, sarò sincero, ti vedo particolarmente teso nell’ultimo periodo… se vuoi prenderti qualche giorno di pausa puoi farlo, sai? Posso tranquillamente gestire con Shinjou il prossimo viaggio in Nepal.»
«No, non occorre.»
Valentin inarcò un sopracciglio: «Sicuro?»
«Tranquillo papà, grazie del pensiero.» mormorò il ragazzo «Ora credo che ascolterò il tuo consiglio e raggiungerò Froy. A dopo.»
L’uomo guardò il figlio uscire dalla stanza e solo quando udì i suoi passi lontani, oltre la superficie della porta chiusa, si lasciò andare ad un sospiro. Controllò il proprio orologio da taschino e il suo sguardo si incupì nel vedere l’ora, quindi si avviò verso uno stipetto anonimo vicino la libreria. Le mani iniziarono a tremargli mentre lo apriva e i nomi dei vari farmaci si sovrapposero nella sua testa mentre cercava le pillole giuste da assumere. Quando la porta si spalancò all’improvviso, Valentin pensò che si trattasse di uno dei suoi figli e sussultò, ma le braccia che lo sorressero prima che potesse sbattere per terra furono quelle di Takuma.
«Temevo si trattasse di Bernard o Froy.» ammise l’uomo, lasciando che Shinjou lo accompagnasse fino alla poltrona «Io non voglio… loro non devono vedermi così…» farfugliò con voce flebile.
«Mentre venivo da lei ho visto i suoi figli dirigersi verso il giardino, sembrava avessero intenzione di giocare a calcio.» disse Takuma, voltandosi per prendere il farmaco giusto e porgerlo all’altro.
«Sorridevano?» chiese l’uomo, allungando un braccio verso la bottiglia d’acqua che teneva sulla scrivania.
«Sì, quando sono insieme sorridono.» lo tranquillizzò il giapponese, anticipando Valentin e porgendogli il bicchiere pieno. Takuma aspettò che l’uomo assumesse le medicine prima di parlare di nuovo: «Non potrà tenerlo nascosto a lungo. Comprendo la difficoltà di affrontare un simile argomento con Froy, vista la sua età, ma il nobile Bernard dovrà pur essere messo a corrente della situazione.»
Valentin non rispose subito, attese che il respiro tornasse normale e che il tremore alle mani sparisse.
«Hai ragione, ma finché riuscirò a nascondergli i sintomi preferisco evitare l’argomento e poi Bernard mi è sembrato piuttosto provato in questi ultimi mesi… attenderò il momento adatto e gliene parlerò con calma, magari di ritorno dal prossimo viaggio.»
Nella stanza calò il silenzio, ma il nipponico aveva trascorso troppi anni in compagnia di Valentin Girikanan per non prevedere che ci fosse dell’altro.
«Vorrei che mi promettessi una cosa.» iniziò infatti il russo «Quando… quando non ci sarò più, vorrei che continuassi a vegliare sui miei figli.»
«Non ho saputo essere un buon padre per mio figlio, abbandonando lui e mia moglie anni fa.» mormorò Takuma «Davvero crede che potrei-»
«Non li hai abbandonati, hai inseguito un sogno e continui ad andare sull’isola. Presto troverai anche il coraggio di presentarti da loro.» lo interruppe Valentin, un sorriso gentile sul volto «E poi io ti sto solo chiedendo di non abbandonare Bernard, Froy e Orion dopo la mia morte. Non mi resta tanto tempo, forse un anno, ma ho bisogno di sapere che qualcuno di fidato rimarrà quando non ci sarò più. Froy è un bambino e Bernard si ritroverà investito di molte responsabilità, forse troppe vista la sua giovane età, potrebbe sentirsi sopraffatto. E poi… tu sai il motivo che mi ha spinto ad investire tutta la mia vita in Orion. Fa’ che l’obbiettivo rimangano quei sorrisi.[7]»
Shinjou annuì.
«Arigatou.» mormorò in giapponese l’uomo con sincera gratitudine.
 
