Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |      
Autore: Mayth    12/03/2020    1 recensioni
“Voglio fidarmi di te, Erwin. Ma portare un cane rabbioso in casa non ti difende da nessun pericolo, al contrario.”
“Vivere in difesa non porta da nessuna parte, bisogna osare anche in attacco.”
“D’accordo. Ma dovrai occupartene tu. Penserò io alle sfere alte, ma un solo sgarro e il Corpo di Guarnigione gli farà ripagare ogni singolo centesimo che ha rubato in vita sua.”

Sequel di Attack on Titan: no regrets.
Genere: Guerra, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I. Sale la polvere

Il risveglio è sempre la parte peggiore della giornata. Non sono gli incubi a tormentarlo – da anni non riesce a ricordarli una volta aperti gli occhi – e neanche il freddo che ti gela l'uccello ancora prima di sfilare un piede da sotto le coperte, ma è il primo istante con la puzza, un intenso odore oleaceo, di chiuso, di gabbia. È avere la coscienza di sé, del mondo, e aver presente di essere inesorabilmente fottuti.

L'assenza di Isabel e Furlan è una ferita ancora aperta. Sanguinante. Spalanca gli occhi e loro non ci sono. Cerca di rattopparla con la routine: ti alzi, caghi, ti lavi, mangi, ti alleni, dormi e così via. Tutti i giorni fino al giorno in cui dovranno superare nuovamente le mura e avventurarsi all'esterno. Nel frattempo il suo nome ha fatto il giro fra la gran parte dei cadetti: Levi, il ratto del Sottosuolo.

Ma poco importa, perché, d’altronde, i ratti sono sempre gli ultimi a morire.

Lui non ci fa caso, comunque: la pazienza non fa parte dell'elenco delle sue virtù ma allo stesso tempo neanche l'attaccar briga.

La colazione è una polpa inconsistente e un pasticcio di funghi poggiato lì accanto. Come ogni mattina, Levi sceglie l'angolo più isolato dell'ultima panca in fondo alla stanza. E come ogni mattina, Hanji si sbraccia nel vederlo passare.

“Levi, Levi,” dice, nonostante oramai abbia compreso che non riceverà un'affermazione positiva alla sua richiesta. Lui vuole solo mangiare. Senza l'obbligo d'esser sociale. “Devo chiederti-”
“No.”
“Magari domani.”
Lo scetticismo è ben stampato sul suo volto, tuttavia le rivolge un cenno di capo come a offrirle uno spiraglio di possibilità, magari domani.

Il domani, pensa mentre prende posto a sedere, è il carbone che alimenta le convinzioni di tutta la Legione Esplorativa.
Dona il tuo cuore.
Fai da esca.
Muori.
Una macchina da guerra azionata dal numero di cadaveri che permettono a pochi altri di tornare indietro e riportare due o tre considerazioni. Una causa persa, a sentir tutti. Una causa che lui ha deciso di accogliere perché l'ebrezza di uno scopo è stato forse il catalizzatore di una realizzazione utopica: sono vivo. L'ha pensato quando ha visto i cadaveri dei suoi amici. Sono vivo. Se lo è detto quando Erwin Smith gli ha chiesto quale fosse la sua scelta. Ed essere vivo, là fuori, è stato un abbaglio. Aveva vissuto così tanto tempo a un salto dal baratro che già considerava la morte un'amica indulgente.

La poltiglia rancida gli si attacca al palato, ma il solo fatto di avere tre pasti al giorno ogni giorno è abbastanza per non fargli lasciare neanche una briciola. Ad aiutarlo a mandar giù quella merda c'è un tozzo di pane insapore – e dire che nella capitale hanno abbastanza cibo per permettersi di banchettare ad ogni ora.

Ci avevano sperato, per un po': vivere in superficie, al centro di tutte le mura, lui, Isabel e Furlan. Isabel e Furlan. Un boccone rischia di strozzarlo.

Riprendersi il mondo... Questa gente pensa che valga la pena di morire per questo, vero?

Devo rivedere il piano eh, prima che tu e lei iniziate seriamente a parlare di dedicare i vostri cuori o cazzate simili.

Dedicare il proprio cuore.

