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Autore: Roquel    27/01/2020    4 recensioni
I fiori sbocciano dalla sera al mattino, come dei nei, anche se somigliano più a dei tatuaggi sbiaditi. Ogni fiore, così come ogni colore, dice qualcosa riguardo la personalità del suo proprietario. L'ubicazione identifica il tipo di persona. Petto, scapole e spalle per gli Apha (forza, protezione e ferocia); mani, gambe e viso per i Beta (duro lavoro, sicurezza e fiducia); infine addome, stomaco e fondoschiena per gli Omega (maternità, dolcezza e sensualità). Di anno in anno, i tatuaggi crescono, fioriscono e si diffondo sul corpo del portatore.
A sedici anni, Izuku non ha alcun fiore, ma nei suoi ricordi brilla il rosso del gladiolo sulla pelle di Katsuki. È quel ricordo a far rivivere il suo desiderio di tornare a casa; ma le cose non sono mai semplici.
(AU. Tre regni e una guerra sul punto di esplodere.)
[Katsudeku - Kirikami]
Traduzione di "Flower Bouquet" di Maia Mizuhara, che è a sua volta una traduzione inglese dell'originale "Bouquet de Flores" originale spagnola di Roquel.
Link nella pagina dell'autore e nelle note al fondo del primo capitolo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Kaminari Denki, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Un po' tutti
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 19 - Pira Funeraria





 

Kouji Koda non poteva parlare, ma non si considerava miserabile o sfortunato. Era stato abbastanza fortunato da sopravvivere, nonostante ci fossero innumerevoli casi di madri e famiglie che disprezzavano i bambini considerati 'anormali'. Era vero che non aveva mai conosciuto i suoi genitori, ma aveva un padre che gli voleva molto bene, lo stesso che l'aveva trovato nella foresta, gli aveva dato una casa e l'aveva cresciuto insieme agli altri suoi bambini. 

Se avesse potuto, Kouji avrebbe chiamato Ken "padre" ma non poteva, così si accontentava di obbedirgli. In cambio Ken gli affidava cose che non condivideva con gli altri. 

"Sei pronto, Kouji?" Chiese Ken mentre oltrepassava la tenda che separava la stanza da letto dal soggiorno. 

Kouji rispose annuendo. Non poteva parlare ma le sue corde vocali erano in grado di produrre suoni scordati, che era riuscito a perfezionare col tempo. I suoi amici al villaggio erano in grado di distinguere il soffio d’aria di gioia da quello di sorpresa.

Il suono che emise davanti a suo padre fu un inconfutabile .

“Bene,” rispose Ken, dandogli del cibo e uno zaino più grande. “Secondo il messaggio che Kamui ha inviato con Mina, lui e le spie sono partiti ieri. Kamui ti aspetterà al capannone che usi per i tuoi animali. Dovrebbero essere arrivati ieri, quindi dagli lo zaino e lascialo andare.”

Un suono gutturale stavolta una domanda e allo stesso tempo Kouji sollevò una mano imitando la forma di un serpente.

Ken scosse la testa.

“Non preoccuparti di Shuichi, lui è venuto ad incontrare me quindi dovrai andare tu al mio posto. Il gruppo di Shigaraki intende partire entro un paio di giorni e fino ad allora devo restare qui.”

Kouji storse il naso e spostò lo sguardo.

“So che ti rendono nervoso, ti hanno infastidito di nuovo?”

Negò, un suono tremolante.

“Se preferisci, puoi restare al capannone per qualche giorno. Non avrai modo di salutare i tuoi amici ma li vedrai comunque quando andrai a studiare alla Capitale.”

Incerto, incurvò le sopracciglia e aveva le mani nervose.

“Non preoccuparti, vai… Approfitta di questo tempo e prenditi cura dei tuoi conigli, okay?”

Assenso. Gioia.










 

Kamui si svegliò sentendo lo scricchiolio delle foglie vicino alla nicchia. In pochi secondi fu in piedi, il pugnale in mano, una postura difensiva che assumeva quando era totalmente all’erta; non appena identificò il ritmo dei passi si raddrizzò. Abbassò il pugnale e uscì per incontrare il suo ospite.

