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Autore: Manto    21/02/2020    3 recensioni
❤ Seconda classificata al contest 'In Every Other Universe' indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP
❤ Seconda classificata al contest "November Rain" indetto da MaryLondon sul Forum di EFP
(TamaNeji)
Otto passi: otto scene in cui Nejire comprende quanto non possa essere lei senza il timido, dolce ragazzo del Grande Trio.
Otto istanti per affrontare insieme anche la morte.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mirio Togata, Nejire Hado, Tamaki Amajiki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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DISCLAIMER: I personaggi sotto trattati non mi appartengono.
La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.

 

 

Otto Volte

 

 

 

 

La prima volta che Nejire lo sente, non sa che la loro strada è appena iniziata.
La turchina incontra il ragazzino sotto l’acquazzone autunnale che ha preso in ostaggio la città, nel vento che le strappa di mano l’ombrello con cui affronta i capricci della tempesta: ancor prima che lei possa iniziare a inseguire la sua unica protezione, è Tamaki che ferma il fuggitivo e lo raccoglie da terra, per poi porgerglielo. Le gocce scorrono sul viso della fanciulla e fanno risplendere i suoi capelli come perle, lasciano apparire un sorriso anche in mezzo a quel caos.
«Grazie, credo proprio che tu mi abbia salvato! Però…», esclama lei mentre guarda il moro tremare, coperto a malapena da un giubbino ormai bagnato quanto lui, «sei fradicio anche tu! Ecco, aspetta.» Gli si avvicina e allunga l’ombrello così da proteggere entrambi, senza attendere un attimo di più, «non è tanto, ma ora dovrebbe andare meglio, vero? Se vuoi ti posso accompagnare…»
Tamaki arrossisce con violenza, poi accenna a sua volta un sorriso; non con la sua stessa forza, ma può bastare. Il suo corpo parla ancor prima che lo faccia la voce. «Sei gentile, ma non posso fermarmi», le sussurra mentre abbassa il capo, «sono già in ritardo. Grazie comunque, e… e niente, scusami.»
Nejire annuisce e per un istante — il tempo che lui rimane ancora lì — fissa con curiosità il volto dell’altro, specie quei begli occhi notturni che evitano di guardarla di rimando; e passano i secondi, diventano minuti, prima che si rimetta in cammino.
Improvvisamente il rumore della pioggia si fa più attutito e l’acqua che le scorre fin nel colletto della camicetta non è gelida come prima, giunge perfino a calmarsi tra le luci della città; quella smorfia di tenerezza che ha sul viso, invece, rimane con lei ancora per parecchie ore.

 

 

 

La seconda volta che Nejire lo trova, sono passati almeno tre anni da quell’incontro sotto la pioggia, sono entrambi cresciuti e solamente per caso si sono trovati nella stessa classe di liceo: eppure lei riconosce immediatamente quello sguardo timido.
Anche Tamaki sembra fare lo stesso e si sofferma un lungo istante sul suo viso; quindi china il capo appena lei sorride, arrossendo fino alla radice dei capelli.
Per un primo momento la giovane lo lascia in pace e sfrutta tutte le proprie energie per conoscere l’intera classe e farsi conoscere, osservando intanto come il moro parli e sia tranquillo solamente con il ragazzo dai capelli biondi che gli siede vicino; ma appena la giornata finisce e le loro strade s’incrociano sulla porta dell’aula, lei libera tutto l’entusiasmo e gli si para davanti. «Ciao! Sono contenta che quella tempesta non ti abbia portato via e ti ringrazio ancora per avermi aiutato», esclama prima di fare un lieve inchino, «mi chiamo Hado Nejire, lieta di conoscerti. E, oh», s’interrompe sgranando gli occhi e allungandosi verso il volto di Amajiki per guardare meglio, «ma tu hai le orecchie a punta! Sono così cariiiine! … Sei forse un elfo?»
Il giovane non replica ma si ritrae leggermente quando si ritrova la ragazza a pochi centimetri da sé, quindi balbetta qualcosa e sposta lo sguardo altrove, il volto paonazzo.
Nejire ride senza schernire, allontanandosi di qualche passo. «Nel caso ci trovassimo sotto un altro temporale, ricordati che ti devo un favore. E non scappare mai più come quella volta, non è il modo di comportarsi con una signorina!»
Questa volta, però, è proprio la ragazza a fuggire; e Tamaki rimane il solo a sentire ciò che di lei resta mentre la luce penetra nell’aula e una voce dolcissima fa tintinnare un pomeriggio qualunque, in una vita già un po’ diversa.

 

 

 

