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Autore: ellephedre    02/01/2020    3 recensioni
Cosa ne è stato del Quartetto delle Amazzoni? Sorelle, amiche, combattenti. Ecco come le immagino io, quattro anni dopo la conclusione della quarta serie.
P.S. Questa sarà una raccolta di episodi legati a questi personaggi. Si inseriscono tutti nella mia saga di Sailor Moon, Oltre le stelle.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Amazon Quartet/Sailor Quartet/Quartetto Delle Amazzoni
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Di fiamme e quiete

Quartetto

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.



 

1 -  Il compleanno di Pallade

«Tanti auguri a te, tanti auguri a te…»

Pallade osservò commossa le candeline sulla sua torta di compleanno. Era passato un altro anno e lei stava diventando grande, finalmente. Non era più bloccata in un corpo di bambina.

Le sue tre sorelle la applaudirono in coro. «Tanti auguri per i tuoi quindici anni, Para Para!»
«Grazie, grazie a tutte!»

Gli occhi di Jun brillavano mentre rimirava le candeline scoppiettanti poste sulla torta. «E tu che volevi assegnarti dodici anni quattro anni fa, credendoti già grande.»

«Avevo il seno!»

«Ma la faccia di una bambina di dieci anni! Te l’avevo detto, questa è la tua età giusta.»

Ceres alzò gli occhi al cielo, sospirando. «Ci sarà un giorno in cui smetterai di ripeterlo?»

«Mi piace avere ragione.»

Pallade non vedeva l’ora di tagliare a fette il dolce. «Ebbene sì, ho l’aspetto di una quindicenne. E mi piacciono ancora le bambole!»

«Credevi che non lo sapessimo?» Vesta sollevò da sotto il tavolo una scatola incartata, alta almeno trenta centimetri.

Pallade rilasciò un gridolino.

«Dài, aprila! Vogliamo vedere la tua faccia. Sappiamo che ti piacerà!»

Pallade strappò la carta regalo. Davvero le avevano regalato una bambola? Davvero, davvero?

Quando se la ritrovò davanti, gridò a squarciagola. «È Suzu di Marmalade Boy! È rarissima, dove l’avete trovata?»

«La cercavamo da settimane.» Ceres la avvolse in un abbraccio. «Goditela!»
Pallade abbracciò una ad una le sue sorelle. Dovevano avere fatto sacrifici enormi per acquistare quella bambola da collezione! «Vi voglio bene!»

«Sì, ma non piangere! I regali dovrebbero far felici le persone!»

Pallade osservò la meraviglia che stringeva tra le mani. «Appena lavorerò, comprerò uno splendido regalo a ciascuna di voi!»

Vesta le scompigliò i capelli sulla nuca. «Non pensare a queste cose.»

«Ma finalmente quest’anno posso aiutarvi!»

«È vero, ma non metterti fretta. In qualche modo ce la siamo cavata senza di te e ce la caveremo ancora.»

Erano quattro orfane dislocate in una casa famiglia che aspettavano con ansia la maggiore età. In realtà Vesta e

Ceres, che avevano diciassette anni, avrebbero già potuto cercare una sistemazione fuori dall’istituto, ma erano restie ad andarsene, per non lasciare indietro Jun e soprattutto Pallade. La trattavano come una bambina.

Lei voleva dimostrarsi grande. Mise da parte la bambola e spense le candeline scoppiettanti togliendole dalla torta e schiacciandone la cima contro un piatto di plastica.

«Sorelle mie…» Non erano sorelle di sangue, ma si ritenevano tali, nonostante la diversità dei loro tratti.

Alla casa famiglia, sin da loro arrivo, tutti avevano voluto sapere di quali origini fossero - Jun e Vesta, con il loro incarnato perennemente abbronzato, non si sarebbero mai potute confondere per giapponesi. Jun pareva una mezza gitana dagli occhi verdi, mentre Vesta aveva un che di mediterraneo nei tratti bruschi. Ceres era bianca come il latte e aveva l’aspetto di una dama russa con le iridi insolitamente marroni. Per quanto riguardava Pallade, lei sembrava… qualcos’altro. Gli occhi blu profondi secondo le sue sorelle la accomunavano agli irlandesi, o agli scozzesi. Pallade amava pensare a se stessa come ad una bambina di origine greche, perciò si era auto-assegnata il nome Pallade - da Pallade Atena, dea guerriera. Doveva quell’informazione a Ceres, che aveva fatto ricerche sulle possibili origini dei loro appellativi quando avevano dovuto assegnarsi un nome nel mondo reale.

Così, ParaPara era diventato Pallade. Senza avere una data di nascita in mente, Pallade aveva optato per un compleanno che cadeva il primo dell’anno, una data simbolica: il giorno in cui ricominciava tutto. Le piaceva come significato.

