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Autore: benedetta_02    26/04/2020    0 recensioni
Agata Giordano è una giovanissima ragazza che ha avuto l'onore di partecipare alla resistenza italiana che ora però ha solo bisogno di tornare nella sua città, Torino, per ricongiungersi con la sua famiglia e le sue vecchie conoscenze. Ma quello che troverà sarà solo morte, fame, terrore e così decide di ripercorrere passo passo la sua esperienza da partigiana attraverso i ricordi. Amori impossibili, segreti inconfessabili e un ruolo della donna sempre più di maggiore spicco, una donna stanca del passato e che ha un solo sogno: andare via.
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Torino, 27 luglio 1945

Cammino inquieta per le strade della mia città, sforzandomi di ricordare almeno un po’la struttura di Torino prima della guerra. La guerra ha segnato per sempre la città, come tutto il mio Paese, e inevitabilmente ha segnato anche me, come tutti i miei connazionali. Se ripenso ai momenti prima della guerra, ho immagini limpide, chiare e felici. Ho le carezze di mio padre, gli abbracci di Giovanni, ho le corse con Ginevra, ho le lezioni con la professoressa Dalmasso, ho la risata di Emilia e i piatti caldi di Suor Costanza. Ho momenti indimenticabili, ho ricordi che ogni persona che ha condotto un’esistenza allegra ha. Però se ripenso ai momenti durante la guerra, ho immagini buie, feroci e malinconiche. Ho le orecchie che mi fanno male per via dei bombardamenti, ho le grida dei miei compagni, ho le ginocchia sbucciate quando si cade in montagna, ho l’odore della polvere da sparo che si annida nel mio naso e ho le lacrime di tutte quelle persone che invece di essere al freddo in una montagna, avrebbero preferito essere in compagnia dei propri cari, magari accanto ad un camino. Invece, adesso, tento di immaginare i momenti che potrebbero far parte della mia memoria fra qualche anno, dopo la guerra. Ma non riesco ad immaginare nulla, la guerra non mi ha dato l’opportunità di ricostruirmi una memoria, non riesco più a fidarmi del mio futuro, perché generalmente dopo aver passato attimi terribili, le persone credono che non possa succedere qualcosa di peggio, ma io questa fortuna non la ho. Io penso che quello che è successo sia stato il peggio, ma ci ha dimostrato che le tragedie accadono all’improvviso, ed è dall’alba dei tempi che i popoli sono in perenne contrasto tra loro, quindi il che implica, che come è potuto accadere per noi adesso, e come è capitato ai nostri predecessori, accadrà ancora, e ancora, e ancora.

Ma l’unica cosa che mi consola in qualche modo, è che non sono rimasta ferma a guardare, che potrò raccontare a chi verrà dopo di me che io ho provato a dare un contributo alla causa. E nonostante io sia una persona che non si è mai data fiducia, per una volta posso dire di essere stata coraggiosa, perché la paura e il dolore ti portano su strade che non avevi mai immaginato di poter percorrere, ma capisci che a volte servono solo le scarpe giuste.

Guardare Torino ora e provare a ricordare com’è stata prima, fa male. In ogni angolo di questa città ricordo un momento splendido, ed è per questo che aspetterò che si ricomponga mattone per mattone. Perché le cose belle, anche se distrutte, rimangono belle per tutta la vita, e Torino è una di queste.