La terza volta che il cuore di Nejire respira, il cielo è diviso in due dalla scia di un aereo e l’estate sta riempiendo l’aria con più calma del normale.
Sono già passati due anni di liceo: lei è riuscita a diventare la ragazza più tenera dell’intera classe — se non di tutto l’istituto, a essere una delle migliori studentesse di esso e a legarsi così tanto a Mirio e Tamaki da essere quasi un’unica cosa con loro. “Il Grande Trio”, così sono noti ovunque: un nome che la riempie d’orgoglio e carica al solo pensiero di essere associata a due persone simili.
Sono come sfaccettature di una stessa gemma, ma comunque con qualità e obbiettivi diversi: si completano, si legano senza scomparire l’uno nella luce dell’altro e si comprendono a vicenda più di quanto, forse, non facciano con sé stessi; e nell’espressione “volersi bene” l’anima riconosce le varie sfumature dei legami e cosa improvvisamente nasca dall’amicizia, si evolve per incontrare ciò che l’esalta.
Così, quella di Nejire sa che Mirio è un tornado di buonumore, un amico leale e una persona piena d’iniziativa; ma è innegabile che la ragazza si sia affezionata al più timido fra loro con un trasporto fuori dal comune. Tamaki la intenerisce e le insegna ad attendere, ma anche a incoraggiare e a portare nella vita del giovane un vento vivace; le fa comprendere che pure tra caratteri opposti ci sono sempre punti comuni dove poter crescere insieme e che perfino lei è capace di rimanere in silenzio, sedersi o camminare vicino al moro e ascoltare semplicemente ciò che la circonda.
Anche questa volta, alla fine delle lezioni e quando raggiunge Amajiki nel cortile del liceo, non parla per lunghi istanti.
Il ragazzo la sente arrivare e, voltandosi per guardarla, riconosce immediatamente che è successo qualcosa d’importante: basta vedere come gli occhi blu siano così ricolmi di voce da luccicare e il respiro corto della loro proprietaria denoti che stia trattenendo un intero mondo dentro di sé. «Va tutto bene, Hado-chan?», le chiede mentre le si avvicina, leggermente preoccupato dal suo serrato silenzio.
«Amajiki-kun…», sussurra infine lei, «ti ricordi gli articoli che ho scritto nel blog di scienze, sulle dinamiche sismiche nella Cintura di Fuoco? Ecco, mi è appena arrivata una mail da un professore della Kandai[1]: vorrebbe parlarmi.
Ha accennato a un concorso internazionale per i migliori articoli scientifici scritti da studenti, una grossa competizione che mette in premio per i primi classificati un periodo di permanenza in un’università americana che si occupa di scienze naturali…
… Insomma, se dovessi partecipare e arrivare sul podio, potrei assistere a lezioni di oceanografia in America[2]! Ci credi? Perché a me sembra un sogno, un sogno!
Devo parlare subito con i professori, voglio assolutamente iscrivermi!»
Il moro sorride senza alcuna fatica nel vedere l’amica correre intorno nell’eccitazione, partecipando alla sua gioia e ben deciso a non arginarla in alcun modo: si merita ogni bellezza, specie questa felicità. «Il mare e l’oceano sono parte di te e li devi ascoltare; e so che vincerai quel concorso, non ho alcun dubbio.» Una pausa, un altro sorriso mentre Nejire si blocca e lo fissa; e questa volta lui la guarda dritto negli occhi per un attimo, un grande istante di coraggio e necessità. «… E quando andrai in America portaci con te, nel cuore: vincerai, verrai sicuramente notata ed è probabile che tu ottenga anche una borsa di studio per rimanere a studiare là, e—»
Senza preavviso, la turchina gli prende entrambi le mani e le stringe; quindi lo abbraccia di slancio, senza nemmeno lasciargli il tempo d’imbarazzarsi.  «Non esiste che mi dimentichi di voi due», gli mormora, «non pensarlo neanche per un secondo: se pure le nostre strade si separeranno, sarete comunque e sempre al mio fianco. Sempre.»
Dopo una breve esitazione, Tamaki ricambia la stretta e la giovane chiude gli occhi; sente il proprio corpo ottenere un secondo cuore, lascia che il tempo si fermi.
Allora e solamente allora il cielo ritorna intero, e l’estate esplode.

 

 

 

La quarta volta che l’anima di Nejire lo sceglie, smette di tenerlo per sé.
È un calmo pomeriggio d’inverno quello che accoglie lei e Amajiki in uno dei parchi della città: il giorno dopo è libero da lezioni, quindi si sono potuti concedere una pausa e approfittare della bella giornata per godersi l’aria frizzante e la reciproca compagnia… inoltre, visto che gli ultimi avvenimenti riguardanti il Grande Trio non consentono loro una massima concentrazione sugli studi, restare chiusi in camera non porterebbe a nulla di produttivo.
«Non riesco ancora a crederci, sai», mormora infatti Tamaki dopo un breve silenzio, «stavamo per perderlo senza neanche saperlo.»
Nemmeno ventiquattr’ore prima, Mirio ha salvato due persone dalla corsa di un’auto impazzita: non è accaduto nulla di grave e non ci sono state vittime, ma se il giovane non fosse stato anche abbastanza lesto a scartare di lato ed evitare che la vettura gli centrasse la gamba in pieno, la frattura ricevuta in regalo sarebbe stata qualcosa di molto peggio.
Rimasti a scuola per ultimare una ricerca, loro due hanno appreso l’accaduto solamente ore dopo; e la ragazza non è ancora riuscita a levarsi dalla mente né come abbia artigliato la mano di Tamaki, né il fatto che lui abbia risposto nell’identico modo e nello stesso suo tempo. Si sono graffiati la pelle a vicenda mostrando e unendo il sangue, respirando attraverso di esso e ascoltando ogni cosa senza udirla veramente; poi la realizzazione è esplosa e si sono precipitati a trovare l’amico in ospedale, che nel vederli ha sorriso e poi li ha abbracciati, finendo per piangere con loro.
Tre miracolati, non possono definirsi diversamente; anche se la gente ora chiama Togata eroe — e non c’è alcun torto in questo, a dir la verità.
«… Stavamo per perderlo.»
La ragazza osserva il mondo intorno, quindi prende un grosso respiro. «Sì, è vero; ma così non è stato, ed è questo che ci deve importare.» Osserva il volto tetro dell’amico, gli si fa più vicino per fargli forza — per cercare pure la propria. «Anch’io tremo ancora, credimi; ma Togata-kun sta bene e noi dobbiamo rimanere sereni. Non vorrebbe vederci in queste condizioni, specie tu che sei il suo migliore amico.
Un osso rotto si riaggiusta, ma lui non si sarebbe mai perdonato due vite in meno. Sfruttiamo quello che è successo per rimanere ancora più vicini, va bene?»
Tamaki alza il capo per incrociare gli occhi della giovane. «Lo so; eppure…»
«Eppure non eri lì con lui e questo che ti tormenta.»
Lui annuisce e la turchina lo comprende: conosce entrambi, sa quanto tengano l’uno all’altro e non ha bisogno di alcuna dimostrazione. Intanto, quello che è successo ha smosso qualcosa dentro il suo animo: e improvvisamente si sente stanca, ormai sazia di molto di ciò che tiene solamente per sé. «Molto probabilmente avrebbe fatto lo stesso se tu fossi stato al posto suo; però, ora ha bisogno di te al meglio.»
«Avrebbe saputo gestire meglio la paura, lui: anche tu, ora, ti stai occupando di me… mentre io non riesco a farlo.»