 
 
 
Qualcosa, un calcio probabilmente, lo colpì alla schiena ridestandolo dal sonno, senza fargli tuttavia troppo male. Bernard cacciò un lamento e si mise a sedere di scatto, ma emise un sospiro di sollievo quando scorse nella penombra della stanza la figura rannicchiata del fratellino. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, spostando i ciuffi spettinati dalla fronte, e si sdraiò su un fianco con la testa rivolta verso Froy. Il piccolo gemette nel sonno e scalciò, ma Bernard tese una mano per bloccare il colpo e con l’altra gli lasciò una lieve carezza lungo tutto il braccio, così da tranquillizzarlo. La cosa parve funzionare perché il volto del minore si distese in un’espressione più serena, ma ad incupirsi fu Bernard. Dalla morte del padre, una disgrazia che li aveva colpiti da poco più di una settimana, Froy aveva quasi smesso di dormire. Crollava in un sonno agitato vinto dalla stanchezza, ma si svegliava dopo qualche ora in lacrime, spesso urlando ed invocando il nome del padre.
 
Valentin se n’era andato dopo aver lasciato una carezza ai suoi due figli ed averli guardati con amore un’ultima volta. Quella notte Bernard non aveva chiuso occhio, piangendo per ore. Aveva sofferto fin da piccolo, ma il dolore che aveva provato vedendosi privato dell’unico adulto capace di dimostrargli sincero e disinteressato affetto era stato atroce. Il ragazzo si era sentito distrutto, solo, allo sbaraglio, messo a capo di un’organizzazione mondiale che sarebbe stata di fatto guidata da Irina. Aveva consegnato, pian piano, il lavoro di amore di una vita a colei che non avrebbe seguito gli ideali di cui il padre era fiero portatore. Bernard ne era consapevole, ma totalmente impotente. Lui era un fantoccio nelle sue mani, lo era sempre stato fin dalla tenera età. E se ne vergognava.
«Scusami papà, perdonami.»
Perdonami perché non sono abbastanza forte da spezzare le catene che mi tengono soggiogato a lei; non ne ho mai avuto il coraggio e mai ne avrò, perché dentro sono rimasto quel bambino impaurito che non voleva quegli schiaffi, ma credeva di meritarli al posto delle carezze. Volevo diventare come te, essere una persona di ispirazione per gli altri, ma non ce la farò. Scusami.
Si era sentito sopraffatto e presentarsi in quelle condizioni davanti al fratello gli era sembrato impensabile: Froy aveva bisogno di essere confortato e lui non si sentiva in grado di farlo.
Invece fu proprio il fratellino a smentirlo nel corso di quella stessa notte.
Froy aveva temporeggiato davanti la porta socchiusa della stanza del maggiore, dondolandosi sui talloni mentre stringeva a sé un peluche bagnato delle sue lacrime. Asciugatosi gli occhi con la manica del pigiama, il piccolo era entrato, incapace di controllare il tremolio della voce nel chiamare il fratello. Bernard si era girato, cercando di darsi un contegno, ma il bimbo gli era corso incontro tuffandosi fra le sue braccia.
«Anche io ho pianto tanto per papà.» aveva mormorato contro il suo petto, come se fosse stato un segreto da condividere solo con lui «Ma, anche se mi viene ancora da piangere, mi sento meglio se stiamo insieme.» aveva aggiunto, stringendolo forte «Posso stare qui con te?»
Bernard non aveva trovato le parole per rispondere, quindi se l’era tenuto stretto a sé iniziando ad accarezzargli i capelli. Si erano poi addormentati, vinti dalla stanchezza e illuminati dalle luci di una nuova alba.
 
 
 
