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Autore: Sheep01    05/01/2020    2 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: I personaggi, le ambientazioni e tutti i riferimenti sono di proprietà di Stephen King e Warner Bros. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
 

CAPITOLO 1

All of my life I've tried so hard,

doing my best with what I had.

Nothing much happened all the same.

(D. Bowie)

 

Non aveva che pochi dollari in tasca.

Una carta di credito che aveva già sfruttato a sufficienza e un paio di caramelle al mentolo di cui esitava a servirsi.

In mano, stretto fra le dita, il biglietto di uno spettacolo teatrale accuratamente riposto in una cartellina trasparente, per paura che si sgualcisse.

Eddie Kaspbrak osservava il vivace drappello di persone che si attardavano fuori dal teatro. Il chiacchiericcio che precedeva l'entusiasmo di uno spettacolo. Le ultime conversazioni, l'attesa dei ritardatari, l'ultima sigaretta.

L'autunno aveva già scoperto le sue carte e la serata regalava refoli di aria gelida e foglie a danzare sui marciapiedi e affogare in ciò che restava delle pozzanghere di un pomeriggio di debole pioggia.

Non era sicuro di aver preso la decisione giusta. Impulsiva e entusiasta sul momento, certo, ma affatto ragionata.

Si era trovato a prenotare un posto a teatro senza prendersi tempo di capire se ne avesse, effettivamente, di tempo; o di voglia di spararsi tutti quei chilometri per raggiungere Philadelphia.

Eppure eccolo lì, con quel biglietto pronto all'uso fra le mani e le luci dell'atrio che gli illuminavano il viso pallido e infreddolito.

Decise che tanto valeva entrare, ormai. Nonostante i ragionamenti sui pro e i contro di quella decisione.

Sembrava un'idea fantastica all'inizio, poi era diventata solo carina. Durante la spinta che lo aveva visto seduto in aereo, classe economica, a guardare il mondo da un finestrino, si era trasformata in un'idea modesta, e poi mediocre. E mentre il taxi prendeva l'ultima svolta per la destinazione finale, l'idea era diventata veramente pessima.

Non era ancora pronto, non del tutto almeno. Eppure sì, era lì.

I mesi passati erano trascorsi pigramente fra scartoffie e riabilitazione. C'era stato tanto da affrontare: decisioni da prendere, informazioni da processare. L'ultima cosa che gli serviva per rimettere in sesto quello che aveva raccolto, a pezzi, da un letto d'ospedale, era un insensato viaggio per gli Stati Uniti per rivedere i vecchi amici.

La paura sempre lì, latente. Quella paura che lo raggelava quando apriva gli occhi, nel bel mezzo della notte, a fargli credere che si era trattato solo di un sogno. Ma c'era ben più di una testimonianza a ricordargli che quelle cicatrici (sul viso, al petto) non erano frutto della sua immaginazione, non una fantasia onirica da relegare in un mondo fatto di ombre, non un confuso ricordo di un incidente non ben definito.

Dimenticare.

No, non questa volta.

L'unica cosa di cui Eddie era convinto, fermamente convinto, era il non voler dimenticare.

Fu quel pensiero, che se ne restava quieto per la maggior parte del tempo e solo a tratti si improvvisava promemoria, a fargli muovere i passi verso l'ingresso, finalmente. A superare quelle cinque signore di mezza età che ridevano di una battuta che non aveva colto, a mostrare il biglietto stampato di fresco ed essere catapultato in un mondo fatto di luminosi corridoi e storici poster di glorie passate.

Pazzesco.

Se gli avessero detto, almeno ventisette anni prima, che un giorno avrebbe volontariamente pagato, per ascoltare le stronzate che uscivano da quella boccaccia di Richie Tozier... non ci avrebbe creduto. Si sarebbe messo a ridere, avrebbe pensato di essere impazzito.