La cosa che più mi tocca in questo momento è provare a ricomporre ogni pezzo della mia vita precedente, anche se c’è chi dice che chi ha visto la morte negli occhi non potrà più vivere pienamente. Se non riuscirò più a recuperare quella che ero prima, tenterò di ricominciare da quella che è partita nel ’43, quella che per un attimo ha abbandonato le vesti da ragazzina ed ha indossato le vesti di una donna. Ricomincerò da quella ragazza di 19 anni che voleva soltanto intraprendere la strada universitaria e continuare dove suo padre le avrebbe lasciato posto. Mio padre. Ancora ricordo le sue ultime parole prima che andassi via; furono “Agata Giordano sei la vergogna di questa famiglia”. La famiglia. A me ora cosa resta di quella famiglia che avevo tanto tradito? Assolutamente nulla, ma se è andata in questo modo probabilmente un motivo ci deve essere, per me adesso è complicato anche provare a pormi delle domande, perché non riuscirei più a trovare delle risposte esatte, delle risposte che combacino con quello che io sto cercando. Se mio padre fosse ancora vivo non mi avrebbe mai fatta ritornare a casa, anzi mi avrebbe sputata addosso non appena mi avrebbe vista, di conseguenza non mi avrebbe più pagato gli studi universitari e non sarei mai riuscita a conseguire la laurea o se comunque fossi riuscita a trovare un modo per lavorare e studiare, mi avrebbe messo i bastoni tra le ruote, perché mio padre può essere la persona più amorevole dell’intero universo, ma non appena viene toccato il suo osso, diventa un cane rabbioso. Mia madre, come allora, non avrebbe fatto niente per difendermi, e tantomeno non avrebbe detto nulla per farmi sentire una brutta persona, perché questo è quello che sapeva fare mia madre: stare zitta. Mia sorella, invece, davanti a mio padre sarebbe stata d’accordo con lui, perché anche lei aveva bisogno di quel posto all’università e quando Emilia vuole qualcosa, riesce ad essere una persona manipolabile e fragile, sebbene in cuor suo sa che sta commettendo un errore, però in privato mi avrebbe abbracciata e mi avrebbe detto che tutto sarebbe andato per il verso giusto, mi avrebbe detto che i Giordano non falliscono mai.

Ma io una Giordano ormai non credo di esserlo più, non mi resta niente di quel cognome anonimo che mi è stato attaccato involontariamente al momento della mia nascita. Ho perso il nome della mia famiglia, nel momento in cui ho perso la mia famiglia, però un cognome non si può cambiare, quindi da ora non sarò più Agata Giordano, ma sarò semplicemente Agata. Farò esattamente come ha fatto Ginevra, quando da un giorno all’altro ha deciso che Filomena le stava stretto, quando ha detto che ci sono posti e posti per i nomi e Filomena non era più adatto per Torino, le serviva un nome signorile. E allora scelse Ginevra, perché diceva che era la sua città preferita, che lei prima o poi si sarebbe sposata con un bell’uomo ricco di Torino e sarebbe andata a vivere in Svizzera, a Ginevra per la precisione, perché così oltre ad avere un nome signorile avrebbe avuto un cognome degno di un signore torinese. A me Ginevra manca ogni momento di più, mi manca la sua pelle scura, unica nel suo genere. Mi mancano i suoi occhioni grandi e neri, mi manca la sua bocca piccola e perennemente aperta, perché Ginevra non smetteva un attimo di parlare. Mi manca il suo modo di chiamarmi “Agatù”, mi manca il suo dialetto che non è mai riuscita ad eliminare completamente e allora l’ho imparato anche io, così per lei non era un imbarazzo. Mi mancano i suoi progetti di vita, mi mancano i suoi sogni e le sue parabole sul Partito del fratello e mi manca passare il tempo con lei sulla staccionata in ferro, di fronte la caserma. Ginevra era innamorata persa di Giovanni, diceva che uno così a Napoli non c’era, che emanava bellezza da ogni angolo del suo corpo. La verità è che inconsapevolmente, tutte eravamo innamorate di Giovanni, perché era la rappresentazione di tutto quello che un uomo doveva essere. L’ultima volta che ho visto Ginevra è stata quando sono salita su quel treno per Bologna con Rocco Rinaldi, un ragazzo che faceva il Partito a Torino, pensavamo che il sogno di riuscire a cambiare le cose lo avremmo coronato insieme ma in realtà lei è stata spedita ad Aosta, e mi pare che sia partita qualche giorno dopo di me. Non ci siamo scambiate nemmeno una lettera da quel giorno, ma io Ginevra Pellegrino non l’ho dimenticata. Oggi, mi piacerebbe ritrovare quell’amica che mi ha accompagnata durante la mia adolescenza ed indirettamente ha contribuito nel farmi diventare una donna. Non voglio pensare neanche per un attimo che Ginevra sia morta, lei ha la corazza dura, nessuno sarebbe riuscito a farle del male.

