Anime & Manga > Detective Conan
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Autore: Sian    08/11/2019    4 recensioni
Nella classe 1-B della scuola elementare Teitan arriva un nuovo alunno che non avrebbe mai pensato di tornare in prima elementare, dato che in realtà aveva ventisei anni. Esatto, per colpa di un’indagine sfuggita di mano, il suo corpo si era rimpicciolito. Fortunatamente non era da solo a condividere quel destino: aveva al suo fianco Conan Edogawa e Ai Haibara, che erano in quelle condizioni ormai da mesi, a causa dello stesso veleno, APTX-4869. I suoi pensieri però sono costantemente focalizzati sulla donna che ama e che avrebbe dovuto proteggerla dal dolore invece che causarne di nuovo. Anche lei ha molti pensieri in testa: non è riuscita a proteggerlo dalla maledizione che l’ha sempre perseguitata.
Dal "Capitolo Uno - Masao Fukuda // Ritrovarsi intrappolato":
Il nuovo acquisto della classe si ritrovò ad osservare attentamente la maestra: sì, si assomigliavano molto, lei e la donna che amava. Diamine, in questa assurda situazione non l’avrebbe più vista tutti i giorni. Nonostante fosse chiaro ciò che provava per lei, doveva dirle ancora tante cose, e non si sarebbe mai stancato di dirgliele.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Because you have someone to protect

Capitolo Due - Wataru Takagi // per proteggerti


Era riuscito perlomeno a portare il ragazzino in un luogo sicuro, non se lo sarebbe mai perdonato se quel bambino fosse finito in qualche guaio solamente per essere un po’ troppo curioso e fanatico di gialli. Ansimava per la corsa e per l’agitazione: il suo inseguitore non era convinto a lasciarlo stare, ne sentiva i passi avvicinarsi al suo nascondiglio. Era ormai tarda notte e nel parco dove si trovavano era molto improbabile che ci fosse qualcun altro nei paraggi. Poteva sempre ricorrere al suo cellulare e chiamare rinforzi, ma purtroppo sulla tecnologia non bisogna mai fare troppo affidamento; infatti si era scaricato durante la serata appena trascorsa. 
Dunque gli rimaneva l’unica possibilità di fermarlo puntandogli addosso la pistola e mettergli le manette ai polsi. Era un poliziotto, perché non avrebbe dovuto farcela? Fermare i criminali era il suo lavoro, proteggere persone innocenti dalla malvagità di altri individui era ciò che l’aveva spinto ad intraprendere questa carriera pericolosa.
Si fece coraggio, estrasse la sua pistola di servizio e rimase pronto a sparare un colpo d’avvertimento al suo inseguitore per poi arrestarlo. Non era così infattibile, arrestare un uomo con solo le sue forze, pensò. Doveva ricercare quella fiamma di coraggio grazie alla quale si era districato dalle situazioni più disperate in passato.
Era riuscito a sopravvivere ammanettato alla finestra di un capannone che aveva preso fuoco; l’aveva scampata dalla bomba nell’ascensore della Torre di Tokyo; era ancora vivo dopo aver ricevuto una pallottola nel petto da colui che l’aveva preso in ostaggio; per non parlare di quella volta in cui era stato rapito, legato su una tavola che si trovava al secondo piano di un edificio senza tetto in Hokkaido a quasi -20°C e che nascondeva una bomba con il conto alla rovescia. 
Sarebbe stato sicuramente un gioco da ragazzi catturare quel criminale senza fargli del male, giusto? 
L’aveva sorpreso mentre effettuava uno scambio di merce piuttosto strana e dall’aspetto illegale, fuori dal locale dove fino a poco prima si stava svagando dopo una giornata di lavoro. Sì, il suo senso di giustizia gli diceva che doveva riuscire ad ammanettarlo nel più breve tempo possibile.
Si prese coraggio, strinse la pistola nelle sue mani e uscì allo scoperto. Con sua grande sorpresa, il criminale era scomparso, dileguato nel nulla. Di fronte a lui si apriva la visuale sul parco dove si trovava. Abbassò la pistola, stupito dall’assenza del suo inseguitore, il quale sarebbe stato difficile da rimuovere dai ricordi in a causa del suo aspetto particolare.