“Buongiorno, Kouji. Sei arrivato presto, tuo padre?” Il ragazzo alzò il pugno sinistro e lo poggiò sulla sua schiena. “Capisco. E Mina?” Il ragazzo allontanò la mano dal corpo. “Giusto, me n’ero scordato, partono oggi. Ti mancheranno?”

Una mano sul viso, silenzio.

“Il tempo passa in fretta… Presto i tuoi amici torneranno.”

Un broncio.

“Ora facciamo colazione, voglio partire prima che sorga il sole.”

Kouji alzò una mano, lo indicò, agitò le dita e infine fece un suono gutturale.

Kamui sospirò.

“Non so per quanto starò via. Tornerò appena si saranno calmate le acque, forse un paio di mesi, oppure se arriva il freddo e le cose non migliorano andrò giù al confine e passerò l’inverno vicino al deserto, ma sta’ sicuro che tornerò per la primavera.” La risposta di Kouji fu di annuire, porgendogli il grande zaino.

Mangiarono in silenzio, avvolti nella piccola luce della lampada del soggiorno. Fuori il vento soffiava contro i rami degli alberi.

“La senti?” Chiese Kamui, mettendo via il suo piatto mentre Kouji lo guardava; prima che potesse reagire, Kamui si alzò e aprì la porta attraverso cui entrò una fredda brezza notturna. “È la pioggia! Sono cominciate le piogge!”

Kamui si rilassò appoggiandosi allo stipite della porta, Kouji masticò lentamente, contando mentalmente i suoi compiti in sospeso. Quando finì di mangiare mise via il suo piatto e restò lì ad ascoltare il picchiettio delle gocce sulle foglie.

Proprio allora il tetto della casa crollò loro addosso.










 

“Dannazione!” Esclamò Toga non appena sentì l’odore della pioggia; il suo incubo si materializzò quindici minuti più tardi quando le prime gocce caddero dal cielo scuro. In lontananza una serie di lampi illuminavano le nuvole a intermittenza. “Figlio di puttana!”

Corse dritto davanti a sé, senza fermarsi.

‘Avevo appena trovato la traccia e adesso inizia a piovere, dannazione!’

Sperò di catturarlo, ma la leggera pioggerellina si trasformò in una tempesta in pochi secondi. Con i capelli fradici e piccoli rivoli d’acqua che le scorrevano lungo le tempie, Toga tenne lo sguardo fisso sul suolo dove le pesanti orme iniziavano a svanire.

Mentre perdeva la sua traccia, Toga rallentò, accovacciandosi in avanti, piegandosi regolarmente per analizzare il terreno e trovare un segno. Camminava in semicerchi aspettando di trovarla di nuovo.

Seppe di averla persa quando raggiunse il dirupo.

“Merda!”

Si scostò i capelli dalla faccia e si guardò intorno, come se aspettasse di vedere il selvaggio accovacciato, che la guardava. Poi si avvicinò al dirupo, e lo scartò immediatamente come possibile nascondiglio. C’era una discesa inclinata di diversi metri che finiva in un tuffo nel vuoto, nemmeno lei sarebbe potuta scendere con la pioggia.

Restò ferma per parecchio, ascoltando con cura, attenta a non perdersi nemmeno il più piccolo segno, ma fatta eccezione per i tuoni che ruggivano in cielo la foresta era silenziosa. Quando Toga si arrese tagliò un ramo che ripulì subito dalle foglie e dalle schegge. Mise un pezzo di stoffa rossa a un’estremità mentre affilava l’altra e procedette a piantarla nel terreno, nella zona più pulita che trovò e visibile da lontano.

Cercò nella sua piccola faretra che si portava sulla schiena e prese una freccia con una pallina rossa sulla punta. Appiccicata contro l’albero, evitando che la pioggia bagnasse la silice, Toga accese la pallina che sibilò subito ed emise fumo di un intenso colore rosso.

Con la pallina fumante, Toga armò il suo arco e scoccò la freccia alta nel cielo, lasciandosi dietro una scia rossa. Il colore del fallimento.

