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Autore: beavlar    10/04/2020    0 recensioni
Fili e Kili sono morti, hanno sacrificato tutto per il loro re, per la loro gente, ora anche Thorin dovrà rinunciare a tutto, ai suoi pregiudizi, alle sue idee, alle sue alleanze, per il suo "tesoro" e il suo popolo.
Dall'altra parte una mezz'elfa divisa tra due razze, dovrà invece fare i conti con il suo oscuro passato, accettando se stessa e accettando accanto a se il re di Erebor.
Due animi carichi di dolore e rimorsi, in cerca del loro posto al di sotto della Montagna e al di sopra delle stelle.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Richieste nella roccia












 
Il sole ormai era oltre la Montagna Solitaria, i raggi flebili illuminavano la penombra formatesi sul campo di battaglia, le urla e i rumori di scudi si erano interrotti lasciando solo spazio a una desolazione di corpi nell’ erba. Ghìda camminava per il campo di battaglia guardando verso il basso, scrutando uno singolo volto distogliendo lo sguardo appena riconosceva qualcuno delle sue file.

Occhi taglienti la oltrepassavano. La camicia tenuta su dal corpetto sembrava sempre piu’ stretta sotto quegli sguardi. Sentiva quelli dei nani su di lei, come quelli degli elfi, che osservavano ogni sua piccola mossa, e sentivano ogni suo piccolo respiro. I piccoli gruppi che assistevano i feriti si fermavano ogni volta che gli passava accanto, con sguardi schivi e pieni di odio la osservavano dall’alto in basso. Ma lei, guardava dritta, appena sentiva una maledizione in nanico rivolta verso di lei la ignorava continuando a camminare.

“Sangue sporco” senti ruggire piu’ chiaramente delle altre da un nano che le passò accanto mentre si dirigeva nella parte opposta al suo cammino verso l’entrata lacerata della montagna.

A'lâju Mahal” sentì urlare da infondo alle linee dei nani mentre alcuni che si trovavano fra lei e il cammino sputavano per terra. Le mente di Ghìda non rimembrava un solo momento della sua vita in cui quella parola non fosse stata usata nei suoi confronti, era il suo nome, piu’ di quello che le apparteneva.

Strinse la mascella mentre il suo sguardo era fisso in avanti cercando di evitare lo sguardo dei nani che le paravano il cammino. Muovendo piano la testa, avvertita da un leggero movimento, vide gli elfi silvani fissarla da infondo la valle, vicino alla parete accanto alla montagna. A differenza dei nani questi però non urlarono o dissero nulla, la guardarono solo in maniera contorta, mentre altri sussurravano tra loro.

L’autocontrollo della ragazza era rigido, in altri tempi si sarebbe voltata e avrebbe camminato via, in altri ancora piu’ remoti avrebbe cominciato a correre con una lama nelle mani. Ma non ora, non qui, non in quei suoi anni di vita. Una parte di sé sapeva che un solo passo falso le sarebbe costato la vita. Si strinse solo il lungo mantello verde sulle spalle continuando a camminare sperando che almeno in quella situazione le malelingue dei nani non fossero unicamente per lei e che le loro forze si concentrassero sui feriti e non su di lei. Ma si accorse molto presto che la sua speranza era stata vana.

“Non muoverai un solo passo in piu’ bastarda elfica” Dàin le si parò davanti come una roccia solo a pochi metri dall’entrata della montagna, allargando le spalle e gonfiando il petto “non hai il diritto neanche di sostare di fronte a queste porte!” Ruggì il nano con il volto rivolto verso di lei colmo di disprezzo.

Ghìda si irrigidì guardandolo e muovendosi leggermente verso sinistra cercando di superarlo ma quest’ultimo non ne volle sapere e con piu’ fermezza le si parò nuovamente davanti. Un sospirò oltrepasso le labbra della ragazza.

“E io non sono venuta a discutere con te Dàin figlio di Nàin”

“Tu ti dimentichi con chi stai parlando sporca mezzo sangue!” fece Dàin empio di rabbia puntando l’ascia verso il petto di Ghìda che prontamente portò invece la sua mano verso l’elsa della sua spada sul fianco sotto il mantello quasi in maniera meccanica. Dàin non era un tipo diplomatico, per quelle volte che lo aveva incontrato sui Monti Gialli, non vi era mai stata con lui una discussione finita in modo pacifico e la situazione anche in quel caso non era delle migliori. Qualsiasi nano, bestia o elfo avrebbe voluto incontrare ma non lui.

“Vai via da qui o giuro sui Valar che ti fracasso quella testa da folletto che ti ritrovi” fece avvicinandosi ancora di piu’ continuando a puntarle sua ascia sul petto, mentre lei teneva alta la testa facendo dei respiri profondi, notando come tutti i nani che si erano allontanati da lei ora si stavano raggruppando tenendo anche loro le mani sulle proprie armi.

