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Autore: Mercurionos    17/04/2020    1 recensioni
Questa introduzione ha il tono opposto alla storia che leggerete.
Mercurionos presenta, dal momento che ormai la Ubisoft ha abbandonato qualsivoglia raziocinio a riguardo della serie di Assassin’s Creed, una One-Shot che raffigura accuratamente al 110% quello che effettivamente gli appassionati della serie vorrebbero vedere dopo l’incredibile “capolavoro” che è stato Odyssey. Dedicato ai fan di Otso Berg. E ai detrattori di una certa *coff-coff* prescelta *coff-coff*. Per piacere, Ubisoft Milano, confidiamo tutti in te! Dove sei, remake di Altair?
Altro personaggio: Layla Hassan
Genere: Drammatico, Malinconico, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Desmond Miles
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Requiescat in pace, quaeso.
 
Oslo era particolarmente affollata, quella mattina. Fiumi di persone, pendolari, giovani studenti, si stavano riversando per le fredde strade della città, i treni continuavano a partire ed arrivare. L’effige metallica che le batteva contro il petto ormai non dava più alcun fastidio a Layla, si era abituata al peso del Caduceo. Dopotutto, l’artefatto stesso le conferiva la forza di sostenere sforzi fisici come mai si sarebbe potuta immaginare. Per fortuna “quelli che vennero prima” hanno pensato di rendere la staffa tascabile all’evenienza. Annoiata dall’attesa, Layla si avvicinò alla balaustra di metallo del ponte e guardò le gelide acque dell’Akerselva. Certo, chi si abitua a vedere il Nilo dopo qualche tempo crede che ogni altro fiume del mondo sia un ruscello, ma che i norvegesi dicano che quello sia un vero e proprio fiume la sua mente proprio non poteva accettarlo.
 
Tirò fuori il telefono: niente. Hastings le aveva detto di attendere il loro informatore sul ponte accanto al Vaterlandsparken, un parchetto piccolo quanto delizioso. Nonostante facesse così freddo la primavera inoltrata aveva già decorato con i suoi deboli raggi di sole gli alberi del verde spiazzo. Però ormai la donna stava aspettando da più di un’ora. Tutte balle le informazioni che le avevano dato, pensava, nessuno più di Shaun Hastings le dava fastidio all’interno dell’organizzazione. Il britannico non mentiva mai, era sempre sincero e diretto, forse un po’ troppo, ma ogni singola parola che valicava le sue labbra portava con sé un olezzo di superiorità e sarcasmo impossibile da ignorare.
 
Un gruppetto di turisti carichi di borse e valigie stava per passarle accanto. Layla si strinse all’impalcatura per farli passare, e facendo finta di niente gettò un occhio sui passanti alle sue spalle. Nonostante fosse divenuta praticamente immortale, negli ultimi mesi era divenuta sempre più paranoica e malfidente nel prossimo. Forse anche per questo sempre più spesso le venivano assegnate missioni in solitaria. Quella però era la prima occasione in cui venne scelta per un semplice scambio di informazioni, tra l’altro con un informatore del quale non sapeva nulla. “Tranquilla che si farà riconoscere.” Le avevano detto.
 
Lo spazio fornito dal marciapiedi, nonostante la sua larghezza, non bastò però alla calca di escursionisti. Uno dopo l’altro un paio di gomiti le vennero gentilmente fatti strisciare sulla schiena, uno o due trolley finirono per urtarle le caviglie. Ma non disse niente.
 
