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Autore: Vanessa1995    13/02/2020    1 recensioni
Subito dopo la Ribellione di Robert Baratheon Cersei e Tywin sono sorpresi nell'aprendere che Jaime ha avuto due figli bastardi.
Anni dopo Lord Tywin vive a Castel Granito insieme ai nipoti gemelli. Il vecchio leone lotta per legittimare i nipoti e nominare Damon suo erede. Quello che il leone non può immaginare è che tempi oscuri si stanno avvicinando e Joanna dovrà lottare, insieme al fratello, per sopravvivere al gioco dei troni.
Genere: Angst, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cersei Lannister, Jaime Lannister, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole era sorto da poche ore a illuminare Castel Granito, ma la luce che flirtrava nella camera da letto non sembrava minimamente infastidire la ragazzina coricata sulle lenzuola. Joanna Waters si mosse sotto alle coperte cambiando posizione mettendosi in posizione rannicchiata rivolta verso la finestra della sua camera che dava sul vasto parco del castello.

«Joanna è ora di svegliarsi» la chiamò una voce femminile. Una donna di trent'anni aprì la porta senza attendere una risposta. La Septa teneva i capelli e il capo coperti da un velo di colore grigio chiaro. La donna sorrise alla vista di Joanna che continuava a dormire serena come se niente fosse. Chiuse la porta e si sedette sul letto. Allungò una mano verso il suo viso e le accarezzò i lunghi riccioli scuri. «Joanna, lo sai che tuo nonno vuole che ti svegli alla stessa ora di
tuo fratello» aggiunse. La ragazzina aprì gli occhi e sbatté le palpebre. Si tirò su stiracchiandosi.
«Buongiorno, Davina» la salutò allungando le braccia esili. Sapeva che suo nonno si sarebbe arrabbiato se avesse scoperto che aveva dormito più di suo fratello. Perché fosse importante che si svegliasse alla stessa ora di Damon era un mistero per la bruna. Non aveva la sensazione che suo nonno ci tenesse particolarmente a lei se l’avesse fatto avrebbe dato una bella lezione ha suo fratello facendogli passare la voglia di picchiarla spesso senza motivo.

«Vi consiglio di vestirvi e in fretta. Vostro nonno e vostro fratello vi stanno aspettando per la colazione» annunciò la Septa aprendo l'armadio di legno scuro a due ante, tirandone fuori un vestito di colore verde chiaro che si abbinava perfettamente ai suoi occhi. Lo posò sul letto e poi uscì dalla stanza senza dire altro. Joanna tirò un sospiro e si alzò. Allungò le braccia per stiracchiarsi ancora e con la punta delle dita della mano sfiorò la seta del abito. Si tolse la camicia da notte bianca che indossava. Questa cadde sul pavimento in un cumulo di stoffa. La raccolse e indossò il vestito che aveva scelto per lei la Septa. Le piaceva, aveva fatto lei stessa i piccoli ricami con filo blu sotto e sopra alla gonna  oltre che infondo alle maniche, era brava a ricamare. Non aveva chissà quale talento, ma se la cavava, forse perfino meglio di sua cugina Myrcella. A parte che era da tempo che non la vedeva ed era possibile che fosse migliorata nel ricamo. Indossò il vestito e poi si sedette alla toeletta per spazzolarsi i lunghi riccioli scuri. Pochi minuti dopo si ritrovò a bussare alla porta del solare di suo nonno. Non c'era nessuno a parte lei nel corridoio, era probabile che a quest'ora tutti stessero facendo colazione o si stessero preparando per la giornata che li aspettava; era possibile che i servi fossero già al lavoro intenti a pulire il castello da cima affondo. 