Il fiato di Dàin ormai soffiava sul suo volto guardandola con freddezza mentre lentamente lei tirava su la lama, pronta a qualsiasi movimento del nano di fronte a lei.

“Dàin, basta così!” una voce ben conosciuta alla ragazza le fece alzare lo sguardo verso l’alto. Un alto vecchio con mantello e cappello borbottando si avvicinò ai due.

Gandalf.

“Non è così che ci comporta con degli alleati, ora se possiamo finirla con le sciocchezze ci sono cose piu’ importanti a cui pensare” aggiunse in tono austero guardando prima Dàin e poi lei puntando in suo bastone ancora piu’ nel terreno.
Non era calma non ancora da poter lasciare la sua elsa.

“Non sono affari che ti riguardano stregone grigio, lei non farà un passo in piu’. Non è un nano. Non è niente!” Sibilò tra i denti Dàin con disprezzo sputando per terra. Quel gesto la fece irrigidire. Strinse ancora di piu’ il pugno sul pomo della lunga lama bianca. Il suo proposito di rimanere calma si infranse, lanciò un’occhiata d’ odio verso il nano, il quale non notò come la ragazza stava lottando on sé stessa per rimanere calma.

“Ciò non toglie che non sei tu, Dàin, signore dei Colli Ferrosi, il signore di Erebor” aggiunse con calma Gandalf mettendosi di fianco a loro.

Ghìda notò la mascella di Dàin scattare, mentre riluttante abbassava l’ascia e indietreggiava dal suo viso, e solo al suo movimento tutti gli altri nani intorno a lei fecero lo stesso. Lei d’altro canto percepì un leggero calore mentre la mano di Gandalf le si poggiava sulla spalla facendola immediatamente rilassare e lasciare la lama. La sola presenza dello stregone l’aveva sempre fatta calmare, era sempre stato così, fin da quando ne ha memoria.

“Molto bene” sussurrò Dain senza staccare gli occhi da lei. Fece un breve segno con la testa ai nani che le si trovavano intorno che si allontanarono continuando i loro affari. Cosi come il signore dei nani di fronte a lei che con un ultimo sguardo truce si allontanò oltrepassandola, mettendosi la sua enorme ascia sulla spalla. Un sospiro le uscì dalle labbra guardando su verso lo stregone.

“Certe cose, sono come la pietra, immutabili e quasi indistruttibili, mia signora” disse lo stregone guardandola ragazza rivolgendole uno sguardo gentile, che però la fece sentire tutt’altro che rasserenare. Anzi la fece irrigidire e chiudere ancora di piu’.
Si scostò dal tocco dello stregone per poi muovere leggermente la testa mo’ di saluto ma niente piu’, non era piu’ una bambina da tanto e Gandalf, almeno così pensava lei, continuava a non capirlo.

“Sono venuta a porre i miei omaggi e quelli del mio clan a Re Thorin” disse rigida.

Lo stregone sobbalzò leggermente e si scansò dalla strada permettendole di vedere l’entrata della montagna. Lì un gruppo di sei nani laboriosi, con un hobbit stavano entrando e uscendo in maniera serrata da una tenda trasportando bende insanguinate che poi gettavano nel fuoco.

“Il re credo che adesso non sia in condizioni di parlare” disse sedendosi su una delle pietre che fungevano da ponte per arrivare all’entrata della montagna. “Ma puoi parlare con me” aggiunse tirando fuori da sotto il suo lungo mantello una pipa di legno.
Ghìda scosse la testa guardandolo sapendo perfettamente dove volesse arrivare e le domande che le avrebbe voluto porre.

“No, devo andare dai miei uomini” asserì velocemente e si voltò pronta a incamminarsi di nuovo verso il campo di battaglia.

“Dov’è tuo padre Ghìda?” la domanda la fece bloccare lì sul posto mentre un filo di vento le sposto i capelli mossi e scuri sul lato della spalla.

“Ai Monti Gialli, ha mandato me per condurre il nostro esercito. Abbiamo incominciato a marciare su Erebor appena il corvo è arrivato”. Le si digrignarono denti pensando a come l’argomento, che stava cercando di evitare, le si era posto davanti. “Perché devi sempre non dargli fiducia?” sussurrò voltando leggermente la testa. Suo padre non era un buon padre, non lo era mai stato, ma era sempre suo padre. “Sono qui perché ha fiducia in me!” disse voltando il viso ancora verso lo stregone continuando a dargli la schiena.