Come Ginevra, mi piacerebbe riuscire a rincontrare Giovanni e nonostante io possa immaginare che non mi avrebbe mai perdonata per averlo lasciato da solo, io so che alla fine, dopo aver fumato qualche sigaretta, mi avrebbe abbracciata. Perché Giovanni non era severo, non riusciva ad esserlo, sebbene fosse irascibile, era anche capace di riconoscere i suoi sbagli e i suoi difetti, ed era questa la cosa che più mi piaceva di lui. Io amavo Giovanni, non potevo fare a meno della sua presenza, era una costante per me. Ma anche la sua assenza mi ha insegnato a crescere, mi ha fatto capire che io non dipendo da un uomo, che se ho bisogno di qualcosa, sono capace di procurarmelo da sola. E la consapevolezza di questo è stato il regalo più grande che lui indirettamente è riuscito a donarmi. Io non so che fine abbia fatto il mio Giovanni, sicuramente si sarà laureato perché lui era il migliore in questo, probabilmente il padre lo avrà costretto a sposare la figlia di qualche grande banchiere di Torino o comunque con qualcuno dell’alta borghesia torinese, perché il padre non avrebbe mai accettato altro. Suo padre, un po’ come il mio, sperava che un giorno io e lui saremmo riusciti ad unirci nel matrimonio, ma nessuno dei due si era preoccupato di chiederci cos’era che avremmo voluto noi due, due anime costrette a vivere la vita che i nostri genitori avevano scelto per noi, fin dal giorno della nostra nascita. Probabilmente adesso Giovanni farà un lavoro degno del suo nome, avrà una splendida famiglia, ma tutte queste sono solo mie ipotesi, perché la vita ha dimostrato essere imprevedibile, ma quello che so con certezza e sicurezza è che Giovanni non è felice. Io custodirò il suo segreto fino alla tomba, perché questo segreto è come se ancora fossimo uniti da qualcosa, come se il filo che unisce le nostre vite ancora non si sia spezzato.

Un’altra persona che ho necessità di vedere è mia sorella Emilia, perché sono sicura che seppure l’ultima volta sia stata lei a sbattermi la porta di casa in faccia, ancora mi stia cercando. Altrimenti, non sarebbe mai andata da Suor Costanza per chiederle di me, a convincerla nell’iniziare a cercarmi. Emilia odiava Suor Costanza, diceva che voleva sostituirsi al ruolo di nostra madre, ma Emilia non ha mai saputo che per me lei era mia madre, la madre che fondamentalmente non ho mai avuto. Emilia si è avvicinata ad una persona che odiava pur di riuscire a ritrovarmi, pur di riuscire a scoprire che fine terribile potesse aver fatto quella disgraziata di sua sorella. La cosa che più riusciva a rasserenarmi è che io sapevo dove fosse Emilia, io sapevo che era in Francia e anche se la Francia è enorme, è già un inizio mentre di Ginevra e Giovanni io non sapevo nulla, non sapevo neanche se fossero morti oppure no.

Proprio mentre i miei pensieri mi assalivano, mi si avvicinò cautamente Suor Costanza poggiandomi una mano sulla spalla e sorridendomi.

“Agata, cosa ti preoccupa?”

“Lei crede che riuscirò a trovare Emilia, Giovanna e Ginevra?”

Suor Costanza si sedette con fatica di fianco a me su quella panca in pietra nel giardino del convento. Era evidente che Suor Costanza stesse invecchiando, si notava dal modo in cui camminava, dai segni del tempo che erano sempre più visibili sul suo viso e dal suo essere spesso molto stanca, ma nonostante la vecchiaia che si avvicinava, Suor Costanza era sempre forte e sorridente, e io spero di poter essere come lei non appena diventerò vecchia.

“Piccolina, il mondo è cambiato. Non è semplice trovare delle persone di cui ora come ora si sa poco, ma le innovazioni serviranno a qualcosa no? Servono ad accorciare le distanze, se ti sforzi, riuscirai a trovare tutti Agata”.

“Ma da dove dovrei iniziare Suor Costanza? Come ha detto anche lei, io non so nulla di nessuno dei tre da ormai due anni, non so dove o con chi vivono e soprattutto non so nemmeno se siano morti, feriti o vivi”.

Una lacrima mi scese improvvisamente, ho cercato di accantonare il pensiero della morte per un attimo, ma non ci sono riuscita, perché io spero che loro siano ancora vivi, ma dopo aver avuto uno stretto contatto con la morte, la si può immaginare in ogni sfaccettatura e la si teme molto di più, perché diventa reale e non più qualcosa di astratto. Suor Costanza mi pulì la guancia e mi sorrise.

“Si è vero, tu non sai niente di loro, ma sai che Emilia è viva, è in Francia e soprattutto è felice. Tesoro, Emilia ha speso ogni giorno per un anno intero cercandoti. Veniva da me ogni mattina e ogni sera nella speranza di trovarti o sperando che io sapessi qualcosa di più, ma io non sapevo nulla ed era terribile doverle dire ogni volta di no e vederla andar via sbattendo la porta “mi prese la mano e proseguì “Emilia ha continuato a cercarti, mentre i tuoi genitori pensavano fossi morta, mentre la guerra diventava sempre più dura, lei non ha sprecato un solo giorno”.