«Avanti» disse Tywin dal dentro la stanza. Suo nonno e suo fratello erano seduti al tavolo apparecchiato. Suo nonno stava sorseggiando da un calice probabilmente acqua: non beveva mai vino al mattino al contrario di suo figlio Tyrion. Damon era seduto alla sua destra al suo solito
posto. La bruna si avvicinò al tavolo e si accomodò sulla sedia a sinistra del leone e davanti al fratello in corrispondenza del terzo piatto, posate e calice che un servo aveva messo sul mobile quando aveva apparecchiata per tre. Al centro c'era un cesto pieno di frutta con vicino tre brocche. Un servo si mise alle spalle di Joanna e ne prese una rovesciandovi il contenuto che si rivelò essere acqua, per poi riposarlo al suo posto. Joanna prese il calice e ne bevete un sorso. «Ti stavamo aspettando per fare colazione che fine avevi fatto? Mi auguro tu non abbia dormito troppo» notò con tono severo l’uomo più anziano. «Sono rimasta addormentata e mi ha svegliato Davina» rispose lei tranquillamente. Non le importava se si sarebbe arrabbiato. Tywin la fissò per qualche secondo in silenzio senza dire una parola. «Per favore portami del té» disse lei rivolgendosi al servo che le aveva servito l’acqua. L’uomo fece un cenno di assenso con la testa. C’erano altri due servi nella stanza che restavano in disparte pronti ad assecondare ogni loro bisogno. Restavano in piedi vicino al muro, apparivano impassibili quasi come fossero statue di pietra. «Più tardi hai lezione con la tua Septa, cerca di non arrivare in ritardo anche lì» si raccomandò Tywin. Joanna si limitò a fare un cenno di assenso con il capo e prese una mela dall’interno del cestino per tagliarsene uno spicchio e portarselo alle labbra.

Suo fratello si sarebbe allenato nell’uso della spada. Normalmente lui passava le sue giornate con il suo addestratore e lei con Davina: in ogni modo era ben felice di stargli lontano per qualche ora. Suo nonno si sarebbe occupato come di consueto dell’amministrazione del castello. Prevedeva che quella sarebbe stata una classica giornata a Castel Granito. 

-***-

Ad Approdo del Re, nella torre riservata ai membri della Guardia Reale, Jaime Lannister era seduto al suo scrittoio intento al redigere una lettera al padre nella quale gli comunicava che il re desiderava che lui e i suoi nipoti si recassero nella capitale.

Gli mancavano i suoi ragazzi; Cersei non l’aveva mai perdonato sul serio per il suo tradimento, e se avesse abbandonato i bambini, se ad esempio li avesse mandati a Lancia del Sole dai loro cugini, adesso la sua vita sarebbe sicuramente stata molto più tranquilla: sua sorella non avrebbe saputo di Aliandra e non lo avrebbe mai odiato, tuttavia in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto mai fare una scelta del genere. Non che avesse fosse stato così differenza alla fine, visto che Cersei aveva fatto in modo di tenerli lontano da lui, facendoli vivere a Castel Granito con la scusa che un membro della Guardia Reale non avrebbe dovuto avere figli.

Qualcuno bussò alla porta e il biondo sollevò la testa dalla pergamena sulla quale stava scrivendo, posando la piuma sul tavolo al lato del foglio. «Avanti» disse.

La porta si aprì e Maester Pycelle entrò nella stanza. Il vecchio e grosso maester era fedele ai Lannister invece che al re. Per anni aveva coperto la relazione di Jaime e Cersei e che il gemello della regina era il vero padre dei tre figli della consorte del re. Se si fosse scoperta la verità erano spacciati. Questa volta Jaime dubitava che se la sarebbe cavata dopo che aveva ammazzato Aerys. «Il re mi ha chiesto di mandare una lettera a Castel Granito. Vuole che i vostri figli vengano ad Approdo del Re. Penso che la legittimazione sia vicina» spiegò. Jaime si drizzò in piedi dalla sedia. Non era stupito, sapeva che da tempo suo padre premeva sul sovrano affinché legittimasse i suoi figli. Damon sarebbe diventato il prossimo Lord di Castel Granito e Joanna avrebbe sposato qualche lord. Se suo padre voleva scegliere uno sposo o una sposa per uno dei suoi figli prima avrebbe dovuto fare i conti con lui. Non avrebbe permesso a Tywin di dare Jo ad un uomo di buona famiglia, ma abbastanza vecchio per essere suo padre o peggio suo nonno. «Bene. Damon ne sarà contento» disse. A Jo non era mai importato più di tanto del nome Lannister ma al contrario aveva l’impressione che ha suo figlio desse particolarmente fastidio. 