Gandalf noto l’astio negli sui occhi e sospirò tenendo il bastone con entrambe le mani. I suoi occhi si fecero sottili mentre la studiavano, sapeva bene che la lealtà verso suo padre, per quanto insensata, non si sarebbe piegata neanche alle sue parole.

“Molto bene” disse austero alzandosi dalla roccia e rimettendo apposto la pipa sotto il mantello facendo per entrare dentro la montagna.

“Non è come pensi tu…” sussurrò flebilmente girandosi anche con il torso verso il mago che si era fermato e la stava guardando sorreggendosi al lungo bastone. “Ha solo mandato me, non c’è altro” aggiunse.

L‘animo di Ghìda sperava fermamente fosse così, non c’era motivo di mentirle, non per una guerra così lontano e fuori da i loro confini.

Lo sperava.

Gandalf notò come, da freddi come il ghiaccio, gli occhi della ragazza diventarono profondamente tristi e le sorrise gentilmente avanzando verso di lei pronto a dirle qualche parola di conforto.

“Gandalf, mi duole interromperti ma…” un nano da dietro Gandalf interruppe le parole dello stregone, bloccandosi istantaneamente quando vide la ragazza.
Lo sguardo del nano lei lo conosceva bene, e come se non fosse accaduto nulla si ricompose diventando agli occhi dello stregone di nuovo un blocco di ghiaccio.

“Devo andare ora. I miei soldati hanno bisogno di me” aggiunse senza far trasparire, la malinconia che scatenò il singolo sguardo di quel nano con la lunga barba bianca. “Namaarie, Mithrandir”.

Con un breve cenno del capo Ghìda cominciò a tornare verso il suo accampamento, profondamente turbata dallo stregone. Non era piu’ una bambina, non doveva, non aveva il diritto, non piu’ non dopo tutti quegli anni. Non dopo tutto ciò che aveva passato.

Gandalf la osservò fissa sospirando. Il dolore che quella ragazza provava e il suo essere così unica, l’aveva sempre fatto rattristare. In 3000 anni, raramente aveva preso una persona tanto a cuore.

“L-lei è..”

“Si mastro nano, la figlia di Telkar” Gandalf interruppe Balin prima che finisse di porre la domanda. Quest’ultimo guardò la ragazza sconcertato e con gli occhi sbarrati mentre si allontanava da loro con passo lento così come era arrivata.

“Pensavo fossero solo voci, non è possibile.”

“Molti lo pensavano, la sua esistenza è stata lungo nascosta dal padre” gli disse austero voltandosi verso di lui a sospirando “Dopo 120 anni l’ha fatta uscire dai confini dei Monti Gialli. Ma il suo arrivo qui, in questo momento, mi danno da pensare” disse a voce bassa. Balin sposto gli occhi dalla ragazza per poi fissare Gandalf confuso.

“Cosa intendi?”

“Non lo so ancora mastro nano” disse Gandalf sospirando lanciata un’ultima occhiata verso Ghìda che nel frattempo in lontananza aiutava a trasportare i feriti verso le tende improvvisate, costruite poco dopo la fin della battaglia, sul campo verde.

“E finché non lo saprò Thorin non deve saperlo. I suoi trascorsi con gli elfi non sono ideali.” Finì guardando di nuovo Balin e poggiandogli una mano sulla spalla chinandosi leggermente. “Prendi tempo, se conosco Telkar Nerachiave sarà qui entro due di notti. Se tutto va come spero, arriverà prima del consiglio di alleanza”. Lo sguardo dello stregone era serio verso Balin che annuì sospirando.

“Non è facile nascondergli le cose, soprattutto cose di questo genere Gandalf. Il ragazzo, così come suo nonno, non gradisce le menzogne”

“Lo so, ma bisogna provarci. Non so quali siano i suoi sentimenti per gli elfi, bisogna evitare qualsiasi tipo di incidente. Le alleanze sono ancora troppo deboli” insistette “le sue preoccupazioni saranno molte appena sveglio, non diamogliene altre.” Lo stregone alzò lo sguardo dietro la spalla di Balin e notò come il gruppo di nani della compagnia si era fermato a metà strada tra la tenda di Thorin e il focolare. Probabilmente li guardavano da quando Ghìda se n’era andata. Il mago sospirò distogliendo da loro lo sguardo e lanciando un’occhiata a Balin che notando lo sguardo del mago oltre le sue spalle aveva già capito cosa fosse accaduto.

“Confido in te Balin, non una parola sulla ragazza” Disse di nuovo serio per poi tirarsi su con la schiena.

“E se lo venisse a scoprire da solo?” Chiese Balin incrociando le braccia al petto guardando Gandalf con un sopracciglio alzato tutt’altro che tranquillo.

“Dobbiamo solo sperare la prenda dal lato positivo”.
 