“E poi? Perché ha smesso?”

“Perché era senza forze, nessuno credeva più in lei, stava combattendo una guerra da sola contro i mulini a vento. Allora, ha dedicato la sua vita nell’occuparsi di tuo padre morente e far sì che tua madre non facesse sciocchezze, veniva qui in cappella a pregare ogni giorno, ma poi ha incontrato un uomo e non appena tua madre si è spenta, lei si è sposata, ha avuto una bimba e poi è andata via. “

Non riesco a credere che Emilia veramente abbia fatto così tanto per me. Anche se mi voleva bene, non aveva mai fatto carte false per me e soprattutto non aveva mai palesato il suo affetto con grandi gesti. Però in mia assenza si era occupata della nostra famiglia e sperava che io sarei tornata da un momento all’altro, ma sono certa che se fosse riuscita a riportarmi a casa non mi avrebbe mai dato la soddisfazione di farmi sapere che lei si era spesa così tanto per una cosa del genere.

“Io devo trovare mia sorella, magari lei poi riuscirà a ricondurmi a Giovanni”.

“Agata, fai quello che ritieni più giusto, io non so da dove potresti partire però”.

“Lei per caso sa come si chiamava suo marito? Magari sa chi li ha uniti nel sacro vincolo del matrimonio?”.

“Su questo possiamo lavorarci, ma adesso devi anche poter pensare a te stessa Agata. Sei tornata dopo così tanto, non ti sei riposata un attimo da quel momento e non mi hai raccontato cosa hai fatto a Bologna”.

“Suor Costanza, le prometto che le racconterò tutto, ma adesso fa troppo male provare a parlarle di quello che mi è successo, è ancora troppo presto per me. Per quanto riguarda me stessa, le prometto anche che ritornerò ad essere la Agata felice che ha conosciuto ma ho bisogno di ritrovare le persone più care per me prima”

“Agata, ci riuscirai. Sei una donna adesso, sei forte, puoi tutto se lo vuoi” Mi accarezzò e i capelli e mentre provava ad alzarsi mi diede un baciò sulla fronte “Ricordati chi sei Agata”.

Ricordati chi sei. E chi sono io? Non lo so più chi sono io, cos’ero e cosa sarò, ma non è questo il momento adatto per preoccuparsi della propria identità, per fare quello che ho fatto durante questo tempo ho dovuto rinunciare anche alla mia identità reale, ed è stato un po’ come scrollarsi tutte quelle responsabilità e quei pesi che appartenevano ad Agata e provare ad essere solo libera. Mentre il tramonto diventava sempre più arancio e la notte stava per scendere su Torino, presi le scale che mi conducevano alla stanza che dividevo con Milena.

Io e Milena non ci siamo scambiate una parola dal momento in cui io la ho accusata di non essere italiana e l’ho giudicata involontariamente. Ma io di questa ragazza con la quale condividevo le mie notti insonni, io per i pensieri e lei per le urla di suo figlio capriccioso, conoscevo pochissimo se non nulla. Sapevo che aveva più o meno la mia età, sapevo che era siciliana e che aveva un bambino. Spesso cantava una canzoncina in siciliano, come una ninna nanna, prima partiva sottovoce ma senza neanche accorgersene diventava sempre più forte, e io mi incantavo nel sentirla cantare, e penso che lei lo sapesse che a me piaceva perché non la cambiava mai.

Ed ora, poggiata sul davanzale della finestra con i suoi capelli rossi raccolti in una treccia, indossando solo una vestaglia bianca era assorta nei suoi problemi.

“Ciao Milena”.

Sobbalzò non appena mi sentì parlare, non si accorse nemmeno del mio arrivo, senza nemmeno muoversi dalla posizione in cui era alzò una mano e mi fece un mezzo sorriso.

“E Salvatore? Dov’è?”

“Sta con le suore” scese dalla finestra, si sedette sul letto e mi invitò a sedermi accanto a lei, e io feci quanto ordinato. “Mi devi dire qualcosa?”

Milena era sfacciata, non aveva paura del giudizio degli altri, non le interessava se qualcuno le diceva qualcosa di non gradito, lei poteva sputarti veleno in quel momento ma poi il giorno dopo avrebbe fatto come se non fosse successo niente, come se un litigio non ci fosse mai stato.

