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Autore: steffirah    06/01/2020    1 recensioni
Se quel giorno non mi fossi fratturato l’osso sciando, non l’avrei mai conosciuta.
Ripensandoci ora, rido del me stesso di tanti anni fa. E mi stupisce come anche adesso, quando chiudo gli occhi e ci ripenso, mi sembra di tornare indietro nel tempo e rivivere ancora una volta quel momento…
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Li Shaoran, Meiling, Sakura Kinomoto | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cruel, caring snow





 

Se quel giorno non mi fossi fratturato l’osso sciando, non l’avrei mai conosciuta.
Ripensandoci ora, rido del me stesso di tanti anni fa. E mi stupisce come anche adesso, quando chiudo gli occhi e ci ripenso, mi sembra di tornare indietro nel tempo e rivivere ancora una volta quel momento…


 

*



«Meiling, non ho ancora capito come tu abbia fatto a trascinarmi fin qui. Sappi comunque che me la pagherai.»
«Oh Xiaolang, insomma, hai sempre da lamentarti.»
Sbuffa sonoramente, ma io la ignoro bellamente. Ce l’ho con lei per avermi costretto a venire a fare questa settimana bianca. Nonostante la mia iniziale ritrosia, è riuscita infine nel suo intento facendomi gli occhi dolci, smuovendomi a compassione con queste semplici parole: «Nessuno può farmi compagnia e non me la sento di andare senza qualcuno. Tu lasceresti una ragazza sola soletta in montagna, in un paese sconosciuto, dove potrebbe accadere di tutto?»
Ecco, alla fine è andata a colpire il mio senso di responsabilità e, anche se con riluttanza, ho accettato. Ma dico io, vincere un viaggio ai Caraibi no eh? Proprio al freddo e al gelo e, ancor peggio, in Giappone, a Sapporo, nell’Hokkaido! Non sarei sopravvissuto, poco ma sicuro.
Deve però smetterla di sfruttare a suo favore il fatto che io la consideri come una sorella e che, per quanto spesso e volentieri la trovassi scocciante, finisca puntualmente col cedere di fronte alle sue insistenze. E deve anche piantarla di spingermi a fare cose che, normalmente, eviterei come la peste. Come la neve. Come il ghiaccio. E cosa siamo venuti a fare qui? A sciare! Deve essere impazzita. Probabilmente le si sono gelati i neuroni, il che spiegherebbe tutto.
«Dai Xiaolang, muoviti.»
Mi afferra per un braccio, nonostante io tenti con tutte le mie forze di restare avvinghiato al divano di fronte ad un caldo e scoppiettante camino. Come osa privarmene?
«Non riesco a capire da quando hai cambiato idea sul freddo. Quando eravamo piccoli ti lamentavi peggio di me, adesso invece -»
«Ho imparato ad apprezzarlo da quando mi sono innamorata, dovresti saperlo», replica, rinunciando a me per strapparmi di dosso le coperte.
Le artiglio per trattenerle, tirandomele addosso, arrotolandomi in esse.
«Soltanto perché il tuo ragazzo è un esperto di glaciologia non ti giustifica di certo!»
«Con te bisogna ricorrere sempre alle maniere forti.»
Sospira, ignorandomi bellamente, prima di sorridermi malvagia e scrocchiarsi le dita, saltandomi addosso come un predatore.
Nonostante i miei futili tentativi di resistenza dopo qualche minuto lei ha la meglio. Ed ora eccomi qui, alla presa con gli sci. Per quanto la riguarda, nonostante sia soltanto la seconda volta che prova questo sport, già se la cava abbastanza bene. Per me, invece, è la prima volta in assoluto.
Tento di ascoltare e memorizzare le direttive dell’istruttore, ma la mia mente torna inevitabilmente ad un unico pensiero: “Fa freddo. Fa freddo, e io sto congelando. E come se non bastasse nevica. Quanto detesto l’inverno. Ma che ho fatto di male per meritarmi questo?”