«Non voglio sembrare scortese, ma è passato un mese dall’ultima volta che mi avete dato i miei soldi» disse il Maester con un tono che non gli piacque per niente. Jaime aprì l’armadio si chinò sul fondo e sollevò la lunga tavola di legno che lo componeva, dal sottofondo dell’armadio prese un sacchetto di cuoio. Si sentì un tintinnio di monete. Aprì il sacchetto e tirò fuori alcune monete che diede al Maester. «è sempre un piacere fare affari con voi Ser Jaime» disse l’altro contando le monete. Una parte del leone moriva dalla voglia di strangolare quell’avvoltoio che da anni lo ricattava. «Andatevene!» tuonò aprendogli la porta. L’uomo non se lo fece ripetere due volte e lasciò la stanza. Jaime sbatté la porta e si passò una mano tra i capelli dando le spalle alla porta. Incominciava ad essere stufo di Pycelle, doveva trovare un modo per sbarazzarsi di lui, però ma suo padre ne aveva bisogno, era la sua spia all’interno della Fortezza Rossa. Jaime si risedette al suo scrittoio e finì la lettera che stava scrivendo. Tra qualche giorno i suoi figli sarebbero tornai nel luogo dov’erano nati. 

 

-***-

 

Qualche giorno dopo, i due ragazzi erano ognuno in groppa ad un cavallo. Damon cavalcava davanti alla sorella uno stallone dal manto nero e dal carattere irruento come quello del suo padrone. Melody, la giumenta che aveva in groppa Joanna, era un regalo di suo padre per il suo decimo compleanno. Aveva un manto bianco candido come la neve e una lunga criniera dello stesso colore tutta intrecciata, le cui piccole trecce erano legate da nastri dorati; era stata lei stessa a fargliele, adorava intrecciarle la criniera. I gemelli stavano cavalcando lungo la strada principale di Approdo del Re che conduceva fino al castello. C’erano diverse persone che camminavano lungo la via alcuni si fermavano a guardarli. Dietro di loro c’era una piccola carrozza trainata da un cavallo che portava i loro bagagli e Davina.

«Presto raggiungeremo la Fortezza Rossa. Per favore sorella cerca di non farmi vergognare ed evita di parlare» esclamò il giovane lanciando un’occhiata alla sorella per poi concentrarsi nuovamente sulla strada. La giovane non rispose capendo che era preferibile tenere la bocca chiusa. «Così mi piaci: silenziosa» aggiunse Damon. A quanto pare aveva fatto la scelta giusta decidendo di tenere la bocca chiusa. Cavalcarono fino alla Fortezza Rossa. Davanti al portone trovarono ad aspettarli Jaime che non era solo, con lui c’era pure Lord Tyrion, era da tempo che i gemelli non vedevano lo zio come del resto il padre. Tyrion aveva avuto la sfortuna di nascere nano e il padre l’aveva sempre screditato, non riconoscendogli la sua grande intelligenza.

C’è l’aveva con lui per essere nato affetto da nanismo e per aver “ucciso” la madre venendo al mondo: Lady Joanna Lannister, prima e unica moglie di Tywin dalla quale la nipote prendeva il nome.

«Benvenuti» disse Jaime facendo alcuni passi verso di loro. Indossava l’armatura della Guardia Reale con il suo bianco mantello. Allungò una mano verso la figlia e l’aiutò ha scendere da cavallo. L’adolescente sorrise e lo abbracciò: «Mi sei mancato molto» disse, rompendo l’abbraccio sorridente. Il padre le prese il viso tra le mani sfiorandole la fronte in un tenero bacio per poi stringerle le spalle. 

«Anche tu mi sei mancata Jo» disse, utilizzando il nomignolo che Myrcella le aveva dato anni prima. Sentendosi chiamare così Joanna pensò subito alla cugina: «Come stanno la principessa Myrcella, il principe Tommen e il principe Joffrey?» chiese. L’erano mancati i due cuginetti più piccoli, ma Joffrey per niente, era una persona dal carattere troppo simile a quello di suo fratello per i suoi gusti. Il lato positivo era che, almeno per quanto ne sapeva lei, non picchiava i fratelli minori senza motivo.

«Stanno bene. Anche Cersei» rispose. Non sembrava infastidito dal fatto che non avesse chiesto di sua zia, probabilmente se lo aspettava. Cersei odiava Joanna e Damon e la ragazza non ne aveva mai compreso la ragione, era come se la loro nascita la infastidisse e la bruna pensava che potesse dipendere dal fatto che erano illegittimi e quindi che la loro nascita aveva provocato la vergogna della loro famiglia.