 







Il silenzio regnava da ore ormai nella valle sotto la Montagna. Le pire che fino a poche ore prima incendiavano con la loro luce il buio erano diventate ormai mucchi di cenere sulla terra. Nessun canto fu udito dopo la veglia, nessun ricevimento per i caduti.

Le perdite erano state troppo numerose per poter anche solo pensare di gioire per la vittoria. Durante il funerale quella sera aveva appreso che i due eredi al trono erano morti, le loro pire si innalzavano al centro della valle. I due nipoti di Re Thorin. Non conosceva i loro volti, troppo in alto per poterli vedere in viso, ma ricordava benissimo quello di Thorin.

Due profondi occhi azzurri che guardavano le fiamme. La corona sul suo capo. Il suo canto triste.

Mai le era capitato di vedere un funerale di dei principi e mai gli era capitato di udire una voce cosi roca e intrinseca di dolore. Per quei pochi minuti per tutta la valle era rimasta immobile, anche il vento non aveva piu’ soffiato come per ascoltare il Re Sotto la Montagna. Guardò il cielo stellato sopra di lei abbandonandosi all’acqua che l’abbacchiava stringendosi le ginocchia al petto. Gli elfi dicevano che gli Ainur avevano creato le stelle cantando. Se Thorin Scudo di Quercia fosse stato un Ainur probabilmente quella sera ne avrebbe creata una lontana e flebile, pallida quanto calda.

Sospirando Ghìda lascio la sua schiena adagiarsi ancor meglio alla roccia che spuntava dal pelo dell’acqua del lago. Anche molti suoi compagni erano morti, molti nani… molti elfi.
Istintivamente guardo verso le sue braccia passando la mano sulla fila di rune di uno di questi. Quanti anni erano passati? Ottanta? Cento? Non riusciva a ricordarlo di preciso, ricordava solo lo sguardo empio d’ira di suo padre e il dolore acuto subito dopo.

Riscrisse lentamente ogni singola runa sul suo braccio, accarezzandosi la pelle ‘Baruk Khazâd. Khazâd ai-mênu’. Queste le parole di cui continuava a rifinire il contorno nell’acqua. Poteva immaginare le parole dure che le avrebbe rivolto il padre se l’avesse vista rimuginare sul passato. Il passato per lui era un macigno da distruggere, il passato era quello che aveva portato lei alla nascita. La sua unica figlia. La sua unica erede. La sua bastarda.
Se fosse nata nana sarebbe stato diverso? Se sua madre fosse stata una nana ora sarebbe da un'altra parte? Sarebbe a casa sua, libera, amata dal suo popolo? E se invece fosse nata elfa ora sarebbe sdraiata su un candido telo a pregare la luna, sempre eterna e bellissima?  A intonare melodie per i Valar, gioendo del suo essere prescelta tra le razze?
Spesso si ritrovava a pregare nella notte, nel suo letto, quando nessuno la poteva vedere. Pregava tutti i Valar: Manwë,Varda,Ulmo,Aule, li pregava tutti, qualcuno doveva sentirla. Qualcuno doveva essere colui che l’aveva creata. Ne nana, ne elfa. Un incrocio impossibile e maledetto.

Scosse la testa tristemente scacciando quei pensieri andando sotto l’acqua fredda tenendo la testa all’indietro. Risalì subito dopo prendendo un grande respiro e si tirò su dall’acqua. Velocemente prese la bianca pelliccia posata a terra e vi si avvolse stringendo le spalle. Punto gli occhi dritto verso Erebor che come da monito si ergeva sopra la sua testa, ricordandole il consiglio del giorno dopo e da come quel consiglio pieno di nani ed elfi sarebbe stato la sua prova.
 
 
 

~




“Non hai l’autorità o il sangue per entrare in questa sala mezz’elfo” urlò Dain alzandosi dalla sedia guardandola mentre si rialzava dal suo inchino. Ghìda si strinse il vestito fulminando Dain con lo sguardo e tirando su la schiena. Non gli avrebbe lasciato disonorarla di fronte a tutti.

“Mio padre è uno dei sette re dei nani, in sua assenza essendo io sua unica erede faccio le sue veci Dàin figlio di Nàin” sibilò non smuovendosi di una virgola da dove si era inchinata di fronte a Thorin Scudo di quercia. Non abbassando neanche mai lo sguardo dal nano dai capelli rossi, che furioso scostò la sedia da vicino il tavolo con una spinta alzandosi.

“Solo perché sei uscita fuori dalle sue palle non ti rende un nano. Tu non lo sei!” urlò furibondo sbattendo il suo martello sul tavolo. Grida di approvazione si alzarono da la maggior parte dei nani nella stanza. Per lei non fu altro che ricever un altro schiaffo, era vero, non era un nano, e probabilmente non lo sarebbe mai stata. Non hai loro occhi.