Alla fine mi accorgo che l’istruttore mi spinge a provarci. Guardo la pista che scivola giù sotto di me e deglutisco a fatica, nonostante si tratti di quella per principianti. Morirò, ne sono sicuro. Inciamperò, cadrò, rotolerò e mi schianterò contro un albero. O forse, prima che accada tutto questo, sarà l’ipotermia ad ammazzarmi.
Prendo un respiro profondo e cerco di comportarmi da uomo. D’altronde ci riescono pure i bambini, quanto può essere difficile? Più del previsto, in ogni caso. Pensavo che bastasse darsi una spinta e scivolare, ma invece bisogna tenere così tante cose in considerazione e io, che quanto più sono a contatto con la neve tanto più mi sento ghiacciarsi le ossa, non riesco assolutamente a ragionare. E alla fine se mi salvo è soltanto grazie ai miei riflessi perché quando effettivamente cado – come previsto – riesco ad evitarmi di rotolare, ma sbatto comunque contro un abete e ho la prontezza di proteggermi con un braccio… finendo col fratturarmelo.
“Davvero, una vacanza spettacolare, meglio di così non poteva andare.”
Fortunatamente vengo immediatamente condotto al pronto soccorso e quando rivolgo uno sguardo truce a Meiling, ignorando il dolore acuto che provo, lei mi guarda sinceramente mortificata. Scoppia persino a piangere, scusandosi quasi fosse stata colpa sua, come se fosse per causa sua che mi sono fatto male e così via dicendomi altre cose che seguono questo filo. Cerco pertanto di farle capire che se mi sono ferito è soltanto dovuto al mio essere negato in questo sport, non è mica stata lei a spingermi.
La smette di singhiozzare solo quando mi lascia con un medico e diversi infermieri, affidandomi alle loro cure.
Lascio che mi visitino, tastandomi e chiedendomi dove mi fa male, ringraziando il fatto che non sia una frattura esposta, prima di farmi una radiografia. Li sento dire che oltre ad essa ho una slogatura alla caviglia e diverse abrasioni, ma nel complesso nulla di irreparabile. Mi sento più sollevato e mentre loro fanno il loro lavoro io chiudo gli occhi, concentrandomi su qualche pensiero che mi distragga dal dolore che, nonostante tutto, si accentua sempre di più, e da tutto questo freddo pungente che avverto. Mi sembra che la neve mi abbia avviluppato, fungendomi da seconda pelle.
Immagino quindi di trovarmi su un’isola sperduta, steso pacificamente sulla sabbia, con un sole rovente a scaldarmi le membra. Così va meglio e sia il dolore che il gelo piano piano affievoliscono, fino a svanire completamente.
A quel punto riapro gli occhi, rendendomi conto di essere rimasto solo nella stanza in cui mi hanno condotto. O meglio, solo con una ragazza. Una ragazza che sembra avere all’incirca la mia età, occupata a leggere del mio stato, presumo, in una cartella clinica.
Sposto lo sguardo e noto che il braccio mi è stato ingessato, sono coperto da pesanti coperte e gli abiti che indosso sono diversi. Quando è successo? Che io sia svenuto?
«Oh! Ti sei svegliato!»
Scatto col capo in direzione del suono, capendo che è l’infermiera ad aver parlato. Mi sorride gentilmente, e dinanzi al suo sorriso mi sembra di essere ritornato in quel mondo caldo che mi ero creato. Sarà che i suoi occhi sono verdi come le foglie delle palme che delimitavano quella spiaggia immaginaria. Sarà che i suoi capelli sembrano essere stati tinti direttamente dai raggi del sole. Sarà che mi avranno addormentato e questo è l’effetto della morfina. Oppure degli antidolorifici.
«Come ti senti?» domanda apprensiva, avvicinandomisi.
«Bene.» Nonostante la mia voce suoni roca sono sicuro di non star mentendo.
