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Autore: pampa98    17/04/2020    2 recensioni
Un piccolo Joffrey fa la conoscenza della nuova arrivata nella famiglia Baratheon-Lannister.
[Questa storia è stata scritta per la "Six Fanfiction Challenge"]
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cersei Lannister, Jaime Lannister, Joffrey Baratheon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SISTER








 

Joffrey percorse velocemente i corridoi della Fortezza Rossa, cercando però di mantenere un andamento regale. Non era semplice sulle sue piccole gambe, ma lui era il principe, figlio di Re Robert Baratheon, e non avrebbe permesso che i servitori o gli altri abitanti della fortezza lo vedessero arrancare come il bambino che era.
Aveva chiesto di vedere sua madre per mostrarle un nuovo gioco che aveva imparato a fare con la spada da allenamento regalatagli per il suo compleanno e quando la sua vecchia balia gli aveva detto che non poteva, lui si era alzato ed era andato dalla regina. Se voleva vedere sua madre l’avrebbe fatto e nessuno glielo avrebbe impedito.
Quando arrivò di fronte alla sua stanza sentì delle urla provenire dall’interno e, per un momento, si gelò sul posto.
«M-Madre?» chiese, come se lei potesse sentirlo.
«Principe, non dovresti stare qui.»
Un uomo anziano, Guardia Reale, così gli avevano detto che si chiamavano i soldati vestiti di bianco che stavano sempre vicino ai suoi genitori, proprio come lo zio Jaime, gli si avvicinò e sorrise bonariamente.
Ci fu silenzio, poi un altro urlo. Joffrey si spaventò, ma deglutì la sua paura: era un principe. E sapeva che quella guardia non stava facendo il suo lavoro, poiché sua madre sembrava soffrire.
«Urla» gli disse. «Aiutala, guardia.»
L’uomo continuò a sorridere. Si chinò di fronte a lui, così che i loro occhi fossero alla stessa altezza.
«Tua madre sta bene, mio signore» lo rassicurò. «Sapevi che stava aspettando un altro figlio? Un fratello o una sorella, per te.»
Joffrey annuì, deciso. Naturalmente lo sapeva. Lui voleva un fratello, così avrebbe potuto allenarsi e cavalcare insieme a lui.
«La nascita è… complicata» continuò l’uomo.
Joffrey lo vide tentennare e la cosa non gli piacque.
«Mia madre sta male. Voglio andare da lei.»
Fece per girargli intorno, ma l’uomo lo bloccò con il suo braccio. Era talmente piccolo che sarebbe bastata la sua mano per fermarlo, ma un giorno Joffrey sarebbe cresciuto e sarebbe diventato un grande re, proprio come suo padre, e allora niente gli avrebbe impedito di ottenere ciò che voleva.
«Non adesso, mio principe. Aspetta con me finché non avrà finito, così poi potrai entrare a salutare il tuo fratellino.»
Joffrey inclinò la testa, chiedendosi perché non potesse incontrarlo subito: se era già lì dentro, perché aspettare? Ma non pose mai la domanda, perché all’improvviso le grida di sua madre cessarono e furono sostituite da un suono stridulo molto più fastidioso.
Joffrey storse il naso: quel suono gli ricordava il verso delle capre che aveva sentito una volta quando era sceso nei vicoli della città con la sua balia – prima e unica volta in cui lo avrebbe fatto.
«Cos’è?» chiese all’uomo.
«Qualcuno che sarai molto felice di conoscere, mio principe. Permetti?»
Bussò alla porta e, dopo qualche secondo, andò ad aprire un vecchio – erano tutti incredibilmente vecchi lì – con una lunga barba bianca che Joffrey riconobbe essere il maestro.
«È una femmina» annunciò con poco entusiasmo. «Sua maestà è stabile e in buona salute.»
Quelle parole spinsero Joffrey a farsi avanti e cercare di farsi largo tra i due che lo stavano ancora tenendo lontano da sua madre.
«Oh, mio principe!» esclamò il maestro, inchinandosi profondamente. La Guardia Reale non l’aveva fatto e Joffrey ricordò che era una mancanza di rispetto. «Non immaginavo fossi qui. Dovresti tornare nelle tue stanze.»
«No» affermò, deciso. «Voglio vedere mia madre. Spostati.»
«Ehm, ma- Mio… Mio principe...»
«Lo hai sentito» disse una voce dietro di lui. «Lascialo entrare.»
Suo zio Jaime gli sorrise quando entrò nella stanza. C’era uno strano odore, ma almeno il suono fastidioso era cessato.
«Voglio che mia madre venga a vedere una cosa» disse, guardandolo con fierezza, sebbene dovesse alzare di molto la testa per riuscire a scorgere la sua.
