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Autore: Flos Ignis    18/12/2019    2 recensioni
Soulmate!AU.
Al compimento dei diciotto anni d'età, da qualche parte sul corpo appare il nome della propria anima gemella.
Non succede a tutti: è un caso molto raro di cui ancora non si conoscono le cause o i criteri per cui solo alcuni ricevono questa conoscenza, ma per quanto raro... esistono.
Sherlock e John hanno ricevuto i loro nomi, ma come avverrà il loro incontro in un mondo in cui il destino decide chi è la tua anima gemella?
Questo contest partecipa al contest "Il mio Babbo Natale segreto", indetto da Claire roxy sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era un uomo pratico, John Watson.

Come militare un solo secondo di distrazione poteva farti finire con una pallottola in testa o una mina esplosiva sotto i piedi. O peggio, l'intero plotone poteva essere spazzato via per un singolo errore.

Come medico, sapeva che anche i secondi erano fondamentali per fare la differenza tra il salvare una vita o farsela scivolare via dalle dita, come sabbia che scorre in una clessidra. Ogni attimo di indecisione è un secondo in più in cui la morte occupa il corpo del proprio paziente, rendendolo sempre più suo, sempre meno aggrappato alla realtà.

Le sue mani non esitavano, mai. Riaggiustavano ossa, fermavano emorragie ed estraevano pallottole con una fermezza e un'attenzione negli occhi che molti gli invidiavano. 

Aveva una discreta carriera alle spalle giunto a trent'anni suonati, gli ultimi dodici dei quali passati via di casa: aveva visto il mondo in tutta la sua maestosa crudeltà come nei suoi piccoli miracoli quotidiani, facendo tesoro della determinazione ceh aveva coltivato fin da ragazzo per sopravvivere mantenendosi il più possibile sano di mente. Un traguardo di un certo livello per un soldato...

Per tutti quegli anni gli era mancata sua madre come mai si era aspettato, l'aveva lasciata sola ad affrontare l'alcolismo sempre più allarmante di sua sorella e anche se ormai la sua relazione con Clara stava avendo degli effetti positivi sul suo stato, niente poteva affievolire la sua preoccupazione.

Mentre era in Afghanistan non poteva certo mantenersi in contatto con loro tutti i giorni, invece durante gli anni dell'accademia militare, dove pure i contatti con l'esterno erano molto limitati, aveva chiamato con frequenza.

Ma era questo il punto del crescere: le responsabilità aumentavano, e ora lui non era più responsabile solo per le due donne della sua vita, ma di molte, molte più persone: combatteva su un fronte caldo in prima linea, proteggeva i civili indigeni come poteva e riportava i suoi uomini al campo più interi possibile. E quando non era possibile, li seppelliva con dignità dopo aver curato più gente che poteva.

Aveva fatto del suo meglio, almeno fino a pochi mesi prima.

Era stato congedato con onore per via della sua ferita alla spalla che gli aveva procurato una fastidiosa zoppia psicosomatica, ma dopo alcune settimane di terapia era riuscito a riprendersi quel tanto che bastava per trovarsi un lavoro come chirurgo in un ospedale di Londra. Non poteva certo sopravvivere con la sua pensione per sempre e amava troppo quella città per abitare in qualunque altro luogo.

Certo, per ora doveva stare in un buco di appartamento fornito ai reduci di guerra dal governo, ma era difficile trovare un bravo coinquilino per dividere l'affitto di un locale decente.

Ridestandosi dai suoi pensieri, John si decise ad alzarsi dal letto dove aveva rimuginato sulla sua vita per quasi un'ora. Dormire a lungo gli risultava difficile, perciò si chiese perchè non avesse ancora sparato alla sveglia sul suo comodino, che faceva sempre un rumore infernale nonostante non avesse di fatto mai svolto il suo lavoro, perchè al buon dottore non serviva altro che un sussurro a dieci metri per destarsi.

