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Autore: Spoocky    15/04/2020    5 recensioni
Finale alternativo per "Una ballata del mare salato".
Con uno stratagemma, Corto riesce a salvare il tenente Christian Slutter dalla fucilazione e fa del suo meglio per aiutarlo a rimettersi in sesto. Ma l'"eroico germano" apprezza davvero questa nuova vita?
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: non guadagno nulla dalla pubblicazione di questo racconto in quanto i personaggi citati appartengono esclusivamente agli aventi diritto. Le frasi evidenziate in grassetto appartengono alla traduzione del componimento Sehnsucht (Nostalgia) di Schiller, reperibile al seguente indirizzo: https://www.flaminioonline.it/Guide/Schubert/Schubert-Sehnsucht636.html  e non ne accampo i diritti.
La storia partecipa all'Easter Advent Calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart.

Ancora una volta ringrazio l'infinita pazienza di Old Fashioned che si è prestato come vittima sacrificale beta reader. Grazie, Old!

Buona Lettura ^^


Quando il tenente di vascello Christian Slütter si ritrovò davanti al plotone di esecuzione rifiutò la benda che gli veniva offerta con un gesto perentorio e si voltò verso i soldati.
Gli Inglesi erano stati tanto spietati nella condanna quanto magnanimi con il suo onore: gli avevano lasciato quel poco di libertà d’azione sufficiente a non andarsene come un codardo.
Avrebbe mostrato loro come muore un uomo.
Mentre il plotone si schierava trasse un respiro profondo e lasciò che l’azzurro dei suoi occhi si specchiasse in quello del cielo. Non cercava redenzione, né una qualsiasi Entità Superiore, solo uno stormo di gabbiani le cui grida avevano attirato la sua attenzione.
E’ bello, pensò, che dopo una vita passata sul mare possa andarmene respirando quest’aria salmastra. E’ bello che non sia un corvo a portare nell’aldilà, sempre che ve ne sia uno, la mia anima ma un gabbiano. A pensarci bene sono quasi felice. Non ho rimpianti.

Li sentì caricare le armi e li guardò dritti negli occhi, cercando di rimanere impassibile nonostante un sorriso tentasse di farsi strada sulle sue labbra.
Venne dato l’ordine di aprire il fuoco e venne accecato da un lampo bianco.
Provò solo un istante di dolore, poi sprofondò nel buio.
 


Sentì un vago odore di legno bagnato e l’onnipresente rumore del mare.
Era avvolto in un bozzolo morbido e caldo, che lo faceva sentire stranamente protetto. Quasi fosse tornato nel grembo materno.
Che sia questa la morte? Si chiese.
Man mano che i sensi gli tornavano, tuttavia, si accorse di una sensazione estremamente familiare e riconobbe il rollio delle onde che cullava la sua cuccetta.
Lentamente ritornò anche il dolore: sordo e pulsante, sembrava irradiarsi da ogni angolo del suo corpo.
Senza volerlo emise un gemito e tentò di alzarsi per capire cosa stesse succedendo.

Due mani forti gli calarono sulle spalle, premendolo con delicatezza sul cuscino, e udì una voce familiare: “Buono. Buono, eroico germano. Vedo che neanche le pallottole sono riuscite a frenare il suo impeto tedesco. Mi fa piacere! Ma se non sta attento si riapriranno le ferite e non ho voglia di passare un’altra notte insonne a ricucirla.”
“Corto?” gemette il tedesco con voce roca.
“In carne ed ossa, signor tenente. Cerchi di stare fermo, mi raccomando.”
“Dove siamo?” Gracchiò di nuovo, con il poco fiato che aveva.
Corto gli fece scivolare una mano dietro la nuca ed accostò un bicchiere d’acqua tiepida alle sue labbra riarse: “Da qualche parte nell’Oceano Pacifico.  Nello specifico siamo sul mio catamarano, anche se Rasputin direbbe che è il suo.”