“Mezzosangue!”

“Sporca elfa!”

“Maledizione dei Valar!”

Le urla diventavano sempre piu’ alte mentre lei rimaneva immobile, senza dire nulla, osservando Dàin che carico di quelle parole si fece leggermente avanti verso di lei. La scena era la stessa della mattina precedente, ma in questo caso le grida erano piu’ forti e i nani molti di piu’.

ATKÂT!” un ruggito sovrasto tutte le voci portando il silenzio nella sala.
Thorin era esploso, alzandosi dalla sedia. L’intera sala lo guardava intimorita. Bofur che nel frattempo era rimasto accanto a lui indietreggio immediatamente tornando vicino a una delle grandi colonne.

Ghìda lo guardò.

I suoi lineamenti erano duri e gli occhi di ghiaccio la trafissero come una lama facendole saltare un battito. Mai aveva percepito un tale sgomento, una tale prestanza, neanche da suo padre. Questo la fece ancora di piu’ intimorire ma non lo diede a vedere, continuando a fissare il re dritto negli occhi.

Aspettarono tutti col cuore in gola, nervosi; la parola di Thorin era diventata legge e lui lo sapeva bene.

“Sedetevi” si rivolse a lei a indicando la sedia accanto a Dàin con un del braccio. Perfino Dain non osò contraddirlo mettendosi seduto silenziosamente e poggiando le mani sul tavolo.

Thorin lo fisso intensamente per alcuni secondi aspettando un eventuale parola di troppo del cugino che non arrivò. Dunque, si mise seduto e fece un breve cenno con la testa alle guardie infondo alla sala per far chiudere le porte.

“Io voglio le mie gemme, Thorin Scudo di Quercia” esordi nel silenzio piu’ profondo della sala Thranduil che muovendo il lungo collo fisso Thorin. “È l’unica cosa che voglio e l’unica cosa che mi ha fatto sacrificare i miei soldati sotto la pietra di questa montagna”. Thorin lo guardò per un’istante e poi guardo giù verso il tavolo di pietra.

Balin era speranzoso del suo buon senso. Se gliele avesse rifiutate un’altra volta, solo gli dei potevano sapere cosa sarebbe potuto accadere.
Il re, continuando a guardare giù, fece un lungo sospiro incrociando le dita sul tavolo annuendo con la testa per poi guardare Thranduil.
“Avrai le gemme di Lasgaren” disse con voce dura e con un tono talmente limpido che non creò il dubbio neanche nell’animo di Thranduil. Che chinò leggermente la testa verso di lui in segno di ringraziamento.

“Accordo raggiunto dunque, non chiedo altro Re sotto la Montagna” disse le ultime parole con un tono talmente stucchevole che alle orecchie di Thorin non sembrarono un vero titolo ma una beffa.

“Non giocare con la mia pazienza Thranduil” ruggì guardandolo e posando il suo avambraccio sul tavolo avvicinandosi al re degli elfi. Il suo tono era cambiato in maniera radicale, da accondiscendente a fiero. Era diventato re, ma era ancora lo stesso nano che aveva oltrepassato fuoco e acqua per avere indietro il suo regno. I nani lo seguivano per questo “Mai sotto questa montagna” aggiunse trapassando lo sguardo dell’elfo che lo guardava in volto con aria indifferente. Ghìda si guardo attorno e analizzo gli sguardi di tutti i nani, come lo guardavano. Per loro non era re solo perché un figlio di Durin, era re perché tutti i nani presenti lo stimavano, era il loro re.

“Molto bene” disse Thranduil staccando gli occhi dal volto di Thorin e tagliando cosi come una lama il silenzio pesante che si venuto a creare. “Non c’è motivo che io rimanga qui, quello che desideravo l’ho ottenuto” disse alzandosi per poi smuoversi il mantello con una mano.

“Ti lascio ai tuoi affari Re sotto la montagna” ripeté di nuovo portando Dwalin infondo alla stanza a tirare su la sua ascia da terra guardando di sottecchi il Signore della Foresta.
Ghìda fisso Thranduil mentre si sistemava e muoveva i primi passi verso l’uscita, per poi distogliere lo sguardo immediatamente.

Cin are ú a orod plual ered sui hain

Alzò di scatto lo sguardo di nuovo verso Thranduil che si era voltato verso di lei e le aveva proferito quelle parole a pochi passi dalla porta di pietra. La stava osservando, guardando in viso, per poi posare per una frazione di secondo, che a lei sembrò un’era, gli occhi sui suoi tatuaggi.