Era ora di andare a lavoro comunque, i pazienti non si curavano da soli. 

Recuperò la sua borsa e il bastone, chiudendosi alle spalle la porta di quel posto che faticava a chiamare casa, quando era poco più di un luogo in cui dormire e talvolta consumare qualche pasto take-away.

L'ospedale in cui lavorava era a meno di quindici minuti a piedi da dove abitava, e quando vi giunse notò che come sempre c'era il solito via vai frenetico che annunciava grandi disastri.

-Dottor Watson, la aspettano tra dieci minuti alla sala operatoria uno, ferita da arma da fuoco al torace.-

-Buongiorno anche a te Sara. Iniziamo la giornata con il botto sembra.-

-Una sparatoria tra la polizia e alcuni criminali della mafia cinese, sembra che un civile sia stato coinvolto, ma è tutto ciò che sappiamo.-

-Molto bene, vado a salvare la vita di qualche sciagurato finito in mezzo ai guai.-

-Eccoti la sua cartella clinica. In bocca al lupo.-

L'infermiera dell'accettazione gli consegnò un faldone spesso quanto un mattone sotto il suo sguardo stranito. Ma cos'era quel paziente? Sara lo guardò sorridendo, capendo perfettamente cosa gli stesse passando per la testa.

-Sì, quell'uomo è stato spesso nostro paziente, francamente quasi metà delle nostre operazioni chirurgiche sono per lui.-

-Va bene, andiamo a salvare la vita a questo pazzo.-

Appoggiò nel suo ufficio la borsa, cercando la concentrazione sufficiente a restare in piedi per ore per operare un povero diavolo che si era beccato una pallottola in spalla.

Come sempre, gettò uno sguardo al suo avambraccio. Erano dodici anni che quel nome si era ancorato alla sua pelle, e per quanto fosse stato scioccato quando era apparso, aveva imparato a conviverci. 

Era un medico, sapeva che per quanto rari, certi eventi potevano accadere a chiunque.

Era un militare, sapeva che se certe cose dovevano accadere la misera volontà umana non poteva certo contrastarle. Se il Signore così aveva deciso, così sarebbe stato.

Comunque, nonostante ci convivesse e sapesse tutto ciò che comportava avere un nome preciso addosso, non si era mai impegnato a cercare il possessore di quel nome. Aveva deciso da molto tempo che, se era nel suo destino, avrebbero comunque incrociato i loro cammini.

In ogni caso, si premurava sempre di avere una benda a coprirsi l'avambraccio per non averlo sempre sotto gli occhi. Non aveva bisogno di distrazioni nel lavoro che aveva scelto, la sua concentrazione doveva essere costantemente al massimo e nel vedere quel nome il suo cervello non poteva fare a meno di costruire ipotesi su ipotesi sulla persona che lo portava.

Finì di sistemare la benda, lavò accuratamente le mani e infilò cuffietta e guanti, pronto a entrare in sala operatoria.

Certo, non si aspettava quello che vi trovò: mai, in tutta la sua vita, aveva provato uno sbigottimento pari a quell'istante in cui focalizzò la sua attenzione sul suo nuovo paziente. 

Non era ancora del tutto addormentato, l'anestesia gli stava venendo somministrata in quel momento ma era evidente che stesse cercando di combatterla. I suoi ricci neri erano lucidi di sudore, gli occhi spalancati per pura forza di volontà sembravano irradiare luce tanto erano chiari, da quella distanza John non poteva capirne il colore preciso, ma avrebbe scommesso sull'azzurro ghiaccio... una semplice sensazione. Si stava mordendo il labbro inferiore e irrigidiva a scatti i nervi del collo per non cedere al sonno. 

John rimase abbagliato da quella pelle così pallida che pareva iridescente sotto le luci della sala operatoria, ma solo per un secondo.

