Serie TV > The 100
Ricorda la storia  |      
Autore: lagertha95    25/11/2019    3 recensioni
Bellarke AU crossover con Hunger Games (6x10 - Matryoshka) Possibile spoiler!
L'anomalia avvolge e ingloba. Nessuno sa che cosa succeda davvero dentro a quel vortice, tranne che se ti prende quando viaggia ti invecchia.
Clarke e Bellamy vengono travolti dall'Anomalia e si trovano trasportati altrove, in un altro tempo, in un altro luogo, in un'altra dimensione, nel bel mezzo di qualcosa di inaspettato.
A me la scena della seria da cui parte questa storia ha spezzato il cuore e ho dovuto buttare giù tutto quello che provavo in quel momento, questo è il risultato che spero leggiate con piacere.
Dal testo:
Un bosco diverso da quello che conoscevano, fatto di alti alberi dai tronchi sottili che sembravano essere finti, circondava la radura in cui la tenda era atterrata.
“Non è Sanctum”
“Decisamente non lo è”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti/e!
Eccomi qui, di nuovo, a portare sul web una nuova Bellarke AU.
Era nata per una sfida su Il giardino di EFP, ma poi mi sono resa conto di essere andata fuori tema, quindi non andava bene. Il punto però è che ero così soddisfatta di cosa avevo scritto che mi sembrava un peccato lasciarla ad ammuffire nella cartella "storie complete" del mio pc.
Eccoci qua dunque, nella speranza che abbiate voglia di leggere e recensire (ma anche solo leggere) questa OS che mi ha resa gongolante e fiera.

A presto, 
Baci Lagertha


 
Ultima Verba

 
Clarke era morta.
Nonostante tutto quello che lui aveva fatto, il cuore di Clarke aveva smesso di battere.
Octavia gli passò una mano sulla schiena in segno di conforto e poi, dopo aver fatto un cenno a Gabriel, uscì dalla tenda seguita dal ragazzo, lasciando al fratello la privacy che Bellamy desiderava.

Bellamy si sedette di fianco al lettino su cui giaceva ormai senza vita il corpo di Clarke.
Era piccola, osservò il ragazzo guardandola.
I capelli corti, biondi e disordinati le circondavano il viso tondo dai lineamenti affilati: i tratti di una donna sul viso paffuto di una bambina.
Gli occhi azzurri erano, una volta per tutte, chiusi.
Le labbra sottili, quelle labbra che avrebbe voluto riempire di baci e contemporaneamente zittire con una leggera botta data con il dorso della mano, non avrebbero mai più emesso neanche un suono.
Bellamy non le aveva mai detto, e neanche mai mostrato a dirla tutta, quello che aveva iniziato a provare per lei tanto tempo prima, quando avevano dovuto collaborare per riuscire a sopravvivere alle ostilità terrestri, e adesso non avrebbe più potuto farlo.
Grosse lacrime iniziarono a scendere, solcandole, lungo le guance di Bellamy.

“Sai, all'inizio ti ho odiata.” un sorriso sghembo gli incurvò le labbra “Eri migliore di me in tutto, anche nel dare la morte. Ti ricordi quando hai ucciso Atom? Gli cantavi una ninnananna e lui si è affidato a te, completamente...” le carezzò il viso come non aveva mai fatto prima, con infinita dolcezza “O quando hai ucciso Finn, preferendo farti carico della rabbia e del dolore di Raven piuttosto che lasciarlo nelle mani dei terrestri. Oppure-”

Un rumore fortissimo, come di un elicottero in atterraggio, interruppe il ragazzo che non fece in tempo ad alzarsi per andare a vedere che cosa stesse succedendo che un vento fortissimo e un'accecante luce verde investirono lui, la tenda e il cadavere di Clarke.
L’Anomalia li avvolse e Bellamy chiuse gli occhi.

 

Bellamy?! Bellamy rispondi! BELLAMY!”

Bellamy aprì gli occhi lentamente, sbattendo ripetutamente le palpebre per mettere a fuoco, sentendosi scuotere per le spalle e chiamare per nome.

“CLARKE?!”

Il ragazzo si tirò su di scatto, chinandosi in avanti e afferrando per la braccia magre la ragazza che aveva, inginocchiata e dall’aria preoccupata, di fronte.

“Tu…tu eri morta!” Le toccava il viso mentre parlava “Ho provato a rianimarti ma-” Le sfiorò le labbra con la punta delle dita “Ti prego, di’ qualcosa…” La supplicò infine a bassa voce.

“Qualcosa...”

Bellamy la guardò, incredulo e sollevato, per un attimo prima di scoppiare a ridere come non aveva mai fatto, abbracciandola così stretta da toglierle il fiato e farle scricchiolare le coste* per poi trascinarla, ridendo, a terra con sé.

