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Autore: LadyProud    26/02/2020    2 recensioni
“Lo sai che lo rifarà”, disse la donna, inquieta, tenendo stretta una collana di legno che sembrava starle particolarmente a cuore.
“Lo so, andrà avanti in questo modo per l’eternità, ma non sta a noi decidere il suo destino”.
“No, no di certo”, si affrettò a precisare Constance, “Nessuno dovrebbe modificare regole eterne e perfette per una singola eccezione”.
L’uomo sorrise amaramente. “Se non ci è permesso modificare le regole, perché abbiamo deciso di mentirle ogni volta?”
Genere: Angst, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando sono arrivata in questo mondo, ero sicura di volerci restare per sempre.
Ho lottato per arrivare dove sono, ho guadagnato la fiducia di ogni grado gerarchico, dai deboli ai potenti, fino ad arrivare ad essere una di loro; mi hanno sempre intimato di non definirmi tale, però, dal momento che l’umiltà è una delle doti che mi hanno portata più in alto degli altri.
Non sono sicura di potermi definire umile, però; non più.
Sento di essere ingrata nei confronti di chi mi ha creata, nei confronti di chi mi ha dato un posto dove stare, di chi mi ha aiutata a raggiungere livelli di conoscenza che non avrei mai ritenuto alla mia portata.
Mi sento immensamente in colpa a pensarlo, ma sento di volere di più.
Ho visto tutto quello che potevo vedere, fatto tutto quello che potevo fare, e ora questa lussuosa gabbia d’oro e diamanti mi appare per quello che è: una gabbia.
Riesco quasi a sentire il peso delle responsabilità che mi tarpa le ali, la pesantezza delle aspettative che spegne il mio calore, la fiamma della passione che provavo per il posto in cui vivevo tramutarsi in un orrido groviglio di spaventosi incendi che non riesco più a controllare e che divorano quello che resta della mia energia.
Sembro essere l’unica che si sente in questo modo.
Mentre svolgo i miei incessanti compiti, che dovrebbero portarmi solo gioia e gratitudine, guardo i miei colleghi e sento crescere in me una sensazione che non dovrei più essere in grado di provare: l’odio.
Odio i loro volti beati e soddisfatti, odio ricordare quelle sensazioni e non riuscire più a provarle, odio me stessa e odio chi mi ha concesso di ottenere conoscenze oltre l’umana comprensione, ma non la saggezza per gestirle.


Ora sento freddo, ma sono più leggera.
Sono scappata senza dare nell’occhio, regredendo e nascondendo i miei talenti, fino a tornare nel luogo che mi ha inizialmente accolta e che rappresenta il mio primissimo ricordo.
Non ho memoria di quello che ero innumerevoli anni fa, prima di arrivare su questa riva con una barchetta tanto umile e stracolma di passeggeri che non ricordo neppure uno dei volti che mi circondavano.
Dal momento in cui ho messo piede su questa terra, non ho fatto altro che faticare per tentare di arrivare in posti che mi avevano detto essere luoghi d’immensa tranquillità e pace, nei quali speravo avrei potuto trovarla anch’io.
Non mi è stata neppure data molta scelta; restare immobile mi faceva male, così ho pensato di tentare la scalata, come tanti altri; molti hanno fallito, io ce l’ho fatta. Ripensando in maniera confusionaria al tempo passato in quei luoghi, mentre il freddo s’impossessa del mio corpo, anche i ricordi più recenti cominciano a farsi più deboli.
Immersa nelle acque che, tanto tempo prima, mi regalarono una nuova vita, spero che possano farlo di nuovo.
Guardo per l’ultima volta ciò che avevo lasciato indietro, sulla spiaggia, mentre lentamente anche il mio capo viene sommerso dalla corrente; l’ultima cosa che vedo è un groviglio bianco chiazzato di un rosso acceso, e l’ultimo pensiero che faccio è che sembra un immenso animale ferito e abbandonato a morire da solo, accucciato in riva al fiume.


“Safat? Sei sveglia?”
Una giovane donna, completamente nuda, giaceva sulle rive di un fiume, davanti a lei un uomo, una donna e una lussureggiante foresta verde che sembrava preannunciare solo spensieratezza e allegria. Le sembrava tutto incredibilmente bello, compresi gli individui che la stavano fissando.
La donna sdraiata sulla sabbia aveva una serie apparentemente infinita di cicatrici sulla schiena; sei di esse sembravano essere fresche.
“Dove… dove sono?”, chiese, guardandosi intorno. “Chi sono?”, aggiunse poi, confusa dalla sua stessa domanda. “Come mi chiamo?”.
L’uomo e la donna si guardarono perplessi, poi accarezzarono la testa bionda di lei e le dissero che non doveva preoccuparsi, che le avrebbero spiegato tutto a breve e che dovevano solamente scambiare due parole in privato; lei si tranquillizzò immediatamente, sentendo di potersi fidare di loro, e guardò i due allontanarsi.