La verità è che tu sembri tanto delicato e sensibile da rischiare di spezzarti al primo urto, ma sei così forte da poter reggerci tutti. Se tu potessi vederti realmente…
Il mondo non attende, non rispetta i tempi di nessuno e non si ferma affinché qualcuno possa far maturare i propri segreti fino all’attimo adatto per svelarli; corre e corre ancora lasciando indietro tutti coloro che non sono pronti al coraggio, e sì, lei ne ha abbastanza di cercare nuove occasioni: il momento è ora, adesso.
«Amajiki-kun… è da parecchio che non passiamo del tempo assieme. Lo studio, la preparazione per il concorso e la scuola preparatoria si stanno prendendo tutte le energie, e i pochi momenti per noi fanno fatica a bastarmi.
Quindi, per favore, per una volta stiamo fuori un po’: andiamo a trovare Togata-kun per tutto il tempo che ci verrà concesso e poi prendiamoci la sera libera.
Per oggi gli impegni sono rimandati.»
«Tra qualche giorno hai una prova importante; ne sei sicura?»
«Quella può attendere ancora qualche ora. Ho anche degli amici, e loro hanno già aspettato abbastanza.»
Tamaki non replica subito. «Io… io temo che non sarei una grande compagnia, stasera. Mi dispiace, ma non me la sento.»
Nejire sorride con dolcezza. «Sono abituata al tuo silenzio, non è un problema; però comprendo e per questa volta non insisto. È stata una giornata tosta.»

Se solamente fossi io lo specchio con il quale poterti scoprire davvero.
Il moro accenna a sua volta un sorriso per ringraziarla, quindi sgrana gli occhi appena la vede avvicinarsi. È ancora pomeriggio, tuttavia sono rimasti solamente loro nel parco — loro e gli alberi, unici testimoni di quello che accade.
Se solamente lo avessi fatto prima.
Non è un bacio che pretende e mette all’angolo, che rapisce il fiato: è rispettoso e morbido e leggero, perché Nejire sa anche essere come le farfalle che lui tanto ama.
È un contatto più lungo di quello che ha previsto, perché appena incontra le labbra di Amajiki ha l’impulso di restare ancora, un altro istante soltanto e poi fino alla fine del mondo; e se la realtà vuole correre, che lo faccia pure.
Quando si stacca, lentamente e già nostalgica, la sua bocca brucia: un fuoco gentile perché il ragazzo non risveglia niente che sia violento, ma che la arde fin dentro le ossa e più nel profondo, all’anima. «Non importa se non staremo insieme questa sera: nella mia mente ci sarai comunque, come sempre», gli sussurra appena prima di staccarsi dal suo volto, un’ultima carezza sui capelli neri e sul cuore che può sentire battere attraverso il giubbino. Lo guarda per accertarsi che stia bene: al di là del volto più rosso del solito, degli occhi che non osano fissarla e del balbettio della voce, non presenta niente che non abbia già visto.
Starà bene; lei, invece, a prescindere dalla risposta che riceverà si sente libera di non nascondere più quell’importante parte di sé. «L’orario di visita sta per iniziare: vieni, andiamo a salutare il nostro ragazzo senza paura.»
«Ne-Nejire.»
È la prima volta che la chiama per nome; la turchina lo guarda con intensità, lasciando che il vento le scuota i capelli come fa con il mare, e rimane in ascolto.
«Io… io n-non so come-e… dirlo…»
«Va tutto bene: non ti devi preoccupare di nulla.»
Lui attende un istante e avvampa nuovamente, quindi china il capo e serra gli occhi. «Avrei dovuto farlo io!», rivela di getto prima di nascondere il viso tra le mani.
Nejire spalanca gli occhioni a quelle parole, si copre la bocca e non si preoccupa di tremare; appena il ragazzo scioglie la posizione, fa lo stesso e gli si getta tra le braccia. Il suo calore l’accoglie e scalda, ben presto lui la tiene stretta come per accertarsi che sia davvero lì.
«Puoi farlo», sussurra la ragazza dopo un po’, al colmo della gioia.
«C-come? Che cosa…»
«Baciami. Faremo finta che io non abbia fatto nulla e che sia stato tu a prendere l’iniziativa: baciami per la prima volta.»
Nessuno, oltre a loro, potrà mai raccontare l’accaduto di quei minuti: ma la luna che sa ogni cosa non si cela davanti alle mani intrecciate con cui lasciano il luogo, né a due anime che si sono rivelate una sola.