Si allunga per appoggiarmi una mano sul viso, poi sospira sollevata.
«Meno male, sei più caldo di prima.»
La fisso confuso, sia dal suo comportamento che dalla sua affermazione.
Si tira indietro di scatto, quasi sembrandomi in imbarazzo.
«Ecco, vedi, quando sei stato portato qui ti battevano i denti, sembravi molto infreddolito e misurando la tua temperatura abbiamo visto che era piuttosto bassa. Ci eravamo preoccupati tutti e oltre ad occuparci del tuo braccio ci siamo adoperati nel fare di tutto per scaldarti. Pensiamo che tu abbia una bassa resistenza al freddo e, a questo punto, dubito che si tratti di semplice intolleranza. Ma spero davvero che non sia nulla di grave.»
Mi guarda accigliata, parlandomi quasi con tono di rimprovero: «È stata una follia esporti tanto a lungo a queste temperature. Se avessi aspettato un altro po’ ne avrebbe risentito il tuo organismo».
«Vallo a dire a mia cugina…» borbotto tra me, sviando lo sguardo.
«Tua cugina… Ah, la ragazza che aspetta qui fuori! Visto che ti sei svegliato la faccio entrare subito, sicuramente starà in pensiero. Provvederò anche a farti preparare qualcosa di caldo, devi assolutamente cibarti. È stata veramente una fortuna che tu non abbia dovuto sottoporti anche ad un intervento chirurgico.»
La fisso con un sopracciglio alzato vedendola agitarsi tanto, ma poi scoppio a ridere.
Mi rivolge un’occhiata perplessa e io scuoto la testa, rispondendo: «Non preoccuparti Kinomoto, fai con calma».
«Co-come fai a sapere come mi chiamo?!» domanda sconvolta.
La sua espressione è decisamente esilarante, ma stavolta evito di ridere, lanciando semplicemente uno sguardo sulla targhetta che porta sul petto.
Lei si osserva e si porta una mano alla fronte, ridacchiando. «Ma certo.» Afferra la cartellina e la volta verso di me, indicando il mio nome. «Mi hanno detto che ti chiami Li Syaoran, è giusto?»
Con la pronuncia giapponese suona così, quindi mi limito ad annuire col capo. Il suo sorriso si estende e mi prende la mano libera, stringendola.
«Io sono Kinomoto Sakura, ma puoi chiamarmi soltanto per nome. In cambio, farò lo stesso con te», decide per entrambi. «Va bene, Syaoran?»
«Va bene, Sakura», acconsento dopo un attimo di smarrimento. Solitamente i medici sono molto più formali e distanti, lei invece sin da subito si è comportata in una maniera che oserei definire “familiare”. Quasi stesse cercando di farmi sentire a mio agio.
«Ottimo. Allora vado a chiamare tua cugina. Tornerò più tardi con la cena.» Mi rimbocca le coperte, guardando poi il mio braccio destro. «Sei mancino?»
«No.» Ovviamente, quale braccio doveva andarsi a fratturare? Quello che io uso quotidianamente.
«Significa che dovrò imboccarti io dopo.»
Mi sembra particolarmente deliziata all’idea e io improvvisamente mi sento arrossire. Perché si comporta così? Mi ha scambiato per un bambino?
«O preferisci che sia qualche infermiere maschio a farlo?» mi interroga, guardandomi dritto negli occhi.
«Vai bene tu», mi lascio sfuggire, prima di riuscire a frenare la lingua.
Lei sorride radiosa, quasi desiderasse ricevere quella risposta, e si congeda momentaneamente così: «Non preoccuparti di nulla, Syaoran! Ti prometto che guarirai in un battibaleno».


 

*



È da quel preciso istante che sono stato travolto dalla sua positività e ancora oggi fatico a credere che quella ragazza solare, quella fanciulla dedita al prossimo con tutta se stessa, alla fine si sia affezionata così tanto a me da rendermi non soltanto il suo paziente preferito, ma poi il suo amico preferito, la sua persona preferita e, successivamente, suo marito.

  
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