Slütter si concesse un breve sorriso, che si trasformò presto in una smorfia di dolore: la testa gli doleva molto,  la sentiva pesante e calda come una fornace accesa. Le palpebre erano talmente pesanti che solo pensare di sollevarle gli pareva uno sforzo impossibile. Sotto di esse sentiva gli occhi gonfi ed infiammati, quasi ardessero essi stessi dello stesso fuoco che gli stava consumando le meningi.
Il Maltese doveva essersene accorto perché avvertì una mano sfiorargli la fronte e subito dopo lo udì sospirare: “Vedo che nonostante i miei eroici sforzi ha ancora la febbre, signor tenente. Poco male: abbiamo appena rinnovato le scorte e l’acqua dolce abbonda.”
Sentì il rumore delle gocce d’acqua che cadevano in un bacile prima che un panno umido e fresco si posasse sul suo volto arroventato.
Tutto il suo innato stoicismo non bastò a fargli sopprimere un sospiro di sollievo mentre quella pezzuola sembrava assorbire il calore ed il dolore dalla sua testa.
Per qualche minuto si limitò a respirare in silenzio, assaporando quel semplice sollievo e cercando di resistere alle ondate di sofferenza che tutto il suo corpo gli comunicava. Di quando in quando uno scricchiolio al suo capezzale gli ricordava di non essere solo.

L’impacco sulla sua fronte era stato girato e rinnovato prima che riuscisse a trovare di nuovo le forze per parlare: “Corto?”
“Non dovrebbe parlare, signor tenente. Deve conservare le poche forze che ha in questo momento: le servono per combattere la febbre.”
“No. No. Io devo… devo sapere…”
“Se è preoccupato per Pandora le posso assicurare che sta meglio di noi. Di sicuro meglio di lei. E anche Cain. Ho fatto tutto il possibile per loro.”
“Questo lo so. Ma io dovevo… credevo di essere…”
“Morto? Lo sarebbe stato se Groovesnore ed i suoi avessero fatto a modo loro, ma io avevo qualcosa da ridire. Di norma sarebbe bastato far leva sul senso dell’onore dei Britannici ma lei ha fatto saltare una torpediniera e fatto fuori quindici dei loro. Non so se ne fosse al corrente, ma nella Royal Navy sono piuttosto permalosi su queste cose. Passino i quindici uomini, ma la nave proprio non doveva toccarla. Per cui, oltre al predicozzo sul capro espiatorio, mi è costato una banconota da cento sterline per ogni membro del plotone d’esecuzione. Nessun proiettile ha raggiunto punti vitali e nessuno si è preoccupato di constatare il decesso. Io mi sono offerto di seppellire il suo cadavere e l’ho trasportata a bordo senza che nessuno se ne accorgesse. Certo, ho dovuto spiegarlo a Rasputin, ma a conti fatti non è che a lui di queste cose importi poi molto.”
“Perché?”
Pur senza vederlo sapeva che il Maltese aveva scrollato le spalle: “E chi lo sa. Forse perché lei è una delle poche persone su questa terra che io consideri degne di stima. Forse perché non sopporto le ingiustizie. O forse semplicemente perché le avevo già salvato la vita una volta e non volevo vedere tanta fatica andare in fumo per i capricci di alcuni ufficiali. La verità è che, se esiste un senso per quello che ho fatto, io non l’ho ancora capito e forse non lo capirò mai. Doveva essere morto ed ora è vivo: questo è quanto. Non si sprechi a ringraziarmi.”
Prima che il tedesco potesse formulare una risposta si sentì mancare e quel poco di energia che aveva lo abbandonò, lasciandolo inerte sul lettuccio.

Corto aggrottò la fronte vedendo il suo corpo magro, prima rigido per il dolore, rilassarsi di colpo. Gli aggiustò l’impacco freddo, che gli si era afflosciato su una tempia, e gli riassestò le coperte: “L’ho stancata abbastanza. Adesso deve proprio riposare. Del resto anche Sigfrido ogni tanto dormiva, no?”
Quelle parole accompagnarono la discesa di Slütter nel buio dell’incoscienza.

 


Corto Maltese rimase in silenzio ad osservare Slütter addormentato e nella penombra della stanza il suo volto impassibile si riempì di rughe per la preoccupazione.
I lunghi giorni a servizio del Monaco avevano molto provato il tenente, che ne era tornato profondamente cambiato: pallido, smagrito, la barba incolta ed i capelli lunghi, gli occhi azzurri infossati e cerchiati di scuro, le palpebre gonfie.
Quando lo aveva spogliato per  medicarlo lo aveva trovato ancora più magro di quando lo aveva conosciuto.  Se avesse voluto avrebbe potuto contargli le costole.