Non poté però evitare di stringere rapidamente i denti quando sentì pungersi il braccio destro. Istintivamente, si voltò, portando l’arto verso la schiena, lontano dalla massa di persone. Non vide nessuno di particolare, così decise di esaminarsi il braccio, e trasalì. La sua consunta ma ancora parecchio resistente giacca di jeans era stata lacerata, un taglio pulito aveva attraversato senza problema tre strati di tessuto fino a giungere alla sua pelle. Esaminò velocemente la ferita allargando con le dita lo squarcio nei vestiti: un sottile taglio, lungo un paio di centimetri, le solcava il gomito destro. Premette sulle labbra della ferita, cosicché un’esigua dose di sangue potesse fuoriuscirne. Non si tranquillizzò alla vista del rosso, allora continuò a cercare. Dietro di lei non c’era nessuno. L’assalitore era nel gruppo di turisti. Se quello fosse stato il modo dell’informatore di farsi riconoscere, gli avrebbe spezzato il naso. Ripensò a quello che aveva fatto a Berg e che forse fosse il caso di infliggere lo stesso destino anche a Hastings, giusto per divertimento.
 
Layla cominciò a pedinare i turisti. Uno ad uno vennero passati dallo sguardo attento della donna, fino a quando notò una figura che si distingueva dalle altre. Forse era un uomo, date le spalle larghe. Non aveva con sé né borse né valigie: un intruso. Infatti all’ingresso del parco si staccò dal raggruppamento di persone ed entrò nel giardino per l’unico vialetto di sterrato a sua disposizione. Layla non gli staccò gli occhi di dosso. Ma i suoi occhi decisero di non collaborare. Il suo sguardo si stortò, annebbiato. La felpa dell’uomo che stava pedinando divenne sempre più simile ad una macchia biancastra. L’assassina tornò ad esaminare la ferita che le era stata inflitta al braccio; premette ancora ai bordi del taglio, così vide: dalla sua pelle, malamente misto al sangue, fuoriuscì un plasma torbido e denso, un liquido biancastro che difficilmente apparteneva al suo organismo. Veleno. Gli effetti erano simili al soporifero usato dagli Assassini. Se quello fosse stato davvero l’informatore, pensò, non era affatto divertente. Forse era un modo per provare la sua identità, ma non lo rendeva un metodo accettabile per i suoi standard.
 
La Staffa del Trismegisto la avrebbe guarita in fretta dalla tossina. Aspettò, poggiandosi all’ultimo tocco di ringhiera. Aspettò ancora, ma il tempo passava e passava, ne stava passando troppo. Portò la mano al petto, cercando il pendente in cui si era convertito il caduceo.
 
“Cazzo!” L’oggetto era sparito e non se n’era accorta. Non riuscì a trattenere la rabbia, inevitabilmente accompagnata da un lampo di panico. Tornò a cercare lo sconosciuto, fiondandosi nel parco. Nonostante la diffidenza nei confronti di quella massa di persone, Layla non aveva notato nulla di particolare, quella persona era riuscita ad eludere completamente il suo sguardo attento, la aveva ferita e per di più le aveva sottratto il Caduceo. E lei non aveva sentito nulla.
 
Rinvigorita dalla poca adrenalina che il suo corpo riuscì a produrre in quel momento, cercò il suo assalitore tra i visitatori del parco, ma niente. Cercò nei cespugli, guardò la balaustra sul fiume, nelle creste degli alberi, ma non riuscì a trovare quella persona. Poi la notò: tra un albero e l’altro, nella fila di piante che divideva il giardino dalla strada, sbucava quella che sembrava a tutti gli effetti la manica di una felpa grigia. Si avvicinò, camminava sempre più veloce, incurante della furtività che tanto le era stato ricordato di adoperare. Sollevò il braccio dolorante e impugnò un piccolo coltello, dalla lama corta e piatta, strappandolo dalla propria cintura, e si scagliò oltre l’albero lanciando la lama nel punto nel quale credeva si sarebbe trovata la fronte del proprio assalitore. Mancò.
 
