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Autore: Mad_Dragon    24/02/2020    0 recensioni
[Spoiler per la route Verdant Wind][Dorothea!centric][Onesided!Edelthea][Possibile OOC][Referenced Characters Death]
Dorothea si prepara a fronteggiare insieme a ciò che rimane dell'esercito adrestiano l'avanzata delle truppe di Claude e del Professore, deciso a conquistare il palazzo imperiale di Enbarr e a porre fine alla guerra. Prima e durante lo scontro, la maga si ritrova a riflettere sui cinque anni trascorsi dalla caduta di Garren Mach e su ciò che è diventata al fianco di Edelgard, per giungere ad un duello a cui è appeso il corso della sua vita.
"Manuela fece un passo avanti, come se volesse osservarla meglio, per poi prendere la parola. “Vedo che non hai dato retta alle mie parole di tanti anni fa” disse, un velo di tristezza nella sua frase.
La giovane maga sorrise, per poi scuotere la testa. “Ormai ci sono solo spine su questa rosa, professoressa” disse mentre preparava la spada."
Rating arancione per descrizione leggermente grafica di alcune scene di lotta.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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A Rose Full of Thorns
Dorothea camminava lungo un corridoio del palazzo imperiale di Enbarr, seguita a breve distanza dal manipolo di truppe che Edelgard le aveva assegnato da quando era diventata una collaboratrice dell’esercito adrestiano dopo la caduta di Garren Mach. Si era appena congedata da Petra, a cui era stata affidata la chiave per la porta della stanza del trono e che aveva giurato di difendere la loro vecchia compagna di classe rischiando la sua vita “in prima riga”: l’errore, forse voluto o forse no, l’aveva fatta sorridere, anche se erano anni che sentiva frasi simili. Il silenzio che avvolgeva quel luogo, di solito brulicante di cortigiani, ministri e altri esponenti dell’Impero, le sembrava surreale: la maggior parte delle truppe, coi rispettivi comandanti, si era disposta come era stato illustrato durante l’ultima riunione strategica, quando l’esercito di Claude e del Professore era ancora lontano qualche settimana dai cancelli della città, prima ancora che il Forte Merceus fosse distrutto da Loro. Non aveva mai ben compreso a chi si riferissero l’imperatrice e Hubert quando usavano quella parola, ma sembrava che fossero una presenza oscura che manovrava il continente nascosta tra le ombre: anche se Edie imputava l’origine della sofferenza di tutto il popolo di Fódlan interamente agl’insegnamenti della Chiesa, Dorothea non poteva fare a meno di pensare che la donna a cui stava vicino da quasi sei anni ormai incolpasse anche Loro per il dolore che la popolazione aveva provato. Di sicuro erano colpevoli di aver fatto soffrire lei, in qualche modo, anche se non le avevano mai raccontato per intero la faccenda.

Un rumore assordante la prese di sorpresa, costringendola a coprirsi le orecchie per quasi un minuto. Nel momento in cui il boato scemò, si girò verso la direzione da cui era partito e trovò diverse sue sottoposte che osservavano terrorizzate il cortile che separava l’entrata del palazzo dalle mura. Si avvicinò a sua volta e, alla vista di quello spettacolo, quasi non riuscì a trattenere un gemito di paura: una marea di soldati col vessillo del Segno delle Fiamme si stava riversando nel cortile, decisa a prendere d’assalto il palazzo per porre fine alla guerra. Inoltre, alcuni gruppi di viverne e pegasi si stava preparando ad atterrare sui bastioni, nonostante il fuoco incessante delle balliste e delle magie a lungo raggio. Tutto questo voleva dire una sola cosa: Hubert era morto. Sentì una lacrima scenderle lungo il viso e se l’asciugò in fretta, tentando nel mentre di trattenere le altre: non era mai stata sua amica nel vero senso della parola, ma negli anni passati al servizio di Edelgard si era creato una sorta di mutuo rispetto. Non avrebbe dovuto trovarsi a difesa delle mura secondo il piano originale, ma dopo la battaglia del Campo di Gronder qualcosa si era spezzato dentro il servitore dell’imperatrice: la morte di Bernadetta ad opera dell’armata del professore e l’impossibilità di recuperare il corpo dopo che la collina era stata data alle fiamme per dargli una degna sepoltura erano stati dei colpi molto duri, anche per lei, ma sicuramente di più per il mago, che sembrava essersi allontanato di poco dalla sua regnante, anche se non avrebbe mai perso fiducia e lealtà nei suoi confronti. Il fatto che avesse deciso di sbarrare l’entrata del palazzo al nemico con la sua stessa vita ne era una prova lampante. Quella di Hubert era l’ennesima morte di un ex-compagno di classe di cui aveva avuto notizia: il primo era stato Ferdinand von Aegir, per cui non avrebbe pensato di versare una lacrima fino a qualche anno prima, poi Bernie, per cui piangeva ancora la notte nonostante i mesi dall’evento – l’amicizia che la ragazza le aveva dimostrato per anni era molto più grande di quanto pensava che una nobile fosse in grado di provare per una donna di basso ceto come lei -, e per ultimi Caspar e Linhardt, i cui corpi non erano quasi irriconoscibili dopo la distruzione del forte. 

