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Autore: Lamy_    10/03/2020    0 recensioni
Ernest Hemingway ha scritto “ma noi non eravamo mai soli e non avevamo paura quando eravamo insieme’’.
Thomas e Amabel si sono ritrovati dopo la Guerra, dopo anni di lontananza, dopo le difficoltà che hanno dovuto affrontare. Insieme non devono più temere i nemici, eppure nei vicoli sudici e fumosi di Birmingham si nascondono nuove minacce in agguato.
La città è sull’orlo di una crisi: Amabel contro Evelyn; i Peaky Blinders contro i Birmingham Boys. Non c’è spazio per la paura. E’ arrivato il momento di lottare.
Thomas e Amabel si lasceranno annientare dalla paura oppure la vinceranno?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10. TRAMONTARE

“Love is blindness,
I don’t want see.
Won’t you wrap the night around me?
Oh, my heart, love is blindness.”
(Love is blindness, Jack White)
 
Un mese dopo, aprile.
Tommy rincasò alle otto di sera. Era sfinito da una giornata di intenso lavoro che lo aveva sballottato da una riunione all’altra, da un brunch ad una cena. Si chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò con un sospiro. La luce del soggiorno era accesa e si udivano risate gioiose. Dallo stipite osservò Amabel e Charlie giocare davanti al camino con dei trenini.
“Ciuf! Ciuf! Ciuf!” diceva il bambino muovendo il giocattolo verso Amabel.
“Posso giocare anche io con voi?” domandò Tommy.
“Papà!”
Charlie corse verso il padre che lo prese in braccio al volo e gli diede un bacio sulla guancia.
“Ah, che belli i miei ometti!” esclamò Amabel.
Tommy si chinò a baciarla e poi lei si accoccolò contro la sua spalla. Charlie allungò le braccia verso Amabel per accarezzarle il viso con fare maldestro.
“Possiamo parlare, Bel?”
Amabel si agitò per il tono cupo usato dal marito, di solito precedeva una disgrazia.
“Certo. Nel frattempo faccio addormentare Charlie.”
Tommy si versò del whiskey mentre Amabel si sedette sul divano con Charlie tra le braccia. Iniziò a cullarlo canticchiando una filastrocca della buonanotte. Il bambino socchiuse gli occhi pian piano.
“Sei meravigliosa con lui. Sei un’ottima mamma.” Disse Tommy.
Amabel sorrise e baciò la fronte del piccolo senza mai smettere di dondolarlo.
“In questo caso sono la matrigna buona! Allora, di cosa dobbiamo parlare?”
“Sei stata licenziata dalla Shelby Company Limited.”
“Come, scusa?!”
Tommy ghignò per l’espressione infuriata della moglie, aveva anche smesso di cullare Charlie.
“Non è come sembra. Sei stata licenziata perché ho aperto una nuova società a nome tuo e di Ada: la Hamilton & Thorne Society. E’ la giusta manovra per ripulire il nostro nome. Abbiamo usato la clinica per riciclare il denaro sporco, ma ora che sono un parlamentare le cose devono cambiare. E’ quello che volevamo, no? Una vita tranquilla.”
Amabel studiò Tommy, il labbro superiore tremolava leggermente perché mentiva.
“Bugiardo. Qual è il vero motivo?”
Tommy si versò altro whiskey e lo tracannò in un colpo solo.
“Voglio che tu e Ada usiate la nuova società per fare opere di bene. Entrambe siete intelligenti, determinate e avete delle idee brillanti. Inoltre, Lizzie e Polly sono dalla vostra parte. Ho preso una decisione.”
“Quale decisione?”
Tommy fece un respiro profondo, sembrava che stesse per spifferare chissà quale verità.
“Non voglio più essere Tommy. E’ diventato troppo pericoloso, soprattutto ora che in città ci sono nuove forze in campo. Giselle ha preso il posto di Kimber, i Sabini si stanno riorganizzando e i nipoti di Adrian stanno tornando alla rimonta. Ho paura per la nostra famiglia. Adesso ho te e Charlie, ho troppo da perdere.”
“E da quando ti spaventa la concorrenza? Thomas, non ti capisco.”
“Da quando ho qualcuno per cui vale la pena vivere. Gli Shelby hanno troppi nemici, non potrei mai lasciare te e Charlie indifesi. I Peaky Blinders continueranno ad occuparsi delle corse legali e illegali grazie alla Shelby Company Limited sotto la supervisione di Arthur e Michael. Io, però, lavoro al parlamento e devo allontanarmi dalla malavita. E tu meriti di avere una società tutta tua per rendere migliore Birmingham.”
Amabel si accorse che Charlie si era addormentato e lo depose sulla poltrona accanto al camino con una coperta addosso.
“In pratica i Peaky Blinders continuano con gli affari illegali senza me e te?”
“Più o meno. Io e te dobbiamo ripulirci. Io ho la nomea di gangster e tu sei stata marchiata perché hai sposato me.”
“Tu lo sai che non mi interessano le etichette. La gente può pensare quello che vuole di me. E sai anche che io sono al tuo fianco sempre, nella legale e illegale sorte. Non ti ho sposato per i tuoi soldi, per la tua fama, io ti ho sposato solo per amore.”
Tommy le accarezzò il dorso della mano e annuì.
“Lo so, però questa vita non fa più per me. Cazzo, sono stanco da morire. Un altro giorno fra sparatorie, minacce e morti non lo reggo. Ho bisogno di pace adesso.”
Amabel capì allora che Tommy non poteva continuare così, la sua anima era distrutta dai traumi e aveva bisogno di riposare la mente.
“Va bene, Thomas. Se questo è quello che vuoi.”
“Io voglio te e Charlie.” sussurrò Tommy.
Amabel gli strinse le mani e gli baciò le nocche, poi gli diede un bacio sulle labbra.
“Io e Charlie siamo qui per te. Sempre.”
 
Due mesi dopo, giugno.