Eppure eccolo lì, in piedi di fronte a una locandina che a Boccaccia aveva fatto più di un favore: irriconoscibile sotto strati di trucco e mirati ritocchi di photoshop. Privo dei suoi occhiali. Che razza di mondo poteva mai essere quello con un Richie Tozier senza i suoi occhiali?

Cercò di soffocare un sorriso al solo pensiero di quanto avrebbe potuto schernirlo, dopo.

Si fece strada verso il suo posto a sedere. Il teatro era praticamente al completo e la cosa riuscì a suscitargli sentimenti contrastanti: su tutti dominava la sorpresa, come se da un lato non potesse davvero credere che così tanta gente fosse lì solo per sentire quello che Richie aveva da dire.

Le luci si spensero su quell'ultimo pensiero. Il sipario si alzò... e quando una voce sconosciuta annunciò in pompa magna il nome dell'amico, sentì emergere un altro di quei sentimenti: percepì davvero quel brivido d'orgoglio inaspettato.
 

***
 

Aveva aperto gli occhi da qualche giorno. Il ronzio dei macchinari, che mantenevano stabili le sue condizioni di salute, era diventato un tutt'uno con la stanza, con l'atmosfera, mentre gli odori lo riportavano a quei giorni in cui non era che un ragazzino che frequentava troppo la farmacia.

Non era infastidito, tutt'altro; si sentiva quasi a suo agio. Forse anche merito dei sedativi che cercavano di evitargli inutili sofferenze.

Se non gli avessero ricordato che l'ospedale aveva ricevuto un corposo rinnovo nell'ultimo decennio, si sarebbe convinto di alloggiare nella stessa identica stanza in cui lo avevano ricoverato da bambino, quando si era rotto il braccio; i giorni in cui sua madre, pace all'anima sua, gli aveva categoricamente proibito di ricevere i suoi amici. Decisione precedente a quella gloriosa rivincita in cui le aveva fatto capire che no, non sarebbe riuscita a impedirglielo. Non dopo tutte le fandonie che gli aveva propinato con quei farmaci fasulli che nulla aggiungevano o toglievano ai suoi immaginari malanni.

Myra, sua moglie, faceva dentro e fuori di continuo da quella stanza da quando si era svegliato. Il primo volto che lo aveva accolto alla fine del tunnel... l'ultimo che avrebbe visto alla fine della giornata, probabilmente.

Aveva accettato, con sollievo questa volta, la sua solerzia nell'assicurarsi che gli infermieri facessero il loro dovere. Operazione che, se non altro, la allontanava abbastanza a lungo dalla rianimazione per permettergli di prendere un po' di fiato dalle sue asfissianti attenzioni.

Non che non fosse felice di rivederla. Dopotutto significava che, in un modo o nell'altro, era riuscito a sopravvivere.

Il dolore. La paura. Quella sensazione di venir inghiottito nell'oscurità. Qualcuno dei suoi amici che gridava il suo nome. Poi, il nulla.

Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.

Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...

 

Eppure... eppure...

***
 

Richie era brillante e spigliato.

Il pubblico attendeva con fremente aspettativa la fine dei suoi monologhi, per esplodere in fragorose risate e lunghi, appagati applausi non appena la battuta prendeva il volo.

Veloce, pungente, nessuno a mettere un freno a quello che diceva o a come lo diceva. Se fosse stato fra i suoi amici d'infanzia, sarebbero scappati almeno una decina di ammonimenti, ma qui non c'era nessuno pronto a riprenderlo o a zittirlo e Richie affrontava le manifestazioni d'ilarità del suo pubblico con un contegno invidiabile. Attendeva con pazienza che gli scoppi di risa terminassero, che gli applausi scemassero per completare la battuta o il monologo in corso, senza perdere nemmeno per un istante il filo del discorso.

Eddie dovette ammettere che Richie era bravo. Era davvero bravo: affascinante, carismatico, e dannatamente divertente. Così divertente che non era riuscito ad impedirsi di ridere a un paio delle battute più becere del suo repertorio. O a non sghignazzare senza ritegno ad alcune imitazioni ben riuscite di personaggi ripescati direttamente da giornate estive della loro più innocente infanzia.