Si allontanò dalla finestra con passo svelto: era certa che le truppe di Claude e del Professore – le faceva strano chiamarlo così – fossero già entrate e che, da un momento all’altro, le avrebbero incontrati. Sguainò la spada incantata che Edie le aveva donato tanto tempo fa e studiò il suo riflesso: trovò un viso appesantito dagli anni di conflitto e dal dolore, una certa oscurità celata in fondo allo sguardo. Si chiese se valeva la pena di continuare a combattere, se ci fosse la possibilità di chiedere pietà a Claude ma ormai sapeva che era troppo tardi per la clemenza. Avrebbe voluto incontrare di nuovo i suoi compagni della classe del Cervo Dorato in un’occasione migliore, ma le loro strade si erano divise anni fa, nel momento in cui aveva deciso di combattere con Edelgard contro la Chiesa per un mondo nuovo, un po’ perché affascinata dalla possibilità che nobili e gente comune avessero le stesse opportunità, un po’ per amore verso la sua imperatrice. C’erano voluti un paio d’anni prima che riuscisse ad ammetterlo a sé stessa, eppure non aveva mai trovato il coraggio di confessarsi, forse perché sapeva che non c’era spazio nel cuore di quella donna per il sentimento di Dorothea: era come se quella porta si fosse chiusa tanti anni prima e l’unico in grado di riaprila giaceva sul Campo di Gronder, circondato da corvi. Abbassò la lama e, per un attimo, il suo volto si accigliò: era come se una morsa gelida le si era posata sulla schiena e fosse penetrata dentro di lei fino a ghermirle il cuore. Inspirò un paio di volte prima di ritornare padrona di sé stessa, ma furono abbastanza per diffondere la paura tra le sue truppe. Doveva rincuorarle, anche se sapeva fin troppo bene anche lei che si trovavano davanti ad una morte praticamente certa. Avrebbe combattuto fino al suo ultimo respiro, non c’era altra scelta. Una ragazza, doveva avere un paio d’anni in meno di lei, le si avvicinò con un passo incerto.
“Comandante…”
Dorothea la guardò dritta negli occhi e non poté fare a meno di pensare che una ragazza come quella non doveva essere nel castello, non doveva avere in mano un’arma ma fare qualsiasi altra cosa, vivere una vita che le permettesse di essere felice. Da quanto tempo non si sentiva così, da quanto tempo non sentiva più un canto sollevarsi dalle sue labbra. Allungò una mano e la posò sul volto della ragazza, passandole il pollice sullo zigomo per asciugarle una lacrima che era appena apparsa. Sembrava una plebea come lei, finita nel suo squadrone quasi per casualità. Le ricordava la sé stessa di tanti anni prima, quando ancora si era trovata unica studentessa di umili natali nella casa delle Aquile Nere.
“So cosa state provando, perché è ciò che provo anch’io in questo momento…” Fece una pausa, sia per lasciare che le sue parole attecchissero nelle menti delle sue sottoposte sia perché non era mai stata troppo brava a fare discorsi d’incoraggiamento. “Voglio che sappiate che potete andarvene anche adesso, forse riuscirete a salvarvi e a lasciare la città.”
Un paio sembrarono prese in contropiede, ma non si mossero. Forse era riuscita a conquistare un po’ della loro fiducia in quegli anni. “Se rimarrete, vi attenderà una cruenta battaglia come non ne abbiamo mai viste” Il suo tono si fece più duro, lo sguardo più deciso. “Ho un solo ordine per voi: se dovessi morire, ritiratevi senza indugio. Non sprecate la vostra vita per vendicare la mia.”
Non lasciò loro il tempo perché si allontanò di pochi passi, il rumore di soldati che si faceva sempre più vicino. “In formazione! Ora!”