L’uomo era scomparso. Non si era inventata quella visione, era certa di aver visto una manica biancastra spuntare da oltre il tronco della pianta, la mano stretta in un pugno che ne sbucava, ma nulla. Barcollava, i suoi sensi stavano per venire meno offuscati dal soporifero. Layla si lasciò cadere sulla panchina più vicina e affondò la mano sinistra nella giacca, cercando il cellulare. Le bruciava parecchio, ma aveva bisogno di chiamare aiuto, chiedere rinforzi agli altri Assassini. Sollevò il telefono avvicinandolo al suo viso in modo da vederlo meglio, ma le venne sfilato dalle dita. Il cellulare vagò verso l’alto, tirato da dita che non riuscì a fermare o seguire. Qualcuno era dietro di lei, lo stesso uomo che l’aveva aggredita ora le stava sottraendo l’unico mezzo che le restava per salvarsi. Stava per imprecare, per chiedere all’uomo di fermarsi, di ridarle ciò che era suo, ma non riuscì a parlare.
 
Un dolore lancinante attraversò il suo corpo, una puntura intensa e penetrante viaggiò dal suo collo lungo la schiena, fino a dissolversi nelle gambe. Se non fosse stata seduta, sarebbe di certo crollata agonizzante a terra. Sentì le proprie vertebre scricchiolare, fremere scomposte nella colonna vertebrale che non desiderava far altro se non accasciarsi. La pressione sul collo non volle svanire, così comprese: l’uomo la aveva accoltellata con precisione chirurgica, infilando la lama tra una vertebra e l’altra. Una lama lunga e sottile le stava attraversando la schiena, proseguendo in profondità nel suo petto. Il dolore che provava era intenso, caldo, e cominciò a sentire il gusto amaro del proprio sangue in bocca.
 
Poi un’altra pugnalata, di nuovo quell’assurdo dolore, ma diverso. L’aggressore aveva estratto la lama, producendo uno stridio metallico che era sicura di conoscere bene. Layla si lasciò cadere in avanti. La sua testa chinava verso il terreno, ma fece di tutto per alzare lo sguardo. E lo vide. L’uomo era di fronte a lei. Riusciva giusto a vedere le sue ginocchia, i pantaloni neri e sporchi di terra. L’uomo si abbassò per vederla in volto e, per un lungo istante, si guardarono negli occhi. Layla sussultò, deglutendo il globo di sangue che poco dopo sarebbe tornato alle sue labbra. Lo spavento si tramutò rapidamente in comprensione, una sensazione di vuoto che non riusciva né voleva comprendere. Poi le rimase soltanto un’infinita tristezza.
 
Vide gli occhi lucidi e tristi dell’uomo che la aveva uccisa, la barba rasa malamente che gli attraversava il mento. Il braccio tatuato che celava la lama con cui era stata uccisa stava ancora tremando debolmente, l’altro arto stringeva forte il telefono, nonostante sembrasse un arto morto, piagato da cicatrici sotto una pelle scura e sfregiata da fiamme rosse. La sua mente stanca viaggiò nei ricordi, in quello che aveva visto all’Abstergo. Bugie, bugie e altre bugie. Ma quali studi sul Soggetto 17, se non esami sulla sua preservazione. E gli Assassini? Gli stessi che incuranti nel 2014 avevano “distrutto” uno degli artefatti più potenti che gli Isu avevano lasciato sulla Terra? No… Per questo William non aveva mai parlato di quelle operazioni, di come fosse andata a finire con il Progetto Fenice, di cosa fosse successo alla prima Sindone. Layla guardò un’ultima volta il viso di chi aveva ricevuto il compito di ucciderla. Era triste, perlomeno lo sembrava contraendo le labbra solcate da una sottile cicatrice lungilinea.
 
“Perdonami, ma riposa in pace, per favore.” Disse lui, ma Layla non riuscì a udirlo. Sentii il vento attraversarle i capelli, accarezzarle le dita infreddolite. Si rannicchiò, sempre più vicina alle proprie ginocchia, le strinse esaurendo le ultime forze che le restavano. Inspirò. Un rivolo rosso sgorgò dalle sue labbra, poi non produsse più alcun rumore. L’uomo si allontanò, svanendo nella folla. Il vento continuò a soffiare.
 
Nota dell’Autore: Sì, magari, come no, certo.

 
   
 
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