 

 

 

 

La quarta volta che Nejire piange — ma non di tristezza —, c’è una casa che li unisce.
Dopo il diploma e l’avverarsi della predizione di Tamaki, prima della partenza per l’America, trova spazio una parentesi tutta per loro: giorni di luce, notti di mille baci[3].
Le chiavi della casa materna a Okinawa[4] riflettono il mezzogiorno tra le vesti della ragazza, che non ha atteso nemmeno un istante per buttarsi tra onde di giada e indaco; sulla riva, Amajiki l’osserva rotolarsi come una bambina ed esprimere tutta sé stessa, mentre lui avanza piano.
Le forze naturali che li circondano, dai fiori che ricoprono tutta la spiaggia della caletta fino ai pesci che pigramente s’aggirano intorno alle sue gambe, sembrano un’altra espressione dell’energia che anima lei; e come una sirena questa non fa che attrarre a sé, tanto che lui resiste solamente per poco quando le si ferma a qualche metro di distanza e tende le braccia nella sua direzione.
L’acqua li accoglie nelle proprie mani cullandoli dolcemente, prende la forma della giovane e lo stringe senza far male, lo tiene al sicuro e distante dalla frenesia della realtà: esiste solamente lei, creatura dalle labbra di sale e figlia del mare, che tanto libera ciò che sente, vuole e possiede da dover essere poi portata sulla spiaggia in braccio, esausta ma completamente felice.
Allora è il moro che, dopo averla avvolta in un telo e portata in un punto all’ombra, la tiene appoggiata a sé e le costella il breve sonno di coccole e carezze; e nel pomeriggio iniziano i giochi, le corse e le risate tra onde più vivaci, che fanno sentire la propria voce anche tra le mura della casa e li accompagnano fino alla notte.
Non c’è la luna al di là delle finestre spalancate, ma un manto nero punteggiato da milioni di perle: bagliori e cristalli che penetrano nella camera, arrivano fin sul letto che condividono e scivolano sulla pelle come petali d’argento.
Nejire spegne tutte le luci eccetto quella della lampada a forma di gelsomino: il primo regalo che il ragazzo le ha fatto e che ora campeggia sul comodino di fianco a lei.
La giovane ne accarezza un petalo di ceramica, quindi si volta verso il moro e silenziosamente gli s’infila tra le braccia, respirando il suo profumo. Lui la bacia sulla fronte, quindi le fa scivolare le dita tra i capelli e ne attorciglia una ciocca intorno al palmo. «Non te lo dico mai abbastanza quanto siano stupendi…»
«Non sono come le onde, però.»
Amajiki sposta l’attenzione verso il suo viso, quindi fulmineamente muta le posizioni per intrappolare la ragazza sotto di sé. Lei ride mentre il giovane china il volto sul suo, ed entrambi socchiudono gli occhi mentre fondono i respiri nella notte già calda.
«Ma tu sei un’onda, Nejire; la tua intensità è pari solo a quanto sei bella.»
«Lo dici perché sei pazzo di me…»
«È vero: un giorno ho sognato una ragazza con la dolcezza e serenità di una farfalla, e la pioggia mi ha fatto incontrare una fata. Non dovrei adorarti?»
«Lo fai anche troppo! Mi stai viziando!»
Un altro bacio, all’angolo della bocca. «Per te ne vale la pena», le sussurra.
Lei si solleva sui gomiti, guarda la luce che neanche nell’oscurità abbandona gli occhi del suo amore; gli accarezza il viso seguendone tutto il profilo, spostandosi sul collo e poi staccandosi fino a raggiungergli un fianco. La pelle è fresca sotto la maglia leggera, appena le dita la sfiorano desiderano averla tutta per loro; e il ventre le s’infiamma quando è lui ad alzarle leggermente la canotta per accarezzare gentilmente la schiena, quindi scende a baciarle il ventre.
Nejire singhiozza: una lacrima si crea dal nulla e le solca una guancia, e la giovane la lascia scivolare insieme a tutte quelle che la seguono.
Tamaki si ferma, le tocca il viso con preoccupazione. «Se non vuoi non dobbiamo farlo per forza; possiamo aspettare tutto il tempo di cui hai bisogno.»
«No», lo rassicura lei mentre ride, «non è per quello: io credo… credo che la mia anima non riesca a contenere la felicità che prova e la stia manifestando così. Sta per conoscerti ancora di più, si deve preparare.»
Si sorridono, si abbracciano il cuore a vicenda: gli abiti a terra e solamente il proprio calore a rivestirli[5], fanno l’amore finché l’aurora non toglie loro la coperta della notte; e allora si addormentano, lasciando che siano i propri sogni a continuare.
Il mare si riempie d’oro e distende una nuova, splendida giornata per quando avverrà il loro risveglio; le ombre che s’insinuano sotto la superficie e scivolano in profondità, invece, quelle forse nessuno potrebbe notarle, né tanto meno comprenderle.

