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Autore: fiammy_    11/05/2005    4 recensioni
E' la mia prima ff e spero che commenterete numerosi e che siate gentili con me... comunque questa storia non è nata come una ff, ma come una semplice storia, narra la vita, un po' particolare di una ragazza di quindici anni che vive ad Argo, in Grecia, intorno agli anni in cui ad Atene governava Pericle (V secolo a.C.) e scopre di essere bravissima a dipingere, ma... lo saprete solo le leggerete la mia storia! tra tutti gli argomenti trattati c'è anche l'amore per un ragazzo. sappiate anche che tutti gli elementi riguardanti la vita quotidiana ecc, sono frutto di una ricerca abbastanza accurata! siate gentili, ma se non vi piace, scrivete lo stesso... ho bisogno di sapere com'è!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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“...e così, quando Odisseo ebbe colpito e accecato il gigante da un solo occhio, Polifemo, si nascose con i suoi compagni e aspettò che l’Aurora dalle chiare dita, rischiarasse il cielo che ora gli appariva scuro e pieno stelle. Sono gli dei che illuminano la vita dei comuni mortali. Come noi! E adesso visto che si è fatto buio e freddo, correte tutti a letto. Continueremo domani. E buonanotte!” “Nonna, non è che potrebbe continuare ancora un per un po’? Per favore!” chiese una ragazzina dagli occhi languidi e dai capelli ramati. “Sophia, segui i tuoi fratelli. Ormai sei la più grande, ora che tua sorella si è sposata; dovresti renderti utile cucinando, tessendo e servendo la casa, non insistendo in questo modo. Vai a dormire, figliola” La fanciulla si alzò dal panchetto dove sedeva e con passo lento andò nella sua stanza. Le sue sorelline giacevano già nel loro pagliericcio, come d'altronde i suoi fratelli più piccoli. Sophia prese la coperta di lana e si rannicchiò vicino alle sue sorelle e un sonno ristoratore l’avvolse. Si svegliò appena sua madre spalancò la porta inondando la stanza di luce. Silenziosamente si alzò dal giaciglio e indossò il suo chitone da giorno. Fece attenzione a non svegliare le sue sorelle minori e raggiunse sua madre che la portò in una stanza bene illuminata dove sua nonna era intenta a tessere una coperta di lana dai colori scuri. Il suo volto era impegnato nonostante i gesti fossero quasi meccanici. Sua madre la portò nel telaio più vicino a lei e la fece sedere su uno scomodo sgabello di legno. Poi la donna si accomodò vicino a lei. Le disse di far passare la navetta da destra a sinistra e viceversa. Destra... sinistra... destra... sinistra... e intanto il tempo passava e le mani facevano sempre il medesimo movimento, così monotono che Sophia si stava annoiando a morte. Fino a che sua mamma annunciò che era il momento di andare a mangiare. Suo padre era appena tornato dal campo. Era un contadino, coltivava la terra per un signore. Suo zio aveva appena finito un vaso e quindi era ora che si mettessero a mangiare. Quel giorno, come tanti altri, in tavola c’era un piatto di verdura e del pane nero e secco. Era uno dei migliori pasti che si potesse aspettarsi. Alle volte non mangiavano che un tozzo di pane a testa. Era difficile per un uomo solo lavorare per una famiglia molto numerosa; in totale erano in nove: il padre, la madre, la nonna, Sophia di quindici anni, due sorelline, una di otto anni e una di dieci anni, la sorella che si era appena sposata e che abitava ad Atene e due gemelli di cinque anni. Il padre entrò in cucina e si sedette su un panchetto. Guardò la moglie che ricambiò lo sguardo preoccupata. La nonna cominciò a tossire e si sedette vicino al fuoco acceso. Erano tutti molto stanchi e affamati. Sophia prese posto accanto a uno dei suoi fratellini. La mamma arrivò con il piatto di verdura e lo posò al centro della tavola di legno intorno a dove erano seduti. Il padre cominciò a raccontare della giornata di lavoro. Aveva dato da mangiare alle bestie nel cortile e poi era andato nei campi a pascolare le pecore. Aveva incontrato un uomo che conosceva molto bene. Gli aveva chiesto se gli poteva dare in sposa una figlia per suo figlio. Suo padre aveva subito pensato a Sophia, ma poi ci aveva ripensato perché lui in quel momento non aveva beni materiali per la dote, e la ragazza non sapeva tessere ne cucinare e soprattutto non aveva i soldi o il bene materiale da darle per la dote. Quindi niente da fare. La ragazza tirò un sospiro di sollievo, forse anche troppo rumoroso perché suo padre le diede un occhiata di rimprovero. Finito il pranzo, e visti i ragazzi allontanarsi, lo zio chiese agli altri due adulti, genitori dei ragazzi: “Volevo chiedervi, se potevate affidarmi uno dei vostri ragazzi o ragazze per insegnargli un po’ di arte. Sapete, al giorno d’ oggi gli artisti sono molto richiesti, sia ad Atene che ovunque. Visto che io sto diventando vecchio e mia moglie, lo sapete bene, è morta di malattia senza poter generare figli. Mi chiedevo se potevo prendere in affidamento. Ecco, io pensavo a Sophia. Mi è simpatica, è la più grande e ho