“No. Ti devo dire qualcosa?”

Chi ni pensi ri “scusa Mile””

“Scusa Mile”

mo possiamo fari i amiche

Iniziò a ridere e mi cinse la vita con le braccia per abbracciarmi e io poggiai la testa sulla sua abbracciandola.

Semu femmine sule Agatina”poi si staccò “chi facisti pi tuttu chistu tempu? Suor Costanza mi ha detto che si sparita

“Ho dato una svolta alla mia vita Mile, ho fatto tante cose ma ho anche rischiato la vita”.

“Pure io ho rischiato la vita. Se mi dici che hai fatto, ti dicu chi fici iu

La guardai per un attimo, poi rivolsi lo sguardo verso lo scorcio di quella Torino distrutta che si poteva vedere dalla finestra del convento, poi abbassai la testa e me la misi tra le mani, poi tirai un sospiro.

“Sono stata tra le montagne Mile. Mi sono aggregata ad una brigata e sono partita con loro per liberare l’Italia dal nemico. Mi sono interessata di politica, i miei compagni mi spiegavano quali fossero i problemi degli operai in quel periodo e mi raccontavano cosa stesse succedendo in Unione Sovietica e perché lì si stesse bene e qui no. Sono cresciuta tanto e ho conosciuto il dolore, sarei potuta rimanere qui con i miei amici, la mia famiglia e con Suor Costanza, avrei evitato dispiaceri a tutti ma sapevo che non era giusto, che qualcuno doveva farlo. Sono stata una partigiana Milè. E non me ne pento neanche un momento”.

Milena mi guardò a lungo, come se cercasse di elaborare nel suo cervello tutto quello che le avevo detto finora, come se provasse ad immaginarmi con un fucile in mano, fin quando non mi sorrise.

“sempri megghiu i mia”e si alzò come se per lei la conversazione fosse finita lì, come se non avesse più niente da dire, prese un lavoro di cucito che aveva interrotto, si sedette sull’altro letto e continuò come se niente fosse.

“E tu? Tu che hai fatto?”

Fece finta di non sentirmi, continuò a torturarsi le dita con quell’uncinetto, e allora andai di fronte a lei e le alzai la testa, ma lei la abbassò di nuovo, poi le toccai una mano, ma lei alzò bruscamente la testa e gettò via quel lavoro e mi guardò male.

“Milena cos’hai? Ti ho chiesto soltanto che hai fatto tutto questo tempo esattamente come hai fatto tu con me”

fici a zoccola”Mi guardò duramente immobile mentre una lacrime le rigava il viso. Io provai ad abbracciarla, ma lei mi scansò poi si alzò in piedi, e camminava avanti e indietro con le mani sui fianchi e poi si fermò.

Nun mi serve chi ti dispiaci, l’ho voluto fare “

Milena era un prostituta. Ma lei lo era veramente, lo faceva per vivere, non era un appellativo che le avevano dato perché era una ragazza che parlava al bar con altri ragazzi. Questo era il suo lavoro.

“E poi?”

“ E poi sono venuta qua”Tirò su con il naso “Suor Costanza mi aiutò. Staiu cercando travagghiu. Ma unu vìeru.

“Ma perché hai deciso di prostituirti?”

picchì a Sicilia nun ti aiuta. E quinni ti devi aiutari tu.

Riprovai ad abbracciarla, ma questa volta si lasciò abbracciare e iniziò a piangere interrottamente, perfino con i singhiozzi e io la lasciai fare, perché so cosa vuol dire accumulare dolore e sofferenza da troppo tempo per poi esplodere come un vulcano. Milena ha bisogno di affetto ed amicizia, e fin tanto che lei si lascerà aiutare, io sarò qui per lei. Agata ricomincerà da qui.

Tegnu nu figghiu

“Milena io non ti giudico, non mi permetterei mai. Ora ci sono io per te.”

“E iu aiuto a tia”

Le sorrisi e finalmente anche lei riuscì a sorridermi, non pensavo che quella donna acida potesse mai starmi simpatica, ma un’altra cosa che la guerra ti insegna è che le persone sono imprevedibili e che non si smette mai di conoscerle e io lo sapevo bene.

“Però mi devi fare un favore Agatina”.

“Dimmi”.

Imparami l'italianu”.

Certo Milè, te lo insegno l’italiano.

   
 
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