La spiaggia di Exmouth si stendeva sotto il cielo azzurro di inizio estate. L’aria era calda e piacevole, e la sabbia non era ancora bollente come sarebbe diventata nel giro di due settimane. La famiglia Shelby si era riunita nella casa al mare degli Hamilton per festeggiare Diana che aveva ottenuto la licenza superiore pochi giorni prima. Mentre tutti celebravano tra whiskey e dolci, Amabel scese in spiaggia per una passeggiata meditativa. Aveva scoperto qualcosa che stava per sconvolgere la sua vita, perciò aveva bisogno di un momento per riflettere.
“Cosa farai adesso, Diana?” domandò Linda, addentando un pezzo di torta al cacao.
Diana si pulì la bocca dalle briciole e sorrise.
“Io e Finn vogliamo trasferirci in Galles per aprire un maneggio. In Galles abita mia zia, una vera appassionata di animali, che possiede un enorme casolare. Le farebbe piacere avere un po’ di compagnia. E inoltre voglio studiare per diventare veterinaria, qualcuno dovrà pur curare i cavalli!”
“Finn, andrai a spalare la merda in Galles? Ottimo!” scherzò Arthur lisciandosi i baffi.
Finn sbuffò e scosse la testa, dopodiché mise un braccio sulle spalle di Diana.
“Andrò a fare un lavoro onesto, cosa sconosciuta a questa famiglia.”
Tutti scoppiarono a ridere, in fondo non era un segreto che gli Shelby non bramavano un lavoro comune e legale.
“Il nostro Finn è un uomo ormai. Ci rende molto fieri!” disse Polly sorridendo.
Diana e Finn avevano discusso con Tommy della loro decisione in quanto avevano bisogno di un finanziamento per avviare l’attività. Tommy aveva affidato la questione ad Amabel e Ada, le quali avevano usato la Hamilton & Thorne Society per elargire il prestito. Finalmente Finn poteva liberarsi della vita tossica di Birmingham e godersi un’esistenza serena.
“Chi vuole altra torta?” chiese Lizzie.
Mentre tutti cercavano di accaparrarsi una fetta di dolce, Tommy notò l’assenza di Amabel e la vide camminare lungo la riva del mare.
“Va da lei.” gli suggerì Ada.
Tommy si tolse le scarpe e si arrotolò i pantaloni, odiava la sabbia che si infilava dappertutto.  Amabel guardava l’acqua, le piccole onde che correvano a riva per poi morire, quasi lottassero per sopravvivere.
“Bel.”
La moglie trasalì e si portò una mano sul petto. Sembrava triste.
“Mi è venuto un colpo!”
Un soffio di vento fece scivolare una ciocca dallo chignon e Tommy si premurò di scostarglielo dagli occhi.
“Perché sei qui tutta sola? Di sopra stanno mangiando il dessert. Qualcosa non va? Sei preoccupata per Spencer?”
“Oh, no. Spencer sta bene, gli appunti di mio padre sono stati fondamentali per salvarlo. Sono qui perché mi andava di stare un po’ da sola. Giselle aveva ragione: non posso essere gentile e disponibile per tutto il tempo.”
“Nessuno vuole che tu sia gentile e disponibile tutto il tempo. E’ normale avere un momento di incertezza, però vorrei che tu ne parlassi. Bel, io ti racconto sempre i miei incubi e i miei dubbi. Anche tu puoi parlare con me.”
Amabel accennò un piccolo sorriso, falso quanto i finti bottoni laccati d’oro del suo vestito.
“Ehm … Thomas, ascolta … E’ successa una cosa.”
L’espressione di Tommy si indurì all’istante, il timore che sua moglie stesse male per qualche ragione lo agitava.
“Cosa?”
Amabel fece un passo indietro e gli diede le spalle, le ginocchia tremavano a causa dell’ansia. Tommy le mise le mani sulle spalle applicando una forza minima per farle capire che lui era lì a sostenerla.
“Amabel, che c’è?”
“Sono incinta.”
Per un secondo il tempo sembrò essersi congelato, il mare si era ritirato, il cielo si era spento, e il mondo aveva smesso di girare. Poi Tommy sorrise raggiante e l’abbracciò da dietro, premendo le labbra sulla spalla della moglie.
“E’ una notizia fantastica! Non sei contenta?”
“No.”
Amabel si staccò da lui e incrociò le braccia sotto il seno. Non osava nemmeno guardarlo in faccia.
“Perché no? Io pensavo che fosse quello che volevamo.”
“Lo volevamo? Non ne abbiamo mai parlato.”
Tommy non capiva perché lei fosse tanto sulla difensiva, ma lo infastidiva quella freddezza.
“Non ti seguo, Amabel. Avremmo dovuto programmarlo? Cazzo, queste cose capitano e basta!”
“Già, capitano. E finiscono pure.” Replicò lei, acida.
Tommy si diede dello stupido per non aver intuito prima la paura di Amabel legata al trauma.
“Tu hai paura di perdere il bambino.”
“La prima volta è andata male, magari anche questa volta finirà in maniera tragica. Sai com’è, a quanto pare sono una pessima madre!”
“Che cazzo dici? Non è stata colpa tua. Amabel, sei un medico e sai come funzionano queste cose. Non essere ridicola, sei fin troppo intelligente.”
Amabel si passò le mani sul viso, era reduce da una nottata insonne provocata da questa novità che stava scompaginando tutti i suoi piani.
“E se perdessi il nostro bambino? Io non riuscirei a superare il dolore questa volta.”
Tommy l’abbracciò e le accarezzò i capelli per calmare il suo respiro concitato.
“Questa volta potrebbe essere diverso. E se perdessimo il nostro bambino, lo affronteremmo insieme. Però, ti prego, non ti far risucchiare dalla paura. Ti ricordi cosa disse Oliver?”
“Che il problema è solo nella mia testa.” Disse Amabel, e si strinse a lui.