Slütter era il relitto dell’ufficiale che era stato e che avrebbe dovuto essere, e questo Corto non poteva digerirlo: ai suoi occhi era una violenza imperdonabile. Come tarpare le ali ad un falco ed impedirgli di volare libero, impedirgli di seguire la sua natura.
L’uniforme del tenente era stata distrutta per non lasciare prove della sua sopravvivenza. Del resto il sangue l’aveva intrisa al punto da renderla irrecuperabile, ma aveva conservato il suo berretto.
Gli aveva rasato il viso e faceva il possibile per tenerlo in ordine quotidianamente, gli aveva anche lavato e tagliato i capelli in quello che ricordava il più possibile un taglio militare.
Non poteva fare altro per restituirgli la sua dignità d’ufficiale, almeno fino a quando non fosse guarito.

Si chinò su di lui e lo sentì respirare.
Il ritmo degli atti respiratori era migliorato, e anche le pulsazioni erano più regolari, forse anche grazie ai cuscini che gli sorreggevano le spalle e la schiena, aiutando il suo torace martoriato ad espandersi.
Prima di fare altro, volle accertarsi che fosse davvero addormentato e che non si svegliasse facilmente.
Perché rinnovargli le medicazioni sarebbe stato inevitabilmente doloroso e non aveva nulla per alleviare le sue sofferenze, tranne un unguento dagli ingredienti sconosciuti e delle erbe con cui realizzare un infuso, entrambi doni degli indigeni del luogo dove si erano fermati a prendere l’acqua.
Pur avendo verificato l’efficacia di quel balsamo puzzolente preferiva evitare di infliggere al tedesco dolore inutile.
Solo una volta accertatosi che fosse immerso in un sonno profondo e fosse immobile, eccetto che per i brividi febbrili, si decise a rimuovere le coperte che lo avvolgevano.

Il braccio sinistro di Slütter era legato al torso con una fascia, per impedirgli di muoverlo e danneggiarne la clavicola, spezzata da un proiettile.
L’altro mostrava un’evidente fasciatura all’altezza del bicipite.  Il torace era fasciato stretto per immobilizzare le due costole rotte dalle ultime due pallottole: una l’aveva colpito vicino al fegato, e l’altra di striscio al fianco destro, ma i fucilieri sapevano il fatto loro e nessun colpo era penetrato in profondità. Gli avevano fatto molto male, ma non abbastanza da ucciderlo.

Un’incursione notturna nell’infermeria degli Inglesi gli aveva fornito una mezza tonnellata tra bende e garze, qualche litro di alcool medicinale ed un kit di strumenti chirurgici che gli avevano permesso di salvare la vita di Slütter.
Le condizioni igieniche del catamarano però erano quelle che erano e le ferite si erano infettate lo stesso, tanto da fargli temere comunque per la vita del tenente.

Constatò con sollievo tuttavia che le garze erano già più pulite del giorno precedente perché l’essudato spurgato dalle ferite si era ridotto.
Fece scivolare un braccio sotto le spalle del tedesco e lo sorresse con il proprio petto mentre sistemava i cuscini in modo da metterlo seduto.
Ve lo ridistese con delicatezza e rinnovò l’impacco, avendo cura di coprirgli gli occhi onde evitare che, risvegliandosi all’improvviso, vedesse in che condizioni versava il suo corpo: non aveva bisogno di aggiungere anche quell’angoscia al suo già cospicuo fardello.
Il marinaio sciolse i bendaggi e mise le fasce sporche in un cesto. Quella sera le avrebbe fatte bollire nell’acqua di mare per pulirle e poterle riutilizzare in seguito, mentre avrebbe bruciato le garze.
Le ferite erano ancora arrossate, calde e leggermente gonfie, ma il loro aspetto era già migliorato.
Le tamponò con l’alcool, esercitando particolare cautela nei pressi delle ossa rotte, e le coprì con tamponi di garza puliti, prima di rinnovare le fasciature.

Una volta finito, lo avvolse di nuovo con le coperte e gli passò lo straccio bagnato sul volto per dargli sollievo dal caldo umido e dalla febbre.
Rendendosi conto di non avere più nulla da fare, e non potendo nemmeno fumare per non affaticare i polmoni già provati di Slütter, decise di dare fondo all’esigua biblioteca di bordo per passare il tempo.
 