“Levi.” Quella voce lo sfiora ed è come un fulmine. Solleva lo sguardo. Erwin Smith lo guarda dall'alto dei suoi centottant’otto centimetri, le labbra stirate in un mezzo sorriso. “Puoi concedermi un minuto?”
Levi sposta gli occhi sulla sua tazza.
“Te ne stai già prendendo uno.”
“L'esempio che hai dato delle tue capacità nell'ultima spedizione ti è valso un incontro col dodicesimo comandante. Ti scorterò al suo ufficio.”

Ha il rifiuto sulla punta della lingua, un dispetto puerile che non ha alcun fine se non quello di vedere l'espressione stoica del caposquadra Smith accartocciarsi in una maschera largamente più umana, ma ne è chiara l'insensatezza e con un gesto simbolico allontana il vassoio.

Al loro passaggio, tutti si alzano e si portano il pugno sul cuore. Erwin li dimette con un cenno disinteressato.

“Sei un pezzo grosso qua dentro...”
“Non particolarmente,” risponde Erwin quando si chiudono le porte del refettorio alle spalle.Cerchiamo tutti di fare del nostro meglio.”

Levi si chiede se l’affermazione debba suonare come una provocazione, o un monito.

“È stato un tuo piano, farmi entrare nel corpo di ricerca.”
Silenziosamente, Erwin lo precede di qualche passo. “Non ero sicuro che una simile scelta potesse rivelarsi efficace, ma speravo che in parte il cameratismo ti avrebbe convinto ad abbracciare la causa. Eri sprecato nelle mani dei giochi viziati di qualche nobile di città.”
“E sarei utile nei giochi viziati della legione esplorativa?”
“Sono sinceramente dispiaciuto per i tuoi... amici. Ma il tuo potenziale per la sopravvivenza dell'umanità legittimava qualche bluff, se è a questo a cui vuoi arrivare.”
“Come se avesse importanza ora.”
“Non molta,” ammette l'altro. “Ma quello che è successo là fuori è la realtà. Nessun gioco.”

Levi gira lo sguardo e si abbandona al suono dei loro passi all'unisono sul pavimento in pietra. Oltre alle finestre l'alba è una striscia aranciata che gratta la cima delle mura. Anche quel calore gli pare una falsa gratificazione. Nonostante abbia superato i soffitti del Sottosuolo, continua a sentirsi chiuso in una morsa. Come diceva Isabel?

Uscire dalle mura... è come il nostro desiderio di andare di Sopra, lontano dai sotterranei.

*

“Ci possiamo fidare? Non sono dell'avviso che abbia qualche fine discutibile, ma non ha alcuna affinità con la causa.” Nanaba sorseggia l’ultima goccia di acqua del suo bicchiere. Alla sua destra Mike tace. Hanji, con l’eleganza di chi non ha mai vissuto al di fuori di quella bettola, infila un ennesimo tozzo di pane in bocca.
“La testa della ragazza che lo accompagnava gli è rotolata davanti, questa è una buona motivazione.”
“Capiamoci, Hanji. L'ho visto agli allenamenti. È bravo, ma è ancora un cane randagio. E la disciplina è tutto.”
“Erwin si fida. Questo è quanto,” interviene Mike, portandosi la tazza di tè alle labbra.
“Stiamo supponendo che il caposquadra Smith non faccia decisioni affrettate, e noi tutti sappiamo quanto invece gli piaccia giocare di fortuna.”
“Ad ogni modo,” alza le spalle Hanji, “si dice che la prossima spedizione si concentrerà sulla cattura di un esemplare. Gli ultimi esperimenti non hanno dato risultati, ma questa volta potrebbero darmi il permesso di gestire le ricerche…”
“L'aiuto di Levi potrebbe rivelarsi essenziale, o così Erwin crede,” continua Mike.
“Sembra così gracile... Tu eri lì, Mike, lo hai visto?”
Hanji si strofina le mani sulla camicia. “Ha fatto tutto da solo!” dice, la voce tanto forte da raggiungere le tavolate lì affianco. “Tre titani. Sotto quella tempesta, per giunta.” 
Mike annuisce.
“Se solo si sforzasse di apparire... un po' meno costipato nei nostri confronti.”
“Ah, dagli tempo...” Hanji sogghigna, per l’ennesima volta un suono stridulo e di qualche decibel troppo alto. “Parlando di titani, la squadra Scherer ha detto che ne hanno visto uno anormale, classe sei metri, gli sono passati affianco e-”
Nanaba libera un colpetto di tosse che ne tradisce il disinteresse. “Credo sia ora di andare, Hanji, sarà per un'altra volta.” 