“Esatto. Credevi di non poter avere figli, invece sei rimasta incinta di nuovo. Adesso devi solo allontanare la paura. Ci sta capitando un miracolo, Bel. Io e te stiamo per avere un figlio.”
Amabel sorrise per la prima volta da quando aveva letto i risultati delle analisi. Oliver le aveva sempre detto che il blocco era nella sua testa, che la paura era la vera morte della sua speranza di avere un figlio. E dal momento che aveva affrontato la guerra, poteva affrontare anche i suoi timori.
“Va bene. Cercherò di pensare positivo.”
Tommy le sollevò il mento e si chinò a baciarla lentamente mentre la teneva stretta a sé.
“Di quanto sei?”
“Un mese e mezzo. Ero convinta che le mestruazioni fossero saltate per colpa dello stress, però qualche giorno fa ho deciso di fare gli esami del sangue. Mi dispiace non avertelo detto subito.”
“L’importante è che tu abbia avuto il tempo necessario per elaborare la notizia.”
Amabel gli diede un bacio a stampo e lo abbracciò forte. La paura non sarebbe andata via per magia, ma poteva vincerla giorno dopo giorno.
“Sarà dura, Thomas.”
“Ce la faremo anche questa volta. Lo diciamo agli altri?”
Amabel non rispose, prese la mano di Tommy e insieme tornarono in casa. Gli altri stavano ancora mangiando e bevendo tra risate e battute.
“Ah, siete vivi!” disse Polly, la sigaretta tra le dita e un ghigno malizioso.
“Dobbiamo comunicarvi una notizia. Una bella notizia.” Annunciò Tommy.
Tutti gli occhi si puntarono su Amabel, che deglutì e si morse le labbra. Si rilassò un poco quando Tommy le circondò la vita col braccio.
“Io e Thomas aspettiamo un bambino!”
“Lo sappiamo. – disse Finn – Polly ce lo ha detto poco fa.”
“L’ho letto nei fondi del the questa mattina.” Spiegò Polly .
Tommy lanciò un’occhiataccia alla zia, sin da bambino non sopportava quella saggezza mistica di cui Polly si vantava di continuo.
“Congratulazioni, sorellona!” strillò Diana gettandosi addosso alla sorella.
Di conseguenza si scatenò un tripudio di complimenti, applausi e fischi, qualche abbraccio e qualche pacca sulla spalla. Tommy prese Charlie in braccio e gli pettinò i capelli disordinati.
“Stai per avere un fratello o una sorellina, Charlie. Sei contento?”
“Sì! Possiamo giocare insieme?”
Amabel rise e gli fece il solletico sul pancino, e il piccolo si dimenò.
“Assolutamente sì.”
Tommy attirò Amabel a sé e le stampò un bacio sulla fronte. Dopotutto la Francia gli aveva regalato una famiglia.
 
Quattro mesi dopo, ottobre.
Tommy aprì lo sportello e aiutò Amabel a scendere dall’auto. Faceva fresco, quindi Amabel si coprì meglio con lo scialle che un tempo Bertha aveva cucito per lei. L’ingresso del White Rose era un viavai di camerieri, autisti e clienti di alto profilo. Era il ristorante più in voga della città, frequentato solo da gente ricca che voleva ostentare la propria ricchezza mangiando piatti che non erano un granché. L’alta società di Birmingham era un grande circo e tutti erano attori mediocri, Amabel lo aveva sempre pensato.
“Ti ricordi questo posto, Thomas?”
“Sì. – confermò Tommy – E’ dove abbiamo parlato per la prima volta dopo il tuo ritorno. Mi avevi colpito subito.”
“Invece io volevo starti il più lontano possibile.” disse lei ridacchiando.
“Direi che il tuo tentativo è fallito, per fortuna.”
Amabel si toccò la pancia mentre si abbandonava a quel ricordo. Era incinta di quattro mesi, il seno era più grande, i fianchi più larghi ed era più stanca, ma quella sera non aveva rinunciato all’incontro che si sarebbe tenuto nel ristorante. Aveva in mente un’idea e avrebbe ottenuto i consensi necessari per metterla in pratica.
“Lei è già qui.” bisbigliò Tommy.
All’interno si stava bene, l’odore di cibo si librava nell’aria e la musica del pianoforte allietava l’atmosfera. Amabel e Tommy furono condotti dal cameriere al loro tavolo, dove la loro ospite li stava già aspettando.
“Buonasera. Scusa il ritardo, ho finito poco fa il turno in clinica.” Disse Amabel.
Tommy le tolse lo scialle dalle spalle e poi la fece accomodare sulla sedia come un vero gentiluomo. Si sbottonò la giacca e prese posto accanto a lei.
“Buonasera a voi. Tranquilli, nel frattempo ho bevuto due flute di champagne che ovviamente pagate voi. Lavori ancora nelle tue condizioni?”
Giselle Bennett indossava uno sgargiante abito viola che faceva risaltare i capelli biondi acconciati in piccoli boccoli. Il suo atteggiamento da ragazza innocente mascherava piuttosto bene il suo comportamento da serpe velenosa.
“Lavoro perché altrimenti mi annoierei. Non sono una che se ne sta con le mani in mano.”
“Beh, potresti restare a casa e tenere le mani nei pantaloni di Tommy. Sono certa che a lui non dispiaccia affatto.” ribatté Giselle ammiccando verso Tommy.
“Sta buona, Giselle. Sta buona.” L’ammonì lui.
La ragazza gli fece l’occhiolino e sorseggiò altro champagne. Il rossetto rosso lasciava un segno sul calice ad ogni sorso.
“Faccio la cattiva altrimenti mi annoierei. Allora, perché mi avete invitata a cena?”
“Io e Ada abbiamo un’idea.” Disse Amabel, determinata come sempre.
“Oh, povera me. Di che si tratta?”