Quando Slütter si sentì riemergere alla coscienza, scoprì che il dolore era diminuito anche se non riusciva a muoversi. Doveva essere calata la sera, perché la stanza era più buia di quanto la ricordasse, rischiarata a malapena da una lampada ad olio che dondolava dal soffitto.
Un rumore improvviso lo fece sobbalzare e per un momento gli sobbalzò il cuore nel petto per il terrore. Seminascosto nell’ombra, poco discosto dal suo letto, c’era un uomo a capo chino con il volto coperto.
Rimase paralizzato dalla paura, avrebbe voluto chiamare aiuto ma gli mancava il fiato.
Non riusciva a capire come quel pazzo lo avesse raggiunto anche lì.
Proprio in quel momento udì un sonoro scricchiolio e Corto Maltese fece il suo ingresso nella stanza con un piatto fumante. Vedendolo, il tedesco si rassicurò subito, lasciando che il marinaio si sedesse accanto a lui dopo aver posato la minestra su un tavolino di vimini al capezzale.

“Che le succede, Slütter?” sorrise Corto “Sembra che abbia visto un fantasma.”
Ancora scosso, il tedesco gli indicò l’ombra con un cenno del capo: “Credevo che fosse il Monaco.”
Il marinaio si mise a ridere: “Ah! No. No. E’ solo Rasputin che russa. Anche se in tutta onestà non saprei dire chi dei due sia peggio.”
“Ti ho sentito, sai.” Brontolò il pirata “E sono talmente offeso da togliere il disturbo. Vai al diavolo! E portati dietro il tuo animaletto storpio, già che ci sei!”
“Vai. Vai, l’aria fresca ti aiuterà a sbollire la rabbia.” Sogghignò il Maltese mentre l’altro si alzava brontolando dal suo cantuccio ed usciva sbattendosi la porta alle spalle.
“Abbia pazienza, signor tenente.” Sorrise il marinaio mentre aiutava il tedesco a mettersi seduto perché potesse mangiare “Rasputin è fatto così.”
“Oh, non si preoccupi. Ho addirittura l’impressione che sia stato gentile.”
“Non posso darle torto. Ora lasci che l’aiuti: immagino faccia ancora fatica a muoversi.”

La zuppa di tartaruga era leggera e saporita, ma soprattutto calda e nutriente.
Averla nello stomaco aiutò il tedesco a sentirsi un po’ più in forze e mitigò almeno in parte lo shock di prendere atto delle sue numerose ferite.
Quando ebbe finito di mangiare chiese di poter rimanere ancora un poco seduto.
Corto immaginò che volesse parlare, ma rimase per diverso tempo a fissare il soffitto di legno con uno sguardo malinconico. Il marinaio non gli fece fretta ed aspettò che fosse lui a parlare per primo, se avesse voluto.

Passò diverso tempo, poi Slütter prese la parola: “Lei crede che potrò tornare a combattere?”
“Penso che dipenda da lei, Slütter. Ha una tempra d’acciaio e sicuramente si riprenderà, l’unica limitazione è la sua volontà. Immagino che lei voglia ancora servire la sua Patria, nonostante tutto.”
“Sì, con tutto me stesso.”
“Lo immaginavo, dato che l’ho vista con questi occhi dare fuoco ad una torpediniera con una ferita aperta. Sono certo che in qualche modo sentiremo ancora parlare di lei. Me lo lasci dire: lei è proprio un piantagrane nato, signor tenente.”
Il tedesco, che iniziava ormai a sentirsi stanco, gli rispose con un debole sorriso: “'Dio li fa e poi li accoppia', diceva sempre mia nonna.”
“Lo avrebbe detto anche la mia, se ne avessi avuta una. Adesso però è meglio che la rimetta comodo e la lasci riposare. Deve recuperare le forze se vuole tornare sul campo.”

Slütter si lasciò riaccomodare sui cuscini e subito si sentì pervadere dalla sonnolenza.
Nel dormiveglia gli giunse la voce di Corto, ma da lontano, come in un sogno: “Scorgo incerta navicella, guarda, manca il timoniere. Forza su e senza indugio, son le vele sue animate. Creder devi, devi osare, che gli dèi non danno pegni, un miracolo sol può portare nel paese dei tuoi sogni.
 