 
La morte del padre pareva aver rafforzato ancora di più il loro rapporto perché Froy e Bernard traevano giovamento l’uno dalla compagnia dell’altro, ma un ritorno nelle loro vite iniziò a sfilacciare il loro legame che, ben presto, si fece sempre più precario. Irina, regina incontrastata di una scacchiera sulla quale Froy e Bernard non erano altro che pedine, aveva preso pieno controllo di Orion, disponendo del primogenito come di un fantoccio incapace di opporre resistenza. E Bernard lo ammetteva a se stesso con rabbia: se durante il primo anno a seguito della morte del padre era rimasto a testa bassa per evitare ripercussioni sulla salute di Froy ancora in fase di assestamento, con il passare del tempo si era reso conto di non riuscire in alcun modo ad opporre resistenza. Anche volendo, rimaneva soggiogato da quella donna che gli incuteva un estremo timore, ma che avrebbe dovuto farlo sentire protetto.
Senza la mediazione del padre, Bernard si era ritrovato a sottostare ad ogni richiesta di Irina, anche quando implicava allontanarsi da un fratello che amava e che stava crescendo, ma solo. A due anni dalla dipartita di Valentin, Froy e Bernard avevano smesso di trascorrere tempo insieme, diventando quasi due estranei che conservavano nel cuore l’affetto per l’altro. Continuarono a crescere in questo modo, vedendosi saltuariamente e parlando ancor meno.
Froy non aveva mai capito certe dinamiche e aveva continuato a chiedersi cosa fosse accaduto fra loro e perché ci fosse stato quel cambiamento drastico nel loro legame. Non trovò le risposte che stava cercando, ma crebbe e maturò, aiutato da un pallone che per mesi era stato il suo unico amico, alleato verso la riconquista di un fratello che appariva sempre troppo lontano. Il ragazzo indossava con fierezza la fascia di capitano della propria squadra, ma nonostante i compagni il vuoto lasciato dal fratello maggiore non veniva mai riempito. Eppure quel Bernard verso il quale aveva sempre nutrito una stima immensa era sparito, gli occhi di Froy non riuscivano più a riconoscerlo. Forse fu anche per questo che rimase semplicemente deluso e non sorpreso dei sotterfugi usati nel match contro il Giappone, nonostante la sua esplicita richiesta di lasciargli giocare una partita pulita, all’insegna del vero calcio. Fu lì che Froy subì un vero colpo, l’urlo gridato in campo[8] diede voce alla frustrazione accumulata in tutti quegli anni.
«Ti avevo chiesto di non interferire.»
Bernard non si girò neppure, continuando a guardare la partita, ma Froy non si lasciò intimidire e marciò nella sua direzione.
«Bernard.»
Non lo chiamava mai per nome, anche a quindici anni utilizzava quel nomignolo che aveva usato fin da bambino, ma in quel frangente non vedeva per niente il fratello. Quello era solo l’involucro di una persona che aveva smesso di esistere da tempo, sciocco lui ad avere fiducia che, nonostante tutto, certe cose fossero rimaste inalterate.
«Froy.»
Il ragazzo strinse i pugni per quell’aria di sufficienza e si piazzò davanti a lui.
«Perché?» chiese «Cosa direbbe nostro pa-»
«Non lo sapremo mai perché è morto. E se fosse stato vivo non ci saremmo posti questa domanda perché al mio posto ci sarebbe stato lui.» lo interruppe il maggiore «La trovo una domanda stupida, la tua.»
Froy si impose di mantenere lo sguardo fisso in quello del fratello, ma presto avvertì le lacrime premere per uscire e abbassò il volto per non fargli capire quanto quelle parole lo avessero colpito in pieno, ferendolo.
«Non ti riconosco più e questo mi fa male.» disse il minore, stringendo forte la tracolla del proprio borsone «Essere il suo preferito ti ha rovinato.» sibilò astioso, prima di correre via.
«Lo so…» sospirò Bernard dopo che il fratello ebbe sbattuto la porta.
 
 
 