Perchè poi, ad attirare tutta la sua attenzione, fu il petto dell'uomo, scoperto per consentire la visuale sulla ferita, ripulita il più possibile dal sangue. Ma non era stato il suo fluido vitale a sconvolgerlo, quanto il fatto che sul lato opposto quello sconosciuto avesse una scritta... un nome.  

L'uomo che stava per operare era un'anima gemella. Le uniche che avesse conosciuto erano una coppia di sposi, molti anni prima, con cui era uscito qualche volta grazie ad alcuni amici in comune; erano due giovani di ottima compagnia, ma non poteva negare che la totale presa che avevano l'uno sui pensieri dell'altro gli aveva messo addosso una certa dose di incredulità... e sì, anche un pizzico d'invidia.

Entrò con il passo più sicuro che gli riusciva con la sua zoppia, dirigendosi verso l'uomo steso sul lettino e circondato di persone che lo ignoravano, preparandosi a salvargli la vita. Accadeva di frequente che i medici prendessero le distanze dai pazienti per il loro stesso bene.

John però era abituato diversamente. 

-Salve. L'anestesia non le sta facendo effetto, ma so che non è la sua prima operazione. La sua anima gemella è stata avvertita? Vuole dire qualcosa prima che la apra in due per poi ricucirla?- John era famoso per il suo humor nero, di solito i suoi pazienti lo guardavano come se fosse pazzo. Ma evidentemente, l'uomo su quel lettino era un personaggio unico.

Si tolse la mascherina con velocità, anche se le sue dita tremavano.

-Se vuole addormentarmi, avrà bisogno di una soluzione concentrata al ventisette percento, invece di questa ridicola e blanda imitazione. E invece di farmi domande idiote, si muova a togliermi la pallottola dal pettorale, ho un traffico di droga da fermare.-

-Con tutto il rispetto, è Scotland Yard ad avere il compito di catturare i criminali. Il suo è di concentrarsi unicamente su se stesso per guarire.-

-Non faccia lo stupido, dottore. Quegli idioti non saprebbero trovare le loro stesse pistole da soli, probabilmente si afferrerebbero il pene minacciando con quello i mafiosi a cui stanno inutilmente dando la caccia.-

John ridacchiò per quelle parole irriverenti. La lingua tagliente di quel tipo era ancora piuttosto attiva nonostante l'anestesia iniziasse a stordirlo. Doveva essere davvero molto testardo.

-Se anche così fosse, lei per un po' sarà sotto la mia responsabilità. Finchè non guarisce non potrà andarsene.-

-Mi vuole legare al letto, dottore? Perchè è l'unico modo per impedirmi di andarmene non appena mi sveglierò. Certo, se il suo incompetente collega riesce prima ad addormentarmi... gli avevo già detto che con me è necessaria una dose più concentrata, ma non vuole darmi retta. Spero lei sia più competente, non mi piace l'idea che un idiota qualunque metta le mani su di me.-

-Terrò a mente il consiglio sul legarla. E io sono il miglior chirurgo di Londra, so perfettamente come usare le mani, non ha nulla da temere signor...?- John si rese conto solo in quel momento che non aveva letto il nome del suo paziente, e si sentì un po' in colpa, dato che di solito cercava sempre di costruire un rapporto alla pari con i suoi assistiti.

-Holmes. Sherlock Holmes.-

Gli occhi blu di John si spalancarono nello stesso istante in cui quelli di Sherlock si chiudevano su quella sillaba. Il cuore del dottore gli salì fino in gola mentre il suo sguardo saettava sul nome dell'anima gemella del moro, che per rispetto aveva precedentemente evitato di guardare con attenzione.

John Watson.

Aveva appena incontrato la sua anima gemella... gli sembrava che quel nome gli stesse bruciando il braccio mentre il cuore gli palpitava a un ritmo frenetico.

Aveva appena scoperto la sua perfetta metà... e la sua vita era nelle sue mani.






  
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