Staccandosi da quel alone di freddezza che l’aveva fatta apparire come un blocco di pietra di fronte all’intero salone si toccò istintivamente il braccio sinistro sotto il tavolo.
Scostando lo sguardo da lei Thranduil lasciò la stanza facendo di nuovo un breve inchino verso di lei questa volta, gesto che fece rimanere basiti tutti i nani nella stanza, compreso Thorin.

Leggeri sussurri si levarono dalle file dei nani che nel frattempo la fissavano ininterrottamente, chiedendosi cosa le avesse detto, di così segreto da dirlo in elfico. Quello che non sapevano veramente era che se lo avesse detto in lingua comune, molto probabilmente tutti nani presenti sarebbero stati d’accordo con le sue parole.
Thorin la guardava, passo il suo sguardo sul viso della ragazza, notò come il suo cambio di espressione quando l’elfo le rivolse la parola, così come il suo cambio di postura. Lei alzò lo sguardo e lo direzionò verso di lui, da che aveva preso emozione, ritornò di ghiaccio.
Aggrottò le sopracciglia, facendo un lungo sospiro e sistemandosi di nuovo indietro verso lo schienale della sedia. Ghìda d’altro canto non tolse la mano dai suoi tatuaggi, non fece trasparire la pesantezza che aveva avvolto il suo cuore. Non prestò neanche attenzione per i minuti a seguire fissando un punto indefinito sull’enorme tavola di marmo verde. La sua mente era oltre la sala, su’, per montagne e boschi, per poi scendere nelle profondità della terra.

Bard, il portavoce di Dain e Ponte Lago Lungo aveva cominciato a parlare, si era alzato dalla sua sedia pretendendo che Thorin gli desse la parte del tesoro che gli era stata promessa prima della liberazione della montagna.
Ori si avvicinò lentamente verso Dwalin che guardava la riunione poggiato al muro infondo alla sala con le braccia allungate sull’enorme ascia che ora era poggiata a terra.

“Cosa le avrà detto?” Gli sussurrò mentre si avvicinava sempre di piu’ a lui per non farsi sentire da orecchie indiscrete.

“Non lo so, ma lei non mi piace” grugni sottovoce senza scostare gli occhi da Bard che continuava a ripetere a Thorin di come avesse ucciso il drago e di come si meritava il tesoro di Erebor. “Se quell’umano non la smette di elogiare la grandezza del suo cazzo gli spacco l’ascia in testa” sussurrò Dwalin grugnendo.

“Per-perché il signor Gandalf ci ha proibito di dire a Thorin di lei?” sussurrò Ori ancora vicino all’orecchio di Dwalin.

“Non lo so e non mi interessa, si deve solo levare di mezzo!” cercò di tagliar corto Dwalin, ma il giovane nano non non voleva saperne e si avvicinò ancora più adesso poggiando quasi il mento sulla spalla.
“Sai se la guardo bene potrebbe passare per una nana, non ha la barba, ha le orecchie a punta, ma potrebbe, con un po' di-"

Dwalin rigirò verso l’alto e per poi girarsi verso Ori stringendo così forse l’ascia da far diventare le sue nocche bianche.
“No Ori! Silenzio! Non si diventa nani ci si nasce!” controbatté Dwalin sempre mantenendo la voce bassa “Non sarà mai una nana!” Bard aveva finito il suo discorso e Thorin gli aveva accordato una parte del tesoro, ma non gli sarebbe stato dato tutto insieme.  Erebor, così come Dale, doveva essere ricostruita e riabitata, il tesoro di Smaug serviva alla gente della montagna ora piu’ che mai

“Ma non è neanche un elfo...”

“Basta così!” ruggì, anche se la sua voce, per quanto si fosse sforzato era diventata ancora piu’ alta facendo girare un paio di nani di fronte a loro. “Vai ora, il gorak ha finito” disse voltando finalmente la testa verso il nano accanto a lui.

Bard si avvicinò verso la porta e Dwalin la aprì fissandolo mentre la attraversava, senza dire una parola in piu’. Il loro tesoro era diventato la meta preferita di tutta la Terra di Mezzo, si chiese se prima o poi anche gli uomini di Gondor sarebbero venuti a reclamarne una parte, solo per il semplice fatto di esistere sotto lo stesso cielo. Dwalin non fece in tempo a richiudere la porta che un rumore assordante, di metallo lo fece bloccare guardando fuori. Decine di Nani, in armatura si dirigevano verso la porta, nani con un simbolo che Dwalin riconobbe, una delle sette famiglie, i Nerachiave.

Il rumore fece ridestare Ghìda dai suoi pensieri, portando il suo sguardo sulle decine di nani che entrarono dalla porta.  Alla loro guida un nano con i lunghi capelli e una folta barba nera, vestito da cerimonia con una scintillante armatura di metallo nanico, rifinito con intarsi di gemme di ogni sfumatura di blu.