Jaime salutò il suo gemello, Davina scese dalla carrozza e piccola perla si avvicinò a suo zio Tyrion che era rimasto in disparte.

«Zio come stai?» si erano scritti qualche volta e le era mancato, con tutti i suoi difetti. Lord Tyrion amava troppo il vino per i gusti della leonessa, tuttavia era un uomo di straordinaria intelligenza, sebbene Lord Tywin non voleva riconoscerlo. Quando la gente lo guardava riusciva a pensare solo che era un nano, esattamente come quando il loro sguardo si posava su Damon e su di lei: il popolino riusciva solo a pensare che erano bastardi.

«Bene. Mia cara sei più bella ogni anno che passi e dimmi come sta mio padre, Lord Tywin?».

Nonostante la domanda, Joanna aveva la netta impressione che gli importasse poco del padre e che quella, facesse solo parte dei convenevoli dettati dalla buona educazione.

«Sta bene, è molto impegnato a Castel Granito e ha preferito mandare solo me, Damon e Davina» rispose. Suo zio non appariva per niente dispiaciuto all’idea di non vedere il padre, anzi osava perfino dire che ne fosse sollevato.

«Amministrare un castello comporta una miriade di responsabilità. C’è sempre da fare» esclamò il nano per poi rivolgersi a Damon che nel frattempo si era avvicinato a loro: «Nipote come stai. Hai fatto un buon viaggio?» chiese.

«Non è stato male zio» aveva sottolineato l’ultima parola. Damon non manifestava apertamente il suo disprezzo nei confronti di Tyrion al contrario di Joffrey, tuttavia era chiaro che lo disprezzasse altrettanto quanto il cugino e questo non era un mistero per nessuno soprattutto non per il Folletto e la nipote.

«Sono contento che avete fatto un buon viaggio, immagino che sarete stanchi» notò. Soltanto adesso che l’aveva detto Joanna si rese conto di quanto fossero effettivamente veritiere le sue parole, non vedeva l’ora di riposarsi un po’ nella sua nuova camera.

«Tyrion ha ragione avete bisogno di riposarvi e di fare un bel bagno dopo il lungo viaggio che avete dovuto affrontare per venire fin qua» intervenne Jaime. La figlia non si era accorta che gli avesse raggiunti. Insieme a lui c’era Davina che appariva seria e silenziosa, mentre alcuni servi stavano provvedendo a scaricare i loro bagagli. «Vi accompagnerò nelle vostre stanze e poi vi manderò qualcuno che vi aiuti a sistemarvi» propose.

Jo, alla quale la proposta sembrava un’ottima idea, fece un cenno di assenso con la testa. Jaime li accompagnò fino all’ala della Fortezza Rossa destinata agli ospiti, per il momento li avrebbero sistemanti lì a quanto pare. Per prima cosa accompagnò Joanna nella sua camera da letto: la stanza era più o meno delle stesse dimensioni della sua a Castel Granito ed anche se  non c’era nessuna porta che dava sul balcone, alla bruna non sembrò importare. Gli occhi scuri della giovane caderò sulle colonne del letto a baldacchino e avanzando verso di esso, la punta delle dita andò inconsciamente a sfiorarne una. Le coperte e le tende erano di colore rosso come quelle che aveva a casa.

«Questa sarà la tua stanza finché resterai qui» la informò Jaime.

La giovane non rispose e si guardò attorno.

I mobili erano simili a quelli che aveva a casa, mancava solo il baule con inciso sul coperchio l’iniziale del suo nome. Al momento la ragazza indossava degli abiti da uomo: aveva scelto di indossare quelli per essere più comoda quando cavalcava;  la camicia l’aveva infilata nei pantaloni che erano legati da una cintura e ai piedi portava degli alti stivali di cuoio, i lunghi capelli scuri erano legati in un treccia.

«è carina» commentò lei sinceramente colpita; non le dispiaceva davvero in effetti. 

Il biondo fece un cenno di assenso con il capo e aprì la porta: «Vado ad occuparmi di tuo fratello. Appena possibile ti mando una serva che ti aiuti a sistemarti» disse lasciando la stanza chiudendo la porta dietro di se.

