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Autore: Aoimoku    28/04/2020    1 recensioni
~Il Giardino
Un'altra singolare creatura errava in quel Giardino:
un serpente.
Strisciava lento, nell'umido e scuro terriccio del sottobosco. Procedeva elegante e sinuoso, le scaglie nere come l'ebano rilucevano a tratti rivelando la sua presenza, altrimenti nascosta e mimetizzata. Nella sua testa slanciata si andava delineando un piano, che, però faticava ancora ad emergere dalle nebbie della sua ragione.
Il serpente fece schioccare la lingua vermiglia e sottile con disappunto.
Si chiamava Crawley.
~Egitto 1250 a. c.
Allora dal villaggio si levavano urla e stretipi,
si propagavano come la polvere e la sabbia delle dune durante le giornate ventose: quando i granelli giungevano fino ai luoghi abitati e si depositavano su ogni cosa coprendola con un'ardente patina giallognola: questa era la neve dei popoli del deserto.
Aziraphale osservava sconsolato il villaggio venire travolto per l'ennesima volta dall'onda di disperazione portata dagli egiziani.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                Oh teach me how I should forget to think

                                                                  [William shakespeare] 

 

 

 

All'inizio vi era solo un Giardino.

Spiccava in mezzo al circostante deserto come una goccia di sangue sulla pelle delicata di una donna o un tuono nel silenzio della notte. 

Ma questo era inimmaginabile, allora:

 la pioggia non era ancora stata inventata.

Il Giardino cresceva rigoglioso e fiero, protetto da alte mura, e si popolava di sempre più creature ogni giorno che passava.

 Sfuggenti uccelli, tinti di meravigliosi colori, schiamazzavano tra le cime degli alberi mentre tra le loro radici zampettavano piccoli e teneri cuccioli. Imponenti fiere sonnecchiavano mansuete tra le rocce e piccoli insetti ronzavano nell'aria pulita.

 In quell'oasi di pace la natura cresceva, viva e padrona.

Due particolari creature si aggiravano all'ombra di un frutteto; erano la creazione più recente dell'Onnipotente, perfetti nel corpo e nell'animo: massiccio e scattante l'uno e snella e leggera l'altra, forgiati a modello di Dio e dei serafini. La pelle scura e nuda rifletteva morbidamente la luce diurna che filtrava dalle chiome del bosco. Splendevano, divini nella loro fragilità, unici, come del resto tutto ciò che li circondava, ma liberi nel pensiero.

Le loro menti palpitavano come tremolanti fiamme agitate dal vento, sovrapponevano i sensi: immagini, odori, sapori, tocchi, e ne traevano conclusioni. 

I loro ragionamenti crescevano con complessi schemi e collegamenti in un complicato sistema che si propagava solo grazie alla chimica. 

Umani.

Ciò che più vicino agli angeli si potesse trovare nella dimensione mortale. 

 

Un'altra singolare creatura errava in quel Giardino:

 un serpente. 

Strisciava lento, nell'umido e scuro terriccio del sottobosco. Procedeva elegante e sinuoso, le scaglie nere come l'ebano rilucevano a tratti rivelando la sua presenza, altrimenti nascosta e mimetizzata. Nella sua testa slanciata si andava delineando un piano, che, però faticava ancora ad emergere dalle nebbie della sua ragione. 

Il serpente fece schioccare la lingua vermiglia e sottile con disappunto. 

Si chiamava Crawley. 

E non aveva niente in comune con le altre creature generate dall'amore del divino. 

 Una volta, forse.

 Adesso rappresentava, insieme ad una nugolo di dannati come lui, la più grave incarnazione di malvagità e arroganza.

 Un angelo caduto. 

Un angelo ribelle, esiliato e dimenticato. 

 

Appena era sbucato nel Giardino, dopo una lunga e faticosa risalita dalle viscere dell'inferno, aveva fatto fatica a distinguere dei colori in mezzo a tutto quel bianco accecante; troppo tempo era trascorso dall'ultima volta in cui aveva visto il sole. Poco dopo, appena le figure si erano fatte più nitide, i suoi occhi dorati, tagliati nel mezzo da una sottile pupilla verticale, si erano offuscati di lucide lacrime. Un sottile velo di malinconia aveva avvolto il paesaggio lussureggiante, fantasma del suo paradiso perduto. 

Avanzava, accompagnato da un insopportabile peso sul petto, mentre il rancore e il rimorso giocavano con il suo tormentato cuore. Ogni pietra che lambiva, ogni timido filo d'erba che si piegava al suo passaggio, ogni singolo granello di terra con cui veniva a contatto, bruciavano. 

Bruciavano come carboni ardenti sulle squame dannate del serpente. 

Il giardino era suolo sacro, benedetto da dio in persona, e per questo era negato ai piccoli ed infimi demoni come lui. 

Crawley si crogiolava nell'agonia, beandosi di ogni ustione che man mano gli deturpava il corpo:

Così minuscolo prezzo da pagare per godere della vista dell'Eden. 

Quella certo non era solo una visita di piacere. 

Crawley aveva un compito. 

Doveva incrinare la pace di quel giardino, rovinare la migliore creazione dell'Onnipotente, insinuando il dubbio nella sua mente pura. 

Esattamente come quando era ancora un angelo non aveva potuto chiedere il perché né dissentire. 

Da quando aveva memoria nessuno si era mai interessato delle sue domande. Esse, anzi, venivano viste come atti di insubordinazione e di contestazione, e di conseguenza puniti.

A che scopo siamo stati creati pensanti, se ci viene impedito di farlo? - si chiedeva - abbiamo la possibilità di interrogarci, perché dobbiamo insabbiare questa nostra natura? 