Si domandò come avesse fatto a perderselo in tutti quegli anni. A non avere nemmeno il benché minimo interesse per quel comico che girava i teatri di cabaret più famosi degli Stati Uniti. Aveva scoperto che Richie aveva partecipato a qualcuno dei talk show più famosi d'America. Alcuni dei quali se ne stavano nella lista che sua moglie non si perdeva per niente al mondo. Eppure nulla.

Forse era successo che incappasse in qualche poster promozionale, pubblicità in radio o per televisione o come pop up nelle pagine internet che visitava, ma se anche ci avesse fatto caso o si fosse soffermato, per qualsiasi motivo, a chiedersi chi fosse quel buffo comico con gli occhiali, il cervello doveva averlo rimosso. Come tante delle altre cose che lo avevano legato ai suoi amici d'infanzia. Lo scherzo peggiore che Derry, sentendosi abbandonata, aveva fatto loro. Regalando fama e successo, ma prendendosi in cambio i ricordi del periodo migliore della loro vita.

Ora però era tutto finito. Ora ricordava. E come un fiume in piena era stato travolto dalla realizzazione di tutto ciò che si era perso.

Come Richie.

Richie che faceva tremare di risa e applausi i teatri.

Il ricordo di come Richie facesse vibrare di risate anche lui.

E lo rammentò nel momento esatto in cui fu certo, in una qualche misura, di aver intercettato il suo sguardo, dal palco. Di avergli fatto perdere per un istante il flusso del discorso; se ne era accorto dal modo in cui le parole gli si erano srotolate in modo goffo sulla lingua prima di essere recuperate in corner con una battuta sul sesso.

Aveva cercato di restare quieto e di ignorare le occhiate che erano seguite, perché ce ne furono, terrorizzato dal fatto che Richie potesse uscirsene con qualche improvvisazione a suo danno.

Invece l'amico proseguì lineare quasi fino alla fine, finché non cominciò a raccontare aneddoti su una certa signora Kappa e della loro decennale, torbida relazione.

Eddie aveva incassato il colpo, cercando di non andare in finte escandescenze e si era goduto la fine dello spettacolo, unendosi ai fragorosi applausi che erano seguiti.

Richie era stato un professionista. Chi diavolo lo avrebbe mai detto?

Si alzò solo a sipario abbassato, luci accese, accompagnato dal brusio rilassato di fine serata, con un divertito sorriso sulle labbra.

«È stato straordinario stasera, sembrava più in forma del solito!» l'uomo seduto accanto a lui gli si era rivolto, evidentemente ansioso di condividere i pareri entusiastici sullo spettacolo.

«Oh sì... è stato divertente.»

«Più che divertente, ha messo il turbo sul finale. Ma lo ha sentito? Non riuscivo più a smettere di ridere. Un'improvvisazione di quelle che si sentono raramente.»

Eddie gli scoccò un'occhiata perplessa, ma gli credette sulla parola.

«Deve averlo visto spesso a teatro...» si ritrovò a constatare.

«Oh, almeno una ventina di volte. Di sicuro ogni volta che è passato da Philedelphia. E lei?»

«In realtà oggi è stata la prima», dovette ammettere con un certo rammarico. Persino un signor qualunque che non conosceva minimamente Richie fuori dal mondo dello spettacolo lo aveva sostenuto più di lui in tutti quegli anni.

«Ah, ma allora ha avuto fortuna. Le dico, sul serio... che così in forma come oggi non lo era da un pezzo. Ora mi perdoni ma scappo, cerco di scovarlo all'uscita per fargli i miei complimenti dal vivo. Dovrebbe farlo anche lei, se ci tiene a incontrarlo.»

Un sorriso e un cenno di congedo e il signor nessuno - che aveva visto Richie a teatro almeno una ventina di volte - se ne era andato.

Se era stato mandato lì per farlo sentire in colpa, aveva fatto centro pieno.