Non passò tanto tempo da sola che qualche minuto dopo qualcuno bussò alla porta. Joanna l’aprì. A bussare era stata una donna di mezza età con indossò un abito di colore grigio chiaro che presentava una grossa toppa sulla gonna. Portava i capelli grigi raccolti dietro alla testa.

«Sono Aretha, vostro padre mi ha chiesto di prendervi cura di voi»Jo la lasciò passare e la donna varcò la soglia della porta piazzandosi al centro della stanza. Non fece in tempo a chiudere la porta che un servo arrivò con il suo baule. Gli disse di metterlo ai piedi del letto e l’uomo ubbidì. Una volta eseguito l’ordine si voltò e se ne andò.

«Per favore potresti procurarmi una tinozza e dell’acqua calda per il bagno?» chiese aprendo il baule e tirando fuori un cofanetto. Lo posò sulla toeletta: lo specchio sopra al mobile era appoggiato contro la parete ed era più grosso rispetto a quello che aveva a casa. Si levò gli orecchini d’oro che indossava e li mise insieme agli altri gioielli.

«Vi procurerò subito l’acqua e una vasca dove potrete fare il bagno» disse la serva apprestandosi ad uscire dalla camera.

«Ah, Aretha Procurati anche qualche olio profumato» non aveva alcuna intenzione di mantere addosso l’odore del viaggio e dei cavalli che sembrava attaccarsi così strenuamente alla sua pelle. L’altra annuì ed uscì dalla stanza.

Rimasta sola la leonessa incominciò a sistemare la sua roba all’interno dell’armadio, era più grosso rispetto a quello al quale era abituata e quando ebbe finito di sistemare i suoi vestiti era rimasto un discreto spazio. La cameriera tornò presto con una tinozza che si apprestò a riempire di acqua calda al quale aggiunse l’olio profumato che odorava di rose che Jo aveva scelto.. Quando la vasca fu pronta, la bruna le si avvicinò e si slegò la treccia per poi immergersi nell’acqua fumante.

«Grazie, puoi andare» disse. Aretha aprì la porta e se ne andò lasciandola finalmente sola al suo bagno ristoratore. Piccola perla tirò un profondo sospiro e si sedette sul fondo della tinozza. Doveva tenere le gambe piegate per poterci stare: appoggiò la schiena contro la parte alle sue spalle, chiuse gli occhi e infilò la testa sott’acqua sfregandosi i capelli in modo da poterli lavare meglio. Ne avevano proprio bisogno come il resto del suo corpo.

Tirò fuori la testa dall’acqua e la poggiò contro il bordo cercando di rilassarsi. Lentamente, complice la stanchezza per il viaggio, si assopì. Il suo sonnellino durò circa mezz’ora quando venne destata da un bussare alla porta. L’acqua della vasca ormai era tiepida. Si stiracchiò sollevando le braccia sentendosi stranamente più stanca di prima.

Si sollevò dalla tinozza ed uscì, avvolgendosi attorno al corpo un panno lungo e bianco che aveva recuperato da una sedia sicuramente lasciato da Aretha per potersi asciugare non appena avesse finito.

«Chi è?» domandò indossando un abito di colore blu che aveva trovato disteso sul letto.
«Tuo fratello!» Jo sussultò nel sentire quella voce che le provocò nell’immediato una morsa allo stomaco.

Velocemente allacciò i lacci del vestito, posò il panno sul letto e aprì la porta. Damon non sembrava di buon umore. Le diede una piccola spinta colpendola allo stomaco per spostarla da davanti alla porta. Jo chiuse la porta: come al solito suo fratello era stato fin troppo gentile.
«Cosa vuoi?» chiese freddamente, dimenticandosi che parlargli in quei termini sarebbe stata una pessima idea. Damon infatti le rispose con un’occhiata fulminante, tant’è che Jo avrebbe voluto ritirare ciò che aveva detto, ma non fece in tempo ad aprire bocca per tentare di scusarsi che Damon la aggredì verbalmente.

«Come osi parlarmi con questo tono?» chiese infastidito. Stava incominciando ad innervosirsi ed erano bastate poche parole dette nel modo sbagliato. 