*

È rimasto ad aspettare fuori dalla porta finché Erwin non è uscito e lo ha invitato ad entrare. Col volto perennemente spennellato di uno sguardo rilassato, minuziosamente calcolato per non far trapelare alcuna emozione, gli dice di accomodarsi e si scusa per l'attesa. Alle sue spalle il corridoio pullula di soldati dalle mostrine alate, tutti infilano un'occhiata nell'ufficio prima che Erwin faccia cliccare il meccanismo della serratura e li esili dalla conversazione.

“Comandante Sadis, Levi.” Erwin lo presenta col savoir faire del perfetto burocrate. Levi inclina leggermente il capo, non ha idea del perché si trovi lì ma non ha intenzione di dimostrare insicurezza.

Il comandante Sadis siede dietro ad un'ampia scrivania ricoperta di documenti e cartine, quella di fronte ai suoi occhi ricorda brevemente il piano della spedizione passata, con scarabocchi verdognoli e croci rosse disegnate qua e là. Le braccia sono conserte, i gomiti poggiati sul legno di mogano, e come di consueto il suo sguardo è una morsa intimidatoria. Si osservano in silenzio.  

“Levi,” ripete Sadis. Pronuncia il suo nome come se avesse una consistenza astratta, aggiungendoci un’inflessione interrogativa. Chi è Levi?
Già, chi è? Se lo chiede da giorni anche lui, ormai, eppure non ha trovato risposta. Un sopravvissuto? Un emarginato? Un soldato?
“Levi come? Qual è il tuo cognome?”
Serra le dita e risponde con studiata lentezza: “Ackerman.”
“Ackerman?”
“Hai bisogno di ripetere tutto quello che ti si dice per capirlo meglio?”
Al suo fianco Erwin sospira: Levi riesce a percepirne l’esasperazione, ma conosceva il costo dell’acquisto quando gli ha chiesto di restare e lui non è abbastanza indulgente per concedergli almeno questo favore.
Sadis, tuttavia, invece che indignarsi gracchia una mezza risata, quasi più inquietante delle occhiaie che gli incavano lo sguardo. È cosciente di non poter più concedersi il lusso della disobbedienza, ma l’onnipresente bestia che gli giace nel petto non pare voler allentare la presa.

“Perché credi di essere qui?” La domanda ha una nota condiscendente, mette un sasso sullo scambio di poco prima, ma riporta Levi di fronte a reali preoccupazioni. “La tua espressione mi suggerisce che stai pensando a tutt’altro.”

Incapace di offrire una risposta, si stringe nelle spalle.

“Il caposquadra Smith ha finito di redigere il rapporto della scorsa missione,” continua Sadis, allungando un braccio per afferrare un plico di fogli in sospensione sull’angolo della scrivania. “Come sai, la spedizione è stata un banco di prova per nuove formazioni che potrebbero ripetersi in futuro.”
“E l’idea di Erwin: l’utilizzo dei fumogeni.”
“Sì…” sul volto del Comandante cala un velo grigio, che tuttavia scompare in una frazione di secondo. “Ma non solo.” Fra i fogli che tiene stretti nella mano destra scivola una piccola busta che, nota immediatamente Levi, riporta il sigillo del Wall Sina. Sadis la fissa intensamente, poi riporta gli occhi su Levi e gliela porge. “Sono cosciente che tu non abbia scelto la Legione Esplorativa di tua volontà,” spiega, “e che tu e i tuoi amici puntavate a ben altro. Ci hai mostrato un’apprezzabile finestra sulle tue capacità, rivelandoti alquanto utile, dunque… Una spedizione fuori dalle mura in cambio della libertà di vivere in superficie. Erano i patti. Questo,” e sventola dolcemente la busta, “è il tuo permesso.” Le labbra del comandante si piegano in un sorriso amaro, poi aggiunge: “Puoi partire con il cargo dell’una e mezza.”