Con uno schiocco Toga volse le spalle al cielo, tornando sui suoi passi e ricominciando.










 

Kouj tossì, troppo esterrefatto per capire. La sua sedia aveva ceduto sotto il suo peso e intorno a lui vedeva solo foglie di palma e rami spezzati. Si mise a sedere lentamente e alzò lo sguardo al soffitto. C’era un enorme buco sulla destra, la trave principale era al suo posto ma le altre secondarie penzolavano in pezzi intorno a lui.

La pioggia che passava attraverso il buco iniziò a formare pozzanghere sul pavimento.

Kouji gattonò lentamente per vedere cosa ci fosse sotto la crepa. La prima cosa che vide quando allungò il collo fu… una gamba?

“Kouji!”

Guardò Kamui, che sembrava illeso, anche se l’espressione nei suoi occhi rispecchiava sgomento. Kouji indicò semplicemente la pila di foglie e legno che giaceva sotto il buco.

Mentre Kamui si avvicinava per esaminarla, la sua espressione diventò di assoluto panico. Si allungò per guardare attraverso il buco nel soffitto nonostante la pioggia, ma il cielo era dipinto di un’oscurità assoluta e non si vedeva niente a parte nuvole nere.

Kamui gli voltò le spalle e lentamente cominciò a spostare le foglie e i rami poggiati sopra una gamba avvolta in dei pantaloni neri e spessi con stivali di pelle morbida legati con nastri sottili.

“Va’ via, Kouji,” disse Kamui, terribilmente fermo, contemplando ciò che stava sotto il buco del tetto. “Vai a casa e ringrazia tuo padre.”

Anni dopo Kouji desiderò ancora di avergli obbedito, ma vedendo il volto insanguinato, la pessima posizione della gamba e l’espressione di panico di Kamui, sapeva di dover aiutare.

E lo fece.










 

Un’alba senza sole, il cielo di un grigio scuro era l’esatto riflesso del suo umore. Affamata ed esausta dopo aver passato tutta la notte a cercare, Toga tornò alla sua bandiera improvvisata in cima al dirupo. Lì l’aspettava il secondo dei suoi compagni.

“L’hai trovato?” Chiese l’uomo alto dalla pelle verde.

“Sì,” disse Toga, strappandogli di mano il pezzo di carne secca che stava mangiando seduto vicino a un albero. “L’ho nascosto nel mio stivale.”

“Quello è mio!”

“Oh, sta’ zitto!”

Masticò rumorosamente mentre contemplava la foresta, nella sua mente i percorsi erano delineati chiaramente, ognuno portava ai possibili nascondigli e ai villaggi da evitare se fosse stata un nemico in fuga; ma il selvaggio era svanito senza lasciare traccia e per la prima volta nella sua vita non aveva nulla da seguire.

Dannazione.

Quando finì di mangiare si voltò e si fermò, colta da un’idea improvvisa. Analizzò di nuovo il dirupo, si avvicinò fino ad iniziare la discesa e studiò la zona con occhio critico. Quando tentò di avanzare la terra sotto i suoi piedi scivolò e minacciò di farla cadere. Toga tornò indietro all’inizio della scarpata.

“In piedi, ce ne andiamo!”

“Dove siamo diretti?”

“Muoviti e basta!”

Toga saltò in sella e spronò il suo animale finché non corse al massimo della velocità, scivolando agilmente attraverso i pendii scivolosi. L’aria le fischiava nelle orecchie e il mondo era sfumato, ma Toga conosceva la strada di ritorno.










 

Tre ore più tardi incontrarono Shuichi Iguchi. Si sedette vicino al fuoco spogliandosi dei vestiti bagnati.

“Allora?” Chiese Shuichi, seduto dall’altra parte del tavolo mentre divorava la sua colazione.

“Una delle spie ha un fiore sulla gamba, l’abbiamo inviato alla Capitale come ordinato dal Generale. Maki viaggia con lui.”

“E l’altro?”

“È scomparso.”

“L’hai perso?”

“Non l’ho perso, è stato preso.”

“Da chi?”