Vestito completamente di nero, sigaretta accesa in bocca, occhi spietati che si intravedevano da sotto al cappello anch’esso nero, e capelli lunghissimi e biondi. “Non li posso vedere, gli sbirri”
Si girò di scatto sentendo quella voce e capendo in un lampo che era stato raggirato. Maledizione! In una frazione di secondo sentì solo un grande dolore alla testa, le gambe gli cedettero e si accasciò a terra quasi privo di sensi.
Poteva sparargli, l’aggressore era lì, ancora visibile e in una posizione favorevole per piantargli una pallottola nel petto. Ma non ne aveva il coraggio, non si sarebbe mai spinto fino a quel punto. Non si sarebbe mai perdonato di aver ucciso una persona, nonostante fosse un criminale. 
Allentò la presa dalla pistola, e si ritrovò faccia a faccia con il biondo. “Ho la giusta morte per uno come te, nella mia tasca” Infilò una mano nella tasca del cappotto e ne estrasse una pillola.
Ok, era stato un ingenuo. Questa era veramente la sua fine. Non sentiva più nemmeno un articolazione, incapace di muoversi totalmente. Non riusciva a fare altro se non restare immobile, mentre quel farabutto gli faceva ingoiare probabilmente un veleno potentissimo.

Già. Sarebbe morto veramente così? Inerme in quella situazione, credendo che sarebbe davvero riuscito a fermare quel criminale. Avrebbe potuto fuggire, liberarsi, dimenarsi, chiedere rinforzi in qualsiasi modo possibile. E invece era lì, immobile, senza forze.
Non gli mancava sicuramente né coraggio né un motivo per cercare almeno di fuggire. Ma in qualche modo quell'individuo era riuscito a stordirlo il necessario per non poter reagire con nessun muscolo. Il criminale si era già allontanato nell’ombra della notte.
Accidenti, sarebbe morto lasciando ancora molte cose non risolte su questa Terra. Il suo primo pensiero lo dedicò a Miwako Sato, la donna di cui era perdutamente innamorato. Si scusò con lei, doveva dirle ancora tantissime cose, e la sua morte l’avrebbe sicuramente ferita... Proprio ora che lei era riuscita ad aprirgli il suo cuore dopo tutta la sofferenza provata in passato. Un passo alla volta, erano riusciti a gettare almeno le fondamenta della loro relazione. O per essere più precisi, era stata lei a guidarlo fino ad ora, voleva qualcosa di più dei semplici movimenti impacciati e molto timidi che lo caratterizzavano.
Diamine! Se solo l’avesse baciata altre mille volte... Se solo avesse trovato il coraggio di chiederle di passare la serata assieme... Sicuramente non si sarebbe trovato lì, disteso per terra e ormai quasi privo di sensi. I ricordi riaffioravano nei suoi ultimi pensieri.