Sembrava che il tempo si fosse immobilizzato, eppure Dorothea era convinta che ad ogni soldato a cui tagliava le carni o che distruggeva con la magia ciò che la circondava andasse ad un ritmo sempre più veloce, bloccato in una danza febbrile che sembrava non avere mai fine e generata dal clangore delle lame. Col passare degli anni era diventato più facile dissociare ciò che accadeva sul campo di battaglia dalla sua persona al di fuori di esso, talmente tanto che quasi non sembrava più in grado di riconoscersi mentre combatteva, tuttavia il rimorso per le vite che aveva preso non tardava a presentarsi non appena il conflitto giungeva al termine e non era mai stata in grado di imparare a gestirlo appieno. Forse il professore avrebbe potuto aiutarla se avesse scelto la sua classe ma non aveva più senso fare supposizioni in merito. In quel momento, oltre alla fatica, in quel momento non sentiva la minima emozione: era come se fosse stata svuotata di ogni possibile sentimento.
Aveva visto cadere almeno tre delle sue sottoposte, e di una si sentiva responsabile perché si era frapposta fra lei e la lancia di un soldato nemico, morendo sul colpo per poi essere subito vendicata: sentiva ancora nelle orecchie le urla di quell’uomo mentre liberava la magia contenuta nella spada dentro le sue viscere. L’ultimo soldato cadde sotto un colpo della sua spada e approfittò del momento di relativa calma per curare le ferite sue e delle sue compagne, anche se le sue erano dei semplici graffi, e per contare quanti soldati avesse perso: erano sei, sei petali persi, gliene rimanevano soltanto una dozzina. Sentiva i rumori della battaglia propagarsi per il palazzo, segno che erano ancora nel pieno dello scontro: aveva visto altri due comandanti dirigersi con le rispettive truppe verso la stanza antecedente alla sala del trono, forse per dare rinforzi a Petra, ma non erano ancora tornati: il suo squadrone era l’unico rimasto a difendere quel corridoio. Voleva spostarsi, ma non voleva essere d’intralcio ad altri combattenti molto più abili di lei. Mentre puliva la spada dal sangue usando un lembo del suo vestito, una delle sue soldatesse le si avvicinò per indicarle delle figure che si stavano avvicinando da uno dei punti di accesso: riuscì a riconoscerne solo due, ma questo bastò a farle capire che la situazione stava precipitando. Si diresse verso il gruppo con l’arma sguainata, seguita a ruota dal suo squadrone che rimaneva comunque un passo dietro di lei.
Manuela Casagranda sorrise, ma non c’era traccia di gioia in quell’espressione, mentre il professor Hannerman si limitò a distogliere lo sguardo e a fissare il pavimento senza dire una parola. La situazione le sembrava paradossale.
“Dorothea… Quanto sei cambiata”
“Manuela, tu rimani uguale a cinque anni fa.” Abbozzò una risata leggera per spezzare la tensione, ma il suono le morì in gola. Sembrava non esserne più in grado.
“Sai che puoi ancora arrenderti, non è troppo tardi” s’intromise Hannerman.
Dorothea scosse la testa. “Il mio destino è segnato, professore, così come i vostri. Le nostre scelte ci hanno diviso troppo”
Manuela fece un passo avanti, come se volesse osservarla meglio, per poi prendere la parola. “Vedo che non hai dato retta alle mie parole di tanti anni fa” disse, un velo di tristezza nella sua frase.
La giovane maga sorrise, per poi scuotere la testa. “Ormai ci sono solo spine su questa rosa, professoressa” disse mentre preparava la spada. Il tempo delle parole era giunto al termine.
Prima che la sua ex-professoressa potesse reagire, liberò un fulmine che, dalla punta della spada, si scagliò dritto contro i suoi nemici ma Hannerman fu troppo veloce: bloccò l’attacco con uno scudo magico per poi contraccambiare con una raffica di proiettili lucenti. Dorothea scartò di lato, per poi lanciarsi alla carica seguita dalle sue truppe: ingaggiò un duello con Manuela che sembrava una lenta danza, interrotta ogni tanto da alcuni incantesimi dell’altro professore che non sempre andavano a segno, un alternarsi di colpi che sembrava non portare alcun vantaggio a nessuna delle due: per ogni taglio sul corpo di una ce n’era uno su quello dell’altra. Non sapeva da quanto tempo la loro battaglia continuasse e l’unico indizio che poteva usare, il rumore degli altri scontri, era coperto e soverchiato da quello della battaglia a cui stava partecipando lei stessa, tuttavia sapeva che non mancava molto alla fine di quella storia: Petra e le altre truppe non avrebbero potuto resistere troppo e le Bestie giganti avrebbero fatto guadagnare del tempo soltanto se l’esercito nemico non avesse portato con sé le armi necessarie ad abbatterle velocemente. Dopo aver parato l’ennesimo fendente di Manuela, Dorothea fu investita in pieno da un incantesimo che la fece rotolare per alcuni metri, finché un corpo non bloccò il suo percorso. Si rialzò a fatica e, solo dopo alcuni secondi, si rese conto di chi aveva davanti.
“No…”
Quella parola le fuggì come un mormorio dalle labbra mentre osservava gli occhi, ormai privi di vita, della ragazza che aveva tentato di consolare poco prima guardarla dritta in viso. Sentì le lacrime scorrerle lungo le guance e una rabbia cieca montarle dal profondo: era ora di giocarsi l’ultima carta. Quei pochi soldati che le erano rimasti la raggiunsero ma, una volta visto il suo sguardo, si disposero subito dietro di lei. La maga fece appello a tutto il potere magico che le era rimasto e si levò in aria, un cerchio per il lancio degli incantesimi che brillava in maniera accecante posto davanti a lei: pronunciò velocemente la formula dell’incantesimo più potente che conosceva, anche se non era certa di poterlo gestire a pieno. Poco prima di lanciare l’incantesimo, rivolse lo sguardo verso Manuela e il suo professore. “Questo è il vostro finale!” esclamò, anche se probabilmente nessuno l’avrebbe sentita. Congiunse le braccia davanti a sé e il cerchio esplose, liberando una freccia energetica che in un battito di ciglia si schiantò sul battaglione dei suoi professori, per poi esplodere. Le finestre andarono in frantumi e un pezzo di muro collassò nel giardino esterno del palazzo, mentre il tratto di corridoio che era stato percorso dall’incantesimo stava bruciando, e una parte sembra quasi liquefatta: non pensava di essere in grado di libera una tale forza distruttrice e di avere abbastanza energia per rimanere sveglia. Si accasciò a terra ma riuscì a rialzarsi, nonostante le gambe incerte, mentre la nuvola di fumo e polvere che ricopriva la zona dove si trovavano i suoi avversari si diradava: con sua enorme sorpresa, una sottile barriera di energia magica si rivelò, presentando però profondi squarci in diversi punti, e poco dietro vide il professor Hannerman, la sua uniforme di battaglia portava i segni dell’incantesimo che aveva contrastato. La barriera s’infranse definitivamente dopo qualche istante e il mago rovinò a terra,