Nella stanza cala il silenzio.

Con un unghia Levi si tormenta un taglio sul palmo destro della mano. La piccola ferita gli pulsa, ma non ha importanza perché il dolore è diventato assuefazione; la crosticina che si era formata la notte scorsa l’aveva staccata appena sveglio, con minuziosa precisione, per sincerarsi di essere vivo.

Sadis sposta lo sguardo da lui ad Erwin e alza un sopracciglio.

Era stato il loro sogno. L’idea di un futuro in superficie, lontano dall’odore costante di piscio e dai pochi pasti stantii che riuscivano ad ottenere. Isabel ha continuato – perseverato – a sognare il cielo limpido di marzo, quando il buonsenso suggeriva altro. Furlan sosteneva l’idea di un’esistenza tranquilla e davanti al fuoco di un camino palesava il desiderio di una famiglia: una casa.

Avrebbe forse espresso riconoscenza alla loro memoria se ne avesse vissuto i desideri?

I suoi pensieri non hanno voce. Levi percepisce un penetrante odore di olio e umido che impregna l’aria. La sensazione di chiuso è accresciuta dall’ombra che copre pareti e soffitto. Si sente soffocare.

A lato sente gli occhi di Erwin perforargli la nuca. Lo studia, in silenzio, in attesa di una risposta. Vorrebbe girarsi e sferrare un pugno su quella faccia imperturbabile, ma subito dopo maciulla e inghiotte quel pensiero.

L’intenzione precede le parole, perché non ha mai saputo esprimersi meglio se non a fatti. Si gira e raggiunge l’uscita in poche falconate, poi, sulla soglia, gira leggermente il capo e risponde, mellifluo: “Regalalo a qualcun altro il permesso, per quanto mi interessi.” E con uno scatto di polso si chiude la porta alle spalle.

L’eco dei respiri nella stanza è interrotto da un colpo di tosse. Sadis riporta la mano davanti a sé e lascia cadere la busta giallognola sulla scrivania.
“Immagino voglia restare.”
Erwin allenta la tensione sulle spalle e tace. Tutto quello che potrebbe dire, in fondo, suonerebbe come sollievo.
“Hai sentito cosa ha detto?”
“In merito a quale punto?”
“Mi riferisco ad Ackerman.”
“Ah, certamente.”
Sadis socchiude gli occhi e si risparmia un’imprecazione. “Ovviamente devo supporre che tu ne fossi già a conoscenza.”
Erwin non si scompone. “No, signore.”
Sadis incassa la risposta senza replicare, nonostante il cipiglio diffidente. “È un nome pericoloso.”
“Come la persona che lo porta.”
“Esattamente,” Sadis sospira. “Voglio fidarmi di te, Erwin. Ma portare un cane rabbioso in casa non ti difende da nessun pericolo, al contrario.”
“Vivere in difesa non porta da nessuna parte, bisogna osare anche in attacco.”
“D’accordo, caposquadra Smith: se hai belle carte, voglio vederle. Ma dovrai occupartene tu. Penserò io alle sfere alte, ma un solo sgarro e il Corpo di Guarnigione gli farà ripagare ogni singolo centesimo che ha rubato in vita sua.”
“Non si preoccupi, ho fiuto per le buone occasioni.”
“E se dovesse rivelarsi una puntata sbagliata?”
“Non avverrà.”
“Già… è per questo che ti ho voluto come braccio destro, Erwin: a poker non perdi mai.” 

*

“Quindi? Papino ti ha fatto la rimproverata?”

Levi strofina un panno sulla lama di una delle spade in dotazione alla Legione – su e giù, come a imprimere un ritmo che gli offra abbastanza pazienza da non infilzare la quattrocchi.

Il campo di allenamento è illuminato da un sole alto, il sudore scivola sulla pelle dei soldati che non riescono a trovare sollievo neanche sotto l’ombra dei platani. I raggi hanno asciugato le ultime tracce di pantano, lasciando dietro di sé un terreno polveroso: un nugolo farinoso di terra si alza in aria quando un cadetto atterra goffamente sulla striscia di demarcazione della sezione adibita agli allenamenti col dispositivo di manovra tridimensionale, obbligando Hanji a indietreggiare e tossire e Levi a ricominciare il compito assegnatogli.