Quanto avrebbe voluto essere sdraiato sul suo letto, con a fianco la sua bellissima detective, com’era già capitato più volte. Si ricordava benissimo di come erano finiti addormentati nello stesso letto la prima volta. Ci aveva provato a fare il primo passo, dopo essere usciti a cena insieme, era doveroso riportarla a casa. Ma quella volta, voleva che le cose andassero un pochino diversamente. Infatti, sbagliò strada di proposito almeno per due volte, senza dirle nulla. Non fu una saggia decisione, insomma poteva prendersi un po’ di coraggio e dirle che aveva intenzione di dormire insieme.
Ma non c’era bisogno che Wataru parlasse. Miwako sapeva leggerlo come un libro aperto. In quel momento era nervoso, ma lei sapeva che volesse dirle qualcosa, e in cuor suo Takagi si maledisse per come non riuscisse a formulare una frase di senso compiuto senza impappinarsi o a balbettare ad ogni sillaba. Effettivamente non c’era nemmeno bisogno che glielo dicesse chiaramente. A lei andava bene così com’era; d’altronde, il carattere dell’uomo di cui si era innamorata era una delle qualità che più preferiva di lui.
Entrarono insieme nell’appartamento del poliziotto. Appena chiusa la porta d’ingresso, Wataru si ritrovò ad annullare le distanze, i respiri si concatenarono tra di loro. Aveva bisogno di esprimere i suoi sentimenti per lei, e si abbandonò completamente al suo istinto, senza pensare, facendo un grande passo avanti.
Si ricordava delle carezze, si ricordava degli abbracci, si ricordava di quante volte quella notte si perse nel suo viso. Questi ricordi si erano marchiati a fuoco.
Si ricordava alla perfezione di quanto amasse Miwako Sato.

Una fitta di dolore lo risvegliò dai suoi ultimi pensieri. Il veleno stava incominciando ad ucciderlo. Per quanti secondi ancora potrà immergersi nei ricordi della sua amata? Ora che ci pensava, era stato proprio uno stupido a pensare di riuscire a fermare con le sue sole forze quel criminale. Maledizione!
Perlomeno il criminale se l’era presa solo con lui e aveva lasciato perdere il ragazzino, Conan Edogawa. Era un bambino molto sveglio per la sua giovane età, e se avesse fatto qualcosa di avventato ci sarebbe andato di mezzo anche lui. E questo il detective Wataru Takagi non poteva permetterselo.
Sentì dei passi. C’era qualcuno che si stava avvicinando, e di corsa a giudicarne dalla cadenza. Un’altra fitta gli causò un dolore lacerante. Che diavolo di veleno gli aveva somministrato? Aveva sempre sperato di morire senza accorgersene. E invece non era stato ascoltato, gli era toccata una morte lenta e dolorosa.

Se lo sarebbe chiesto per sempre: perché il destino lo aveva portato ad uscire fino al locale da solo? Quel giorno aveva terminato il lavoro alla centrale di polizia in anticipo, mentre tutti i suoi colleghi erano impegnati a fare rapporto di indagini svolte o interrogare ancora i sospettati. Gli era sempre dispiaciuto uscire prima di tutti, d’altronde era il tipo che andava fino in fondo in tutte le storie. E nonostante ciò quella sera era parecchio provato dal lavoro.
Aveva deciso di fermarsi in un locale prima di tornare a casa per riposarsi. Il giorno dopo sarebbe stato il suo giorno libero, come anche quello di Miwako e si erano dati appuntamento alle undici, quindi avrebbe avuto tutto il tempo per riposare un po’ più a lungo il mattino seguente. Dunque si era convinto a fermarsi nel locale; da solo non era di gran compagnia, ma si ricordò di aver pensato che a volte era anche bello restare da soli con i propri pensieri.
Era trascorsa qualche ora e il locale era ormai prossimo alla chiusura. Ma era tardissimo! Non si ricordava nemmeno di come avesse perso la cognizione del tempo. Pagato il conto, aveva notato dall’altro lato della strada tre  uomini, due erano totalmente vestiti di nero e sembrava stessero minacciando l’altra persona che era con loro. Tutti e tre erano entrati in un vicolo e il detective era uscito dal locale per seguirli, nonostante fosse stanco per la giornata lavorativa: un poliziotto non si ferma mai.
Stava attraversando la strada quando aveva visto arrivare un bambino su uno skateboard, diretto proprio verso il vicolo, si trattava di Conan. Mannaggia a lui che era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Eppure sembrava che stesse seguendo proprio quegli uomini. In quel momento si era ricordato che l’agenzia investigativa di Goro Mouri era proprio poco più avanti. Che avesse visto qualcosa di sospetto? Ma certamente non era una faccenda per un bambino, e soprattutto non poteva uscire a quell’ora della notte. Glielo aveva rammentato ma era stato proprio il bambino a sgridarlo: dovevano sbrigarsi ad inseguirli, altrimenti quei criminali l’avrebbero passata liscia.
Mentre li avevano sorpresi a scambiare del materiale illegale, la fortuna era talmente dalla loro parte, che uno dei due uomini in nero si era accorto di loro. “Ti sei fatto seguire da un piedi piatti!” L’uomo un po’ più basso di statura aveva urlato contro all’uomo minacciato.
“Vodka, finisci tu con questo individuo. Io penso al resto. Tra dieci minuti alla macchina. Intesi?” aveva esclamato il biondo, voltandosi con un sogghigno. Era sempre un piacere fare i conti con la polizia. Ed in più era da solo, non ci avrebbe messo nemmeno sette minuti per farlo fuori, ne era certo.
“Ok capo!”
Takagi aveva preso sottobraccio Conan, doveva portarlo via! Un bambino non ce l’avrebbe sicuramente fatta a scappare da un criminale.