“Il suo amico ha rovinato la sua traccia. E la pioggia ha peggiorato le cose. Ora dovrò ricominciare da capo.”

“Resterai finché non smette di piovere?”

“Potrebbero volerci settimane. No. Dormirò, mangerò, raccoglierò provviste e poi tornerò nella foresta. Ho intenzione di coprire un raggio di dieci chilometri attorno al punto in cui l’ho perso, devo muovermi in fretta prima che la traccia sparisca. Intendo lasciare qui la mia scorta, stavolta viaggerò da sola.”

“Dabi non sarà d’accordo.”

“Dabi non è qui.”

“Sarai in pericolo.”

“Sarà un problema mio, quindi chiudi il becco.”

“Ad ogni modo,” Iguchi mise da parte il proprio piatto e si alzò, “dal momento che sei qui, vuoi restare per lo spettacolo?”

Fece spallucce, si voltò mentre finiva di cambiarsi, lo sentì uscire, e solo allora si lasciò cadere sul letto dove avrebbe dormito per il resto della giornata.

Si svegliò ore dopo, rilassata e piena di energie. Stava piovendo, ma era solo una pioviggine leggera, senza vento e tuoni. Non appena uscì, sentì l’inconfondibile odore di legno bruciato. Indifferente alla confusione e alle urla, Toga si allontanò in direzione del falò dove veniva servito il cibo. Trovò gli avanzi di un cervo cotto e patate soffici, li prese e si sedette a mangiare mentre contemplava le fiamme che divoravano la casa davanti a lei. Le piaceva il fuoco, il suo colore, la sua forza, il suo calore; le piaceva quasi quanto le piaceva il sangue. Quella notte erano entrambi mischiati in una sinfonia così meravigliosa che le sue interiora facevano le fusa, il cibo aveva un sapore mille volte più buono mentre ascoltava le urla e inalava l’aroma del fuoco che si cibava della sua carne.

Le fiamme rosse e arancioni salirono verso il cielo illuminando la notte, il vento le faceva crescere e la pioggia non era abbastanza forte da estinguerle. Toga si fece cullare dal crepitio del legno.

Aprì gli occhi sentendo il calore delle fiamme e realizzò che il fuoco aveva raggiunto la casa alla sua destra, in lontananza si intravedevano le sagome dei soldati di Iguchi che si liberavano dell’infida spazzatura. Per un attimo Toga sentì l’urgenza di assistere il gruppo nella speranza di assaggiare il sangue dei traditori, ma alla fine la pigrizia ebbe la meglio e restò lì a guardare.

Per svagarsi, prese i bagagli confiscati alle spie e frugò negli zaini. Dal primo mise da parte due coltelli e buttò il resto nella pila di immondizia. Le provviste finirono nella sua sacca e i fogli nel fuoco senza esitazione. Dal secondo scartò tutti gli intrugli puzzolenti, i semi e le foglie secche, e alla fine sfogliò il quaderno.

Non era esattamente un quaderno, solo una pila di fogli tenuti insieme da un elastico. Quando lo tolse, i fogli si gonfiarono nelle sue mani. Nelle prime pagine c’erano un sacco di disegni di piante, Toga ne conosceva la maggior parte, anche se fu sorpresa di trovare una descrizione accurata di ognuna. Scoprì anche proprietà di cui non era a conoscenza.

Le piante finirono e ciò che seguì furono disegni dello stesso fiore. Alcuni erano in bianco e nero, altri dipinti di un rosso vibrante, la vernice era colata attraverso le pagine e in altre aveva fatto raggrinzire la carta per l’eccesso d’acqua. Il fiore era sempre lo stesso, grande o piccolo, avevano tutti la stessa forma e lo stesso colore.

Quando si annoiò di vedere lo stesso disegno, Toga prese una manciata di quelli e li gettò nel fuoco. La carta si accartocciò su se stessa e cambiò lentamente colore. Il fiore rosso assumeva toni marroni, poi neri fino a sparire completamente. Toga ripeté l’operazione, bruciando pagina dopo pagina, senza rimorsi.