“Ti puoi fidare, sono un’ottima confidente.”
“Dal mio punto di vista sei solo un’ottima rompiscatole.”
Hanji scoppia in una risata nasale. “Qualunque cosa ti abbia detto Sadis,” continua, “non devi temerlo.”
Fosse stata un altro genere di persona, forse anche Levi sarebbe scoppiato a ridere. Invece solleva il capo e la fissa. Hanji non pare a disagio, bensì leggermente divertita. È un soldato, anche lei – non deve dimenticarlo. Prima di tutto un’assassina.
“Non ho paura di nessun Comandante.”
“Ha la facoltà di farti tagliare la testa, però.”
“Se lo credi…”
Hanji fa spallucce e si sfila la giacca.

“Niente allenamento oggi?” chiede, quando è ovvio che Levi non aggiungerà altro e non le dirà cos’è successo nell’ufficio del Comandante.
“Per essere veri cadetti a quanto pare bisogna passare da ogni genere di schifezza. Come la pulizia degli armamentari.”
“Capisco… Per sconfiggere una malattia certe volte i medicinali non bastano, bisogna tagliare. Stanno cercando di fare lo stesso col tuo spirito anarchico. Un po’ di sano lavoro forzato. Ma non troppo, sei sotto l’ala protettiva del caposquadra.”
“Chiudi quella fogna, Hanji.” Replica, posando pollice e indice sulla radice del naso e tentando di frenare un principio di mal di testa.
“Ah, pensi non sia così?”
Nel dubbio – perché non si fida, per nulla – scuote le spalle. Le avrebbe detto che non vuol dar credito a Mr. Sopracciglia, che seppur la causa sia nobile, lui riconosce da ben lontano il tanfo della falsità. Ed Erwin Smith, per quanto un buon compagno d’armi, sicuramente non eccelle in sincerità. Sebbene, fra i tanti, sia l’unico di cui sopporti la compagnia.

“Cambierai idea, sai,” dice Hanji, immune,  a quanto pare, al suo sguardo che la implora di tacere. “Lo abbiamo fatto tutti.”

Poi si piega in avanti, raccoglie uno straccio dal secchio e una lama dal sacco ai suoi piedi, e sedendosi accanto a lui incomincia a strofinare.

*

In Superficie la notte è breve. Le ore di buio non sono perpetue, e anche quando credi che l’oscurità abbia preso il sopravvento, ti accorgi che fra gli spiragli delle finestre penetrano barbagli di luce. Addormentarsi si rivela un evento più complicato di quel che sembra. Non ha mai riposato molto, neanche nel Sottosuolo, anzi, non ricorda di aver mai fatto una dormita degna di quel nome, eppure nella  caserma gli pare di non aver mai chiuso occhio. Rimane sdraiato sulla propria branda finché il respiro rumoroso del commilitone sul letto superiore non diventa insopportabile. Allora si alza ed esce dalla stanza, a passi leggeri, come la presenza di un fantasma. Dietro di sé lascia corpi sconosciuti – compagni – di cui fatica ancora a ricordare nomi e volti perché, nel cuore di quelle lunghe notti insonne, crede siano la reminiscenza di persone passate.

L’aria gelida sulla torre lo colpisce in pieno volto, eppure gli sembra finalmente di aver ricominciato a respirare. Da lì riesce a vedere tutto il campo di addestramento e qualche catapecchia. L’indomani saranno scortati alla zona di formazione primaria e allora dovrà alloggiare in una casupola simile, infestata da ragnatele, polverosa e scomoda. La sola idea gli attorciglia le viscere dallo schifo.

Sopra la sua testa la luna proietta chiazze sulla superficie pietrosa della torre. Dev’essere il cuore della notte. Dalla sua bocca escono nuvole di condensa. Nel tardo pomeriggio il vento aveva sollevato il terreno sabbioso e lo aveva portato fin lassù. Levi non può toccare niente senza che minuscoli granelli scuri gli restino attaccati alle dita. Si passa la mano freneticamente sui vestiti, ma è troppo tardi. Non importa quanto strofinerà, ora avverte la sabbia ovunque – fra i capelli, sotto le unghie, nelle orecchie. È sporco. Sporco sia fuori che dentro. Sporco di sabbia, no, fango e pioggia. E del sangue di tutti quei soldati maciullati… e dei giganti.