“Gin…” aveva mormorato Conan tra sé e sé mentre Takagi lo teneva stretto tra le braccia. Se avesse preso lo skateboard avrebbe potuto allontanarsi di un gran bel pezzo, ma non poteva sicuramente lasciare da solo il suo amico della polizia. 

Un momento! Takagi si era ritorvato a pensare alle parole mormorate del bambino. Il criminale biondo si era riferito al suo compare con il nome Vodka. Che fossero dei nomi in codice? Gin era il nome del biondo, dunque. Ma la domanda che non voleva abbandonare i suoi pensieri era la seguente: di quante cose era a conoscenza quel bambino? Che cosa sapeva veramente?

Gli era tornato alla mente quel caso di pochi giorni prima. Era diventata un’abitudine che quando Goro era sulla scena del crimine, prima o poi avrebbe svelato la verità dietro al caso cadendo in trance. Anche quella volta fu così, stava appena dicendo che non era possibile che il sospettato fosse l’assassino, quando subito dopo aveva spalancato di colpo gli occhi e pian piano li aveva richiusi scivolando a lato della porta d’ingresso.
In quell'istante, poco prima che Goro cadesse, Takagi aveva visto, con la coda dell’occhio, Conan sorridere puntandogli addosso il suo apparente orologio. Era sicuro di non essersi sbagliato. Aveva cercato di tenerlo d’occhio ma era sparito nel nulla mentre Goro aveva iniziato le sue deduzioni. Gli aveva chiesto di simulare l’incidente con degli oggetti che aveva fatto preparare precedentemente e di disporli proprio di fronte alla porta.
Era stato in quel momento che lo aveva intravisto di nuovo: Conan era dietro alla porta e stava parlando con qualcuno, ma la sua espressione non era cambiata per nulla. Teneva in mano il papillon rosso, quello che indossava qualche volta. Era sicuro di non averglielo visto indossare quel giorno.
Il caso fu risolto grazie all’esperimento simulato. Ma forse... Si era sbagliato? Conan stava scherzando con Ran, e sembrava essere stato lì per tutta la durata della risoluzione del delitto. Lo aveva squadrato e poi aveva deciso di raggiungere i suoi colleghi in centrale: aveva un caso da riportare e in quel momento stava svolgendo il suo lavoro; non poteva permettersi distrazioni quando c’era l’ispettore Megure, il suo capo, nei dintorni.

Era entrato nel parco di Beika, lì era più facile scappare e nascondersi in mezzo a tutta la natura una volta che il cielo aveva iniziato a farsi buio. Aveva appoggiato Conan a terra e lo aveva rassicurato che sarebbe tornato a prenderlo, avrebbe solo dovuto restare nascosto nel cespuglio. Era sicuro che a Conan Edogawa certe raccomandazioni non servivano: era molto intelligente e sapeva sfruttare il massimo da ogni situazione. Però si era sentito in dovere di proteggerlo a tutti i costi.
Conan aveva protestato, ma Gin era arrivato sul posto, non c’era più tempo. Takagi si era inoltrato da solo nel parco e come previsto l’uomo inseguì solo lui lasciando stare il bambino.