Passarono alcuni giorni, e gradualmente Slütter recuperò la capacità di sedersi da solo e anche di camminare, sebbene sorretto da Corto e per brevi distanze.
Una tiepida mattina chiese di poter prendere una boccata d’aria sul ponte ed il Maltese ve lo accompagnò, ma non prima di averlo imbacuccato a dovere.
“Insomma, Corto.” Brontolò il tedesco “Sembra davvero mia nonna.”
“Non so che dirle. Come le ho detto: non ho mai conosciuto mia nonna. Comunque non è il caso di protestare: sto cercando di evitare che si prenda una polmonite che poi non saprei come curare. Faccia attenzione ai gradini adesso. Con calma, si appoggi a me.”

Era una mattina tersa e il cielo azzurro era popolato dalle danze dei gabbiani, che si rincorrevano inseguendo le correnti.
Rasputin era impalato dietro al timone, la barba scompigliata dal vento, e rimase con lo sguardo ostinatamente rivolto all’orizzonte, ricambiando il loro saluto con un grugnito. Corto scosse il capo con un sorriso condiscendente e Slütter si concesse una breve risata, che gli costò una fitta al petto.
Temendo che il tedesco fosse ancora cagionevole, Corto lo accompagnò sul lato sottovento dell’imbarcazione e lo fece sedere con la schiena poggiata contro l’albero, per poi mettersi a gambe incrociate accanto a lui.
Rimasero a lungo in silenzio ad osservare le acrobazie dei gabbiani, e di nuovo il Maltese osservò quello sguardo velato di malinconia negli occhi del suo nuovo amico. Di nuovo non disse nulla e lasciò che si prendesse il tempo necessario per riflettere, se avesse avuto bisogno di parlare.

Per circa un’ora si goderono il sole e la fresca brezza salmastra, poi Slütter declamò con la voce scossa da un fremito: “Se da queste fonde valli che la nebbia fredda opprime, io potessi risalire, gioia avrei che mi redime! Lassù scorgo dolci colli, freschi sempre e sempre verdi! Vanni avessi, avessi ali su quei colli io volerei.
Corto, che si era coperto gli occhi con la visiera del berretto e sembrava essersi appisolato, rispose:  “Ah colà qual meraviglia in eterno sfolgorio, e su quell'alture quale refrigerio dolce è l'aria! Mi s'oppone il fiume astioso che con furia rumoreggia, i suoi flutti son sì gonfi che il mio animo raggela.”
“Ah! Era davvero lei, dunque.”
“E chi diavolo credeva che fossi, Rasputin? Forse non lo ha notato ma non è tipo da leggere poesie.”
“Ci mancherebbe! Semplicemente ero convinto di stare sognando.”
“Con la febbre così alta avrebbe anche potuto essere, ma no: ero proprio io. Non mi dica che si è offeso: Schiller era un suo compatriota ma la sua poesia non è mica proprietà esclusiva di voi teutonici.”
Slütter si concesse un’ altra risatina: “Certo che lei è davvero permaloso! Non mi ha offeso. Semmai le sono grato per aver scelto uno dei miei componimenti preferiti. Ero solo stupito che lo conoscesse: non mi sarei mai aspettato di sentir declamare Schiller in pieno Oceano Pacifico. Mi dica, come mai ha scelto proprio quel brano?”
“Vedo che ha mantenuto le sue abitudini da ufficiale, signor tenente: continua a farmi domande presupponendo che io sappia le risposte.”

Stavolta il sorriso che increspò le labbra di Slütter era amaro, ed i suoi occhi divennero lucidi mentre con la mano si sfiorava la spalla ferita: “Avrò forse mantenuto le abitudini di un ufficiale, signor Corto. Ma è tutto quello che mi resta: non ho più un vascello, un’uniforme, né uomini da comandare. Il Monaco si è preso tutto, anche il mio onore. “Le sue labbra pallide si contrassero in una smorfia e i muscoli del suo volto sussultarono mentre digrignava i denti per la rabbia “Io non sono un pirata. Non lo sono mai stato e non ho mai voluto esserlo. Ma quel bastardo… quel bastardo! Mi ha costretto ad intraprendere azioni sconsiderate minacciando di morte i miei uomini. Ogni volta che mi rifiutavo di obbedire costringeva il suo scagnozzo ad ucciderne uno davanti ai miei occhi e ad un certo punto non ho retto più: gli ho lasciato fare quello che voleva.”
Ci fu una pausa di silenzio teso ed il Maltese rimase in silenzio, lasciando che il tedesco riprendesse fiato e si ricomponesse. Quando riprese a parlare Slütter stava ancora tremando per la rabbia e le sue mani erano tanto strette che si fece sanguinare i palmi: “Io non so davvero se esserle grato per avermi salvato. Che senso ha continuare a vivere quando si è perso l’onore? Quando non si ha più una Patria per cui lottare, un nemico da sconfiggere? Almeno nella morte avrei scontato le mie colpe, avrei riscattato la mia misera esistenza con una fine dignitosa. E invece mi è stato tolto anche questo.”
La voce del tedesco si spezzò: era troppo agitato per proseguire.