Era quasi alla fine quando si fermò. Stavolta il fiore occupava l’intera pagina, i contorni erano spessi, i dettagli impressionanti, e il colore era ipnotico. Toga studiò il lungo stelo verde scuro, le piccole foglie raggruppate attorno, e alla fine realizzò che il fiore aveva la forma di una spada. Una lunga spada tinta del colore del sangue.

Toga sorrise.

Gettò il resto dei fogli nel fuoco contemplando l’unico fiore sopravvissuto. Lo piegò in quattro parti e lo mise nella sua sacca. Poi si stiracchiò, prese le sue cose e si allontanò dalla casa bruciante tornando nella foresta.

Lasciò che Iguchi e gli altri si occupassero dei traditori. Lei aveva una spia da trovare.










 

La pioggia cadeva in una cortina sottile e fredda che colpiva il suo tabarro nero; l’indumento la copriva da testa a piedi ed era fatto in modo che l’acqua non l’attraversasse. Grazie ad esso Toga cercò nella foresta senza sosta.

Ci vollero giorni, ma alla fine lo trovò. L’indizio che aveva cercato.

Ai piedi del dirupo c’era una capanna distrutta, Toga studiò i contorni della struttura e quando fu sicura che non crollasse entrò con cautela. Dentro trovò foglie di palma, libri a pezzi e foglie inzuppate dall’acqua che cadeva dal buco nel tetto. 

Toga si prese del tempo, rovistò tra i resti, nella nicchia di foglie e pezzi di legno, cercò attentamente e senza fretta. Alla fine, la sua ricerca ebbe successo quando trovò un lembo di stoffa insanguinata sotto una pila di foglie. Molto attentamente, Toga l’annusò.

L’odore di sangue la fece sorridere; molti sostenevano che l’olfatto dei selvaggi fosse impareggiabile, che potevano riconoscersi con semplici aromi che altri non riuscivano a distinguere, ma Toga non invidiava il loro talento, il suo era anche meglio.

Le bastava una goccia di sangue per rintracciare una preda, non aveva importanza dove si nascondesse. Con il fazzoletto in mano era solo questione di tempo prima che il vento le mostrasse la via per il suo bersaglio. Sarebbe stato un lungo viaggio, ma di certo divertente.










 

Izuku correva ad un ritmo costante, attento a qualunque urlo o suono, e aveva la mappa fresca nella mente quindi entrò nella foresta assicurandosi di avere le montagne davanti a sé; si arrampicò sulle colline piene di alberi fogliosi e muschio bagnato che rendevano il terreno scivoloso. Notò che le gambe erano ancora deboli per la febbre, quindi cercò di non affaticare troppo il suo corpo.

Senza fermarsi, Izuku cercò tra le provviste di Shouji. Trovò una bottiglia d’acqua da cui bevve per lavare via il sapore che gli era rimasto sulla lingua — l’aroma denso e pesante dell’incenso che avevano usato contro i Beta — e dentro la borsa trovò anche un enorme pezzo di carne avvolto in della carta e nastri, delle mele, pane fresco, e un sacchetto di semi e dolci.

Quando fu stanco di correre, cambiò lentamente velocità mentre mangiava i semi. Si fermò a riempire la sua bottiglia d’acqua nel primo ruscello che trovò e quando realizzò che non poteva andare avanti cercò un nascondiglio dove potesse riposare.

Si addormentò senza riuscire ad evitarlo, troppo esausto per restare all’erta. Si svegliò ore dopo, rannicchiato nel tronco che aveva scelto come rifugio, allarmato, senza riuscire a ricordare il suo sogno, ma zeppo di paura e con la sensazione che qualcuno lo stesse guardando.

Quando uscì dal suo nascondiglio lo accolse la pioggia. Una pioggia pesante che lo infradiciò subito da capo a piedi. Lo zaino sulla schiena, avanzò, timoroso e pieno di panico. Non smetteva di sentire urla in lontananza, anche se quando si fermò ad ascoltare attentamente, ciò che sentì fu semplicemente il suono del vento. 