Prende un lungo respiro. Nell’oscurità riesce a ritrovare la calma, nonostante un prurito fastidioso continui a tormentarlo alla base della nuca, come le unghie di un mostro che gli torturano la pelle.

Passano dieci minuti, o forse mezzora, o forse anche di più, non lo sa dire, quando sente la porta alle sue spalle scricchiolare. Sa già chi è ancora prima di voltarsi. Sapeva lo avrebbe raggiunto ancor prima che mettesse giù un piede dal letto.

Erwin lo affianca senza fiatare, con una naturalezza che lo lascia, sul momento, del tutto privo di commenti. Erwin non cerca il suo sguardo, ma quando mai lo ha fatto?, si aspetta sempre che tutti, come cani speranzosi, lo guardino comunque.

Levi gira gli occhi, nonostante tutto. Forse è questo quello che è diventato, un cane, ma pur sempre randagio. Lo guarda di sottecchi. Sotto a un pesante cappotto porta una camicia di cui lui vede un alto solino che gli fascia il collo. 

“La punizione minima per chi esce dalle proprie stanze oltre all’orario consentito sono tre giorni e tre notti di carcere,” dice – eppure, se quello voleva essere un avvertimento, suona debole e blando anche al diretto interessato.
“Che vuoi?” replica disinteressato.
“Sei venuto qui anche con i tuoi amici-”
“Isabel e Furlan,” sibila fra i denti. “Si chiamavano Isabel e Furlan.”
Erwin incrocia finalmente il suo sguardo e tace. Un silenzio greve li avvolge, poiché, forse, l’assenza di parole è la retorica più eloquente. Levi sente la morsa della gratitudine in petto; onesto, Erwin sa quando battere in ritirata. Di fronte a loro il confine dell’orizzonte inizia a prendere luce.
“Sapevo saresti restato.”
“Allora perché tutte quelle cazzate?”
“Dopo aver lanciato la moneta apri subito il palmo della mano per vederne il risultato. Volevo solo una conferma.”
“E se avessi accettato la proposta?”
Erwin schiude le labbra, le parole rotolano fuori e lo colpiscono come schiaffi. “Saresti comunque qui.” La sicurezza nel suo tono mette un punto a qualsiasi discussione. Levi contrae le dita nel palmo, più irritato dal fatto che Erwin Smith creda – e dimostri – di conoscerlo intimamente, che di trovarsi in accordo con lui.
“Allora non abbiamo più nulla da dirci,” taglia corto.

Ora inizia a sentire il freddo della notte – no, di prima mattina – entrargli nelle ossa. O forse è lo sguardo di Erwin Smith che, con un sopracciglio alzato, lo denuda delle sue protezioni.

“Se i giganti dovessero vincere e la razza umana estinguersi, quale sarebbe il tuo primo obiettivo?”
“Vendetta.”
“Ed è quello a cui puntiamo. E confido anche nelle tue capacità, Levi, ma sono venuto a ricordarti che la rabbia è un buon propulsore ma anche una benda sugli occhi. Impara a dirigerla dov’è giusto che sia o non avrai mai la tua vendetta.”
Una folata di vento li colpisce in pieno viso, porta con sé odore di pioggia e di muschio.
“Ogni volta che apri bocca,” risponde, girando gli occhi davanti a sé. “Mi viene voglia di pestarti a sangue, Erwin Smith.”
Erwin sorride. “Sono lieto tu abbia smesso di provarci.”

Non si gira mentre sente l’altro allontanarsi e scivolare lungo la scalinata. Non si gira nemmeno quando sente la punta delle dita tramargli. Pensa di dover essere pazzo, perché ha deciso che vuole vedere quel futuro di cui Erwin Smith parla. Pensa che deve avere una gran fretta di morire, perché vuole seguirlo ovunque, anche fino all’inferno.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Mayth