“L’ha rifatto”, disse la donna in tono grave, ormai lontana dall’innocente figura che sedeva sulla riva del fiume.
“Non ti stupire, Constance. Lo sai che ci prova da eoni”. L’uomo sospirò, pensando a come agire.
“Questa volta si è spinta troppo in là”, affermò Constance accigliata, “Non dovrebbe esserle permesso uscire dal suo Coro, né tantomeno arrivare fin qui!”.
“Non è permesso neppure procurarsi armi, sbagliare di proposito il lavoro o dubitare di quanto ci viene insegnato”, la corresse l’uomo, “Eppure è riuscita ad infrangere anche regole che non sapevamo di avere”.
“Cosa le diciamo, questa volta?”
“Più o meno quello che diciamo sempre, Constance. Io ho il mio lavoro, tu hai il tuo, e Safat deve imparare ad accettare il suo”.
“Lo sai che lo rifarà”, disse la donna, inquieta, tenendo stretta una collana di legno che sembrava starle particolarmente a cuore.
“Lo so, andrà avanti in questo modo per l’eternità, ma non sta a noi decidere il suo destino”.
“No, no di certo”, si affrettò a precisare Constance, “Nessuno dovrebbe modificare regole eterne e perfette per una singola eccezione”.
L’uomo sorrise amaramente. “Se non ci è permesso modificare le regole, perché abbiamo deciso di mentirle ogni volta?”
Constance arrossì e sgranò gli occhi. “Non stiamo mentendo”, disse in maniera concitata, “Stiamo tentando di riportarla sulla retta via, quella che è stata prevista per lei”.
“Giusto, giusto”, disse lui, ancora sorridendo. “Quindi, cosa cambiamo, questa volta?”
“Non abbiamo mai provato a darle un altro nome”, rispose pronta Constance. “È rischioso, ma potrebbe essere la soluzione giusta”.
Stranamente, l’uomo sembrò darle immediatamente ragione; annuì e guardò verso il fiume, facendo un cenno ad una barchetta che si stava preparando per attraccare.
“Il mio lavoro qui è finito, amica mia. Tornerò presto con i nuovi arrivati, ma tu vai avanti con… Malka”, disse lui con convinzione. “Non voglio che gli altri la vedano”.


Constance si rimise il rosario al collo e tornò dalla giovane che l’aspettava paziente.
Giaceva ancora a terra, ma ora era seduta, con le acque del fiume che le lambivano i piedi, e sembrava essere totalmente a suo agio.
Quando vide tornare Constance, tentò di rimettersi in piedi, ma lei la fermò con un cenno della mano. La giovane donna obbedì, totalmente sopraffatta dalla bellezza della figura che le si parava davanti.
Constance aveva lunghi capelli biondi, simili ai suoi, che sembravano avere una vita propria; le galleggiavano attorno al volto come fosse sott’acqua, ma senza la sensazione di freddo che la giovane ricordava vagamente di aver provato solo qualche minuto prima.
Le sembrava invece di essere avvolta da un tepore confortevole, che la faceva sentire al sicuro; notò di essere nuda, ma non provava freddo né vergogna, mentre attendeva che la figura, ora avvolta da una flebile luce, parlasse.
Il sole era alto ed incredibilmente luminoso dietro Constance, ma la giovane non ne era minimamente infastidita e non tentò di schermarsi gli occhi, anzi; riuscì a distogliere lo sguardo dalla bellissima figura che aveva davanti, per tentare di osservare meglio l’enorme globo di luce dietro di lei.
Constance sorrise e fermò nuovamente la donna, che tornò nella posizione precedente, ugualmente ben contenta di poter continuare a guardare quella figura splendente.
D’un tratto, Constance le porse una mano, e subito la ragazza la strinse.

Non sobbalzò quando sentì una sensazione di solletico alla schiena, né quando la sua nuova e incantevole guida spalancò le ali, immense e d’un bianco purissimo, oscurando quasi totalmente la luce dietro di lei.
“Ciao, Malka”, disse infine, “Benvenuta in Paradiso.”




----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Ho scritto quella che doveva essere una one-shot dopo aver sentito "You'll miss me when I'm not around" di Grimes. Non so se c'è qualcuno che la leggerà, ma mi piacerebbe sapere cosa pensiate che sia successo/che stia succedendo, dal momento che c'è molta roba sottintesa che, in teoria, si potrebbe capire dal contesto, in pratica non ne sono molto sicura... Ho intenzione di continuarla, ma vorrei appunto sapere cosa immagina uno sconosciuto che legge questo prologo. Grazie in anticipo!
   
 
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