La foresta finiva ai piedi dell’area montuosa e Izuku salì, seguendo i percorsi segnati dagli animali che abitavano la zona. Mangiò le mele mentre avanzava e quando fu al di sopra della linea degli alberi si fermò a contemplare la valle. Nel cielo grigio e scuro era impossibile trovare la Capitale, ma Izuku aveva solo bisogno di localizzare il fiume che scendeva in lontananza per farsi un’idea della sua posizione.

Trovò un piccolo spazio coperto da rocce e mangiò una porzione di pane e carne. Si strofinò le braccia congelate e scosse i capelli finché non smisero di gocciolare. Gli venne di nuovo sonno, ma invece di dormire mangiò un dolce per restare all’erta e continuò.

Finì un altro giorno e fortunatamente smise di piovere prima della notte.

Izuku non si fermò, andò avanti traboccante di determinazione e grazie a quella non aveva realizzato che fosse notte. Quando se ne accorse, si fermò e si guardò intorno, il mondo era di una chiarezza incredibile, era tutto di un leggero grigio. Le rocce brillavano di un sottile strato di umidità che scintillava di colori argentei.

Izuku alzò gli occhi al cielo e quando vide la luna proprio sopra di lui il suo cuore si strinse nel petto.

‘Una luna piena.’

Izuku fece immediatamente i conti. L’ultima luna piena era stata quando erano arrivati a Hosu, quella era la luna bianca, come la chiamava lui, mentre questa era la luna del suo heat.

‘Da quanti giorni è così? Due, tre? Quanti giorni prima che debba nascondermi?’

Chiuse gli occhi e iniziò a contare, ricordava di aver visto la luna crescente quando era stato catturato, se aveva passato una settimana rinchiuso, allora c’erano ancora un paio di giorni prima che la luna fosse completamente piena. Almeno uno, tre al massimo.

‘Devo muovermi, devo continuare ad andare avanti.’

La certezza che da un momento all’altro si sarebbe trovato nella situazione più vulnerabile possibile gli diede la forza di muoversi più in fretta. Si fermò all’alba per mangiare, ripeté il suo pasto dell’ultima volta — una porzione di pane e carne — e il suo stomaco brontolò, insoddisfatto. Diventò di nuovo consapevole della situazione in cui si trovava.

Aveva bisogno di un posto in cui nascondersi, aveva bisogno di acqua e cibo per supportare il suo heat, e aveva bisogno di una coperta.

Gli heat erano già difficili, ma ora non aveva nemmeno a portata di mano le foglie che lo aiutavano a dormire e che alleviavano il suo bisogno. Si ricordava del primo heat, il più difficile, quando la perdita di Katsuki era stata troppo recente e non aveva nessuno.

‘Non pensarci. Concentrati. Hai bisogno di cibo. Cosa puoi mangiare? Funghi, sicuramente sopravvivono a queste altezze. Ho visto degli uccelli. Se trovo il loro nido posso rubare delle uova. Bene. Acqua. Se piove posso raccoglierne. Altrimenti è meglio iniziare a cercare un corso. Magari uno stagno. Ci sono molti fiumi nella zona, alcuni devono essere nati qui vicino.’

Determinato, Izuku fermò il suo percorso e iniziò a cercare un nascondiglio. Trovò dei funghi e muschio che grattò delicatamente fino a riempire la sua borsa di semi. Stava inseguendo un uccello quando lo sentì.

Si paralizzò immediatamente.

Izuku respirò con estrema cautela. L’odore era leggero ma inconfondibile; non poté fare a meno di arrossire, il sangue che scendeva attraverso lo stomaco per diventare un brodo denso che ondeggiava all’altezza del ventre.

‘C’è un Omega qui?’

L’aroma aveva la ricchezza e i contrasti esuberanti che gli Omega emettevano durante gli heat — un Alpha avrebbe trovato quell’aroma irresistibile — ma era troppo impersonale, troppo ordinario.

In quel momento si ricordò dell’incenso usato contro Shouto. L’incenso era dolce, con un forte odore di latte e miele, era indiscutibilmente Omega, aveva indebolito Shouto e trasformato in una bambola senza volontà nonostante Izuku trovasse l’aroma incredibilmente mite.

‘È così che controllano gli Alpha.’

