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Autore: brainscan    28/11/2019    3 recensioni
Parigi, 1897.
Marco era il figlio di un mercante, per cui aveva potuto studiare, però Fabrizio non si sarebbe aspettato quel genere di discorso in bocca a uno che rimaneva pur sempre un semplice figlio del popolo. Michel riprese: «L’assolutismo è finito. Gli unici a non essersene ancora accorti sono i monarchi, l’aristocrazia. Ci vuole solo il grido di un boia ad annunciarlo e pensate che sarà un’assemblea a farlo? Le rivoluzioni non si fanno né con le tribune né con gli editti reali. Le rivoluzioni, quelle vere, si fanno col…»
«… cazzo! E una bella fica con un gran bel culo da fottere.» tuonò Orazio.
…sangue.
Genere: Drammatico, Satirico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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... uno spaccato di una Parigi dell'epoca. 








 

Comizi politici & altri rimedi



 

Parigi, 1897.
L’intero perimetro sembrava ingombrato dai banchi vocianti dei richiami degli ambulanti. 
«Stasera gli sbirri avranno parecchio lavoro.» incalzò Marco.
«... e intendi renderglielo più difficile?» sghignazzò Orazio.
«Perché invece non ce ne restiamo qui, buoni buoni, almeno per una sera. E ci beviamo solo qualcosa?» replicò Fabrizio, che era lì per festeggiare gli anni. Erano diciassette.
Marco replicò invece: «Mandi a puttane tutto il divertimento così, ragazzino!»
«Solo perché sono una persona civile
«La civiltà è sopravvalutata.» intervenne Alberto, suscitando le risa di Orazio.
In mezzo alla folla, i giovani amici trovarono ad attenderli un certo Michel. Con egli, Marco aveva i più fomentati battibecchi in termini politici, mentre Alberto si poneva come ago della bilancia, convinto che solo con le armi si potessero fare le riforme. Orazio, invece, beh, lui era molto più pragmatico e interessato a inseguire le sottane delle donne più che le astratte parole dei politici.
«Ce ne avete messo di tempo, eh?» incalzò Michel, quando li vide arrivare.
Marco lo guardò come se avesse dimenticato qualcosa. «E la tua signora dove l’hai lasciata?»
Michel gli lanciò un’occhiataccia. «Ti avverto, stronzo, se insisti ancora a fare il cascamorto con lei, ti stacco i peli del culo e poi ci infilo un petardo! Ah, e per la cronaca: quella è tutto meno che una “signora”, te lo garantisco.»
Lo sguardo di Marco si illuminò di colpo. «Oh, che splendida notizia, Michel! Una ragione in più per provarci! E poi, non ci crederai, ma vengo minacciato spesso e volentieri, e posso assicurarti che questa era davvero originale come minaccia.»
«
Foutu connard! Anche questa la trovi originale?» chiese Michel, dandogli del fottuto stronzo in francese. 
La ressa che si stazionava in mezzo alla piazza era impressionante. Inizialmente, dovettero farsi strada a forza di gomitate per passare. Orazio rischiò anche di essere preso a sberle, mentre allungava le mani verso il posteriore di una fanciulla. L'intera piazza straripava di popolani e borghesi, gente altolocata, vestita di stracci o in abiti da sera, coi panciotti o prosperose scollature per le signore. Fabrizio era affascinato, invece, da un tale grumo colmo di differenze e ansioso di compiere i suoi anni. Era il più giovane della compagnia. 
«Porta sfortuna fare gli auguri prima? Dimmelo tu, Alberto, che sei un filosofo da strapazzo. E poi, Fabrizio, sarebbe giusto offrissi tu stasera, visto che è il tuo compleanno.»
«Ehi, ehi, non provarci nemmeno, non se ne parla proprio. Se pago tutto quello che vi scolate, dovrò andare a lavorare notte e giorno per ripagarmi i debiti!»
«Ti faresti un po’ di muscoli, gracilino come sei, no?» osservò Marco.