 

 

 

La terza volta che Nejire prova terrore, non è insieme a lui.
Dovrebbe fare ritorno in America, ma l’aereo non ha nemmeno iniziato a muoversi che un rumore simile al rombo di un tuono lo scuote. I motori si spengono, il brusio serpeggia nell’intera cabina e gli animi si agitano: eppure, il problema non è lì.
C’è del fumo, ma non riguarda il velivolo; scorre la paura e si sentono grida di ogni tipo, ma provengono tutte da oltre la pista, dove qualche ora prima stavano anche loro.
La ragazza non è coinvolta fisicamente: eppure, mentre fissa dall’oblò pezzi di vetro e cemento e chissà cos’altro — lo sai, lo sai — ricadere a terra con rapidità o rimanendo più tempo sospesi, sente nel cuore cos’è successo. È distante dal caos che sale e annienta ogni cosa sulla sua strada, non vede bene; non riesce comunque a illudersi.
I pensieri sono tutti incastrati, non possono farsi spazio ed emergere: e questo forse è un bene, perché la proteggono.
Seduta al suo fianco, la sua mentore Tatsuma Ryuko le stringe una mano e le passa un braccio intorno alle spalle per stringerla a sé, impedendole di tremare troppo forte; e lei tenta del suo meglio per rimanere calma, facendosi forza… almeno fino a quando i telefoni di metà dei presenti non iniziano a squillare, e la verità inizia a mostrarsi.
«C’è stata un’esplosione nella zona Est dell’aeroporto!»
«Una bomba?»
«C’è sangue ovunque!»
«È dove si trovano anche le terrazze panoramiche…»
«Riesci a sentirmi?»

Amore mio, mi senti? Ci siamo salutati un’ora fa, davanti al gate: e tu ti sei illuminato quando ti ho detto che questa volta passerà solamente un mese prima di rivederci.
Tu e Mirio avreste guardato l’aereo partire…

Come un automa, la giovane recupera il suo cellulare e digita il numero di Tamaki. Le dita scivolano varie volte sullo schermo, a fatica riesce infine nell’intento e inizia l’attesa più dolorosa della sua esistenza.
Rispondimi e dimmi che vi siete stancati e ve ne siete andati.
Per favore, dimmi che non siete lì in mezzo, che non sapete neanche cos’è successo.
Non è giusto, no, non possiamo perderci…

Il primo squillo non porta a nulla, il secondo neppure; il terzo le fa piantare le unghie nella carne della gamba, il quarto apre la via al sangue, il quinto è quasi insopportabile da reggere. Il sesto è un pugnale nel petto, il settimo è la bocca del Nulla.
Clic.
Mente e cuore fanno un balzo e gli occhi si spalancano; la gola arde mentre Nejire scatta in piedi, pronuncia il nome di Tamaki ritornando a respirare dopo istanti…
… Ma all’altro capo non c’è niente per lei: solamente confusione, pianti, richieste di soccorso e urla, e una voce che non è quella che ha cercato.
Non è sola: intorno a sé ci sono tante anime nelle sue stesse condizioni, persone che la vita ha appena reso fratelli e sorelle; eppure non sente nessuna di loro.

 

 

 

La seconda volta che Nejire soffre davvero, è sotto a un temporale: il gemello di quello che le ha portato l’amore.
Sono passati dieci giorni e l’attentato che ha sventrato una parte dell’aeroporto di Tokio non smette di risuonare nella voce gracchiante dei telegiornali, nello stato d’allarme che serra il paese, negli spazi pubblici per lo più deserti, negli occhi impauriti della gente e nei manifesti che fioriscono agli angoli delle strade, attaccati ai pali della luce e sui muri, uniti ai tanti fiori e ricordi che le mani continuano a depositare in ogni angolo della città.
Tokio si china e prega, Tokio piange le vittime che ha accolto in grembo e abbraccia chiunque possa: riunisce famiglie, fa incontrare amici, lega le anime e nel dolore culla rabbia o empatia, silenzio o compassione.
Quanto a lei, non può permettersi di fermarsi e chiudersi in sé: c’è ancora una parentesi aperta. Mirio, infatti, è tra coloro che sono rimasti feriti; di Tamaki è stato invece trovato lo zaino ma non il corpo, e siccome tutti i morti sono stati identificati, per lui resiste ancora un filo di speranza: così che a nemmeno un giorno dalla tragedia la ragazza si è trovata a postare su internet e ad attaccare fisicamente infinite repliche di un foglio con al centro la più bella foto che gli abbia scattato — una di quelle dove sta accennando un sorriso e gli occhi luccicano sereni, mentre lei cerca di farlo ridere in ogni modo —, unita a una breve descrizione e ai recapiti telefonici suoi e della famiglia Amajiki, e a una disperata preghiera per qualsiasi informazione possibile.
È per una chiamata che passa la notte insonne e si sveglia al mattino con quel che è rimasto della sua energia; è per Mirio e una sola, misera notizia che vaglia ogni angolo della città e visita ospedali dove uomini e donne dal volto irriconoscibile attendono tra la vita e la morte, che parla con tutti coloro che vogliano ascoltarla, che si stringe a gente che non conosce ma che non allontana o l’allontana mai.
L’incertezza la consuma e rischia di farla impazzire, la tormenta senza tregua e la fa scattare per qualunque parola che riguardi Togata o indizio che possa riportare a Tamaki, nella peggiore o migliore delle situazioni in cui si trovi: vuole solamente scoprire la verità, se sperare ancora o ricordare, e provare a ricominciare.
Questo tuttavia non la protegge dal dolore più atroce quando, in uno dei giorni di stasi, il cellulare suona e il numero del padre di Mirio compare sullo schermo.
Nejire non fa passare nemmeno uno squillo e risponde, imponendosi tutta la lucidità possibile: rimane immobile per qualche secondo, ascolta, non stacca l’orecchio dallo schermo quando la chiamata si chiude.
Grosse nuvole stanno riversando la pioggia di un intero mese su Musutafu; ma dopo qualche attimo dalla telefonata la ragazza affronta comunque la tempesta, quasi non le importa neppure di potervi annegare sotto.