E l’incenso usato il giorno prima aveva un aroma potente e ripugnante. Quella cosa paralizzava e uccideva gli uomini Beta in pochi secondi. Non riusciva nemmeno a identificarlo.

‘Intendono combattere i Beta in quel modo.’

Ma l’essenza che aveva appena trovato era diversa dalle altre due. Izuku si prese un momento per apprezzare le note che risuonavano nella sottile fragranza: era un aroma di una tale intensità che riusciva a distinguerlo anche se non era vicino alla fonte ed era indiscutibilmente simile ai feromoni che gli Omega emanavano durante l’heat.

‘Ma qual è il suo obiettivo.’

Era un aroma che avrebbe esaltato un Alpha invece di fermarlo, un aroma dedicato alla stimolazione, anche se non esclusivamente, e gli Omega lo usavano anche per delimitare i territori.

‘Di chi è questo territorio?’

La domanda morì nella sua mente quando si raddrizzò e la sua periferica catturò il gentile movimento della terra. Solo che non era il terreno, ma un’immensa bestia dal pelo chiaro, occhi rossi vuoti e sei arti con artigli affilati.

L’animale grugnì — ruggì, strillò — e fu il segnale di cui Izuku aveva bisogno per voltarsi e correre.





 

Cercò di tornare dalla stessa direzione in cui era venuto, ma la bestia saltò davanti a lui e Izuku dovette voltare a sinistra per evitarla. Ogni volta che cercava di deviare l’animale si metteva in mezzo, finché Izuku non iniziò a sentirsi come una pecora che veniva riportata nel recinto.










 

Dopo il loro incontro con i selvaggi, Mina e Mashirao si affrettarono a tornare a casa. Se non si fossero fermati, avrebbero raggiunto il villaggio prima dell’alba. Fortunatamente, non pioveva più e la notte aveva portato una brezza fresca che asciugava il sudore dalle loro fronti.

Non appena vide la collina, Mina sorrise perché doveva solo attraversarla per vedere le case che componevano casa sua.

Ma quando arrivò in cima si fermò. Non c’erano luci, né falò, nessun movimento. A Mina ci volle un secondo per capire cosa ci fosse di sbagliato nell’immagine: diversi tetti erano spariti e l’intero paesaggio era di un nero profondo, come il carbone.

Mina e Mashirao si mossero allo stesso momento, senza dire niente scesero il pendio a passo rapido e si separarono appena raggiunto il fondo.

Mina corse dritta verso casa sua. “Mamma!”

Casa sua — quella che chiamava casa — era una struttura nera senza tetto che puzzava di fumo e cenere. I letti erano mucchi neri e dalla cucina erano sopravvissute solo un paio di ciotole che il fuoco non era riuscito a consumare.

“Ika!” Andò nella sua stanza ma il suo armadio, dove sua sorella si nascondeva solitamente, era ridotto in cenere. “Mamma!”

Uscì senza smettere di urlare. Sempre le stesse parole, sperando, desiderando di sentire la voce di sua madre che le rispondeva. Il silenzio nel villaggio era opprimente come il nodo che iniziava a formarsi nel suo petto.

Corse alla casa di Cementos, ma il posto era vuoto e nelle stesse condizioni della sua abitazione.

‘Non c’è più nessuno, sono andati tutti via. Sono scappati.’

Mentre correva attraverso ogni struttura vide in lontananza la figura di Mashirao che stava in piedi senza muoversi.

“Non c’è più nessuno,” disse Mina mentre si avvicinava.

Mashirao non rispose, il volto teso, gli occhi come stagni di lacrime immobili, e la sua coda, che solitamente si muoveva sulla sua schiena, stava per terra, afflosciata.

Mina voltò la testa e li vide. Una pila di corpi carbonizzati, abiti abbandonati, busti neri e volti irriconoscibili. Ce n’erano così tanti che era impossibile contarli. C’erano corpi immensi e piccole figure, tutti con lo stesso destino. Sopra tutti, impalata su una lancia di ferro, oscillava la testa del loro leader.

