Love only left
me alone
Non mi avranno – non mi mangeranno.
Non me.
Questo il mantra di
Isabella, mentre – sottraendole definitivamente la libertà – le impiantano il
chip; questo ripete in un angolo della sua mente svolgendo i test, ogni giorno
più complessi, per diventare Mamma.
Si è piegata a una realtà da
incubo e si attacca con tutte le forze a ciò che ha per non soccomberle: quelle
parole – promesse a sé stessa – e una melodia. La sua melodia.
17/01/2046
Dietro le sbarre, Isabella è
in pace come non si sente da tempo – una vita intera, le sembra. Eppure
è giovane, ha solo trentuno anni; sorride amaramente realizzando l’assurdità del
pensiero. È vissuta molto più a lungo di quel che è concesso alla maggior parte
degli esseri umani in quel mondo sbagliato.
Nelle ultime quarantott’ore
molti volti l’hanno visitata: Norman, Ray, Emma… Leslie. Il tempo
passato con lui costituisce i ricordi più belli della sua lunga, eppure così
breve, esistenza. Con Leslie era una bambina vestita di bianco, come bianco
erano lui e tutti i loro fratelli e sorelle; con Leslie aveva giocato e riso, si
era innamorata – allora poteva! – vivendo la menzogna con un’ingenuità
criminale, lei che tutti consideravano così intelligente.
Forse… forse, se
Leslie fosse stato al suo fianco mentre le illusioni si sgretolavano e la Mamma
mostrava il suo vero volto, le cose sarebbero andate diversamente. Forse
avrebbe trovato la forza di Emma, quell’amore così spericolato che le ha
impedito di arrendersi nonostante tutto, e non avrebbe mutato il bianco
con il nero della veste da Mamma.
Isabella scuote la testa;
non rimpiange le sue scelte. Ricorda ancora la rabbia smisurata che l’ha invasa
con la scoperta che Leslie non è stato adottato ma ucciso per essere
servito ai mostri dietro l’orfanotrofio. Quella è stata la sua realtà,
quella la forza che l’ha spinta a divenire un mostro lei stessa: tutto per
poter vivere la miglior vita possibile, anche per lui. Non lo rimpiange,
ma ora che si è fermata si dice che è stato abbastanza. Presto finirà: attende
la morte molto più serenamente di quanto credesse possibile.
Il volto di Leslie viene
sostituito da un altro, quasi dimenticato: il viso paffuto, sorridente di un
bambino sui sette anni. Nico, ricorda il nome con un sussulto – il primo
bambino che ha consegnato. Isabella chiude gli occhi.
«Mamma, mamma! Fa male!»
grida il bambino, guardando verso di lei con le lacrime agli occhi.
Isabella controlla la ferita
con occhio clinico: è solo un graffio, è improbabile che il dolore sia tale da
farlo piangere – forse teme di essere sgridato. Sorride incoraggiante, stringendogli
la mano sana. «Tranquillo, Nico» dice guidandolo verso l’infermeria, «ora ci
mettiamo un bel cerotto e vedrai che passerà subito».
Lui le sorride grato. «Va
bene, mamma!»
La sua espressione non vacilla,
da brava attrice qual è la mantiene intatta mentre recupera il disinfettante e per
tutta la durata della medicazione – piuttosto rapida, in effetti; solo quando
la porta si chiude dietro Nico, che torna di corsa dagli altri a mostrare il
cerotto – suo nuovo trofeo –, il sorriso trema e le ginocchia si piegano. La
spedizione di Nico è prevista per la settimana successiva, quel graffio non
basterà certo a evitarla. L’attimo di debolezza passa: Isabella si rialza, esce
dalla stanza a testa alta. Si è allenata sette anni per quel ruolo, sapeva
cosa le sarebbe stato richiesto. Nico è solo il primo di tanti – o lui o
lei, e a che servirebbe la sua morte? Si abituerà, sa che lo farà. Sopravvivrà,
qualunque sia il prezzo.
Se pensa a ciò che è
diventata, Isabella si vede sopra un cumulo di cadaveri con Nico in fondo e
Connie in cima – troppi per contarli, non per ricordarli.
Dei passi risuonano nel
silenzio della cella: spalanca gli occhi, sollevata all’idea che stia
per finire tutto. Potrà finalmente
essere libera.
I’m in need of a savior
But I’m not asking for favors
«…diventerò Nonna?»
Le hanno annunciato che non
morirà, Sarah ha pagato al suo posto. All’idea del futuro che ha appena
scoperto di avere Isabella prova solo orrore.
Tornerò in quell’inferno –
sarà anche peggio. Non voglio diventare Nonna.
Si spaventa quando Peter
Ratri le getta in faccia i suoi stessi pensieri.
«Davvero ne hai avuto abbastanza?»
inquisisce spietato. Lo fissa sconvolta, ma non spezza il silenzio.
«Sei solo stufa della morte
intorno a te, ti illudi di liberartene morendo a tua volta. Ma ti sbagli – la
morte non ti salverà» decreta implacabile, con il ghigno di un demone. Poi
vibra il colpo di grazia, tendendole la mano: «Ti darò io la vera salvezza».
Le sue parole sono fin
troppo belle perché Isabella ci creda – se lo facesse, avrebbe ciò che
ha sempre desiderato: una speranza, per quanto impossibile. Cosa ha da perdere?
Se è un inganno, morirà – la fine che attendeva impaziente solo poche ore
prima.
«Se prendi la mia mano e metti
la tua intelligenza al servizio della nostra causa, ti toglierò il numero e il
chip. Avrai tutto ciò che hai sempre voluto».
Peter Ratri è un demonio, ma
le sue promesse sono un balsamo per le sue ferite, una tentazione pericolosa.
Isabella fissa la sua mano, elaborando la portata di ciò che le ha detto.
Abbassa lo sguardo sul proprio
petto, sul punto dove la cicatrice dell’operazione è nascosta dall’abito. Nero,
non bianco come quello dei suoi bambini – come il suo di un tempo.
Peter Ratri è un demonio, ma
lei non è una santa. Isabella afferra la sua mano.
Per la prima volta da quando
ha smesso di essere una bambina bianca, il ricordo di Leslie sbiadisce
nella mente della donna nera. Ricambia lo sguardo inquisitore dell’uomo senza
più esitare – ha combattuto tutta la vita, lo farà nuovamente.
Amare mi ha solo resa
sola.