Stava ancora cercando di capire da che parte fosse l'uscita di cui parlava il tizio, perché forse, in fondo, era l'unico modo per incontrare Richie senza troppe complicazioni, quando un energumeno dall'aria losca gli si era parato di fronte.

«Il signor Edward Kaspbrak?»

Eddie si ritrovò ad annuire senza proferir verbo, un po' spiazzato dall'improvvisa apparizione.

«Mi segua. Mi hanno chiesto di scortarla fin dietro le quinte».

Per ucciderlo, chiuderlo in un sacco e lanciarlo nelle profondità del fiume Delaware?

Ma non espresse le sue perplessità ad alta voce. Eddie era sicuro che all'energumeno non sarebbero piaciute affatto. Non sembrava un tipo da battute.

Perciò lo seguì in silenzio, fra le occhiate curiose dei pochi che avevano prestato loro attenzione.
 

***
 

La porta della stanza d'ospedale si era aperta lentamente, quasi con timore. Bastò quello a suggerirgli che non poteva essere quel tornado di sua moglie. Quando alzò lo sguardo però, fu un po' sorpreso di trovarci proprio Richie, lì sulla soglia. Un Richie con l'aria stropicciata ed esausta di chi non doveva aver riposato poi molto nelle ultime ore.

Nessuno degli altri gli aveva ancora fatto visita da quando si era risvegliato (forse aveva sentito Myra lamentarsi dell'insistenza di alcuni individui che volevano intrufolarsi nella sua stanza: “per l'amor del cielo, ma non capiscono che ha bisogno di assoluta tranquillità e riposo?”) e Richie era l'ultimo che si sarebbe aspettato di vedere, soprattutto con quell'espressione di assoluto imbarazzo e cordoglio, come fosse... morto davvero.

«Sono messo davvero così male?» si ritrovò a chiedere per sbrogliare l'impasse di quell'ingresso così fuori programma.

Con suo immenso sollievo Richie sembrò svegliarsi improvvisamente dal torpore. Richiuse la porta alle sue spalle e avanzò con passo claudicante verso il letto. Le mani sprofondate nelle tasche di un'anonima felpa grigia, estranea al suo stile eccentrico.

«Non così male, a dire il vero. Ancora parli», esordì, sfoggiando un sorriso, ma con la voce stanca di chi sta imbastendo un faticoso discorso «quasi dovresti fartelo prescrivere. Nota: farsi infilzare da un alieno mutaforma almeno una volta l'anno.»

«Sul serio? Questa è decisamente sottotono per uno come te, Rich», gli rispose con una minuscola risata a sbuffo. Che gli sconquassò a sufficienza lo sterno per annotarsi mentalmente di non farlo mai più. «Come hai fatto a superare il cane da guardia?»

«Parli dell'infermiera col ciuffo da maltese o di tua moglie?»

«E' ovvio che parlo di Myra.»

«Ti prego dimmi che era una battuta, Eds.»

«Al momento è già tanto se riesco a non parlare sbrodolando... e comunque, quante volte devo dirti di non chiamarmi Eds?», gli sorrise senza ricevere lo stesso trattamento in cambio: lo sguardo di Richie era dolorosamente attratto da tutta la serie di tubicini che aveva incollati addosso. Uno spettacolo piuttosto impressionante, doveva ammetterlo.

«Come ti senti?», lo sentì chiedere dopo un lungo momento di esitazione e una smorfia, forse il residuo di un pensiero molesto, lo stesso che gli spegneva addosso la sua abituale vivacità.

Eddie fece un cenno eloquente ai macchinari: «Come se un alieno mutaforma mi avesse infilzato da parte a parte.»

Richie non rispose ma si limitò ad annuire e a mantenere quell'espressione ambigua di chi sa di aver visto giorni migliori, un microscopico cenno consapevole di chi si è spinto oltre l'abisso ed è tornato per raccontarlo.

«Gli altri come stanno?»

«Distraevano il cane da guardia.»