Mirio non ce l’ha fatta.
Non ha neppure saputo rispondere all’uomo, che nel pianto le ha dato la terribile notizia: non una parola dalla gola arida, non una lacrima nella mente attonita.

Il nostro migliore amico se n’è andato.
Il cuore accelera i battiti di secondo in secondo, urla, strepita e diventa incontenibile; incurante di tutto e tutti, la giovane inizia a correre. Corre per non pensare, corre per liberare il buio: una luce si è spenta, che cosa succederà se anche l’altra lo farà?
Mirio…
I suoi piedi le fanno cavalcare marciapiedi e ponti a una velocità disperata, la portano in zone mai visitate e dove i ricordi mettono radici; troppi angoli di quella città sono intessuti delle loro risate e si rivelano essere una prigione, un inferno.
Voglio andarmene.
Volta il capo quando incontra le finestre del liceo, sforzandosi per non urlare.
Via da qui, via da tutti!
Ecco là i giardini dove tante volte si sono divertiti a guardar passare le nuvole e a inventare storie: anche da quel luogo deve allontanarsi il prima possibile.
Se è questo che vuol dire avere un cuore, non lo voglio più! Non voglio più provare nulla, né sofferenza, né preoccupazione, e stupore, e… amore.
Amore.
Amore… dove sei? Portami lontano da questa notte.

I piedi trovano un ostacolo, oppure è lei che se lo crea; e cade a terra rotolando, strappandosi i pantaloni e sbucciandosi il mento sull’asfalto ruvido.
Piove di meno in quella zona: grandi fiori arancio costellano i lati del sentiero che ha preso e la fissano mentre si rannicchia al suolo, a singhiozzare.
«Sto male… sto così male… perché devo soffrire tanto?
Perché non ho potuto perdere quel maledetto aereo e restare con loro, perché ci siamo dovuti separare? L’America, il futuro… qui avevo tutto, e ora non ho più niente!
Perché sono dovuta rimanere?
Tamaki… Mirio… non voglio che mi lasciate. Non voglio restare sola…»
Ora piange senza freni: libera ore e ore di angoscia, tutto ciò che ha trattenuto per giorni. Non chiede scusa per ciò che urlato, anche se sa bene cosa prova veramente e che se perde il cuore allora sì, sì che non le rimane più nulla; ne ha abbastanza di mostrarsi forte, quando in verità è così debole che forse nemmeno si rialzerà dal suolo. «Perché ora non dovrei seguirvi, eh?», mormora poi, «perché non dovrei… non dovrei…»
«Perché Amajiki-kun potrebbe essere ancora qui; e perché, se rimarrai con noi, permetterai a Togata-kun di continuare a vivere.»
Nejire alza il capo e si volta, sorpresa; alle sue spalle,
Ryuko le si sta avvicinando piano e attenta a lasciarle il suo spazio. «Sono passata a casa tua per vederti, prima; non credevo che avrei dovuto attraversare tutta Musutafu per trovarti.» Una pausa. «Però so che ti seguirei perfino in capo al mondo, se questo ti desse un po’ di sollievo.»
La ragazza non replica e si mette seduta a fatica; l’altra le si inginocchia davanti.
«Io…», inizia la turchina, e la più grande tra loro scuote il capo; un sorriso dolce quanto triste le solca il volto. «No: non devi spiegare nulla. Non devi pretendere da te stessa di essere invincibile, quando tutti sappiamo bene che cosa stai provando.
Sei una ragazza meravigliosa, Nejire-chan, e dovunque entrambi siano continueranno a vederti come la persona migliore che la vita potesse loro donare; e anche se ora ti senti cadere in pezzi, sarai sempre la persona più forte che abbiano mai conosciuto.
Ora sulle tue spalle c’è un’esistenza in più: dovrai ridere, consolare, piangere, costruire un futuro e amare anche per Togata-kun. È un’impresa che solo i coraggiosi portano a termine, e tu puoi farcela; lui lo sa.»
La turchina nasconde il volto tra le mani, riprende a piangere con più forza; quindi si getta tra le braccia dell’amica e chiude gli occhi, abbassa tutte le barriere e grida con quanto fiato ha in gola.
Il temporale si scioglie con lentezza, abbandona pigramente la città: sotto timide stelle Ryuko fa alzare la giovane, tenendola a sé. «Andiamo a casa, piccolina», le sussurra, «da questo momento mi occuperò io di te.»