“Vorremmo aprire un laboratorio dove le donne, sia povere sia ricche, possano imparare un mestiere. Si potrebbe anche annettere un edificio per ospitare le donne che non hanno una dimora.”
Tommy mandò giù il whiskey che aveva ordinato nella speranza che quella cena trascorresse in fretta, era stanco e voleva levarsi Giselle di torno il prima possibile.
“Capisco. – disse Giselle – Perché mai creare un laboratorio?”
“Perché le donne hanno bisogno di lavorare. L’indipendenza economica è importante. Molte sono vittime di una famiglia meschina, di un marito violento, o semplicemente di una società che le vuole annullare. Il laboratorio darebbe la possibilità a queste donne di imparare un mestiere e poi di lavorare in modo da essere libere di scegliere della propria vita. Ti parlo da donna a donna, Giselle.”
Giselle si chiuse in un silenzio religioso. Si limitava a fissare le bollicine che salivano e scendevano nel suo calice di champagne. Amabel toccò la mano di Tommy sotto il tavolo per ricevere sostegno.
“Che ne pensi?” domandò Tommy, curioso.
“Amabel ha ragione, noi donne abbiamo bisogno di stabilità economica personale per liberarci da chi vuole tenerci ingabbiate. E io che ruolo giocherei in tutto ciò?”
“Ho bisogno che tu e tua madre coinvolgiate le donne dell’alta società perché integrarle nel progetto ci assicura denaro e pubblicità.” Spiegò Amabel.
“D’accordo. – acconsentì Giselle – E’ un bel progetto. Io e mia madre saremo a disposizione della Hamilton & Thorne Society con molto piacere.”
Amabel e Giselle si strinsero la mano, in fondo entrambe stavano ricavano profitto dall’accordo, la prima guadagnava la giusta visibilità per il progetto e la seconda poteva fingere ancora di essere la ragazza immacolata che tutti credevano.
Amabel si alzò piano, recuperò la borsa e si incamminò verso la parte opposta del locale.
“Ora scusatemi ma devo andare alla toilette. Voi ordinate la cena senza di me.”
 “Vescica debole, eh.” Commentò Giselle.
“E’ incinta.” Replicò Tommy.
“Sei un fottuto bastardo, Tommy Shelby. Hai trovato una donna con le palle più grosse delle tue. Non farti scappare Amabel.”
Tommy rimase sorpreso, non si aspettava che proprio Giselle si schierasse dalla parte di Amabel considerate le loro passate traversie.
“Lo so.”
Amabel si sciacquò le mani e si sistemò i capelli, del resto quel locale era pieno di gente facoltosa che avrebbe giudicato il suo aspetto. Sulla porta si imbatté in una donna che entrava.
“Oh, perdonatemi!”
“Amabel.”
Evelyn era sbiancata, sembrava quasi che avesse visto un fantasma.
“Ciao. – disse Amabel, apatica – Mi pedini?”
“No, certo che no. Sono qui per cenare. Sei incinta, congratulazioni!”
Amabel arricciò il naso a quella gentilezza che strideva con le precedenti azioni della sorella. Evelyn era la stessa di sempre, capelli perfettamente pettinati, occhi luminosi e trucco perfetto, ad essere nuovo era solo l’abbigliamento scuro in segno di lutto.
“Stento a credere che tu sia contenta per me. Come sta Joseph?”
“Bene, cresce in fretta. E’ un bambino buono. Mi ricorda Diana quando era piccola.”
“Mi fa piacere. Ora devo tornare di là, Thomas mi aspetta.”
Amabel stava per andarsene ma la sorella l’afferrò per il braccio.
“Aspetta. Devo dirti una cosa prima che tu venga a saperlo da qualcun altro. Ho lasciato il convento, ora io e Joseph viviamo con zia Camille.”
“Almeno la vecchia bisbetica è in compagnia adesso. Mi dispiace solo per il piccolo!”
Evelyn non rise, lei adorava zia Camille e non aveva mai compreso il disprezzo che Amabel proava per quella donna.
“Lasciami parlare. Il mese prossimo mi trasferirò a Boston insieme al mio nuovo marito.”
Amabel sgranò gli occhi. Quella rivelazione fu tanto inaspettata quanto surreale che la fece ridacchiare.
“Bobby è morto poco tempo fa e tu hai già trovato un sostituto? Sei davvero in gamba nella caccia gli uomini, zia Camille ti ha ammaestrata bene!”
“Mi sposo con George Cavendish, il cugino di Dominic e Jacob.”
Le risate si placarono subito a quelle parole che avevano mozzato il fiato di Amabel per qualche secondo. Tirò a sé la sorella per bisbigliarle all’orecchio.
“Ti ricordo che siamo state indagate per la morte dei suoi cugini. Non è una saggia decisione. Anzi, è la decisione più stupida che tu possa prendere! Abbiamo fatto di tutto pur di ammettere la nostra innocenza, non puoi rovinare tutto.”
Evelyn si liberò con uno strattone e rivolse uno sguardo truce alla sorella maggiore.
“George è uno sciocco, non è pericoloso. Ha anche perso un braccio in guerra, quindi è già tanto che abbia trovato una donna disposta a sposarlo. Non scoprirà mai la verità.”
“Tu lo sposi solo per i soldi, vero? Misericordia, Evelyn! Forse sarebbe il momento di smetterla di ragionare secondo gli insegnamenti di quella vecchia pazza di Camille!”
“E cosa dovrei fare? Studiare? E’ troppo tardi. Lavorare? Non fa per me. Io desidero solo una vita agiata, George lavora in banca e riceve una pensione per l’arto mancante.”
Era paradossale che Evelyn parlasse di farsi mantenere da un uomo quando Amabel pochi minuti aveva parlato di indipendenza economica femminile con Giselle.
“Non è tardi per studiare. Puoi ancora seguire un corso per infermiere ed essere assunta nella mia clinica. Sono propensa a perdonarti, Evelyn.”