Eddie non riuscì a trattenersi e si lasciò andare a una risata, che però venne immediatamente placata da un colpo di tosse e una fitta di dolore che smorzò l'ilarità sul nascere. Richie sembrò accorgersene perché fu il calore della sua mano a raccogliere quella di Eddie, in procinto di aggrapparsi alle lenzuola.

Ci volle qualche istante perché quel dolore tornasse ad essere solo una leggera e fastidiosa pulsazione costante.

Gli lanciò uno sguardo rapido, come a tranquillizzarlo che era finita, che non doveva preoccuparsi, che di momenti così ce ne erano già stati e ancora ce ne sarebbero stati per un po', ma Richie non gli lasciò la mano, né spense quell'espressione addolorata che raramente gli aveva visto cucita addosso.

Avrebbe voluto rassicurarlo ma non era certo che sarebbero bastate un paio di stupide raccomandazioni. Adesso era sicuro di ricordare di chi fossero quelle grida; la persona che urlava così disperatamente il suo nome, prima che il buio lo inghiottisse, là, nelle profondità di Derry.

«Se non lo dico adesso non lo dirò mai più...»

Fu solo un sussurro ma Eddie lo percepì. Richie stava guardando tutto fuorché nella sua direzione. Apparentemente molto interessato allo sgradevole colore del linoleum del pavimento.
 

***

Il gigantesco ominide che era venuto a prelevarlo dalla sala lo aveva condotto in una serie di labirintici e bizzarri corridoi. Per un periodo di tempo così silenziosamente lungo che Eddie temette davvero di essere finito nel remake di qualche film horror. Uno di quelli in cui ti infilavano in una stanza con una serie di enigmi da risolvere che se non fossi riuscito a districare entro il tempo limite, tanti saluti al caro estinto.

Non era pronto a morire. Non di nuovo. Non a breve, almeno.

Fu quindi un sollievo quando l'omone lo bloccò poco prima che potesse caracollargli addosso, proprio di fronte a quello che aveva tutta l'aria di essere il camerino di Richie Tozier.

«Signore, le ho portato Kaspbrak...» disse l'energumeno senza nome, affacciandosi sulla soglia della porta socchiusa, con l'aria di uno di quei cattivi dei film sulla malavita.

«Eddie Spaghetti!»

Richie si era rimesso in piedi ed era avanzato spalancando la porta, allargando le braccia, raggiante ed entusiasta, come chi è abituato a concludere alla grande uno spettacolo. O a rivedere un vecchio amico. Si chiese se abbracciarlo fosse una buona idea, ma quando gli andò incontro non ci pensò più. Lo fece e basta.

«Dovevi proprio farmi prelevare come fossi un evasore fiscale... ?»

«Se tu mi avessi avvisato che saresti venuto a Philadelphia, avrei fatto in modo di rapirti in maniera più elegante. E a farti avere dei biglietti gratis.»

«Volevo farti una sorpresa! E poi, francamente, non ci tenevo ad avere un altro debito con te.»

«Con tutte le volte che mi sono scopato tua madre, direi che qualsiasi debito è...»

Eddie fece un verso nauseato e lo spintonò appena per allontanarlo, prima che potesse terminare la frase.

«Non hai ancora smesso di essere disgustoso?».

«Oh, Eds, e tu, dopo tutti questi anni, ancora non sei riuscito ad accettare la storia d'amore fra me e mamma Kaspbrak.»

Entrambi sembrarono rendersi conto solo in quel momento che l'uomo che aveva scortato Eddie dietro le quinte era rimasto fermo, immobile ad assistere allo scambio di battute. Se fosse sconvolto o meno dalle imprese sessuali, reali o presunte di Richie Tozier non era dato saperlo: la sua espressione granitica non era mutata di una virgola.

«Oh Lurch, mi ero scordato tu fossi ancora qui,» lo apostrofò Richie, allungandogli una banconota «puoi andare. E grazie per i suoi servigi», concluse con un accento inglese di tutto rispetto e una pacca sulla schiena.