Ghìda scattò tirando su la schiena a fissando il nano con la bocca semi aperta mentre la foschia di pensieri che si era creata nella sua testa lasciava spezio allo sgomento.

“Padre” sussurrò tra sé e sé irrigidendosi potendo sentire il cuore arrivarle fino alla gola, non lasciandole neanche la forza di parlare.

 “Re Thorin, figlio di Thràin, figlio di Thròr, Re Sotto La Montagna” Telkar avanzò verso il tavolo rivolgendo un lungo inchino verso Thorin, fin troppo profondo e solenne. I pendagli dorati intrecciati nei capelli del signore dei Monti Gialli tintinnarono mentre si tirava su dal profondo inchino.

Balin deglutì osservando la scena.Gandalf aveva detto il vero dunque, era arrivato, con qualche ora di ritardo, ma alla fine era vento ad Erebor, anche se la figlia era presente per svolgere le trattative politiche.
A Balin capitò una sola volta di vedere Telkar, ancora un giovane signore dei nani, quando venne in visita ad Erebor prima dell’attacco di Smaug.  Rispettato dalla sua gente e temuto dai suoi nemici aveva già, in pochi anni di dominio sui Monti Gialli, espanso le miniere costiere di Elcar per leghe, portando il suo regno a una ricchezza tale, che persino Thròr, possessore già della regina delle gemme, era invidioso delle pietre che uscivano dalle sue miniere.
Per anni dopo la conquista di Erebor non si ebbero che voci dalle coste dell’est, voci di una ricchezza che aumentava sempre di piu’ e di un matrimonio con una principessa elfica. Ma nessuno si sarebbe mai neanche lontanamente aspettato che quel matrimonio avesse dato qualcosa piu’ importante di oro e gemme a Telkar, una beffa agli elfi e agli dei. Balin strinse la mascella osservando come Thorin osservava il signore dei nani, se non lo avesse conosciuto abbastanza, avrebbe detto che il chino che fece con la testa non nascondeva nulla, ma sapeva che stava studiando il signore dei nani chino di fronte a lui.

“Non vi aspettavamo piu’ Telkar, figlio di Tolkur” constatò Thorin guardandolo seduto infondo al tavolo e muovendo leggermente la testa in segno di saluto verso il vecchio nano. Quest’ultimo ridacchiò e fece segno a uno dei suoi soldati che gli prese il lungo mantello che portava dalle spalle.

“Non avevo intenzione di venire, giovane re, il mio volere era in mani sicure” la sua voce si era fatta piu’ stucchevole e guardò verso Ghìda. Conosceva quello sguardo, e non presagiva nulla di buono. Suo padre doveva essere a centinaia di leghe da dove era lei. La sua sola presenza nella sala le provocava un peso sullo stomaco che non le permetteva di respirare.

“Ma le donne sono volubili, è quindi più saggio pensare da soli agli affari di un certa importanza” disse poggiando una mano sul tavolo difronte a lei mentre con l’altra le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Al solo contatto rabbrividì, il tocco di suo padre era duro, non quello che si aspetta da un padre, non un tocco amorevole. Una farsa stava giostrando una farsa. Alzò lo sguardo verso di lui mentre sentiva la sua mano indietreggiare dal suo viso. I nani intorno a lei non potevano sapere, ma lei lo conosceva troppo bene, glia aveva visto usare gli stessi modi, le stesse lusinghe anche altre volte.

“Penso che sia il momento che tu vada figlia mia” un tono che non ammetteva repliche gli uscì dalle labbra. La vera voce di suo padre.  Con i veri occhi di suo padre. Le due macchie nere la guardarono dritta negli occhi non ammettendo repliche, facendole stringere i denti. Sostenne il suo sguardo in silenzio per qualche secondo per poi annuire con la testa.

“Si padre” rispose lei, senza staccare lo sguardo dal su, anche se tutti nella stanza notarono il suo cambio di tono improvviso. Dapprima freddo e deciso, era diventato pura pietra, una cantilena che sembrava avesse recitato migliaia di volte. Si alzo dalla sedia e fece un passo indietro lasciando spazio a suo padre per permettergli di sedersi al suo posto.

“Portatela fuori” disse con tono netto senza neanche rivolgerle uno sguardo mentre si sedeva. Uno dei soldati di suo padre si avvicinò verso di lei e le prese il braccio. Un leggero gemito di sgomento le usci dalle labbra alla sensazione di stretta intorno a al suo braccio.