«Sempre più tirchio e antipatico, il piccoletto.» fece Michel, poi si alzò dal posto, ghignando. «Avanti, signorino, andiamo a prendere da bere. E voi altri, cacciate i soldi che se Fabrizio non paga, figuratevi io.»
Così i due si dileguarono mentre Alberto, lo studioso di filosofia morale, si lanciava in una discussione sul fatto che, prima o poi, non importava come o quando, ma sarebbero morti tutti con quello che si scolavano.
Michel, una volta lontano, si rivolse a Fabrizio dicendo: «A me viene da grattarmi ogni volta che Alberto viene con noi, a te no? Voglio dire, per quanto disgraziata sia è sempre vita e a lui non è mai stato tolto niente. Perciò, che diamine vuole?»
Il bancone dove spinavano la birra si raggiungeva solo a forza di spintoni. Una voce dal mezzo tuonò: «Brutto stronzo, rispetta la fila!»
Michel scoccò delle occhiate intorno a sé. «Ma che maniere sono?! E poi quella è la mia chiappa, buonuomo, vedete di tenere le mani a posto, o ve le trancio. Fatevi da parte, spioni di culi mal lavati – e no, non è certo il mio quello mal lavato! Oh, oh, e adesso che si fa? Guarda chi si vede, questa sì che è sfiga: Mathieu! Salut
A sentire quel nome, dopo essere rimasto in apnea nel pantano di avventori che circondava il banco, l’aria cominciò a mancare seriamente a Fabrizio. Questo perché, una volta, si era ritrovato in un vicolo lercio e pieno di topi, con quel Mathieu che tentava di approfittarsi di lui mentre gli calava le braghe da dietro. Però non aveva avuto il coraggio di raccontarlo a nessuno, perché se ne vergognava. Che fosse maledetto, quel figlio di puttana. Gli aveva strappato via la ragione e la decenza e tutto il coraggio che, in realtà, lui non credeva di avere mai avuto e con ciò, non gli aveva lasciato più niente.
Quel Mathieu salutò di rimando. «Michel… e quel frocio di un pittore dove lo hai lasciato?» Ma s’interruppe di colpo, perché come vide Fabrizio gli si gelò, per qualche ragione, il sangue nelle vene.
«Mathieu, qual buon vento ti porta? Quello delle fogne?» Poi Michel fece l’ultimo sforzo per portarsi in avanti, puntò i gomiti sul banco e finalmente riuscì, a gran voce, a ordinare delle birre. Fabrizio non riusciva neanche a parlare, invece, senza muovere un solo muscolo per paura che l’altro lo potesse notare.
«Allora, Mathieu, sono il solito cafone, accidenti. Mi sono dimenticato di chiederti come sta tua sorella? Sai com'è, l’ho lasciata l’ultima volta che sembrava felice di vedermi.» Ma l’altro non raccolse la provocazione gridando, anzi, al venditore dietro al bancone: «E queste birre?!»
«Le stai portando ai tuoi degni compari, è così?»
«Perché non chiudi quella boccaccia di merda, Michel? Non te lo hanno insegnato come si fa?»
Le tempie di Fabrizio battevano; lasciò andare un respiro, i pugni ancora chiusi mentre si chiedeva se fosse possibile dimenticare quel tale e il giorno in cui lo aveva violato in quel vicolo che puzzava di piscio di ratto. Dio, che odore. Se lo sentiva ancora addosso, come gli ansiti e lo sperma di Mathieu che lo sporcavano.
«Oh, ma che bella notizia!» fece Michel, come vide Mathieu prendere le birre. «Il topo di fogna abbandona la fila. Evviva.»
Questi non rispose e prese le birre lanciando un'occhiata a Fabrizio, che, tuttavia, non rispose. Solo allora, Michel lo guardò. Fabrizio si stava squadrando i piedi e non fiatava.
«Ehi, ragazzino, pure tu sei strano però. Che ti è preso? Tutto bene?»
«No… Cioè sì.» Si riscosse lui. «Le birre. Dove diavolo sono le birre?»
«Se hai bisogno ti riporto a casa, se no poi chi la sente tua madre?»
«Ma no, niente di cui preoccuparsi. Davvero.» Si sfregò il viso e abbozzò un sorriso stropicciato. «Dai, sbrighiamoci. Gli altri si staranno già chiedendo se non siamo scappati coi loro soldi.»