Corto lo capì e si rese conto di stare camminando sul filo di un rasoio: una parola poteva essere l’ancora che avrebbe salvato il suo amico, o la sentenza che lo avrebbe condannato per sempre, rendendo vani i suoi sforzi: “Io non sono nessuno per giudicarla o per insegnarle come vivere la sua vita. Non posso nemmeno dire di capire quello che sta attraversando. Mi rendo conto tuttavia di averla messa in una posizione difficile e non le nascondo di essermi chiesto più volte se salvarla non sia stato solo un enorme atto di egoismo e superbia. “ Si fermò per valutare che effetto stessero facendo le sue parole e, notando che il tedesco lo stava ancora ascoltando, proseguì “Non posso dirmi pentito di averlo fatto, tuttavia. Nella mia vita ho incontrato tanti uomini, mi creda, e tanti soldati, ognuno con un motivo più o meno legittimo per impugnare le armi. Ma era la prima volta che sentivo un ufficiale ferito preoccuparsi tanto per i propri uomini. Non sono molti gli uomini con la sua integrità ed il suo senso dell’onore. E sono ancora meno quelli in grado di portare a termine il proprio compito con una ferita aperta e consapevoli di andare incontro alla morte. Il solo pensiero che venisse ucciso per coprire le malefatte del Monaco e che il suo nome venisse trascinato nel fango per proteggere quello di una cerchia di ufficiali mi dava il voltastomaco.”

Slütter lo interruppe con un sorriso enigmatico: “Ma non è tutto qui, vero?”
“No, infatti. Se ben ricorda, quando l’ho soccorsa dopo che il Monaco le ha sparato per i suoi uomini era ormai troppo tardi. Ma ho salvato lei, perché potesse vendicarli. Ed è quello che mi aspetto faccia una volta ristabilitosi.”
“Credevo che l’affondamento del Victoria fosse una vendetta più che sufficiente. Ma a quanto pare le ha in mente altro. Mi dica, Corto: la ascolto. Che cosa dovrei fare, secondo lei?”
“Dato che il tenente di vascello Christian Slütter è stato ufficialmente fucilato dalla Royal Navy tre settimane or sono, direi che tornare in prima linea sia per lei quantomeno inverosimile. Ma un uomo con la sua tempra, il suo coraggio e la sua intelligenza può cavarsela altrettanto bene dietro le linee.”
“E’ questo che aveva in mente? Dovrei ritirarmi dietro una scrivania come un passacarte qualunque? Piuttosto avrebbe fatto meglio a premere il grilletto di persona!”
Il tedesco aveva alzato troppo la voce e una violenta fitta al torace lo fece piegare in due dal dolore.

Corto si trattenne dal sorreggerlo, non volendo mancargli di rispetto in un momento tanto delicato. Attese che si fosse ripreso prima di continuare: “Adesso chi è quello permaloso? Calmi i suoi bollenti spiriti, eroico germano. Le ripeto di non essere nessuno per decidere al suo posto: la vita di un uomo appartiene a lui stesso e a nessun altro. Dato che però mi ha chiesto un consiglio le fornirò il mio oculato parere. In sostanza, signor tenente, le suggerirei di diventare quello che già è, per parafrasare un altro suo celebre compatriota: diventi uno spettro, un fantasma. So che voi teutonici siete fissati con il Sole e lavorare nell’ombra non vi va granché a genio, ma nel suo caso potrebbe essere un vantaggio: arruolandosi come spia e sotto falsa identità potrebbe proteggere la sua Patria dai nemici interni ed esterni. Al contempo, inoltre, potrebbe darsi da fare per sventare le trame del Monaco senza che questi si renda conto di averla alle costole dato che, per quanto lo riguarda, lei è morto e sepolto da un pezzo. Mi rendo di averla messa in una posizione difficile, mi creda, ma era mio dovere tentare di fare qualcosa, o non avrei mai trovato pace.”