“Bell! Così mi uccidi di nuovo!” protestò Clarke, tossicchiando e colpendolo debolmente sulle spalle larghe e forti.

“Mio dio…sono così felice di sentire la tua voce petulante….” rispose lui, tirandosi lentamente su e porgendole una mano. “Ma che cosa è successo? Tu eri…”

“Non lo so. Ero morta, ricordi?” lo interruppe lei. “È successo qualcosa di strano mentre ero morta?”

“L’Anomalia. Ha investito la tenda di Gabriel poco dopo che lui e Octavia mi avevano lasciato lì con te- Octavia!”

“Forse ha fatto da defibrillatore…”

“Dobbiamo andare a cercare Octavia, controllare che stiano bene…” Bellamy si alzò in piedi concitato “Se l’Anomalia li ha investiti…” porse una mano a Clarke per aiutarla ad alzarsi.

Quando uscirono dalla tenda, però, non riconobbero il luogo in cui si trovavano.
Un bosco diverso da quello che conoscevano, fatto di alti alberi dai tronchi sottili che sembravano essere finti, circondava la radura in cui la tenda era atterrata.

“Non è Sanctum”

“Decisamente non lo è”

Passi frenetici e scoordinati interruppero la loro breve e superficiale avanscoperta.

“Prendiamo le armi e quello che potrebbe servirci e nascondiamoci. Restare qui non è sicuro…” mormorò Bellamy all’orecchio di Clarke, che cercò di gestire i brividi che le erano scorsi lungo la spina dorsale.

Rientrarono nella tenda e ne uscirono un attimo dopo, correndo al riparo di un ammasso di rocce enormi.
Si sporsero, stando ben attenti a non farsi vedere: un gruppo di ragazzi e ragazze vestiti come militari passò correndo a una decina di metri da loro. In mano avevano lance e spade e archi, le loro facce erano decisamente agguerrite e i fisici atletici. Gridavano come gridavano i terrestri quando andavano in guerra, ma parlavano la lingua degli Spacekru e non il trigedasleng.

“Andiamo! Dobbiamo trovarla!” Quello che sembrava essere il capo era un ragazzo di 16 o 17 anni, alto, biondo e ben piazzato che impugnava una spada brandendola con foga e facendola brillare ogni volta che un raggio di sole la colpiva. “Non deve essere lontana! L’ho vista dirigersi in questa direzione” poi si fermò e si voltò verso il chiudifila del gruppo. “Ragazzo del pane, tu che dici? Katniss dove si nasconderebbe, secondo te?”

“Stanno cercando qualcuna per ucciderla…”

“Clarke, lascia perdere e cerchiamo di capire dove siamo e come uscire da questo bosco. Andiamo…”

Aspettarono che i ragazzi riprendessero la loro battuta di caccia, poi si mossero. Recuperarono tutto quello che poteva servire loro dalla tenda e nascosero quest’ultima tra i massi.

Camminavano cauti per quella strana e sconosciuta foresta da una mezz’ora quando sentirono di nuovo dei passi. Questa volta però non sembravano appartenere ad un gruppo in caccia, ma ad una singola persona.
Non fecero in tempo a nascondersi che Bellamy si voltò, richiamato dal sussurro allarmato di Clarke, la pistola estratta e spianata in un secondo. Clarke che aveva un pugnale puntato alla gola ed era tenuta ferma da una ragazza mora, con i capelli raccolti in una treccia e gli occhi grigi, vestita come i ragazzi che avevano visto poco tempo prima.

“Metti giù l’arma, bellimbusto, e a lei non farò del male”

Bellamy abbasso lentamente l’arma senza pensarci un momento, guardando Clarke, guardando la lama del coltello leggermente premuta sulla sua gola, guardando la giugulare che, superficiale, pulsava freneticamente.

“Non farle del male, ti prego…”

“Chi siete? Non vi ho visti alla parata dei tributi…”

“Tributi?” Bellamy guardò la ragazza senza capire. “Io…noi non credo siamo di qui. Puoi dirci dove siamo?”

“Panem. Più precisamente nell’Arena dei Settantaquattresimi Hunger Games.

“Io sono Bellamy Blake, la ragazza che minacci con il pugnale è Clarke Griffin. Veniamo da Sanctum, ma credo che sia più preciso dire che veniamo da un altro universo…”

“Io sono Katniss Everdeen, tributo del Distretto 12. Scusatemi. Pensavo foste degli scagnozzi degli Strateghi.” disse la ragazza dai capelli scuri, lasciando andare Clarke che si affrettò a raggiungere Bellamy.