Per settimane Fabrizio aveva vissuto con l’ansia di incontrare quel tale, Mathieu. Continuava ad avere gli incubi su quella notte, la mente perduta in scenari sconosciuti, ignoti.
«Fabrizio. Ehi, Fabrizio.» Marco cercò di attirare la sua attenzione. «Stavo dicendo agli altri che se tua sorella diventa bella come tua madre, me la sposo.»
«Ma se tu hai dieci anni in più di lei?!» lo rimbrottò.
«Aspetto qualche anno, idiota. Ma ora quanti ne ha? Tredici, quattordici?»
«Sei proprio un porco.» se la ghignò Michel, con la birra in mano.
«È così tanto bella tua madre, Fabrizio?» domandò Orazio, ma fu Marco a rispondere per lui. «Devo farle un ritratto, prima o poi, con quelle natiche così sode. Ecco, di loro potrei dire che ci sarebbe proprio tanto da dire e poi... Gli occhi! Ha due occhi enormi, ci avete fatto caso? Come le tette!»
Fabrizio lo ammonì. «Ecco. Ci manca solo che ci provi anche con mia madre e poi sì, che ti concio veramente per le feste.»
L'amico sorrise, intimamente. «Sebbene riconosca il tuo fascino, ragazzino, devo ammettere di preferire un altro genere di divertimenti: è su tua madre che mi sego.» proferì Marco. 
«Sei incredibile! Incredibile. Se avessi la stazza di Orazio ti avrei già preso a calci nel sedere, ma non è così e quindi posso solo mandarti a...»
«Via, via, ragazzino, lo sai che non le toccherei neanche con un dito, le tue donne.» confessò, ridendo di gusto.
«Oh, neanche ci voglio pensare con cosa le toccheresti, brutto maiale.»
«Mi prendi troppo seriamente. L'unica cosa che farei ad entrambe è un ritratto.» sorrise e poi sghignazzò ancora, mentre lo guardava.
Alberto, sollevando gli occhi al cielo, bofonchiò: «Oddio, ora si ricomincia a chiacchierare d’arte e bazzecole varie!» Secondo lui, tutto, al di fuori della morte, era al pari di una bazzecola. 
«Razza di bifolchi ignoranti! E comunque, è la mortalità, Alberto, ad essere una bazzecola quando si parla di eternità dell’arte.»
Al che Michel non ci vide più, e intervenne: «Oh, scusa tanto, Marco, se sono venuto qui per bere e per parlar di fregna!»
Orazio sembrava d’accordo con lui, mentre sollevava il boccale in aria come a volergli dare man forte.
«Ma chi vuoi che la dia, a un bifolco ignorante come te?!» riprese Marco, che era l'artista.
«Saresti sorpreso, amico mio!»
«A parte quelle che paghi, s’intende.»
«Perché tu non cacci la grana come noi altri poveracci?»
«Per far alzare le sottane a una donna, io non devo mica tirare fuori gli spiccioli. Sono un artista, e gli artisti non ne hanno bisogno.»
Era meglio interromperli perché erano capaci di tirare avanti fino all’indomani, rifletté Fabrizio. «Ma facciamo un brindisi, ragazzi!» E sollevò il calice che era più grande di lui. «E un brindisi a Fabrizio che fra poco avrà diciassette anni!» rispose allora Michel, seguito dagli altri. Solo Alberto esulava da quel clima ilare. In realtà, gli bastavano due bicchieri per raggiungere il sonno eterno. «Ogni anno che passa è un gradino in più verso la morte. Non dovreste essere così felici che il nostro amico si avvicini a quel momento.»
«Grattati.» consigliò Marco a Fabrizio, sporgendosi verso di lui. «Grattati bene.»
Fabrizio, nel dubbio, si grattò ben due volte.
«Alberto, bevi e non romperci i coglioni con le tue manfrine. Ma non lo vedi quanta fica che c’è in giro? E stai qui a parlar di morte?» intervenne Marco. E via con un altro giro di birre, ma Alberto mica demordeva. «Sai, Marco, se non ti conoscessi, a volte penserei che sei uno di quei filo-monarchici da appendere alla forca…»
«Ma non mi pare di avere mai difeso la monarchia, Alberto.»
«Però scambi chiunque la critichi per un sobillatore che mette in piedi parole al vento o sbaglio?»
«Per criticare qualcosa si presuppone che uno il cervello lo sappia usare, intanto, e con una certa dose di onestà intellettuale. A me stanno sulle palle certi cialtroni che salgono in tribuna e riempiono il popolino di parole campate in aria, ecco tutto.»