Quando Slütter sollevò di nuovo lo sguardo, nei suoi occhi era tornata la scintilla che li illuminava al suo primo incontro con il Maltese: “Non è male come idea: il Monaco contro lo Spettro. Diventerò il  Doppelgänger personale di quel bastardo e lo farò pentire di essersi messo contro di me!”
Corto ricambiò il suo sguardo con un sorriso: “Ecco che è tornato Sigfrido! Mi aveva fatto preoccupare, signor tenente: quasi non la riconoscevo più! I nemici della Germania dovranno guardarsi le spalle con lei di nuovo a piede libero. Adesso però è meglio tornare sottocoperta: il vento si sta alzando e non vorrei che si beccasse davvero quella famosa polmonite.”
 


Il sole splendeva alto nel cielo, facendo brillare le acque cristalline del Pacifico e riscaldando il catamarano, alla fonda in una baia nascosta delle Fiji.
Corto Maltese camminava tranquillo sulla strada principale di un insediamento tedesco, la testa reclinata all’indietro, la sigaretta in bocca e le mani in tasca. Accanto a lui c’era un uomo alto e magro, con indosso dei semplici abiti da marinaio ed un berretto da tenente di vascello della marina tedesca ben calcato in testa. La nuca rasata lasciava intuire un ciuffo di capelli color sabbia, nascosto dal berretto, e uno sguardo attento avrebbe notato il modo particolare con cui portava la sua sacca da marinaio, cercando di non sforzare la spalla sinistra.
Nessuno avrebbe detto che quello fosse il formalmente defunto Christian Slütter.

Badando di non attrarre sguardi indiscreti i due arrivarono all’ingresso dell’Ambasciata Tedesca locale e lì si fermarono.
“Beh, eccoci qua.” Commentò il Maltese gettando via il mozzicone “Oltre quel portone c’è l’inizio della sua nuova vita, eroico germano. E’ pronto?”
I denti bianchi del tedesco brillarono al sole mentre un sorriso gl’illuminava il viso: “Non lo so, Corto. Ma sono contento di aver avuto una seconda possibilità: non è certo cosa di tutti i giorni, le pare?”
“No di certo. Ma ho fiducia in lei e so che farà del suo meglio per sfruttarla appieno.”

Trascorsero diversi minuti in silenzio, cercando di prolungare il più possibile quel momento, godendo per l’ultima volta della reciproca compagnia.
“Non resta che dirci addio, Corto.” Sospirò alla fine Slütter, tendendogli una mano “Non gliel’ho mai detto ma, grazie di tutto. Grazie con tutto il cuore.”
Il maltese ricambiò la stretta vigorosa del tedesco con una forza proporzionata alla stima che nutriva per lui: “Non sia così tragico, Sigfrido. Il mondo è grande, si sa mai che un giorno c’incontreremo di nuovo. Magari non davanti ad un plotone d’esecuzione, si spera!”
Slütter scoppiò a ridere: “Quella è un’esperienza che non ho proprio intenzione di ripetere, non si preoccupi!”
“Ah! Lo spero bene! Anche perché potrei non essere nei paraggi per rattopparla, la prossima volta!”
“Ancora grazie infinite, Corto. Buona fortuna!”
“Buona fortuna, Christian! Le auguro il meglio per la sua nuova vita.”

Un ultima stretta, velata di malinconia, e i due si separarono.
Corto Maltese riprese la sua strada, diretto verso il porto e nuove avventure.
Slütter lo guardò allontanarsi con il cuore colmo di gratitudine e rispetto.  Pur sapendo che non avrebbe potuto sentirlo volle lo stesso dedicargli un ultimo addio: “Armonie sento echeggiare, di celestial pace suoni, e le brezze convogliare di fragranze a me il sollievo, vedo arder aurei frutti tra verzure occhieggianti, lassù i fiori che si schiudon non sono preda dell'inverno.”
Affidò quei versi eterni alla voce dei gabbiani e alle ali del vento, guardiani della sua anima, perché li portassero a destinazione.
 
- The End -


 
  
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