 
Froy l’aveva tirata nel discorso senza pensarci, forse solo per trovare qualcosa con cui ribattere, ma l’ultima visita[9] al fratello gli aveva aperto gli occhi e dato un po’ di speranza, forse Bernard non era cambiato così tanto. Era proprio per potergli parlare con calma che, senza preavviso, si era diretto allo stadio, consapevole di trovarlo lì considerando la presenza dei giocatori brasiliani intenti a giocare contro l’Inazuma Japan. Nella testa aveva preparato un discorso e se lo era ripetuto più volte, ciò che non era preventivato era la presenza di lei; ma soprattutto Froy non si aspettava di trovare il fratello in quelle condizioni. Si paralizzò nel vederlo e si sentì disgustato da se stesso per quelle parole pronunciate qualche giorno prima dettate dalla foga del momento, ma in particolar modo per la sua fuga vigliacca. L’aveva abbandonato, se n’era andato dopo lo sguardo di disprezzo di Irina, era corso fuori dallo stadio, incapace di fare altro. Aveva vagato senza una meta per ore, incurante del tremolio delle sue spalle, delle lacrime silenziose che gli rigavano le guance e degli sguardi straniti dei passanti, ma vergognandosi per tutte quelle volte in cui aveva invidiato il fratello perché tenuto sempre in considerazione da lei. Smise di camminare solo quando un potente tuono rimbombò annunciando l’arrivo di un temporale e risvegliandolo da uno stato di trance che si era prolungato per ore. Froy si guardò attorno e una fitta lo colse quando si rese conto di essere nei pressi della propria casa, recuperò il cellulare dalla tasca per controllare l’orario: i quarti di finale dovevano essere finiti da circa due ore, era molto probabile che il fratello fosse rincasato. L’albino si fermò sul marciapiede, dondolando sui talloni indeciso, poi alzò gli occhi verso il cielo e il pensiero andò al padre. Il ragazzo strinse i pugni, un singhiozzo sordo fece tremare le sue spalle e Froy si morse il labbro con stizza per non far uscire nemmeno un suono dalla bocca.
Iniziò a correre.
Varcò la porta di casa con un senso di disagio crescente e attraversò con una discreta rapidità quegli stessi corridoi che aveva percorso numerose volte da bambino fino ad arrivare alla porta chiusa della camera del fratello. La scena di qualche ora prima gli si ripropose con violenza nella mente e Froy, le nocche a sfiorare la superficie del legno e un’espressione titubante in volto, tentennò: Bernard avrebbe voluto vederlo? Per un attimo pensò anche di lasciar perdere e tornare indietro, ma i suoi piedi rimasero fermi davanti a quella porta chiusa, ultima barriera a dividerli. Ripensò a quando una sera, da bambino, aveva visto il fratello tremendamente scosso[10] e gli venne spontaneo chiedersi cosa sarebbe accaduto se fosse corso da lui in quel momento. All’epoca non aveva neppure sette anni e si era sentito troppo piccolo per poterlo aiutare, ma forse sarebbe bastato anche semplicemente un abbraccio per cambiare qualcosa...
Froy sentì gli occhi farsi lucidi e poggiò il palmo della mano sulla superficie della porta, seguendo con le dita le venature del legno per distrarsi. Schiuse le labbra per emettere un lieve sospiro e decise che era giunto il momento di oltrepassare quella barriera.
«Starshy brat?[11]» lo chiamò, una chiara nota d’esitazione nella voce, bussando lievemente.
Nessuna risposta.
Froy credette davvero che il fratello non volesse vederlo, ma lui ormai era ben deciso a non tornare indietro, quindi inspirò profondamente e portò le dita sulla maniglia, aprendo la porta con delicatezza, conscio di star varcando molto più che la semplice soglia di una stanza. Ad un primo impatto non riuscì a vedere nulla perché la camera era immersa nella penombra e i suoi occhi dovettero abituarsi a quella oscurità prima di poter scorgere la sagoma del fratello, rannicchiato sul letto con i capelli sciolti a coprirgli il viso, ancora segnato dagli schiaffi di Irina.
Froy gli si avvicinò in punta di piedi, tentennando su quale fosse l’azione più giusta da fare in un simile frangente e limitandosi a guardare il fratello dormire. Un lieve lamento, che scosse Froy nel profondo, si levò dalle labbra di Bernard, incapace di trovare pace anche nel sonno. Il minore si sedette sul materasso lentamente, sperando di non svegliare il fratello, poi avvicinò le dita al suo volto per spostare i ciuffi dei capelli che gli nascondevano parte del volto.
«No.» sussurrò Bernard, bloccandogli la mano «Non voglio che tu veda anche questo.»