«Perché un paese si cambi, si deve agire prima con le parole, e poi coi fatti.» continuò Alberto, scalzando via le mani abnormi e sudaticce di Orazio che si posavano sulle sue spalle, a sorreggersi. Non ce la faceva più a stare in piedi tanto era sbronzo.
Marco prese un altro sorso, prima di parlare, poi tornò a guardare Alberto. «A me certa gente non piace e basta. Gli avvocati, ad esempio, quelli studiano una vita per infiocchettare il linguaggio, ti blandiscono con la squisita eloquenza e poi ti fottono da dietro senza alcuna decenza.»
Fabrizio dal bordo del suo boccale, si inserì chiedendo: «Ma dobbiamo parlare proprio di politica?» 
Gli altri, però, lo ignorarono bellamente.
«Ma non la sentite l’aria che gira? Non sentite come freme la gente, come pulsa?» chiese Michel.
Orazio si inserì nel mezzo, dicendo: «A me pulsa ben altro, al momento.» Si mise una mano sul pacco, stringendo i denti mentre abbassava lo sguardo su una signorina che passava sul momento. 
«Ora ve lo dico io cosa succede: il re è un vigliacco e pensa solo al suo trono e alla sua corte, si fa comandare dai suoi ministri inetti e dalla baldracca della moglie, l’Austriaca.» riprese Marco.
«Però parli come i libelli pornografici che girano.» fece Michel.
«Ah, Michel, tu sei il primo a cianciare e a non proporre mai, sai? Al diavolo le parole campate in aria.»
Michel stava per rispondere a tono, ma Orazio s'intromise al posto suo: «Sarà, ma io ho solo una gran voglia di scoparmele tutte. Al diavolo i monarchici e che quel hanno o non hanno da dire.»
«Finché staremo a chiedere udienza per poter parlare non si risolverà niente: i fatti ci vogliono e i fatti sono le armi. Vedi se ti punto un bel fucile all’altezza delle palle come inizi a prendermi in considerazione.» A loro sembrò di sentir parlare Alberto e a Fabrizio vennero i brividi.
«L’aria è cambiata e se continua così non ci vorrà molto prima che tutto esploda. Questo lo sai bene anche tu, Michel, ecco perché c’è bisogno che qualcuno guidi il popolo e argini la violenza. C’è bisogno di un’assemblea, di riforme, ma anche di emozioni, per far ammansire la gente ed evitare il peggio.»
«Io dico che la via migliore è quella legale. Direi che infondere la paura nel popolo affinché ti rispetti, non è certo una soluzione plausibile.» Fu Alberto a parlare che, una volta tanto, stranamente, sembrava d’accordo con Marco.
«Io dico che quando non ti danno altre vie, puoi scegliere solo l’unica rimasta.»  
«Quando si versa sangue, anche quello dei colpevoli, non si è mai innocenti. Essere disposti ai cambiamenti significa essere disposti ai sacrifici, ma non a perdere la propria integrità o si diventa come quegli stessi carnefici che si è lottato tanto per abbattere. E quindi vuoi dirmi che senso ha combatterli così? Io voglio eliminare il dispotismo sì, ma non perché altro dispotismo legittimato dalla violenza lo scavalchi. E tu, Orazio, smettila di toccarti l’uccello che mi fai schifo.»
Marco era il figlio di un mercante, per cui aveva potuto studiare, però Fabrizio non si sarebbe aspettato quel genere di discorso in bocca a uno che rimaneva pur sempre un semplice figlio del popolo. Michel riprese: «L’assolutismo è finito. Gli unici a non essersene ancora accorti sono i monarchi, l’aristocrazia. Ci vuole solo il grido di un boia ad annunciarlo e pensate che sarà un’assemblea a farlo? Le rivoluzioni non si fanno né con le tribune né con gli editti reali. Le rivoluzioni, quelle vere, si fanno col…»
«… cazzo! E una bella fica con un gran bel culo da fottere.» tuonò Orazio.
sangue
L’atmosfera, improvvisamente, mutò di colpo. I ragazzi si guardarono a vicenda. In fondo, Orazio aveva ragione: la piazza era gremita di belle donne, vino, e la gente sorrideva. «Ma prima, ricordiamoci che Fabrizio compie gli anni.» riprese lo stesso. 
Marco sorrise appena, dietro al boccale. «Propongo un brindisi: all’amicizia!»
«All’amicizia!» risposero all’unisono gli altri. E Orazio continuò: «Alla fica, che si lascia sbattere solo con fatica!»
E a quel punto ci furono solo il tintinnare di vetro contro vetro e le risate.


 

   
 
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