L'uomo si limitò ad annuire e andarsene, senza una parola.

«Fa parte del tuo staff?»

«Chi? Lurch? Mai visto prima di stasera. Ma sembrava il tipo giusto a cui chiedere di portarti da me.»

Eddie alzò gli occhi al cielo e represse una risata.

«Forza, amico mio, non avrai fatto tutta questa strada solo per sentirmi blaterare a teatro. Ne hai ancora da sentire. Ti farò sanguinare le orecchie stasera, davanti a una birra, un succo di mirtillo o il diavolo che ti bevi per mantenerti giovane e bello.»

«Non vedo l'ora, veramente, solo che dovrei...»

«Oh, cazzo», Richie sembrò improvvisamente turbato «tua moglie? Non dirmi che l'abbiamo lasciata in sala a rimuginare vendetta?»

«No, mia moglie non è qui con me.»

Eddie ebbe come l'impressione di leggere del sollievo nello sguardo dell'amico.

«E allora cosa? L'hai legata e imbavagliata nel bagagliaio della macchina? Quanto tempo abbiamo prima che la gente la senta urlare? You're free as a bird...»

«No, è che... credo ci siano delle persone che vorrebbero incontrarti fuori da teatro», l'espressione estatica di quell'uomo a fine spettacolo gli suggeriva che l'avrebbe presa molto male se il suo comico preferito se ne fosse andato alla chetichella. E per colpa sua, per giunta.

«Ma di che stai... ?» Richie realizzò qualcosa, sorrise e questa volta fu lui ad alzare gli occhi al cielo, rassegnato, «Avevo scordato quanto potessi essere così disgustosamente altruista.»

«Ma dai, hai dei doveri nei confronti dei tuoi fans...»

«O codardo. Ma non credere, dopo che avrò compiuto il mio dovere... sarai tutto mio.»

Eddie evitò per un soffio la sua consueta strizzata di guance.
 

***
 

«Sono stato al ponte dei baci, prima di venire qui...»

La menzione di quel posto ebbe il potere di scatenare un sacco di ricordi contrastanti a riguardo. Ma il tono con cui Richie aveva iniziato il discorso gli suggerì che non doveva trattarsi di un argomento frivolo. Perciò se ne rimase in silenzio, a sbirciare uno dei suoi migliori amici, chiamato Boccaccia, in difficoltà con le parole, per una volta tanto.

«Da ragazzino ci avevo inciso delle iniziali. Lo facevano tutti i ragazzini scemi a Derry, magari lo fanno anche ora ma... questo non è importante. Ci sono tornato per vedere se quelle iniziali erano ancora lì. E sai che?» sorrise appena «C'erano. Ancora. Un po' sbiadite ma c'erano. Così le ho incise di nuovo...»

Fece una pausa e per un istante sembrò intenzionato a lasciargli andare la mano ma Eddie glielo impedì, stringendolo appena. Richie aveva rassicurato lui con quel gesto, avrebbe fatto altrettanto. Sembrava averne bisogno.

«Un sacco di gente ci ha inciso le iniziali lì sopra, nessuno è mai stato denunciato per...»

«Erano le iniziali di un ragazzo», lo interruppe Richie.

«Oh...» fu tutto quello che riuscì a esprimere, con una certa dose di stupore certo ma non così maledettamente sorpreso come avrebbe pensato a una rivelazione simile. In più, era sicuro di aver avvertito una fitta non meglio definita di...

«Già. Sono gay.»

La naturale conclusione a quella confessione, presa molto alla larga.

Le parole se ne rimasero per un po' a galleggiare nell'aria ma Eddie capì immediatamente che l'ultima cosa che avrebbe voluto era che finissero per precipitare in un imbarazzante silenzio, perciò prese un bel respiro, sperando di uscirsene con qualcosa di intelligente.

«Significa che tutte le cose che dicevi di fare con mia madre erano raccapriccianti bugie?»

Molto intelligente.