Evelyn raddrizzò la schiena come aveva insegnato loro la madre, bisognava mantenere un certo contegno dignitoso in ogni circostanza, soprattutto nelle avversità.
“Io non sono come te e Diana. Non mi piace perdere tempo sui libri, non mi piace impegnarmi per lavorare, e non mi piace la vita modesta che avete scelto. Tu sei sempre stata la migliore, Amabel. Tu sei la più bella, la più intelligente, la più gentile, e gli uomini si innamorano sempre di te. Oggi sei una donna realizzata, hai una clinica tutta tua, hai un marito che stravede per te e hai due figli.”
Amabel avvertì una fitta al petto, un dolore cupo che le invadeva le arterie pompando sangue amaro.
“Non sono così. Io sono andata in guerra, ho faticato per affermarmi nel mondo medico, ho perso un figlio e spesso faccio fatica a gestire l’indole di mio marito. Quella Amabel che conoscevi, spensierata e gentile, non esiste più. E’ morta in Francia. La vita è difficile per tutti, anche per me! Tu potevi avere tutto, lavoro, fama, amore, eppure hai intrapreso sempre la strada sbagliata. Non è colpa mia se la tua vita è andata a rotoli, è solamente colpa tua.”
Evelyn incassò il colpo in silenzio, abbassò gli occhi e si morse l’interno della guancia. Amabel le accarezzò la guancia e le baciò la fronte.
“Buona fortuna per tutto, Evelyn. Ti voglio bene.”
Quando Amabel tornò al tavolo, Tommy si accorse del suo smarrimento.
“Tutto bene?”
“Alla grande.”
Tommy scorse Evelyn sedersi accanto ad un uomo dai capelli fulvi e capì che sua moglie non stava bene come fingeva di essere.
 
Due mesi dopo, dicembre.
Amabel agguantò Charlie per la caviglia prima che il bambino cadesse dal letto. Stava facendo pratica con le capriole da un paio di settimane e il più delle volte finiva con un bernoccolo sulla fronte.
“Sei spericolato come tuo padre.”
Charlie si rituffò nel letto e iniziò a rotolarsi fra le coperte mentre la sua risata innocente risuonava nella camera da letto.
“Qualcuno mi ha chiamato?”
Tommy entrò nella stanza con addosso solo i pantaloni, la sua resistenza al freddo era uno dei pochi risvolti positivi della guerra. Ricordava ancora le interminabili notti di gelo che aveva trascorso nelle gallerie con Danny e Freddie, e quel freddo spesso gli pungolava ancora le ossa.
“Charlie ha deciso che rompersi il collo con le capriole sia una splendida idea.”
Il bambino rise ancora e tentò un’altra capriola ma Tommy lo fermò in tempo.
“Direi che per stasera può bastare.”
Tommy si sdraiò sul letto a pancia in giù e Charlie lo imitò, erano così simili con i capelli scuri e gli occhi azzurri. Amabel depose sul comodino il libro che stava leggendo e con un sospiro frustrato si mise più comoda contro i cuscini.
“Come ti senti?” chiese Tommy, e intanto accarezzava i capelli di Charlie.
Amabel negli ultimi tempi non era stata bene, la stanchezza e lo stress l’avevano costretta a letto per evitare l’interruzione della gravidanza.
“Annoiata, triste, e ancora annoiata.”
“No. – intervenne Charlie – Triste no!”
Amabel sorrise quando il bambino le strinse le esili braccia intorno al collo. Per essere tanto piccolo, dava gli abbracci migliori.
“Non sono più triste. Grazie per l’abbraccio.”
Charlie si rannicchiò contro di lei e appoggiò la manina sulla pancia, gli piaceva capire quando il nuovo arrivato si sarebbe fatto sentire.
“Eccolo!”
Anche Tommy mise la mano sulla pancia della moglie e avvertì un calcio.
“E’ forte. Polly dice che sarà una femmina.”
“E Polly di solito ha sempre ragione.” Aggiunse Amabel con un sorriso.
“Vero. – asserì Tommy – Charlie, è ora di andare a dormire. Domattina ti devi svegliare presto per andare a giocare con Karl.”
“Ciao!” disse Charlie, poi lasciò un bacino sulla guancia di Amabel.
“Buonanotte, tesoro.”
Mentre Tommy faceva addormentare il bambino, Amabel si concentrò di nuovo sulla lettura. Stava leggendo ‘La signora di Wildfell Hall’ di Anne Brontë , un romanzo epistolare su una tale Helen Graham che fugge da un matrimonio infelice. Era così immersa in quelle pagine da non accorgersi di Tommy che la guardava dallo stipite della porta con un sorriso.
“Questo libro ti piace molto, eh.”
Entrambi rammentavano ancora il loro primo viaggio in treno, fingendosi sposati, durante il quale lei si era estraniata mentre leggeva ‘I fiori del male’ di Baudelaire e lui si era perso ad ammirarla.
“E’ molto bello, sì. Ti leggo qualcosa?”
“Certamente.”
Quello era diventato un loro intimo rituale: ogni volta che Amabel incominciava un libro, selezionava alcune frasi e gliele leggeva. Tommy non era un amante dei libri, però non avrebbe mai rinunciato al loro momento.
“Questa mi piace: Lo condurrò per mano finché non avrà la forza di procedere da solo; e toglierò dal suo percorso quante più pietre potrò, e gli insegnerò a evitare quelle rimaste o a camminare saldamente sopra di esse. Che te ne pare?”
“Bella. – disse Tommy – Che significa per te?”
Si distese sul fianco per guardare sua moglie mentre attaccava con una delle sue prolisse spiegazioni letterarie, una delle tante cose che amava di lei.
“Mi piace perché mi fa pensare all’amore. Se ci pensi bene, è proprio quello che facciamo con le persone che amiamo, le aiutiamo a camminare superando gli ostacoli insieme a loro. Questo libro è pieno di frasi di questo genere perché in pratica la trama rig …”
“Quanto sei bella.”