“L’Anomalia deve aver aperto un varco interdimensionale…”

“Non pensavo fosse possibile, nessuno ne ha mai dimostrato l’esistenza...”

“Nessuno era mai tornato dall’Anomalia fino a Octavia. Perchè non potrebbe essere un varco? Spiegherebbe le persone scomparse e mai ritrovate, neanche cadaveri.”

“Un attimo. Mi state prendendo in giro. Non esistono i varchi dimensionali-”

“Eppure noi siamo qui e non siamo di questo posto. Cioè è la stessa Terra su cui siamo atterrati come i Cento, ma in un’altra dimensione, dove gli avvenimenti e la storia sono diversi.”

Clarke aveva a faccia – Bellamy ormai la conosceva molto bene – di quando rimuginava attentamente su qualcosa, cercando un segno, una minima cosa che le potesse essere sfuggita finché, imbronciata, non desistette e si rivolse a Katniss.

“Primo, ho bisogno che tu mi racconti quello che sai di questo posto, storia, localizzazione geografica e anche l’attualità.” Con la mano sinistra indicò il pollice destro. “Secondo-”

“Secondo, che in realtà è la prima cosa da fare, cerchiamo un riparo. È pericoloso stare allo scoperto. Una volta al sicuro potremo parlare. Non prima.”

Camminarono per almeno un’ora in quella strana foresta, cauti, attenti, le orecchie sensibili ad ogni rumore che non sembrasse naturale. Alla fine arrivarono ad una grotta, il cui ingresso coprirono di frasche per mascherarlo.
Una volta all’interno, si sedettero su tre pietre meno umide delle altre, Clarke e Bellamy in ansia e in attesa.

“Siamo negli ex-Stati Uniti d’America, a Panem. La capitale è Capitol City e ha 12 distretti che la circondano e che la nutrono e arricchiscono, ognuno deputato ad un certo tipo di produzione. Siamo più o meno a livello di quelle che erano le Montagne Rocciose, una volta.*” Katniss si sistemò meglio sulla roccia, poi riprese. “Per quanto riguarda il resto, vi trovate nell’Arena degli Hunger Games. Sono dei giochi sadici che vedono ventiquattro ragazzi tra i 12 e i 18 anni estratti a sorte, un ragazzo e una ragazza, per ogni distretto e chiusi in un’arena. È permesso un unico vincitore.”

“Come i giochi gladiatori…” sussurrò Bellamy, ricordandosi dei libri sull’impero romano che aveva letto da bambino sull’Arca.

“Esatto. Sono stati ideati 74 anni fa a seguito di una rivolta dei distretti. I distretti furono schiacciati da Capitol City che decise di punirli così, a monito perpetuo di quello che accade se si prova a mordere la mano che ci nutre” il sarcasmo grondava dalle parole amare di Katniss.

“È una barbarie…” si indignò Clarke.

“È così che va, punto, che ci piaccia o no.” Katniss alzò le spalle.

Dei passi, troppo vicini, troppo frenetici, risuonarono nella foresta subito fuori dalla grotta, interrompendo quello scambio di informazioni.

“Devono essere i Favoriti...” Katniss balzò in piedi, avvicinandosi all’ingresso della grotta e sbirciando, attenta a non farsi vedere, fuori.

“Favoriti?”

“Distretti 1 e 2. Anche se non si potrebbe, vengono addestrati a combattere. Di solito sono loro i vincitori degli Hunger Games. Sono crudeli e determinati. Per loro è un onore partecipare a questo massacro. Si offrono volontari-”

“Volontari?”

“Puoi farlo. L’ho fatto anche io, per salvare mia sorella. Prendi il posto di qualcun altro e vieni gettato nell’Arena.”

I passi cessarono e Katniss recuperò velocemente lo zainetto che aveva posato poco prima.

“Dobbiamo spostarci e trovare un altro rifugio. Sono troppo vicini e Peeta mi conosce troppo bene per non avere idea di dove potrei nascondermi”

“Peeta? Frena Katniss, non ci sto capendo niente.”

“Peeta è il mio compagno di distretto. Qui dentro i rapporti sono solo di comodo, non c’è amicizia, non c’è amore” accennò ai due, che arrossirono, guardandosi di sottecchi. Non avevano ancora affrontato quell’argomento che era in sospeso tra loro da troppo tempo ormai. “Come puoi provare qualcosa, anche stima, per qualcuno che dovrai uccidere per sopravvivere? Qui più che in ogni altro posto vale il detto Mors tua vita mea.”

Uscirono cautamente dalla grotta, guardandosi intorno, prestando attenzione ai suoni, a dove mettevano i piedi.
Clarke e Bellamy seguivano Katniss scambiandosi ogni tanto occhiate indecifrabili.