Jaime ghignò.
«Tua madre è stanca e deve stare a riposo. Gli farai vedere quella cosa domani. Perché non vai intanto a vedere cosa ti ha portato lei?» aggiunse, prima che lui potesse provare a protestare.
«Joffrey.»
La voce di sua madre era più flebile del solito. Lanciò uno sguardo incerto a suo zio, il quale gli indicò di raggiungere la donna. Per una volta, Joffrey obbedì.
La regina era distesa sul suo grande letto. Aveva i capelli in disordine e il viso bagnato e, per un momento, Joffrey ebbe paura, non riconoscendo la fiera leonessa che era abituato a vedere.
«Vieni qui, piccolo mio» gli disse, sporgendosi un poco verso di lui. Solo allora Joffrey notò un rigonfiamento vicino al suo petto. «Joffrey, ti presento tua sorella Myrcella.»
Joffrey si sporse più verso di lei, guardandola meglio. Era un esserino rosa addormentato tra le braccia di sua madre, avvolto in una soffice coperta rossa. La testa era pelata e rosata. Allungò una mano per toccargliela.
«Piano» lo ammonì sua madre, con una nota di rimprovero nella voce. «È molto piccola e fragile.»
«È mia sorella?» chiese, alzando il volto verso di lei.
Sua madre annuì.
«Quindi è una principessa?»
«Sì. E sarà la principessa più bella che i Sette Regni abbiano mai visto.»
Gli passò una mano tra i capelli, arruffandoglieli in quel modo che lo infastidiva e lo tranquillizzava a un tempo.
«Fa parte della nostra famiglia, adesso» disse. «Dovrai sempre proteggerla, come re e come fratello. Me lo prometti?»
Joffrey spostò lo sguardo da lei alla bambina. Si chiese come facessero a sapere che era una femmina visto che non aveva i capelli, ma decise che non gli interessava saperlo. Lei adesso faceva parte della sua famiglia e lui, in quanto figlio maggiore, doveva prendersene cura. La consapevolezza che i suoi genitori si fidavano a dargli quella responsabilità lo riempì d’orgoglio. Era certo che non li avrebbe delusi.
Però a fargli quella richiesta era stata solo sua madre.
Si guardò intorno, ma nella stanza, oltre a loro tre, c’era solo suo zio.
«Dov’è mio padre?» chiese.
«È andato a caccia, tesoro» rispose sua madre. «Tornerà stasera e sarà molto felice di conoscere la principessa.»
Joffrey annuì. Era stato sciocco a credere che suo padre sarebbe stato lì per quel fagotto rosa: un re ha compiti più importanti da svolgere che badare ai neonati. Lo sapeva perché passava poco tempo anche con lui. Un re non aveva tempo per certe sciocchezze, doveva governare e pensare al futuro del suo paese.
«Vuoi provare a prenderla in braccio?» gli chiese sua madre.
Joffrey guardò la bambina preoccupato, ma poi annuì.
«Non è pericoloso?» intervenne suo zio, avvicinandosi a loro.
Sua madre gli lanciò un’occhiataccia e Jaime sembrò esserne ferito. Joffrey non aveva mai capito se i due gemelli andassero d’accordo o meno. Certe volte li trovava strani, come in quel momento. Ma non erano certo affari suoi.
«So farlo» mentì Joffrey. Non lo aveva mai provato prima, ma non sarebbe certo stato troppo difficile.
«Mi assicurerò io che vada tutto bene» aggiunse sua madre. «Grazie per essermi stato vicino, Jaime. Ora puoi andare.»
L’uomo annuì.
«Come desideri, maestà. Joffrey.»
Si voltò e uscì dalla stanza a grandi passi.
«È davvero pericoloso?» si lasciò poi sfuggire Joffrey, mentre sua madre gli metteva Myrcella tra le braccia.
«Devi solo imparare a tenerla bene, tutto qui» gli disse, sorridendo. «Ecco, falle posare la testa così.»
Non appena Myrcella fu allontanata da sua madre – la loro madre – ricominciò a strillare in quel modo insopportabile.
Joffrey cominciò a muoverla per farla zittire.
«No, aspetta…Vuole me, ridammela» disse sua madre, cercando di riprenderla. «Proviamo un’altra volta.»
«Ci riesco, ci riesco.»
E, difatti, dopo pochi secondi Myrcella si calmò. Joffrey sentì le braccia pesanti, ma riuscì a reggerla. Per un momento lo guardò con due grandi occhi verdi e lui sentì una strana sensazione alla base dello stomaco, come il desiderio che quella bambina fosse sempre felice e al sicuro perché… Perché sì. Non avrebbe saputo spiegarlo in altro modo.
Lei gli sorrise, prima di chiudere di nuovo gli occhioni e addormentarsi tra le sue braccia, sentendosi al sicuro in quella stretta fraterna.
 
   
 
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