Ma a giudicare da come Richie lo stava guardando ora (perdendo completamente interesse per le piastrelle), era riuscito, se non altro, a scalzare il momentaneo turbamento.

Ed entrambi scoppiarono a ridere. O Eddie almeno ci provò (ancora atterrito dall'idea di avere sussulti di dolore incontrollato). Entrambi apparentemente sollevati di aver superato un momento così intimamente delicato.

«Grazie per avermelo detto», si preoccupò di aggiungere, come non fosse ancora abbastanza chiaro di quanto avesse apprezzato la sua confidenza. A giudicare dal tormento con cui glielo aveva comunicato non doveva essere stata una cosa semplice. E non solo in quel momento, ma da molto tempo a quella parte. Questo era capace di giudicarlo eccome.

«Non ho ancora finito, però», aggiunse però Richie, con una luce ancora più ansiosa negli occhi.

«Ora sì che mi fai paura... che hai fatto? Staccato la testa di Bunyan per portarla in pegno al tuo innamorato?»

«Con quello avrei solo fatto un favore alla comunità. Ma comunque... non credo che lui l'apprezzerebbe.»

Eddie lo scrutò per un istante, senza comprendere affatto perché l'idea che il tizio dell'incisione fosse ancora in circolazione - o che quantomeno Richie ci pensasse ancora - gli desse tanto... fastidio?

«Ci stai girando attorno un po' troppo, hai intenzione di dirmi di chi si tratta o devo tirare a indovinare?»

«Bè...»

«Si tratta di Bill? Era Bill?» incalzò.

«Bill? Dio, no, ma che ti salta in mente?»

«Ah, non lo so... eravamo tutti innamorati di Bill all'epoca, platonicamente o meno. Se non era Bill allora Covone. Ora è diventato veramente un bell'uomo anche se...» si rese conto di star parlando tanto per cercare di placare l'agitazione insensata che gli era montata addosso all'improvviso.

«Eddie...»

«O Mike. Oppure...»

«Eddie, eri tu», lo interruppe Richie e il movimento che aveva nello stomaco si trasformò in un fragoroso frullio d'ali. «E-eri tu. Sei sempre stato tu.»

Eddie si ritrovò ad osservare l'amico con una nuova consapevolezza, come se un'ineluttabile verità gli si fosse rivelata in modo così plateale da farlo sentire un completo imbecille.

Era lui. Era ovvio che era lui, che era sempre stato lui.

Tutti i gesti a lui riservati, le attenzioni, velate o meno, gli screzi, gli scherni ripetuti, gli atti di insensata e confortante tenerezza.

Gli ci volle qualche istante per capire che quel silenzio non avrebbe fatto bene a nessuno dei due. Non a Richie, livido in volto, con l'aria di qualcuno in procinto di vomitare, non a lui, che sentiva il cuore pompargli in petto così rumorosamente che improvvisamente ebbe il terrore di attirare l'attenzione di qualcuno degli infermieri, allarmati dalle anomalie dei macchinari.

Si aspettava qualcosa forse, Richie? Qualcosa che non era sicuro di potergli dare. O era solo la necessità di farglielo sapere, di dirgli qualcosa che, se fosse morto, sarebbe rimasta inespressa... per sempre?

Capì che doveva essere quello, niente altro.

«Penso che questa sia la cosa più carina che tu mi abbia mai detto, Rich...»

«N-non dire stronzate, ti ho sempre detto un sacco di cose carine...»

Era vero? Sì, era vero, lo faceva di continuo. Ma erano prese in giro, burle infantili . Ma da lì a pensare che fossero vere. I ragazzini, a queste cose, non ci fanno mai davvero caso.

«Se non fossi stato io me la sarei presa a morte», gli uscì quando si rese conto che Richie non sembrava convinto, non ancora a suo agio «Chi ti ha salvato la vita da quel clown di merda giù nelle fogne? Non Bill, non Mike, di certo non Covone», aggiunse con un pizzico di falso risentimento, «era il minimo che fossi io, razza di codardo.»