visto che ha una passione particolare per l’arte.” La madre si alzò dallo sgabello di scatto e guardò verso suo fratello sprizzando ira mista a sdegno da tutti pori “Come fai a dire che ha una passione per l’arte? Passi pochissimo tempo con lei. Lei non è brava a tessere, ma può imparare e diventare una buona moglie. L’arte non è fatta per lei. Deve rimanere ignorante, e poi dovrai insegnarle l’alfabeto, la scrittura. Io da giovane l’ho imparato e ti assicuro che non è l’aspirazione massima, per una donna che è destinata a stare chiusa in casa come è scritto nel destino di tutte le donne. Poi dovrai insegnarle a disegnare, a suonare, se vuoi fare di lei una donna di arte. La mia opinione è lasciarla stare e darla in sposa a qualche contadino che se la cava meglio di noi.” Il marito la guardò con aria compiaciuta e disse con voce profonda “Ma dai. Come facciamo a farla interessare all’arte? E poi se lei se ne andrà, chi baderà alla nostra famiglia e alla nostra vecch...” una voce contrastante risuonò nell’aria “scusate l’insolenza della mia proposta. Pensavo che vi avrebbe fatto piacere avere una figlia, che è intelligente già di suo, che diventasse istruita, frequentasse persone intelligenti e istruite. E che forse, scusate il sogno personale, diventasse famosa. Così che il nome della nostra casata diventi famoso e che tutti quando sentiranno il suo nome diranno: oh, la bellissima e bravissima Sophia che dipinge benissimo ed è molto graziosa. E poi, per me non è un problema insegnarle l’arte della pittura, della scultura, della musica. Comunque, essendo vostra figlia, sta a voi decidere se diventerà famosa e felice, o triste e sconosciuta.” E si alzò dallo sgabello traballante dirigendosi nel suo laboratorio di ceramica. La donna lo guardò con aria truce e uscì dalla stanza insieme al marito. Sophia intanto era nel cortile a giocare con le sue sorelle. La più piccolina correva in su e in giù e le altre due ragazze la dovevano prendere e fermare e farle fare un giro ad occhi chiusi, e poi cambiavano ordine, e così via fino al tramonto e fino a quando sua nonna non le venne a chiamare per la cena. Quella sera era arrivato un lontano parente dal mare e aveva portato del pesce così mangiarono, tutti molto felici di cambiare pasto. Tutti andarono a dormire tranquilli e con la pancia piena. Il clima cominciava a farsi più invernale e la mattina era sempre più difficile spostare la coperta calda di lana e andare a tessere, facendo sempre lo stesso movimento e soprattutto era molto più difficile con le mani fredde e incerte. Quel giorno sua mamma non venne a svegliare Sophia che dormì per molto tempo, fino a che non sentì le due sorelline alzarsi, anche se silenziosamente. Così disse: “Buongiorno. Sapete per caso perché la mamma non mi ha svegliato?” “Sophia, sei sempre la stessa. Ti sei scordata che oggi dobbiamo andare a trovare Antinea, ad Atene” disse la più piccolina “Scusatemi, me ne ero completamente scordata. Ma quando partiremo?” “non lo sappiamo di preciso, comunque tra poco. Adesso noi usciamo, il tuo chitone è qui vicino alla tenda.” Sophia si alzò lentamente approfittando un secondo dopo l’altro della sua dormita. C’era un tepore incredibile sotto la coperta di lana. Poi pian piano decise di alzarsi. Altrimenti avrebbe fatto tardi e non voleva assolutamente vedere per ultima la sua sorella. Era ancora a letto quando si ricordò, aveva circa otto, o nove anni. Era in cortile e giocava con la sua sorella e la loro mamma stava seduta su un panchetto fatto su misura per lei. Infatti aspettava un bambino, la sua futura sorella. La pancia le si era ingrossata tantissimo. E quando, sempre nel giardino, sua mamma le aveva annunciato che presto avrebbe avuto un fratello o una sorella, lei si arrabbiò tantissimo. Prese il mantello della mamma e corse per i campi davanti alla sua abitazione. Volò come una rondine, veloce e agile per i prati incontaminati. Poi raggiunse un bosco e decise di fermarsi per prendere un po’ d’aria. Respirò profondamente e si sdraiò sistemandosi il mantello sotto di se per non sporcare il suo chitone. Si fece un giaciglio completo di cuscino fatto d’erbetta secca e si stese guardando il cielo chiaro. Mentre guardava le evoluzioni delle nuvole bianche, pian piano, cullata dalla tranquillità e priva di pensieri, si addormentò. Si svegliò soltanto dopo molto tempo, era notte fonda e lei cominciò ad impaurirsi. “ehi!!! Sveglia, la mamma è già partita per andare dalla nostra sorella. Ha detto che se non ti sbrighi la vedrai il prossimo anno. Dai, dobbiamo sbrigarci, Antinea è ad Atene, noi siamo nella campagna di Argo. Ci vorranno tre giorni e più forse, di cammino. Per fortuna abbiamo gli asini, altrimenti avrei voluto vederti, pigrona.” Sophia si risvegliò dal suo ricordo e pensò che era l’ora di indossare il chitone ricamato con figure geometriche del colore del mare. Prese la sua coperta scura e corse fuori. Non aveva mangiato niente e si augurò di mangiare qualcosa durante il viaggio.
  
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