“Posso andarmene da sola…” Si scrollò la mano del soldato di dosso tirando indietro il braccio “..padre”. replicò lanciando uno sguardo vero di lui seduto al posto dove lei era prima. La furia e la vergogna le montavano da dentro la pancia. Il suo onore e la sua parola non sarebbero andati buttati al vento, solo per una recita.

Si mosse a al centro della sala e fissò il re di Erebor negli occhi chinandosi toccando quasi con il ginocchio per terra. “Mio re” riverì per poi alzare gli occhi su di lui. La stavano guardano come poco fa, con gli occhi limpidi ma taglienti come lame elfiche. Il petto le si bloccò di nuovo. La regalità che emanava Thorin Scudo di Quercia non era niente che avesse mai provato prima. Lui le fece un breve cenno con la testa dandole il consenso di andarsene. Lei volto quindi la schiena e si diresse verso la porta procedendo fuori dalla soglia. Un sospiro eterno le sfociò fuori dalle labbra lasciandosi andare con la schiena sul muro accanto alla porta, mentre due statue di guerrieri nanici, alte fino al soffitto la guardavo giudicatori.



 





“Figlie femmine, difficili da gestire!” Rise tra se e se, allungandosi verso il tavolo prendendo un boccale di birra dal centro di questo. Dal singolo istante da cui la figlia era uscita dalla stanza, il signore dei Monti Gialli aveva cambiato nuovamente umore.

“A che punto eravate arrivati gentili signori dei nani?” ridacchiò guardando Thorin. “Spero di essere arrivato in tempo per discutere delle mie richieste per l’aiuto che ti ho concesso, Thorin Scudo di Quercia”.
Thorin non era in vena di ridere sopra la situazione, da quando era finita la battaglia, non aveva sentito altro che richieste, il capo dei Nerachiave doveva sbrigarsi.

“Arriviamo al punto, cosa vuoi da me?” La sua domanda fece sorridere Telkar che ghignando leggermente si allungò alzo dal tavolo tenendo con una mano il boccale di birra e bevendone un sorso. “Re di Erebor, non intendo privarti di oro, terre o qualunque bene materiale tu abbia”.  Thorin lo osservò mentre sogghignando sorseggiava un altro sorso della sua birra mettendosi in piedi dal lato opposto del tavolo di pietra. Così ora si potevano guardare faccia a faccia. Gli occhi del nano anziano erano puntati dritti verso i suoi.

Bevve un altro sorso dal boccale per poi poggiarlo sul tavolo cosi come le sue mani. La forma del suo viso era cambiata di nuovo, guardava Thorin con gli occhi con cui prima guardava la figlia, diretti, privi di empatia, occhi di chi sapeva ciò che voleva.

“La cosa che voglio è un’unione. Ti offro in cambio del mio aiuto la mano di mia figlia, Re Sotto La Montagna”

 
 
 
 




 


A'lâju Mahal= Disgrazia dei Mahal
Namaarie= Addio
Baruk Khazâd. Khazâd ai-mênu= Le ascie dei nani. I nani sono su di voi.
AtkÂt= Silenzio
Cin are ú a orod plual ered sui hain= Non ti accetteranno mai
Gorak= Idiota









 
ANGOLO AUTRICE
E infine, dopo decine di cambi di narrazione e di eventi, vi presento il secondo capitolo. E' stato molto difficile muoversi negli eventi, volevo infatti da principio integrare questo capitolo in quello precedente o farlo diventare una seconda parte del primo capitlo, ma i cambi di prospettiva erano troppi e credo che avrebbe creato confusioni. Cosa ne pensate? Sto cercando di rendere i nuovi personaggi il piu' meno caricaturali possibili, anche se gli ibridi elfi/nani/uomini sono stra abusati. L'idea originale era che fosse una mezz'elfa (umano elfo) che negli scritti di Tolkien sono presenti, ma appena ho cercato informazioni mi sono inbattuta in diverse discussioni che affermavano che i nani e gli elfi, non sono potessero avere prole, in quanto creati da due dei diversi.
Bhè che dire, ditemi cosa ne pesante, se Ghìda è un personaggio che vi sta simpatica, antipatica, le vostre supposizionie e tutto quello che vi passa per la testa, davvero. Mi fa molto piacere leggere le recensioni per migliorare o cambiare degli aspetti che ritenete errati. Il dizionario infondo verrà messo da adesso fino alla fine della storia. Molte parole sono prese da forum, quindi se errate vi chiedo umilemente perdono.
Ringrazio poi Elfosnape, per la recensione, ho cercato di correggere tutto a mano questa volta, senza lasciare che word mi sistemasse tutto in automatico, anche per i nomi dei nani. Ho sistemato anche gli errori nel capitolo prima.
Grazie e al prossimo capitolo.
 

 
 
   
 
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