 

 

 

La prima volta che Nejire apprende cosa si possa fare in nome dell’amore, non sono passati che otto giorni dalla morte di Mirio.
Sono le cinque della mattina quando il telefono suona e la risveglia dall’ennesimo sonno tormentato; risponde al terzo squillo, il cuore in gola ma decisa ad affrontare le conseguenze della chiamata.
«Moshi moshi. Parlo con Hado Nejire?»
«Moshi moshi. Sì, sono io… chi mi chiama?»
«Buongiorno, signorina. Il mio nome è Hoshino Hideki, di Mito, e… ecco, mi perdoni davvero per averla chiamata a quest’ora e spero che abbia pazienza se non trovo subito le parole giuste, perché sono agitato quanto lei, immagino: ma, per essere il più rapidi possibili, le devo comunicare che qui nella mia casa c’è il ragazzo che sta cercando.»
«Scusi?»
«Dico la verità: il ragazzo che si chiama Amajiki Tamaki è qui da me. Le ho telefonato appena ho letto il suo numero sul manifesto, e mi deve scusare: lo accudisco da quasi due settimane, ma solamente ora ho trovato il modo per contattarla.»
Nejire si alza dal letto ma si risiede subito dopo; la testa le gira e gli occhi pizzicano mentre deve reprimere un singhiozzo. Stai calma… calma. «Non si deve preoccupare, a-anzi… non so proprio come ringraziarla. Per fa-favore, mi dà il suo indirizzo? Abita a Mito, vero?»
«Esattamente. Per l’indirizzo non si preoccupi: mi faccia solamente sapere con che mezzo e quando arriva in città, così la vengo a prendere.»
«Ma no, non si disturbi così…»
«È il minimo che possa fare. Non oso immaginare quanto lei debba aver sofferto nel non sapere le condizioni del suo fidanzato.»
Nejire prende un respiro, si attacca con forza al cellulare. «… Lui sta bene? Mi dica la verità, per favore.»
Una lieve pausa, e la ragazza intuisce qualcosa in essa. «Lo vedrà di persona. Mi raccomando, mi contatti appena sa qualcosa. A più tardi.»
Per la seconda volta in pochi giorni, la giovane rimane attaccata al cellulare anche quando la comunicazione è ormai finita; ma il tumulto che prova nell’animo è totalmente diverso dalla prima. È come trovarsi alla fine di un tunnel ritenuto senza sbocco; è come sentire le ali spezzate rinsaldarsi e prepararsi a volare nuovamente. Attendi ancora un po’, sono sempre più vicina.

 

 

Il signor Hoshino è il nonno che tutti vorrebbero: cordiale, dolce e dagli occhi pieni di vicende e storie. La viene a prendere fuori dalla stazione e le si presenta con un inchino, per poi guidarla a piedi attraverso le vie a lei sconosciute. «Non ho scusanti accettabili per questo silenzio», inizia immediatamente, «sono mortificato: ma, vede, a Tokio non ci vado spesso e a casa non abbiamo internet… se solo io e mia moglie fossimo meno ignoranti!»
«Non è colpa sua, mi creda: non ho pensato di mettere manifesti nelle altre città perché, beh… non credevo che sarei venuta qui.»
L’anziano annuisce. «Lo ha trovato mia moglie una mattina, accasciato sulla porta di casa: vestiti a brandelli, ricoperto di bruciature e ferite, più morto che vivo. Non abbiamo pensato neppure per un secondo di abbandonarlo al suo destino, lo abbiamo accolto e curato; e credendo che fosse un ragazzo del luogo uscito da un brutto pestaggio o qualcosa di simile, abbiamo provato a informarci sulla sua famiglia, ovviamente senza alcun risultato.
L’avverto subito: da quando è con noi non mai parlato una volta, e i suoi occhi… ha attraversato l’inferno, il suo giovane.»
Nejire annuisce, il cuore pesante. «Come… come avete fatto a trovarmi?»
«Pura fortuna: un nostro amico di vecchia data è andato a Tokio per qualche giorno e stamattina, al suo ritorno, ci ha portato uno dei suoi manifesti. Avendo già visto il ragazzo, lo ha riconosciuto; noi abbiamo fatto il resto.
Non ci spieghiamo come possa aver percorso tanti chilometri in quello stato, né avremmo mai immaginato che fosse un sopravvissuto dell’attentato.»
«Capisco. Avete chiamato anche gli altri numeri? Sono quelli dei suoi genitori.»
«Ovviamente, ma senza risposta. Lei è stata l’unica.»
La giovane sorride, sinceramente grata, e appena ne ha la possibilità posa un bacio sulla fronte dell’uomo. «Parlerò io con la famiglia, allora. Grazie per ogni cosa: lei e sua moglie non avete salvato la vita solamente a lui», gli mormora, quindi si zittisce: l’uomo si è appena fermato davanti a una piccola casa circondata da un grazioso giardino e una miriade di alberi.
La turchina chiude gli occhi, respira e inspira: una volta ancora, due, tre, mentre il mondo si condensa nella sua mente. È a pochi passi da te, ormai ci sei.
«Coraggio», l’invita lui, «è il momento di riunirvi, finalmente.»