Bisognava costruirsi delle identità fittizie quando non si rammentava nulla del passato. In quattro ricordavano solo il lungo periodo che le aveva legate al Dead Moon Circus; questo era sufficiente a legarle per la vita.

«Vorrei comunicarvi una decisione che ho preso» continuò Pallade.

Le altre rimasero ad ascoltarla.

«Voglio essere indipendente!»

Jun sollevò un sopracciglio. «O-kay?»

Pallade si rivolse alle sue sorelle maggiori. «Vesta, Ceres… ora posso stare da sola. So che questa casa famiglia vi sta stretta da tanto e che rimanete per me. Vi do la mia benedizione: da quest’anno, potete andare.»

Vesta rise del suo proposito, facendola infuriare. «Sono seria!»

«So che sei seria, ParaPara. Ti sei dimenticata che non possiamo andare da nessuna parte? Non siamo ancora maggiorenni.»

«Non avete mai insistito per farvi dare l’emancipazione legale. Potreste ottenerla se aveste un lavoro e una casa!»

«Non sapevo che fossero cose facili da trovare.»

Con la sua ironia Vesta era impossibile. «Non trattarmi come una ragazzina! Alla vostra età tu e Ceres potete cercare delle opportunità che non avete nemmeno preso in considerazione finora, solo per stare qui con me.»

Guardò sua sorella Jun. «So che non è per te che rimangono in questo posto!»
Jun non lo negò. «Be’…»

Vesta era scocciata. «Tempo fa abbiamo deciso che saremmo andate via tutte insieme. Non c’è motivo di cambiare idea ora.»

Pallade era determinata. «In ogni caso voi verrete buttate fuori di qui tra un anno. Perché non cominciate a cercare una casa per tutte? Sarà diverso se sarete già là fuori a lavorare e a mantenervi da sole. Io e Jun potremmo aggregarci a voi col tempo.»

Ceres non era contraria a quel piano - segno che ci aveva già fatto un pensiero. «In effetti, VesVes, era da un po’ che volevo parlartene…»

Lei non la prese bene. «Cos’è, una congiura?»

«No, è buon senso. Anche io mi sono resa conto che ormai Pallade è grande e sa regolarsi da sola. Al massimo possiamo lasciare Jun accanto a lei.»

«Ehi, non sono la sua babysitter! Non ha bisogno che le cambi il pannolino.»

Pallade si sentì diventare rossa dalla rabbia. «Volete starmi a sentire?! Non abbiamo tempo da perdere. Dobbiamo vivere al massimo la nostra vita!»

«Calmati, non è che qui dentro siamo chiuse in prigione.»

Era assurdo che fossero parole di Vesta, che da quando erano state sistemate all'istituto aveva iniziato tutte le loro fughe.

Ceres entrò nel ruolo di mediatrice, come al solito. «ParaPara, ti assicuro che non ci stai bloccando. Siamo felici di stare al fianco tuo e di Jun. Di che hai paura?»

«Della profezia di Nehellenia.»

Vesta si incupì. «'L'oscurità sta arrivando'?»

«Aveva deciso di conquistare la Terra per anticipare l’oscurità perenne. Ricordate cosa diceva? ‘Giungerò prima del caos e sarò la sua sovrana in questo lembo di galassia’. Si riteneva una benefattrice. Sotto il suo dominio sarebbe sopravvissuto almeno qualcosa.» Con quella storiella - e l’aiuto dei suoi malefici - le aveva convinte ad aiutarla nel suo piano.

Vesta cercò di non rabbrividire. «Mi sembra che ci sia già chi difende questo pianeta. Se la sono cavata alla grande un annetto fa.»

Jun giocherellò con una pallina. Quando era nervosa prendeva sempre in mano la sfera rimbalzante che si portava dentro una tasca, lasciandola scivolare lungo il braccio e il dorso della mano. Era il suo tic. «Noi non saremmo nemmeno utili. Ci hanno battuto quattro anni fa, quando eravamo meno potenti, figurarsi ora. Magari poi l’oscurità che doveva arrivare non erano altro che quegli alieni che hanno attaccato il pianeta.»

«Ti pare che il caos sia rappresentato da un tizio che voleva riportare l’equilibrio sulla Terra col suo potere?» Ceres avrebbe voluto essere così ingenua.

Jun non commentò.

Pallade provò a offrire un suggerimento che veniva sempre scartato. «Magari potremmo entrare in contatto con quelle ragazze…»

Di solito a quel punto partiva un coro di ‘Non se ne parla nemmeno!’. Il silenzio che seguì valse più di mille parole.

«Poi ci vorranno reclutare» sentenziò Vesta, scuotendo la testa dopo averci riflettuto. «È pericoloso.»

«A me sembra che rimarremo fregate anche se ce ne stiamo nascoste. Così non saremo nemmeno in grado di difenderci.»