Poi, d’un tratto, Bellamy gridò, rompendo il silenzio funereo della foresta.

“Bellamy!”

Clarke si voltò per vedere la punta della spada ritrarsi dal petto di Bellamy, lasciando che un fiore purpureo si disegnasse sulla maglia verde militare del ragazzo.

“No, no, no!”

Clarke sfilò la pistola dalla cintura e senza pensarci due volte, una volta che Bellamy boccheggiante si fu accasciato a terra, sparò colpendo al petto il ragazzo biondo che avevano visto correre alla ricerca di Katniss qualche ora prima.
Il ragazzo morì all’istante e Clarke si precipitò da Bellamy che continuava a respirare, anche se a fatica.

“Ti ha preso allo stomaco. Poco più su e non ci sarebbe stato-”

“Clarke” Bellamy le posò una mano insanguinata sulla guancia, mano contro la quale Clarke si accoccolò, le lacrime agli occhi. “Clarke, non c’è più niente da fare in ogni caso.”

“No, io…io posso salvarti, io-”

“Tu non puoi fare niente, ma va tutto bene...” Bellamy tossì, sputando sangue, togliendo la mano dalla guancia di Clarke.

“Non è giusto…” Clarke piangeva, senza singhiozzi, silenziosamente, le lacrime, grosse perle salate, che le scendevano inarrestabili sulle guance, lavando via il sangue che la mano di Bellamy vi aveva lasciato. “Non adesso, non dopo tutto quello a cui siamo sopravvissuti…”

“Shh” Bellamy le sorrise, accarezzandole di nuovo le guance, portando via le lacrime. “Ormai è andata così e noi non possiamo fermare il destino.”

“Ma lo abbiamo fatto così tante volte...”

Bellamy guardava Clarke cosciente che non l’avrebbe mai più rivista, che quella era l’ultima possibilità di dirle quello che provava, di imprimersi il suo viso nella mente per portarlo con sé nell’oscurità della morte.
Sembrava una bambina arrabbiata perché le era stato tolto il peluche preferito, il solo con cui riusciva a dormire, quello da cui non si separava neanche per fare il bagno e Bellamy la trovò buffa e bellissima.

“Clarke” Bellamy si tiro su a fatica, aiutato da Clarke che continuava a piangere e Katniss che li guardava da lontano con uno sguardo imperscrutabile e – ma non ne era sicuro – un luccichio di lacrime negli occhi grigi. “Quando ci siamo conosciuti non ti sopportavo. Eri saccente e arrogante. Tutto quello che facevi era giusto, sempre, mentre io non facevo altro che sbagliare, con Octavia, con Murphy, con Charlotte…poi ho visto quanti fardelli ti portavi dietro, quanto dolore e saggezza ci fosse nelle tue scelte e allora ho cominciato a stimarti. Poi, dopo Lexa, ti vedevo gettarti a capofitto in situazioni pericolose e mortali e mi preoccupavo. Non eri più tu e io non ero in grado di proteggerti e più andavamo avanti più rischiavi la tua vita e più io mi preoccupavo per te, senza capire il perché di tutta questa ansia che provavo quando andavi in missione, quando ti allontanavi da me. Poi, quando siamo partiti per lo spazio senza di te, quando ti ho abbandonata, ho capito.” le prese il viso tra le mani, avvicinandolo al suo, le labbra di lei a un soffio dalle proprie, i nasi che si sfioravano. “Ti amo, Clarke Griffin. Ti amo come non ho mai amato nessun altro. Mi snervi con le tue manie di controllo e il tuo eroismo e la tua abnegazione e il tuo non voler lasciare mai nessuno indietro, ma è proprio per questo che ti amo, perché sei precisa, saccente, altruista, caritatevole e piena di amore. Mi dispiace dirtelo adesso che non c’è più speranza, adesso che sento la vita scorrere via come scorre via il mio sangue, ma dovevo farlo, dovevi sapere.” Le asciugò le lacrime che scendevano ancora più copiose, sfiorandole il labbro inferiore. “Ed è per questo che dovevo fare questo, per la prima ed ultima volta…”

Le labbra di Bellamy si posarono su quelle di Clarke, annullando la misera distanza che le separava. Erano salate e umide, ma per Bellamy niente aveva mai avuto – e mai lo avrebbe avuto – quel sapore così suo, così perfetto e buono.
Clarke schiuse le labbra, lasciandogli il totale libero accesso alla bocca.
Bellamy mise in quel bacio, in quell’unico bacio, tutto l’amore di cui era capace e si sentì rispondere con lo stesso intenso e disperato amore, finché le forze non lo abbandonarono.

L’ultima cosa che vide, prima di chiudere per sempre gli occhi, fu il viso angelico di Clarke.

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: lagertha95