Jo, seppur intimidita non riteneva di essere stata tanto maleducata, ma quando Damon fece un passo verso di lei, istintivamente indietreggiò, arrivando inavvertitamente a trovarsi spalle alla porta. Si spostò di lato e indietreggiò di nuovo volendo mettere più distanza possibile tra lei e suo fratello: col passare del tempo aveva imparato ha riconoscere quando stava per arrivare una delle sue sfuriate.

«Mi dispiace» disse sinceramente mortificata anche se in realtà le dispiaceva più per se stessa in quanto sapeva cosa le sue parole o le sue azioni potevano comportare.

Suo nonno per quanto severo non l’aveva mai picchiata. L’aveva sgridata, rinchiusa nella sua stanza per punizione, però non ricordava una sola volta che avesse alzato le mani.

«Quante volte ti ho detto che devi portarmi rispetto? è  forse rivolgendoti a me con quel tono che pensi di portarmi rispetto?» chiese avanzando pericolosamente verso di lei.

Joanna si trattenne dal dirgli che non le sembrava di avergli mancato di rispetto, ma invece cercò di andargli incontro quietando la sua animosità: «Damon, mi dispiace ti prometto che non lo farò più» disse sollevando le mani come se questo avesse in qualche modo potuto fermarlo.

Il suo gemello sollevò la mano destra e la ragazza sentì riempirsi gli occhi di lacrime: «Damon, ti prego non era mia intenzione te lo giuro» supplicò. Le lacrime minacciavano di sfuggire al suo controllo Jo, d’un tratto intrecciò le dita delle mani come se fosse in preghiera.

«Incomincio ad essere stufo di tutte le promesse che non riesci a mantenere. Si impara dai propri errori» le disse afferrandole il polso destro, stringendoglielo con una tale forza che Joanna già immaginava il segno che  sarebbe rimasto sulla sua pelle. Damon la tirò verso di se: «Devi imparare sorellina che le promesse si mantengono altrimenti si viene puniti! » le disse mentre già aveva una vaga idea su come intendeva punirla. Le lasciò il polso solo per tirarle uno schiaffo. Jo se lo aspettava e non era sorpresa.«Sei una stupida! Non sei capace di imparare dai tuoi errori» imprecò luoi furioso. Joanna indietreggiò, aspettandosi l’arrivo di un altro schiaffo, ma la porta della camera si aprì di colpo. I gemelli si voltarono verso di essa.

Un uomo all’incirca della loro stessa età era in piedi sulla soglia della porta. Aveva i capelli color biondo scuro, mossi che gli arrivavano quasi fino alle spalle: «Scusate, ho sentito urlare» disse.

I suoi occhi caderò su Joanna. Lei si strinse la parte superiore delle braccia con le mani, consapevole che doveva sembrare provata ed era possibile che la sua guancia fosse rossa per via dello schiaffo che aveva appena ricevuto.

«Non penso siano affari vostri…» lo accolse infastidito Damon che guardò interrogativo il nuovo arrivato, il quale aveva probabilmente salvato la sorella dal ricevere un secondo schiaffo.

«Ser Loras Tyrell» si presentò. In quel momento alla ragazza sembrava l’uomo più bello del mondo e si sentiva un po’ come una di quelle dame in pericolo delle canzoni che veniva salvata da un cavaliere e Loras era un cavaliere a tutti gli effetti. Joanna aveva sentito parlare di lui, era al servizio di Lord Renly Baratheon, il fratello minore del re.

«Felice di avere fatto la vostra conoscenza, ma ora, se non vi dispiace, avrei necessità di riprendere in mano la con mia sorella» disse freddamente Damon. Loras aprì la bocca come per ribattere, ma venne preceduto da una persona la cui voce Jo conosceva bene.

«Quale discussione?» chiese Jaime apparendo accanto a Loras. Teneva le braccia intrecciate: «Damon vieni con me »il suo tono non ammetteva repliche. Senza fiatare il leone dai capelli scuri seguì il padre fuori dalla camera.

Loras rimase da solo insieme a Joanna: «Grazie. Mio fratello non ha un bel carattere» disse lei sistemandosi una ciocca dietro all’orecchio. Le veniva istintivo giustificarlo.

«So che siete arrivati oggi dopo un lungo viaggio da Castel Granito immagino che sia stanco» ipotizzò Ser Loras. Lei annuì in conferma.