 

 

Tamaki è seduto di spalle quando la giovane esce nel giardino sul retro della casa.
È avvolto in una lunga coperta bianca e i suoi capelli neri, più corti di quanto lei ricordi, rifulgono sotto il sole che vince le fronde arboree; non si volta quando questa scende la scaletta di legno che collega l’ultima stanza al prato, facendo rumore; non fa alcun movimento neanche quando raggiunge l’ultimo gradino e gli passa vicino.
Il signor Hoshino l’ha preparata su quello che deve aspettarsi, ma comunque sia non ha paura: ha atteso e sperato così tanto, ha temuto per troppo tempo e ora vuole solamente guardarlo a lungo, come una volta. Lo fa: gli si inginocchia quasi di fronte, per non turbarlo, e lo incontra.
Oltre ai capelli tagliati, la parte sinistra del volto è segnata da ciò che rimane di lievi ustioni e cicatrici; quella destra, invece, è bruciata da metà della fronte fino a tutta la guancia. L’unico occhio rimastogli è vivo e attento, ma sembra vedere solo quello che la sua mente cerca al di là della corona di alberi; e c’è il sorriso accennato di qualcuno che ha guardato il mondo crollare su di sé e ora riconosce di avere un poco di pace… anche se laggiù lei non esiste.
O sì? Dentro di lui, là dove il trauma, la solitudine, la pena e quello che ha vissuto non sono arrivati, sta forse tenendo stretto il ricordo della sua Nejire, certo di poterla sentire solamente così? Il Tempo è colui che ha tutte le risposte; e del Tempo si fideranno. Potrebbe essere difficile, durissima: ma non come rimanere senza la presenza del moro.
La giovane si alza e gli si avvicina di un passo; quindi gli si siede vicino.
Tamaki volta appena il viso verso di lei, ma non lo sguardo: attende un istante, quindi ritorna alla sua posizione iniziale.
«I signori che ti hanno salvato dicono che non parli. Ma a me non importa, sai: sei sempre stato più bravo a comunicare in silenzio.» Una breve pausa; il vento sospira tra i rami, facendo danzare luci e ombre sul volto di entrambi. «Da quando ho creduto di averti perso, non ho fatto che rivedere le mie convinzioni: ciò che volevo, che chiedevo, a cui non avrei mai rinunciato. Non ti ho mai dato per scontato, quello no; ma nella mia ingenuità ho creduto tante volte che tutto sarebbe andato secondo le nostre decisioni, che avremmo potuto scegliere sempre, che niente ci avrebbe diviso.
Almeno quest’ultima cosa, fammelo dire, è vera: perché eccoci qui. Abbiamo vinto la morte, io e te.»
Il silenzio rimane per parecchi istanti; quindi la ragazza allunga una mano, l’appoggia su quella che Tamaki tiene più vicino a lei.
Il moro non si scosta, la lascia restare.
«Ci sono molte cose che non so, Tamaki; ma posso imparare a conoscerle.
Se portarti via da questa casa vorrebbe dire farti impazzire, io sono disposta a stare qui anche per tutta la vita, fino a quando vorrai. Mito è una bella città: starò bene.
Se non parlerai più o non riuscirai a vedere nulla, lo farò io per entrambi: piegherò le ombre e ti aprirò la strada nel buio, ti terrò per mano.
Se crederai di essere rimasto da solo, troverò il modo di rispondere al tuo richiamo: lo hai già fatto una volta, se sono qui è perché hai combattuto fino a vincere la battaglia.
Io sono l’oceano, le onde e il mare, e nessuno cancellerà mai l’amore che provo per loro: ma non sono le onde a completarmi, sei tu. Non è stato l’oceano a riportarmi in vita, ma la chiamata che mi ha detto che dovevo avere ancora speranza.
Ma tutto questo lo sai già, vero? Resto in silenzio anch’io, allora: ho già tutto quello che può rendermi felice.»
Come si aspetta, Tamaki non risponde; ma a lei non importa. Socchiude gli occhi, alza il viso verso il sole; e forse è una sensazione, un tremito involontario, ma le dita del giovane si muovono appena per incastrare leggermente quelle di lei.

Non sono in tanti a dirti che l’amore può far male, che il fuoco che accende potrebbe ridurre in cenere; ma in quelle fiamme ci andrei per prima, se tu lo volessi.
Farò tutto questo e anche altro in nome dell’Amore.
Lui
è forte: troverà la strada insieme a noi.
La testa di lui sfiora appena quella della ragazza, le si appoggia contro un attimo; può essere questione di un istante che non si ripeterà mai più o di un principio di ripresa di sé, ma è certo che sotto il cielo del Giappone la speranza rimane, che i miracoli sono più numerosi di quanto la razionalità possa credere.
E va bene così: rimanere nel mattino fianco a fianco e lasciare che le parole scorrano via, inutili e troppo pesanti per descrivere i sentimenti, e batta solamente quel cuore unico che li ha ricondotti l’uno dall’altra, a casa.

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

[1] Università privata del Kansai.

 

[2] Due parole sono necessarie. Questa scelta particolare prende spunto dalla prima impressione che la ragazza mi ha fatto: infatti, ho conosciuto il suo personaggio per vie traverse e ancor prima di leggere di esso, e appena l’ho visto ho pensato che fosse legato all’elemento acquatico, specie alle onde; questa cosa ha dato il la a trip mentali insospettabili.
In quest’AU, trasformare il suo quirk in un interesse legato all’oceano è stata la prima cosa che mi è venuta in mente, e da quel momento non sono più riuscita a levarmi l’idea dalla mente.

 

[3] Riferimento alla poesia “Dammi Mille Baci” di Catullo.

 

[4] Luogo famoso per le sue splendide spiagge e un altrettanto memorabile mare.

 

[5] Riferimento alla poesia “Alicante” di Marguerite Yourcenar. Tutta la scena è intessuta da richiami alla lirica amorosa perché solamente la sua delicatezza e intensità può legarsi bene alla TamaNeji.

 

Nell’ultima parte ci sono continue riprese dal testo della canzone “In The Name of Love” di Martin Garrix e Bebe Rexa.

 

   
 
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