Dorothea non sapeva se fosse morto o soltanto sopraffatto dallo sforzo che aveva appena compiuto. Subito dopo, vide che Manuela era ancora in piedi e che la sua mano emanava una pallida luce.
Un dardo elettrico l’attraversò da parte a parte, mozzandole il fiato e oscurandole la vista. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato prima o poi, ma questa consapevolezza non attenuò affatto il misto di dolore e paura che si propagò in tutto il suo corpo. Atterrò di schiena, sentendo allontanarsi in fretta le poche soldatesse che le erano rimaste. Sentiva le forze abbandonarla sempre più in fretta, sostituite da un sempre più opprimente freddo torpore. Aveva sognato un paio di volte la sua morte, ma nessuna sua fantasia era arrivata a descrivere ciò che il suo corpo riusciva a percepire in quel momento. D’un tratto, come una luce accecante, la sua mente fu investita dai ricordi della sua gioventù, dei momenti oscuri passati per le strade dei quartieri più poveri della capitale e dell’enorme felicità che provava ogni volta che stava a fianco di Edelgard, dell’amore che era sbocciato ma mai completamente fiorito. Vide sé stessa essere sostituita da una rosa con un solo petalo custodito da innumerevoli spine acuminate. Sentiva le forze abbandonarla completamente, i battiti del suo cuore farsi sempre più deboli. L’ultima cosa che riuscì a vedere era il viso sorridente dell’imperatrice, una vista diventata sempre più rara con gli anni. Si dispiaceva di non essere stata più utile alla sua causa, ma sperava che avrebbe trovato la forza di perdonarla se ma si fossero reincontrate nel mondo oltre la fine. Mosse le labbra un’ultima volta.

“E… die”

E poi nulla più.
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Angolo dell'autore
Ho scritto questa storia poco dopo aver completato la mia run di Verdant Wind senza aver reclutato nessun personaggio delle altre Case, perciò ho voluto provare ad indagare i pensieri di una particolare versione di Dorothea ( uno dei personaggi che ho più apprezzato, anche se forse non si direbbe dopo aver letto questa storia XD). Ogni critica è ben accetta, quindi non esitate ad esprivervi. 
Un saluto, 
Mad_Dragon
  
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