Non essendosi reso conto che si fosse svegliato, Froy si gelò sul posto e deglutì, obbligandosi a non distogliere gli occhi da quelli del fratello che si intravedevano fra i ciuffi spettinati della sua lunga chioma. Rimasero così, a fissarsi in silenzio per del tempo imprecisato, finché Bernard non lasciò la presa del polso di Froy, voltandosi di schiena per interrompere quel contatto visivo. Il minore, però, non poteva permettere che la distanza fra loro aumentasse ancora di più, quindi si sdraiò accanto a lui abbracciandolo forte.
«Froy, va’ via.»
Il ragazzo tentennò, sentendosi goffo proprio come da bambino, incapace di riuscire a trovare la frase giusta da dire e rendendosi conto di non sapere come rapportarsi al fratello in quelle condizioni. Gli appariva talmente fragile che temeva di ferirlo con una sola parola. Le sue braccia si serrarono attorno al petto del maggiore, ma questi si divincolò.
«Froy, per favore
La voce si incrinò leggermente sul finire della frase e Froy lo strinse più forte.
«Tu sei mio fratello. Sei la mia famiglia.» mormorò il minore poggiando la guancia contro la sua schiena e serrando gli occhi così che non potesse uscire nemmeno una lacrima «Non ti lascio solo. Non voglio.»
Bernard smise di opporre resistenza e Froy lo udì emettere un flebile gemito, prima che le spalle fossero scosse da un unico debole singhiozzo che ebbe un impatto devastante sul minore, che sentì le lacrime fare capolino dai suoi occhi. Dalle labbra di Bernard non uscì nessun altro suono, ma Froy, che si trovava ancora aggrappato a lui, avvertiva i suoi tremori e fu certo che il fratello stesse piangendo in silenzio. Il ragazzo fece leva su un braccio per alzarsi leggermente, ma a quel movimento il primogenito si rannicchiò ancora di più su stesso, nascondendo il volto contro il cuscino.
«Non ti guardo.» sussurrò Froy, che si era sollevato solo per potersi mettere ancora più vicino a lui, con il proprio mento poggiato sulla sua spalla. Si sentiva in bilico, ma non poteva e non voleva tirarsi indietro. Iniziò con estrema delicatezza ad accarezzargli il braccio per tutta la sua lunghezza, riflesso di un gesto di un epoca in cui i ruoli erano invertiti, e continuò a ripetere quell’azione anche quando i tremori del maggiore si acquietarono.
«Da piccolo lo facevi spesso per tranquillizzarmi.» sussurrò, le labbra increspate in un lieve sorriso al ricordo di quel gesto affettuoso.
Bernard non rispose, ma spostò leggermente il volto, in modo tale da non essere più nascosto dal cuscino, e Froy lo interpretò come un segnale positivo, così si arrischiò a portare la mano accanto al viso del fratello per spostargli con delicatezza alcuni ciuffi di capelli.
«Ricordi quando, una volta, mi impuntai nel volerti fare una treccia?» iniziò incerto, giocherellando con alcune ciocche candide.
«Sì.» sfiatò Bernard «Ma ricordo anche come andò finire e, sincero, non ci tengo a ripetere l’esperienza.» aggiunse, prendendo il polso di Froy e facendo scivolare la mano nella sua, intrecciando le dita.
Il minore si finse offeso: «Sono passati dieci anni, andrà sicuramente meglio.»
Bernard si voltò finalmente verso di lui, le gote marchiate dai segni degli schiaffi e lacrime amare, ma uno sguardo più sereno: «Guardando i tuoi capelli il dubbio mi rimane.» lo canzonò.
Il minore si indignò e iniziò a fargli il solletico con la mano libera, memore di tutti i punti deboli del fratello che, impreparato ad un simile attacco, iniziò a ridere e a contorcersi per cercare di sfuggire alle mani del più piccolo.
«Froy!» lo richiamò fra le risate «Smettila, non ho più quindici anni.»
«Ma io sì!» sghignazzò l’altro, continuando imperterrito a solleticargli i fianchi, incurante delle lamentele del maggiore.
Bernard finalmente riuscì a divincolarsi e spingere il fratello con la schiena sul materasso, passando quindi al contrattacco.
«Basta! Mi arrendo!» annaspò dopo poco Froy, dopo aver cercato invano di sottrarsi alla presa del fratello, sollevando le mani in segno di resa.
Il maggiore smise di fargli il solletico e i due si guardarono negli occhi, riscoprendo un’intesa che entrambi avevano dato perduta per sempre. Risero di cuore, con una leggerezza da troppo tempo dimenticata, e Bernard si sdraiò accanto al minore che si aggrappò al suo braccio.
Seguì uno strano silenzio, diverso da quelli che vi erano stati fra loro negli ultimi anni; non era pesante e gelido, ma era caldo e portava con sé il risveglio di un affetto nascosto per anni.
«Mi sei mancato.» sussurrò Froy.
«Anche tu. Tanto.» ammise Bernard, avvolgendo il corpo del fratellino con le braccia e stringendolo forte a sé.
Si erano ritrovati e non avrebbero più permesso a nessuno di separarli.
 