«Da cosa?»

Pallade non trovò necessario rispondere.

Vesta era esasperata. «Non vedo perché dovrei combattere per un pianeta con cui non ho legami.»

«Be’, siamo per forza terrestri.»

«Lo siamo davvero?»

Ceres ne era abbastanza convinta. «Ora sappiamo che esistono esseri umani anche su altri pianeti, ma a me sembra di essere nata qui.»

«Anche a me» le si accodò Jun.

Ceres rivelò una cosa a cui pensava da tempo. «Se è stata Nehellenia a cancellare la nostra memoria, forse abbracciare il nostro destino Sailor è l’unico modo per ritrovarla.»

«Shh!» la zittì Vesta. Sailor, la parola proibita, non le piaceva.

L’unico frammento di informazione che Nehellenia non era riuscita a estirpare dalla loro mente era quello: erano guerriere Sailor. O lo sarebbero diventate, un giorno, se non fossero state traviate da una conquistatrice folle che si era servita  per i suoi scopi dell’energia sotterrata in un antro delle loro anime.

Ceres, Vesta, Jun e Pallade erano coscienti di una sola cosa: anche se erano Sailor, non appartenevano alla squadra di cui Sailor Moon era il capo.

Erano un gruppo a parte, che forse sarebbe dovuto rinascere col passare dei secoli. Non conoscere il loro passato le tormentava, ma mai quanto l’avere coscienza del loro futuro: in qualche modo, volenti o nolenti, avrebbero dovuto combattere, anche solo per sopravvivere.

Tra tutte loro, Vesta era la più restia a contattare il gruppo di Sailor Moon. Temeva che le Inner Senshi avrebbero subito tentato di arruolarle nelle loro fila, non lasciandole più in pace. Durante gli scontri che avevano avuto con loro avevano ascoltato troppi discorsi incentrati sulla bontà e sulla giustizia per credere diversamente.
Ceres emise un lungo sospiro. «Basta parlare di queste cose. Mangiamo la torta, è tardi.»

Jun la sfidò. «Tardi per cosa?»

«La prima visita dell’anno al tempio.»

«A me non importa di mettere per iscritto i miei desideri su una tavoletta pregando degli stupidi dèi. Non credo nemmeno che esistano.»

Ceres era abituata alle sue risposte scontrose. «È solo per trovare una nostra tradizione, Jun. Il primo gennaio fanno tutti così.»

«E noi dobbiamo copiarli?»

Vesta tirò la coda verde di sua sorella minore. «Il resto dell’anno fai quello che vuoi, per oggi facciamo questa cosa, in famiglia.»

Jun si mangiò il resto delle proteste.

Pallade provò a offrire un’altra piccola idea azzardata mentre Ceres tagliava la torta. «E se visitassimo proprio il tempio Hikawa?»

«Ma allora sei fissata!»

Non badò a VesVes. «Tanto non ci riconoscerebbero. Abbiamo pettinature diversissime e siamo cresciute. Poi ci sarà un sacco di gente.»

«No» decretò Vesta. «Non correremo un rischio simile senza prima averci pensato molto bene.»

Pallade smise di insistere.

Vesta continuò come se stesse parlando tra sé. «Prima dobbiamo trovarci un lavoro, poi una casa… Infine dobbiamo farci una vita degna di questo nome.»

«Prima di perderla?»

Alzarono tutte lo sguardo su Jun.

Vesta rispose per tutte. «Non ho intenzione di morire. E se deciderò che avvicinarci a quelle ragazze è troppo rischioso per la nostra incolumità, voi farete come dico io e il prima possibile ci trasferiremo dall’altra parte del globo.»

A malincuore, Pallade annuì. «Prima la famiglia.»

«La nostra famiglia» sorrise Ceres.

In sincrono, si strinsero le mani, formando un circolo.

«Famiglia» ripeté Pallade.

«Noi sole e uniche» continuò Ceres.

«Il nostro quartetto» aggiunse Vesta, sorridendo.

«Amazzonico» terminò Jun. Ridacchiò. «Magari alla fine salta fuori che siamo tutte brasiliane.»

Vesta pose fine alle loro risate. «Qualunque cosa scopriremo, in futuro, promettetelo: staremo sempre insieme.»

«Insieme!»

Una promessa che per loro aveva il sapore di una preghiera religiosa.

 

Il compleanno di Pallade - FINE

   


   

NdA: Che ne pensate dell'inserimento nella mia saga del Quartetto delle Amazzoni? Non ho mai dimenticato la loro presenza sulla Terra e ho pensato che sarebbero state un'ottima aggiunta alla squadra originale :)


Elle

     

P.S Seguitemi sul gruppo Facebook per leggere i pezzi dei vari capitoli in anteprima.

 

 

 

   
 
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