«Mi auguro che nei prossimi giorni si dimostri una persona più tranquilla. Buona giornata… Joanna, giusto?» continuò incerto.

«Si, Joanna. Siamo i figli illegittimi di Jaime Lannister» confermò.

La gente li guardava perennemente dall’alto in basso per via delle loro origini. Nessuno l’aveva mai trattata come una signora con lo stesso rispetto che si rivolgeva alle persone di alto lignaggio,  e in fin dei conti lei non poteva ritenersi tale, era solo la figlia bastarda di un cavaliere. «Buona giornata» le augurò Loras prima di andarsene come gli altri due. 

Joanna ebbe d’un tratto la disarmante sensazione che avrebbe potuto benissimo perdere la testa per lui e come darle torto? Loras era talmente affascinante e l’aveva salvata dalla furia di un leone arrabbiato. Inaspettatamente si rese conto che non l’aveva neanche ringraziato e corse fuori dalla stanza sperando di trovarlo ancora nel corridoio.

Loras aveva fatto pochi passi.

«Grazie, per prima» esclamò la ragazza. 

Il cavaliere si voltò verso di lei: «Dovere mia Signora, spero piuttosto che in futuro non ci sia più bisogno del mio intervento» rispose.

In quell’istante comparve Lord Renly che quando li vide accelerò il passo fermandosi vicino al cavaliere.
«Va tutto bene?» non stava chiedendo a lei bensì al Tyrell.

«Sì, Joanna, la figlia di Ser Jaime ha avuto una discussione con il fratello e io sono intervenuto» spiegò.

Renly somigliava a suo fratello da giovane, o almeno così girava voce, era di bell’aspetto con i capelli scuri e gli occhi azzurri come quelli del Re. Si diceva che pure Robert un tempo era stato magro e forte come il fratello, mentre adesso era ridotto ad una palla di lardo perennemente ubriaca.

«Oh, voi dovete essere Joanna Waters, la figlia di Jaime Lannister» disse, «Non assomigliate affatto ha vostro padre» aggiunse poi.

Non era il primo che glie lo diceva. Strano che nessuno fino a quel momento non avesse insinuato che lei e Damon non fossero davvero figli di Jaime, o forse l’avevano fatto e lei semplicemente non lo sapeva.

«Io e mio fratello abbiamo preso da nostra madre», rispose ripetendo quello che suo padre diceva in continuazione. Lei e Damon avevano l’aspetto tipico dei dorniani: capelli, occhi scuri e pelle olivastra. Alcuni che le avevano conosciute, dicevano che assomigliavano entrambi alla madre e alla principessa Elia Martell, cugina di Aliandra. In particolare Jo, sembrava assomigliasse ad Elia, anche se perfortuna, non aveva la sua stessa salute cagionevole.

Le sarebbe piaciuto visitare Dorne, peccato che suo padre non sembrava intenzionato a darle il permesso e del resto i principi di Lancia del Sole, che in teoria erano suoi cugini, non le avevano mai scritto in  tutti quegli anni. 

«Si, ho sentito parlare di Aliandra »rispose Renly.

Il tono della sua voce era gentile, le sembrava un tipo apposto.

Poi il fratello del Re si rivolse a Loras: «Andiamo?» chiese.

Il cavaliere annuì; «Spero ti troverai bene qui Joanna» disse rivolgendosi alla bruna che si limitò a fare un cenno di assenso con la testa.

I due uomini si allontanarono.

Poco dopo la leonessa bussava alla porta della camera di una persona che era sicura fosse contenta di vederla. La porta si aprì e le labbra della giovane si curvarono in un sorriso alla vista di Myrcella. La bambina socchiuse le labbra sorpresa di vederla poi sorrise cingendole le braccia attorno al corpo e poggiandole la testa contro la pancia: «Joanna!» disse rompendo l’abbraccio.

La prese per mano e la condusse dentro alla stanza.

L’arredamento era lo stesso di quando c’era stata l’ultima volta. La principessa la condusse fino al letto dove si sedettero e Jo le diede una carezza alla guancia: era cresciuta dall’ultima volta che l’aveva vista, era bella come sua madre ed era uguale a lei. Gli stessi lunghi capelli dorati e gli stessi occhi verdi. Indossava un vestito di colore rosa.