Le ginocchia di Mina colpirono il suolo con un suono secco. Si portò la mano sulla maglietta, all’altezza del cuore, dove sentiva un tale dolore da non riuscire a parlare. Cercò di dire qualcosa ma la sua bocca riuscì solo a formulare un suono rotto, che si trasformò subito un pianto. Le lacrime iniziarono a fluire incontrollabilmente e Mina si abbracciò mentre i suoi singhiozzi salivano al cielo.

‘Mi dispiace, mi dispiace.’










 

“Hai i risultati del test, Kurogiri?”

“È stato un successo, Generale. Quasi tutti i prigionieri hanno ceduto subito all’incenso.”

“Quasi tutti?”

“Alcuni di loro sono sopravvissuti dopo la prima somministrazione, si sono dispersi nella foresta finché gli effetti collaterali non sono finiti: vomito, febbre, epistassi. Il recupero dei loro corpi è ancora in corso, per ora ne mancano tre, ma è questione di tempo prima che li troviamo.”

“Molto bene. Con il successo dell’incenso Beta hai il permesso di iniziare la produzione e la distribuzione. Dobbiamo sterminare le forze Yuuei che continuano a pattugliare le nostre coste, e iniziare i preparativi per spostare l’incenso attraverso il mare.”

“Ai suoi ordini, Generale… ma signore, c’è anche un inconveniente.”

“Parla.”

“Abbiamo perso il contatto con una delle prigioni vicino al confine Noumu prima degli ultimi trasferimenti. Ho dato ordini di indagare. Ho appena ricevuto un messaggio dal leader che mi informa che la prigione è stata depredata. Le guardie sono morte, le scorte, i carri e i prigionieri sono spariti.”

“Yuuei?”

“No, tutto sembra indicare che ci sia stato uno scontro e che i prigionieri siano scappati. Le mie spie hanno rintracciato il gruppo, si dirigono verso il deserto, forse la loro intenzione è incontrarsi con l’esercito di Yuuei.”

“Quanti sono?”

“È un gruppo numeroso, non ho la cifra esatta, ma sono abbastanza da uccidere tutte le guardie senza aiuto.”

“Chi abbiamo in quella regione?”

“Il gruppo di Iguchi è nella zona. E posso inviare dei rinforzi da una delle caserme più vicine.”

“Fallo. Manda anche dell’incenso.”

“Molto bene, Generale.”

“E dì a Iguchi di identificare il loro leader. I selvaggi combattono sempre insieme a uno, se quello cade, il resto si disperderà come formiche senza testa.”










 

Il corvo arrivò una settimana più tardi, quando Iguchi e i suoi uomini avevano finito di ripulire e si erano accampati vicino alla costa, in attesa di ordini. Dabi si era unito a loro e tutti si stavano preparando a quello che sarebbe stato un assalto alle navi di Yuuei.

La lettera di Dabi risultò essere una sorpresa.

“Che succede?” Chiese Iguchi quando il suo compagno rise dopo aver letto il messaggio.

“I cuccioli sono andati a spasso.”

“Cosa?”

Dabi continuò a ridere e si prese un momento per riprendersi, dopodiché spiegò la situazione tra risate e mormorii increduli.

“Sono scappati?” Disse Iguchi mentre prendeva la lettera. “Come sono usciti?”

“Non ne ho idea,” disse Dabi recuperando un pezzo di carta, “è probabile che le guardie si fidassero troppo l’una delle l’altra.”

“Tu eri in quella prigione, com’era il capitano?”

“Vecchio, ma svolgeva il suo lavoro.”

“Non bene se ora abbiamo una fuga. La prima della storia.”

“Ad ogni modo, il tipo ha pagato con la vita per il suo errore, ora dobbiamo ripulire il suo casino. Raduna la tua gente, dobbiamo raggiungerli prima che arrivino al deserto. Manderò avanti una pattuglia per informarci del numero, della loro posizione e delle loro provviste.”

“Un’operazione di cattura?”

“No. Un’epurazione approfondita.”

Iguchi annuì e si alzò, fortunatamente per loro non pioveva quel giorno. 



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Prossimo capitolo: "Una Notte di Luna Piena"

 
   
 
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