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Autore: Francine    16/01/2020    1 recensioni
Canzoni perdute, canzoni stonate, canzoni dimenticate e canzoni da dimenticare. O da canticchiare in un tedioso pomeriggio di pioggia. All'ombra dei ciliegi in fiore. Sotto la neve. Dispersi dove l'acqua è più blu.
C'è sempre una canzone che ci aspetta, dietro la curva. Trovate la vostra.
Inserite una moneta e lasciate fare al caso.
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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#45 Per sicurezza
Prompt: Ninna nanna
Fandom: Saint Seiya 
Personaggi: Takumaru Tatsumi
Note:Ninna nanna, tu nun senti | li sospiri e li lamenti | de la gente che se scanna | per un matto che commanna; | che se scanna e che s'ammazza | a vantaggio de la razza | o a vantaggio d'una fede | per un Dio che nun se vede
(Trilussa, Ninna nanna della guerra, 1914)


De la gente che se scanna
Per un matto che comanna
E a vantaggio pure d'una fede
Per un Dio che nun se vede
Ma che serve da riparo
Al re macellaro che
Sa bene che la guerra
È un gran giro de quattrini
Che prepara le risorse
Pe' li ladri delle borse
(Claudio Baglioni,
Ninna nanna, nanna ninna, 1974)



Dorme, finalmente.
Le ciglia che proiettano un’ombra lunga sulle guance rosate, i capelli sul cuscino e l’espressione che dovrebbe esserle propria – quella serena e spensierata di una ragazzina di tredici anni, non quella di chi porta sulle proprie spallucce da uccellino il peso del mondo intero – Saori dorme.

Per stasera, almeno, il Grande Tempio di Atene è come il mostro nell’armadio che la tormentava quand’era piccola, dopo la morte del nonno: fa capolino, minaccia e sconquassa tutto quello che riposa dietro le ante (stampelle, scatole, calze e scarpe), ma sparisce non appena qualcuno lascia acceso un filo di luce sotto la porta.
Solo che stavolta il mostro non è un bisogno di affetto e di attenzione da parte di una bambina rimasta sola – troppo presto e per l’ennesima volta; stavolta, il mostro è reale, e vuole la sua testa – la sua bellissima testa: com’è sveglia ed intelligente, quella ragazzina! Tanto acuta da fargli quasi paura–, costi quel che costi. O non avrebbero inviato quel debosciato di Ikki a rovinarle i piani.

Tatsumi lo sa. Saori lo sa.
Verranno. Ancora e ancora e ancora.
Fino a quando lei non sarà forte abbastanza da spodestare il Sacerdote dal trono che le appartiene e buttarlo giù dalla torre.
Ed è per questo che Tatsumi veglia. Che aspetta, fedele e paziente, che Saori si assopisca, e crolli stremata sul proprio guanciale.
Se dorme, non pensa – pur se Tatsumi è pronto a scommettere il tutto per tutto sul fatto che Saori si balocchi con la strategia anche mentre dorme -; e se non pensa, non è costretta ad affacciarsi su un panorama non proprio invitante.
Perché il signor Mitsumasa non era uno sciocco, e neppure Tatsumi è uno sprovveduto.

Un dio non scende su questa palla di fango e polvere per sgranchirsi le gambe. Sì, lo fanno. Se ne vanno a zonzo per i prati della Terra per ammazzare il tempo; dev’essere una gran seccatura attraversare l’eternità senza avere un hobby, un passatempo, qualcosa da fare. Assomiglia ad una punizione.
Quando un dio vuole farsi una sana sgambata, prende le sue precauzioni. Non si fa riconoscere. Si camuffa da viandante. Vuole passare inosservato, altrimenti sai quante richieste di grazia e di miracoli gli pioverebbero tra capo e collo?

Innumerevoli.
Come la rena del mare.

Ma se un dio si manifesta ai mortali e se vi sono mortali che lo aspettano – e stiamo parlando di guerrieri che spaccano atomi schioccando le dita, non di bonari fratacchioni dal volto rubizzo o allegre suorine con la passione per i ceci secchi e la chitarra –, allora dietro alla devozione e alla fede c’è - deve esserci - qualcos’altro.
Un piano.
E Tatsumi non è sicuro di voler conoscere i contorni della faccenda.
Meglio se, per il momento, se ne restano in ombra, una macchia scura e sfocata.