Conan si portò le dita alla scarpa, pronto a calciare un tiro fortissimo. Realizzò in seguito che le sue scarpe potenzia calcio erano rimaste dal dottor Agasa per effettuare delle migliorie. Maledizione! Non poteva essere d’aiuto, era solo un adulto nel corpo di un bambino.
Non sarebbe arrivato mai in tempo, si erano allontanati ormai di un bel pezzo, e lo skateboard era rimasto nel vicolo. Sapeva di quanto fosse pericoloso mettersi contro Gin, ma doveva fare assolutamente qualcosa per salvare il suo amico da quella brutta faccenda.
Corse verso di loro, nelle ombre della notte intravide un corpo cadere a terra. Oh no! Era arrivato tardi. Si avvicinò ancora un pochino. Diamine gli aveva appena fatto ingerire una dose di Apotoxina 4869.
Come se nulla fosse l’uomo in nero si diresse all’uscita del parco. Sette minuti in tutto. Sogghignò, fiero del suo risultato.

Sebbene avesse voluto ricordare fino all’ultimo momento della sua esistenza la sua bella poliziotta, in quegli attimi era dispiaciuto di non riuscirci. Il dolore era troppo forte, avrebbe voluto farla finita subito e ora. Era come se si sentisse le ossa lentamente sgretolarsi, i muscoli evaporare. Si sentiva ridotto in piccoli pezzi.
Di quegli attimi non si ricordò più nulla. Collassò dal dolore.

“Agente Takagi!!” una voce familiare, insistente e trillante lo destò. Si ritrovò di fronte Conan Edogawa che lo osservava preoccupato.
Come? Il veleno non l’aveva ucciso? Era ancora vivo? Provava una strana sensazione, si sentiva molto debole e dolorante. La testa gli doleva, sembrava che ci fosse una tenaglia che gliela stingeva ben stretta, peggio di tutte quelle volte che i suoi colleghi lo sottoponevano ad interrogatori indisposti riguardo alla sua relazione con la vice-ispettrice Miwako Sato.
La temperatura corporea era molto elevata. Ansimava ancora dal dolore. Per quanto tempo era rimasto svenuto? Riuscì a farsi forza e ad osservare cosa fosse successo. Stavano accorrendo verso di lui anche l’altra bambina che stava sempre insieme a Conan, Ai Haibara, seguita dal dottor Agasa che si occupava di lei.
Perché Conan aveva chiamato loro e non la polizia? Cosa stava combinando?
“Takagi, come ti senti?” la bambina l’aveva raggiunto e gli aveva appoggiato una mano sulla fronte. “Dottore, dobbiamo portarlo via da qui al più presto prima che qualcuno lo veda, se non vogliamo farci scoprire”. Ma, in che senso scusa? Non aveva molte forze per parlare e chiedere motivazioni. La squadrò e poi si sentì tirar su di peso. L’uomo anziano l’aveva preso in braccio.
Cosa? Come avrebbe potuto sollevare da terra un uomo a peso morto? Improvvisamente sentì i vestiti scivolargli addosso. Per qualche strana ragione gli sembrava di essere avvolto da troppi strati di tessuto. La visuale era molto favorevole rispetto a quando si trovava sdraiato. Poteva vedere benissimo... I pantaloni che gli cadevano a penzoloni, i piedi arrivavano nel mezzo delle gambe dei pantaloni. Le maniche della giacca e della camicia erano enormi. Per non parlare delle scarpe tenute in mano dalla bambina. Che diamine...?!
Si sentì mancare le forze, di nuovo. Chiuse gli occhi sperando fosse solo un’allucinazione, e senza nemmeno accorgersene cadde di nuovo sfinito, fortunatamente il dottore lo teneva ancora tra le braccia.

   
 
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