Amabel si interruppe e arrossì, i complimenti improvvisi la mettevano a disagio.
“Cosa c’entra questo con il libro?”
“Non c’entra niente. E’ solo che sei bella quando parli di libri. Hai una luce tutta tua.”
“Grazie, credo.”
Tommy si sporse per baciarla, era troppo bella per non farlo. Amabel sorrise sulle sue labbra prima di approfondire il contatto. Il bracciale d’oro tintinnò quando si strinsero l’uno all’altro per baciarsi ancora. Amabel gli accarezzò il collo, fece scivolare la mano sulla spalla, lungo il braccio e poi sul fianco per tirarlo più vicino. La pelle di lui era fredda contro il palmo caldo, creando un mix perfetto.
“La mia Bel.”
Tommy le baciò il collo lentamente per poi scendere a baciarle il petto. Amabel non indossava il reggiseno e, quando la camicia da notte si spostò, un seno fu a  disposizione di Tommy. Lei emise un piccolo gemito per la delicatezza e la sicurezza con cui lui la stava trattando. Tornarono a baciarsi con maggiore trasporto, le bocche ansimavano, le mani si cercavano frenetiche. Amabel si scostò con un sorriso soddisfatto e passò una mano fra i capelli neri di Tommy, i suoi accattivanti occhi azzurri non smettevano di guardarla.
“Ti amo, Thomas.”
Tommy le stampò un paio di baci sulla bocca facendola ridere.
“Anche io.”
 
Tre mesi dopo, marzo.
Amabel spingeva la legna nel camino con l’attizzatoio, più per tedio che per necessità. A Birmingham pioveva ormai da tre giorni senza sosta. Era impossibile uscire a causa delle strade allagate, dei trasporti pubblici sospesi e delle forti raffiche di vento. Chi abitava in campagna era stato ospitato in città perché il vento aveva divelto i tetti e distrutto le tegole. Anche i bambini dell’orfanotrofio erano stati accolti in città, in una struttura messa a disposizione dal sindaco. La corrente era stata messa fuori uso, soltanto gli ospedali, centri medici minori e la centrale di polizia erano ancora in funzione. Amabel non ne poteva più di starsene rintanata in casa per colpa del maltempo e della gravidanza, sperava che quella monotonia finisse presto.
“Bel, dove sono le altre candele?”
“Nel terzo cassetto sulla destra. Sono quelle rosse avanzate da Natale.”
Il salotto era disseminato dalle candele, da coperte e tazze di the. Charlie non c’era poiché la situazione era precipitata prima che Tommy potesse recuperarlo, pertanto il bambino si trovava con Polly, Ada e Karl. La casa senza Charlie era ancora più spenta.
“Per fortuna abbiamo una scorta di candele. Questo fottuto tempo di merda sembra non volersene andare.”
Tommy dispose le candele sul tavolino e si sedette di fronte al camino per ardere altra legna. Amabel, avvolta in una coperta sul divano, fissava il fuoco che divampava.
“Oggi nostro figlio è irrequieto. Mi sta dando il tormento.”
“Deve aver preso da me.” la schernì Tommy, ma lei non sorrise.
“Sono seria, Thomas. Ho dolori dappertutto. Non ne posso più.”
Amabel si mise seduta e bevve la camomilla bollente che fumava nella tazza. Il tepore della porcellana fra le mani era piacevole.
“Manca poco. Il dottore ha detto che tra un paio di settimane dovrebbe nascere.”
“E da quando noi crediamo al dottor Smith? Ti ricordo che anche io sono un medico!”
Tommy inarcò il sopracciglio e si mise una sigaretta in bocca, dopodiché l’abbandonò sul tavolino visto che non poteva fumare vicino a sua moglie.
“Amore, tranquilla. Fai un bel respiro.”
“Non voglio stare tranquilla!”
La calma di Tommy innervosì ancora di più Amabel, che mise il broncio e sbuffò.
“Vuoi qualcosa da mangiare? Di solito il cibo ti calma.”
“Stai davvero cercando di zittire le mie lamentele col cibo? Ottima mossa!”
“Il cibo con te funziona sempre.”
Amabel finalmente sorrise, sebbene i segni della stanchezza rendessero mesto il suo sorriso. Tommy le portò una confezione di biscotti alla nocciola che aveva preparato Jalia, e sua moglie mangiucchiò in silenzio.
“I biscotti erano buoni. Ora va un pochino meglio.”
“Meno male, non avrei sopportato i tuoi lamenti ancora per molto.” Scherzò Tommy.
Amabel si allungò con l’intento di colpirlo alla nuca ma la pancia le impediva movimenti azzardati.
“Ringrazia questo pancione che ti ha salvato da uno scappellotto.”
Tommy si inginocchiò davanti a lei e le sollevò la camicia da notte, le dita che le sfioravano le cosce.
“Conosco un metodo per farti rilassare.”
“Non mi sembra il caso, Thomas.”
“E’ sempre il caso.”
Amabel rabbrividì quando le labbra fredde di Tommy le toccarono l’interno coscia, era una sensazione paradisiaca. Nel frattempo lui con le mani le accarezzava le ginocchia, beandosi del calore di quella pelle. Di colpa si accese la luce e Amabel sospirò di sollievo, almeno qualcosa stava tornando alla normalità.
“Va a chiamare Polly per sapere come stanno lei e Charlie.” Ordinò lei.
Tommy fece una smorfia, era stato interrotto sul più bello, non aveva mai odiato l’elettricità come quella sera.
“Thomas! Vieni subito!”
Amabel se ne stava seduta sul bordo del divano con una pozza d’acqua ai piedi.
“Cha diavolo è?”
“Si sono rotte le acque. Sto per partorire.”
L’autocontrollo di Amabel era invidiabile, respirava come le aveva consigliato il dottore alternando respiri brevi e lunghi. Tommy, invece, aggrottò le sopracciglia nel panico.