Qualcosa di non delineato fa paura, sì; ma è poco più che un’ombra e la si può scacciare accendendo una luce, come la torcia che Saori nascondeva sotto il cuscino per continuare a leggere anche dopo il suo coprifuoco, convinta che nessuno avesse scoperto il suo segreto.
Ma se ciò che ci fa paura acquista una forma e dei connotati precisi, allora non c’è da stare allegri. Allora siamo di fronte a qualcosa che pretende un confronto; ed in genere, questo confronto non è mai né piacevole, né indolore. Tutto il contrario, semmai.

La pelle dei guanti scricchiola contro il bambù della sua spada.
Non ci pensare. Non adesso, si dice, lanciando un altro sguardo alla signorina: dorme, le ciglia nerissime che sfarfallano sulle guance di pesca.
Non la lascerò sola, gli ha assicurato più volte il signor Mitsumasa, lo sguardo fisso su sua nipote che giocava ora rincorrendo un cagnolino, ora montando a cavallo, ora rivoluzionando l’arredamento della sua casa delle bambole; e i suoi paladini sono arrivati, alla fine. Ma sono come lei. Tredicenni. E distratti.
Non capiscono – non hanno ancora capito – quanto ci sia in ballo, quanto sia importante il loro ruolo. Possibile che nessuno lo abbia loro anche solo accennato?

A Tatsumi piacerebbe colmare quella lacuna nell’unico modo che conosce, facendo fare esercizio alla sua spada e rispolverando quei tre o quattro kata che ricorda a memoria; ma Saori, no.
La signorina Saori non è dello stesso avviso.
E quando mai?
Voglio prenderli col miele, gli ha detto – gli ha ribadito, tempra d’acciaio nella voce da adolescente – meno di tre ore prima, al termine di una lunga, lunghissima giornata.
Tatsumi non è convinto possa funzionare.
Un dio, di solito, parla e i mortali obbediscono. Perché funziona così. E così sempre funzionerà.

Ma Saori è testarda. Testarda come lo sono le ragazze alla sua età.
E a lui sarebbe tanto piaciuto vederla incaponirsi per un rossetto troppo rosso o una gonna troppo corta o un amorazzo non proprio presentabile.
Magari uno di quei cantanti coi capelli cotonati e i jeans troppo stretti che occhieggiano dai poster nascosti dietro le ante dell’armadio.

Invece, le è toccato in sorte un pazzo sanguinario che vuole la sua testa.

Saori mormora qualcosa in greco; accade sempre più spesso, e più spesso accadrà – gliel’aveva predetto quel Guilty, con quel sorriso sghembo e quella ragnatela di cicatrici che faceva capolino da sotto la camicia color can che fugge sporco – ma a Tatsumi non piace.
È come vedere i sintomi di una malattia manifestarsi uno dopo l’altro. Senza scampo. Senza misericordia. Ma non deve star facendo un brutto sogno. O uno da cui svegliarsi di soprassalto, i capelli incollati alla fronte e senza aria nei polmoni. Non sembra un sogno pericoloso.
Quasi sorride, mentre la voce le si smorza e reclina la testa da un lato.

È fatta. Adesso si volterà sul lato sinistro e dormirà fino al mattino. Sempre che qualcun altro messo del Grande Tempio non decida di bussare al loro uscio a quell’ora scriteriata. Non si sa mai, con i Santi di Athena. Sarà il caso di restare ancora cinque minuti.

Per sicurezza, si dice, stringendo la presa sull’elsa della spada.


Note: ovviamente, nella serie classica non sappiamo se Guilty e Tatsumi abbiano avuto l'occasione per uno scambio di opinioni circa i massimi sistemi; mi sono presa la libertà di far sì che questo accada e me ne assumo tutte le responsabilità reclamandola come farina del mio sacco rattoppato e bucherellato. Abbiate fede, arriverà il momento in cui vi mostrerò anche questa scena.
   
 
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