«Mi sei mancata molto. Come stai?» domandò.

La bambina scrollò le spalle, sembrava di buon umore quel giorno: «Sto bene. Stiamo tutti bene. La mia Septa dice che diventò sempre più brava a ricamare e che sono una bambina molto ben educata» affermò e l’altra le accarezzò nuovamente la guancia; da lei non si aspettava niente di diverso. Myrcella era una bambina dolce e buona, le ricordava lei alla sua età.

Non aveva avuto un’infanzia spensierata come quella della cugina principalmente per via del fatto che aveva un fratello pazzo e irascibile che usava ogni scusa per tirarle uno schiaffo o un pugno. Sapeva bene che pure Joffrey aveva un brutto carattere e non riusciva a capire chi dei due fosse peggio.

«Oggi pomeriggio vuoi venire a fare un giro dei giardini insieme a me? Vorrei mostrarti il roseto» propose.

Jo annuì, era difficile dirle di no, le diede una carezza ai capelli chiari e morbidi, le era mancato il suo dolce profumo e non vedeva l’ora di passare più tempo possibile con lei.

Myrcella le sorrise dandole un altro abbraccio caloroso.


-***-

Quel pomeriggio, poco dopo che Myrcella aveva finito la sua lezione con la sua Septa, le due cugine si incontrarono in giardino. Quando Joanna arrivò la bionda era seduta su una delle panchine e con le mani  ne stringeva il bordo. Jo si sedette accanto a lei: «Com’è andata la lezione di ricamo?» chiese; che avessero ricamato era soltanto un ipotesi, in realtà avrebbero potuto avere fatto qualunque altra cosa.

«Veramente abbiamo bevuto tè e ripassato come ci si comporta a tavola» rispose, 

«Alla prossima lezione parteciperai anche tu? Ho chiesto alla mia Septa e per lei va bene» propose. 

Joanna aveva già la sua Septa Davina, sebbene le avesse insegnato più che altro l’indispensabile dato che era una bastarda. «Parteciperò volentieri» accettò. Per lei sarebbe stato un’onore ed era una buona occasione per passare più tempo con sua cugina. Le prese la mano destra stringendogliela piano e si sollevarono dalla panchina nello stesso momento. Le cinse le spalle con un braccio e si incamminarono verso il roseto che era poco distante. Camminarono per pochi metri, Myrcella sapeva bene quanto la cugina adorava le rose, erano il suo fiore preferito e non importava di che colore fossero, a lei piacevano tutte, sebbene avesse una predilezioni per quelle gialle. Il roseto non era cambiato dall’ultima volta che Joanna c’era stata, le piante erano poste a cerchio e al centro c’era una piccola fontana con una statua che raffigurava una bella fanciulla che teneva a braccetto un cestino pieno di rose, dalla cui rosa più grande fuoriusciva l’acqua. Chiunque avesse realizzato quella statua aveva di certo creato un capolavoro. 

«Tieni». Intenta a fissare i tratti delicati del viso della statua e a chiedersi se lo scultore si fosse ispirata ad una donna in particolare, Jo non si era accorta che la principessa si era avvicina ad una delle prime piante di rose cogliendone un fiore. Gli occhi scuri della bruna caderò sul bocciolo bianco che Myrcella le porgeva. Lo prese ammirandolo in tutta la sua semplice bellezza: «Grazie»disse. 

Le piacevano le cose semplici, con la punta del dito indice della mano destra, sfiorò un petalo del bocciolo chiedendosi se e quando sarebbe sbocciato; era curiosa di vederne l’ìnterno.

Raccolse a sua volta una rosa per la bambina di colore giallo e gli è la porse.

Al contrario della sua, questa era già sbocciata.

A Myrcella non piacevano le rose quanto a lei, però poco importava.

Ammirarono il resto dei fiori che erano almeno un centinaio tra sbocciati o no.

Joanna avrebbe presto imparato che la sua “cara” zia Cersei non tollerava il fatto che passasse tanto tempo con uno qualsiasi dei suoi figli.

Dopo tutti quei anni non era ancora riuscita ha comprendere per quale ragione sembrava

odiare tanto lei e suo fratello.

Cosa mai potevano averle fatto?



 

   
 
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