“Non puoi partorire ora che la città è bloccata! Cazzo!”
“Thomas. – disse Amabel – Ascoltami bene, avvisa Polly e avvisa la clinica. Va tutto bene, abbiamo tempo. Le contrazioni inizieranno a breve e potrebbero passare alcune ore prima del parto.”
Tommy imprecò a bassa voce ma seguì il suggerimento della moglie. Compose il numero della zia e attese una risposta con il cuore gli batteva in gola.
“Qui Polly Gray. Chi parla?”
“Pol, sono Tommy. Amabel sta per partorire. Io non so che cazzo fare!”
“Tommy, stai … calmo … ar- … -est … asp- …”
“Pol? Pol?”
La corrente era di nuovo morta, trascinando con sé anche la linea telefonica. Tommy sbatté la cornetta contro la parete, non era il momento giusto per essere isolati. Quando fece ritorno in salotto, Amabel era pallida come un cencio.
“La linea è andata a farsi fottere. Bel … che hai?”
“Le contrazioni sono iniziate prima del previsto. Non credo manchi molto al fatidico evento.”
“Proprio stasera? La città è impallata dal diluvio, non riusciremo mai ad arrivare in clinica.”
Amabel aveva il respiro alterato, stava sudando freddo anche se sentiva caldo.
“Ed è per questo che faremo nascere nostro figlio in casa.”
“Eh? Scherzi? Non è divertente, cazzo!” si lamentò Tommy.
“Lo so che non è divertente, ma non abbiamo … ah, che dolore! Non abbiamo altra scelta. Questo bambino nascerà con o senza il tuo aiuto, Thomas!”
Tommy si passò le mani sul viso stravolto, non era pronto ad un simile evento, non era capace di reggere quella tensione.
“Io non so se ce la faccio. Cazzo, far nascere un bambino è da matti!”
Amabel digrignò i denti per via di un’altra fitta di dolore, però rise per il terrore negli occhi del marito.
“Hai scavato gallerie per ore intere, hai disinnescato bombe, ti hanno spezzato la schiena, e hai paura di far nascere tuo figlio? Suvvia, Tommy Shelby è molto più forte di così.”
Tommy voleva ribellarsi ma il dolore che stava provando sua moglie era un incentivo ad accettare. Seguendo la logica, erano isolati e la clinica era troppo lontana per raggiungerla, perciò non restava che partorire in casa.
“Va bene. Che cosa serve? Andiamo di sopra?”
“Non ce la faccio ad andare in camera da letto. Lo faremo qui. Ci serve … oh, questa ha fatto male! Dicevo, ci serve una bacinella di acqua calda, tanti asciugamani, garze sterili, guanti, e ago e filo.”
“Che cazzo ci devo fare con ago e filo?”
“Per mettere eventuali punti di sutura.”
Tommy impallidì, aveva i capelli appiccicati alla fronte dal sudore.
“Dove vanno i punti?”
“Thomas, ti supplico di fidarti di me. Sarai fantastico. Ora va a prendere l’occorrente, non manca molto.”
Tommy, sebbene sopraffatto dall’agitazione, rimediò il necessario in fretta. Si fermò un attimo in cucina per prendere una bottiglia di whiskey come supporto psicologico e fisico.
“Ecco, c’è tutto. Adesso?”
Amabel si piegò in due dal dolore, segno che il momento atteso era sempre più vicino, e cercò di respirare come le era stato insegnato.
“Aiutami a farmi sedere sul pavimento.”
Tommy  aveva le mani che tremavano mentre aiutava la moglie ad appoggiare la schiena contro il divano. Un’altra contrazione scosse Amabel, che per il dolore eccessivo strinse forte la mano del marito.
“Questa è una fottuta pazzia.”
“Almeno potrai dire di aver fatto nascere tuo figlio.” disse Amabel ridendo.
Tommy si fece scappare un mezzo sorriso, malgrado la preoccupazione fosse più opprimente.
“Quanto dobbiamo aspettare?”
“Le contrazioni sono sempre più ravvicinate e dolorose, al massimo dobbiamo aspettare un paio d’ore.”
Il tono di voce di Amabel era cambiato e non per colpa del dolore, c’era una punta di angoscia che macchiava le sue parole.
“Va tutto bene, Bel?”
“Ho paura che le cose possano andare male e che il bambino possa …”
“Non succederà. Il bambino starà bene, te lo prometto. E’ uno Shelby, se la caverà perfettamente.”
Amabel appoggiò la testa sul petto del marito e si lasciò cullare dal suo odore tipico di fumo e alcol. Tommy provava a tranquillizzarla accarezzandole i capelli e baciandole la fronte ogni tanto, anche se il dolore aumentava di minuto in minuto.
Un’ora dopo Amabel si avvinghiò a Tommy quando il dolore si fece ormai insopportabile.
“Thomas, è ora. Lavati le mani con l’acqua bollente e infilati i guanti, dobbiamo prevenire qualsiasi infezione. Poi sistema un paio di asciugamani sul pavimento.”
Tommy accontentò ogni richiesta in pochi minuti. Stappò il whiskey e ne bevve un lungo sorso nella speranza che l’alcol lo aiutasse a sopravvivere a ciò che lo attendeva.
“Ci sono.” Disse, ma non era poi così convinto.
Amabel era sbiancata, sudava e rabbrividiva, e i suoi lineamenti era contratti dalla sofferenza.
“Sto per morire, me lo sento.”
“Allora siamo in due.” chiosò Tommy.
“Siamo sopravvissuti alla Francia, un parto non dovrebbe essere così terrificante.”
“Questo è fottutamente terrificante, forse più della Francia.”
Amabel scoppiò a ridere e fu trafitta da un’altra contrazione. Capì che quello era il punto di non ritorno.
“Dammi la mano e non lasciarla per nessuna ragione al mondo.”
“Non ti lascio, Bel. Sono qui.”