 
 
 
 
 
 


 
[1] Sì, mi sono anche informata sull’età di Bernard e, devo ammetterlo, non mi ero sbagliata più di tanto sugli anni di differenza che vi sono fra lui e Froy. In estate Animage Magazine ha rivelato che in Orion Bernard ha 29 anni, quindi considerando che l’età di Froy si aggira intorno ai 15 anni, i due se ne passano circa 14.
[2] Ci hanno buttato lì riferimenti a questa debolezza di Froy (ep 38 e 40), senza farci capire se fosse dovuta a problemi di salute o costituzione o qualsiasi altra cosa, quindi mi sono presa la libertà di gestire queste (poche) informazioni a modo mio.
[3] Nome totalmente inventato. E se pensate che sia bastato digitare “nomi russi femminili” vi sbagliate, perché per queste tre paroline ho scoperchiato il vaso di Pandora. Sapevate che i cognomi e patronimici russi si declinano e vanno accordati con il sesso della persona? D: E io mi sono studiata il tutto per citare una tizia che manco esiste.
[4] Nome inventato per la ragazzina che compare alla fine dell’episodio 43 in foto con Bernard. Quella i cui regali vengono brutalmente distrutti da Irina perché “solo io posso decidere chi è la ragazza ideale per Bernard” cit.
[5] Episodio 42
[6] Hino ha dichiarato in un’intervista –pardon, non so da chi sia stata rilasciata- come Irina abbia assunto sempre maggiore importanza all’interno della fondazione Orion durante gli ultimi anni di vita di Valentin.
[7] Episodio 38
[8] Episodio 36
[9] [10] Episodio 40
[11] Traslitterazione di старший брат, che si può considerare come l’equivalente russo di “nii-san” (Spasiba Ania ♥). Capitemi, non riuscivo ad immaginare baby Froy poliglotta e non mi andava di scrivere “fratellone” o qualcosa del genere. Nella mia mente l’albino si avvicina al giapponese solo dopo determinati incontri, ma, ehi, questa è un’altra storia.
 
Scrivere su Bernard e Froy, dall’episodio 40 in poi, mi aveva intrigato un sacco, ma dopo la comparsa di Irina ero tornata sui miei passi. Non mi aspettavo questo genere di personaggio e mi sono trovata in seria difficoltà, perché gestire una simile situazione mi sembrava troppo complesso. Confesso di aver temporeggiato in attesa di qualche confronto fra Bernard e Froy dopo il finale dell’episodio 43, ma non avendo avuto riscontri (e anche spronata da un’amica, ciao Lila ♥ sì, parlo di te) mi son detta: buttiamoci, se Hino non mi dà risposte, me le creo da me.
Non so se ve lo siete accorti, ma la parola “mamma” non compare qui. Nemmeno una volta. Accostare un termine tanto bello ad Irina mi faceva storcere il naso, quindi ho evitato. Non che Valentin sia stato un padre perfetto, ma almeno lui ha cercato di fare del bene e la stima che i figli nutrono per lui lo dimostra. Ho dato per scontato che nessuno sapesse niente delle violenze subite da Bernard perché, per me, è impensabile che un padre degno di questo appellativo sia a conoscenza di simile cose e non intervenga. Poi, per quanto riguarda Froy, non credo che lui abbia avuto il benché minimo sospetto della situazione; nell’episodio 40 lui stesso dice di essere stato geloso delle attenzioni riservate a Bernard, quindi no, non credo proprio che lui abbia mai saputo qualcosa.
La difficoltà maggiore, ovviamente, è stata “muovere” Irina. Le pseudo spiegazioni dell’episodio 48 mi hanno spinto a ragionare molto per cercare di comprendere pienamente la sua mentalità e il suo rapporto con la sua famiglia, ma credo che non capirò mai fino in fondo questo personaggio, di accettarlo, poi, non ne parliamo proprio.
Su questa famiglia ci sarebbe davvero tanto da aggiungere non nego che potrei tornare con altro a riguardo un giorno, chissà, ma con questa fanfic miravo a trattare prevalentemente il rapporto fra Bernard e Froy. Ho un debole per i fratelli e il loro legame e questi due personaggi mi sono entrati nel cuore.
Grazie già per essere giunti fin qui e aver letto questa lunghissima one-shot, ma grazie soprattutto a chi deciderà di dedicare qualche minuto del suo tempo per farmi conoscere i suoi pareri a riguardo. Io ho cercato di riempire i buchi della trama ufficiale al meglio delle mie possibilità, cercando di mantenere tutto nell’IC, ma aspetto un vostro riscontro.
Vi abbraccio,
Marty
 
PS: se vi interessa essere sempre al corrente dei miei aggiornamenti, seguitemi anche su Instagram (https://www.instagram.com/sonrisa_efp/). A novembre dovrei farmi viva abbastanza spesso. ;3
PPS: per favore, votate Bernard e Froy (e anche gli altri personaggi), così da permettere il loro inserimento nella lista dei personaggi della sezione, grazie.

 
  
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