E fu in quel momento che lo vide, tutto quello che Richie non era mai riuscito a dirgli, tutta la disperazione di quegli ultimi giorni, la stanchezza, l'affetto e il sollievo, stampato direttamente sul suo volto, ora privo di qualsiasi maschera o menzogna.

Gli strinse la mano con calore e si abbandonò sul letto con un gesto esausto, rivolgendogli uno sguardo ricco di gratitudine e carico di quella sensazione sulla quale non voleva interrogarsi, non ora. Non con tutte quelle informazioni da processare, non con Myra che poteva entrare come un uragano da un momento all'altro.

Ricevette però il sorriso di Richie. E quello gli fu sufficiente a rimettere tutto nella giusta prospettiva.
 

***
 

Richie lo aveva trascinato in un locale piuttosto sobrio. A giudicare da come aveva sempre interpretato il personaggio che era, persino un po' troppo castigato. Quasi anonimo, dalle atmosfere soffuse e sonnolente.

«Perché continui a guardarti attorno? Dove ti aspettavi ti portassi? Un locale di spogliarelli? Richie Tozier il vizioso col vizietto», bevve un lungo sorso di birra, di quelle bionde e corpose.

«No, coglione... ero solo sorpreso dal contrasto. Richie Tozier Boccaccia vs locale sobrio e silenzioso. Magari è un bene che tu non possa far troppo casino qui dentro o ci sbattono fuori.»

«Nah, mi conoscono. E comunque mi devo ancora ricaricare, dopo lo spettacolo» si fece avanti, posando i gomiti sul tavolo per avvicinarlo, con gli occhi vispi di una volta, carichi di aspettativa, dietro le lenti di occhiali nuovi, «ti sei divertito, a proposito?»

Eddie fu sul punto di annuire e di spargere complimenti a suo favore, ma non era così che funzionava fra loro, non subito.

«Meh...» fece quindi un cenno con la mano, «tutte quelle battute sul sesso... un po' datate.»

«Ma se sono nuove di repertorio!»

«Guarda che ne facevi di simili anche quando eravamo ragazzini.»

«Ma nessuna di quelle parlava del mio Rinascimento omosessuale!»

«Il livello è sempre lo stesso, il problema non è di chi ti scopi, ma da come lo descrivi.»

Richie si abbandonò sulla sedia con aria sorpresa.

«Questa massima dovrò segnarmela... il dottor Kappa dispensa consigli. Quindi non ti sei divertito.»

Eddie scosse la testa.

«Mi sono divertito molto», confessò allora, dopo un istante di calcolata suspense «Ma il tizio seduto di fianco a me si è divertito di più, metà delle battute non sono riuscito a capirle tanto rideva. Volevo gridargli di tacere ma poi mi avrebbero portato fuori a forza.»

«Quello mi sarebbe piaciuto vederlo...» rise Tozier, «Ma te l'ho detto. Proprio per questo avresti dovuto avvisarmi, ti avrei fatto riservare un posto in prima fila, vicino alla Contessa Puzzalnaso e il Signor Criticoenonrido.»

«Ti ho già detto che volevo farti una sorpresa e poi l'ho deciso all'improvviso...»

«Quanto all'improvviso?»

«Un paio di mesi fa.»

«Allora vedi che sei scemo? My, my, il Dottor Kappa, laureato in medicina fantastica, non riesce a elaborare le più semplici regole organizzative!»

«No, tu sei scemo. È stata una decisione improvvisa e fino all'ultimo non ero comunque sicuro di venire... ho avuto un po' da fare, in queste ultime settimane.»

Richie tornò vagamente serio, una battuta che sicuramente era stata distrutta sul nascere.

«Per via della... riabilitazione?»

Eddie alzò gli occhi su di lui e per un istante non fu così sicuro di volerglielo dire, così, su due piedi, ma poi il buonsenso e la frustrazione ebbero la meglio.

«No, Richie, per via del mio divorzio.»

 

Continua...

 

  
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