Tommy non credeva che Amabel avesse tanta forza, gli stava stritolando la mano come avrebbe fatto Arthur durante un combattimento.
“Questo è il momento in cui mi sproni a spingere o mi dici qualcosa di rassicurante.”
“Ah, sì, sì … certo … ehm …”
Tommy non sapeva cosa dire, nessun uomo della sua famiglia aveva mai assistito ad un parto né tantomeno ne aveva partecipato attivamente. Quando Ada aveva partorito, lui e i fratelli erano andati al Garrison a bere. Quando Grace aveva dato alla luce Charlie, lui era rimasto in cucina con Arthur a bere. Ora, invece, non poteva sfuggire e doveva addirittura incitare Amabel.
“Non sei d’aiuto, Thomas!”
Amabel non ne poteva più del dolore, la fatica sembrava lacerarle la pelle dall’interno, e di certo guidare il marito non era facile. Ogni spinta sembrava sempre più straziante, la testa le girava, le gambe si erano intorpidite, e la camicia da notte era zuppa di sudore.
“Un’altra spinta, Bel. Ci siamo quasi!”
Tommy sbarrò gli occhi quando Amabel gli strinse talmente tanto la mano da far defluire il sangue dalle nocche. Amabel aveva dimenticato ogni consiglio del medico, ora si affidava solo all’istinto.
“Non ce la faccio più.”
“Sì che ce la fai. Stai facendo un ottimo lavoro … e vedo la testa!”
Amabel voleva sbellicarsi dalle risate per l’incapacità del marito, ma il suo corpo stava perdendo energia ad ogni spinta. Tommy aveva le mani imbrattate di sangue e liquido amniotico, e fortuna che indossava i guanti.
Una decina di minuti dopo un vagito riecheggiò in tutta la casa.
“E’ una femmina. Nostra figlia è una femmina!” disse Tommy, gli occhi lucidi per la gioia.
Immerse la piccola nella bacinella per lavarla alla meglio e l’avvolse in una copertina di Charlie, dopodiché la diede ad Amabel.
“Ciao. Sono la tua mamma. Sei bellissima!”
Tommy si lasciò cadere accanto a loro e ingurgitò quanto più whiskey possibile come ricompensa.
“Come sta? E tu come stai?”
Amabel fece i primi accertamenti – battito del cuore e polmoni – e sembrava che la bambina stesse piuttosto bene.
“Sembra stare bene. Io sto uno schifo, ma non credo siano necessari i punti.”
“Non avrei avuto il coraggio di farlo.” Confessò Tommy.
La porta di ingresso si spalancò e Polly entrò in casa accompagnata da Arthur. Tommy si tolse i guanti e abbracciò il fratello.
“E’ nata.”
Polly si inginocchiò affianco ad Amabel e accarezzò la guancia della neonata.
“E’ una femmina, lo sapevo. Come si chiama?”
Amabel guardò bene sua figlia, la felicità era talmente grande che si mise a piangere.
“Famiglia, vi presento Octavia Shelby.”
 
Amabel aprì gli occhi solo quando fuori si fece giorno. Poche ore prima Arthur era riuscito a contattare la clinica e a far arrivare un’autoambulanza a casa loro in modo da portare sia lei che la bambina in un luogo adatto. Il maltempo era scemato nel frattempo, la corrente era tornata e le strade erano state liberate dall’acqua.
“Amabel!”
Diana irruppe nella stanza come un tornado. Recava con sé un pacco regalo.
“Diana, che ci fai qui?”
“I treni sono stati rimessi in funzione e io e Finn ci siamo precipitati a Birmingham dopo la chiamata di Polly. Sono così felice per la mia nipotina!”
La ragazza si chinò sulla culla accanto al letto della paziente e osservò con amore la nipote che dormiva serena.
“Si chiama Octavia Jane Shelby.” Disse Amabel.
“Capisco. – disse Diana – ‘Octavia’ era il secondo nome di nostra madre.”
“E ‘Jane’ era il secondo nome della madre di Thomas. Abbiamo voluto creare un terzo nome.”
“E’ bellissimo. Questo è per voi!”
Amabel scartò il regalo e all’interno trovò una copertina bianca ricamata a mano e un paio di orecchini di perle.
“Non dovevi, Diana. Grazie mille, lo apprezzo molto.”
Il loro abbraccio fu spezzato dall’ingresso di Tommy, che era tornato a casa per un cambio d’abiti.
“Disturbo?”
“Certo che no. Vi lascio soli. Io vado a dire a Finn quanto è bella nostra nipote!” disse Diana.
Tommy baciò la fronte di Octavia e poi andò a sedersi vicino alla moglie.
“Ho una cosa per te.”
Dalla tasca interna della giacca tirò fuori un piccolo cofanetto di velluto rosso.
“Cos’è?”
“Un regalo per la nascita di nostra figlia. Su, aprilo.”
Amabel non aveva mai visto una collana tanto bella: un piccolo rubino scintillante era incastonato in una rosa di diamantini che brillavano vistosamente.
“Oh, Thomas, è … perfetta!”
“E’ solo una sciocchezza.”
“Una sciocchezza che costa parecchio.”
Tommy le appuntò il gioiello al collo e toccò il rubino con delicatezza.
“Perfetta.”
Amabel gli tirò la cravatta per baciarlo, un muto ringraziamento per tutto quello che aveva sopportato nelle ore passate.
“Grazie, Thomas. Davvero.”
Entrambi sapevano che quel ringraziamento non riguardava solo il parto, riguardava anche gli ultimi tre anni che avevano vissuto insieme tra litigi, violenza, salvataggi spericolati e tanta speranza.
 
 
Salve a tutti! ^_^
L’idea di Tommy che fa nascere un bambino mi divertiva troppo e ho deciso che andava scritta, anche se potrebbe uscire fuori dal personaggio.
Alla fine le cose stanno tornando al loro posto.
Manca un capitolo alla fine.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 
  
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