Gli altri angeli lo emarginavano e lo deridevano alle sue spalle. 

Niente però aveva potuto togliere il vizio delle domande a Crawley, che era caduto propio per questo motivo. 

Era naufragato in quel mare di zolfo e fumo nella speranza che i ribelli condividessero i suoi dubbi, ma si era ritrovato di nuovo solo. 

Respinto anche tra i reietti. 

Coltivava ancora, tuttavia, le sue incertezze, insieme al recondito sogno di incontrare qualcuno come lui.

 Possibile che non esistesse nessun altro, angelo o demone che fosse, con cui condividere i suoi dilemmi? 

Ecco la genuina motivazione che lo aveva spinto ad accettare questo compito: 

avere il potere di insinuare il dubbio in un essere vivente, spingerlo a ribellarsi, lo esaltava come niente.

Le lacrime erano scomparse dagli occhi del serpente. Cacciate nuovamente nei recessi dell'anima travagliata. 

Si fermò sotto i gentili rami di un frutteto. 

Davanti a lui si ergeva delicato un melo.

Era l'albero della conoscenza. 

Tra le giovani foglie si potevano scorgere invitanti globi vermigli. Poco più in là sorgeva quello della vita, i due umani giacevano abbracciati ai suoi piedi avvolti da fiori dai colori tenui, Dio aveva vietato loro di mangiare da quegli alberi. 

Naturalmente non avevano provato a trasgredire- pensó Crawley - d'altronde perché avrebbero dovuto, con un intero frutteto a loro disposizione?

Il demone però, al posto loro, avrebbe esitato. 

Niente centrava una qualche brama di potere o il desiderio di raggiungere qualcosa di irraggiungibile,

 era semplicemente incapace di contentenere la sua curiosità. 

Al loro posto sarebbe stato subito consumato dalla voglia di sapere il motivo del divieto e, perché no, anche il castigo. 

Crawley sentì un suono sommesso e vibrante, si immobilizzó e restò in ascolto. 

   Lì vicino una figura sonnecchiava al riparo dal sole:

Un angelo.

L'angelo era chiaramente innocuo, addormentato com'era, anche con una spada fiammeggiante che giaceva abbandonata a qualche passo da lui, Crawley calcoló che avrebbe avuto un'abbondante manciata di secondi per fuggire se l'angelo si fosse svegliato; pienamente sufficienti. 

Crawley lo osservò a debita distanza. 

Si era ripromesso più volte dalla caduta che avrebbe odiato gli angeli che lo avevano ripudiato, come consigliavano i suoi compagni di sventura. 

E così era stato.

Disprezzava quegli esseri scultorei e fulgidi, perfetti in ogni manifestazione, senz'anima nè compassione, con il cuore insensibile e freddo come il marmo. 

Ma questo in realtà sembrava, diverso. 

Dormiva mollemente appoggiato ad un albero, le ampie e candide ali lo avvolgevano dolcemente come una coperta. Il viso era paffuto e roseo, incorniciato da una nuvola di soffici capelli color burro. 

Tutto in lui inspirava purezza ed innocenza. 

Parte del peso nel petto di Crawley si dissolse. 

Il demone indietreggió come abbagliato da quella vista. 

Ricordó a sé stesso che quel delicato aspetto poteva celare uno spirito perfido. 

L'Onnipotente stava forse cercando di tentarlo? 

Un castigo uguale alla pena. 

Certo non sarebbe stata la prima volta. 

Il serpente tornò sui suoi passi fino al melo proibito. 

Strisció sul suo fusto sottile arrotolandosi su di esso. 

La donna lo notò e gli si avvicinò. 

Il rettile se ne accorse e volse il capo verso di lei, socchiudendo leggermente le palpebre.

"Dimmi" cominciò con voce morbida e mielata, 

cercando di affogare i suoi pensieri angosciosi sotto quella debole patina di sensualità. 

"non ti invitano, queste dolci mele?" La lingua tentatrice guizzó tra le labbra. 

La donna non rispose, guardandolo affascinata con i grandi occhi castani. 

"Non sono, forse mature abbastanza perché voi possiate apprezzarle?" riprese il demone sibilando sornione

"Eppure il loro involucro è fiammeggiante, e il profumo

 zuccheroso,

Dio non ti ha forse detto di mangiare da tutti gli alberi del giardino? "

 Crawley si sporse più vicino al volto della donna, avvolgendosi voluttuoso sulle sue spalle. 

"Ci è stato detto di usufruire da tutti, ma di non mangiare dall'albero in mezzo al giardino. " 

Replicò quella, la voce incrinata da una fievole indecisione. 

Il demone si finse sorpreso, interrompendo la sua concentrica danza.

"Come può essere? 

Ci dev'essere certamente uno sbaglio." riprese conciliante

"Non vi ha detto che se assaggerete una di queste mele, 

Aprirete gli occhi? "

 rivelò il demone con voce vellutata. 

"Saprete riconoscere il bene dal male? " continuó strascicante

"Sarete come DIO? " disse in poco più di un sussurro. 

Lo sguardo della donna si tinse di avidità. 

Afferrò con foga una delle mele e la addentó voracemente. 

Crawley sciolse il suo abbraccio ritirandosi nuovamente alla base del tronco. 

La donna intanto era corsa ad offrire la mela al propio compagno. 

Il rettile era attonito della facilità con cui aveva portato le creature predilette a tradire il loro signore, come era stato elementare instillare il dubbio in quei cuori, creati per resistere a più significanti fatiche. 

A meno che, questo non facesse parte di loro, 

a meno che non fosse questa la loro debolezza. 

Il peccato. 

"E così" Sibiló infastidito rivolto all' onnipotente "avevi previsto tutto eh?  

Tutto inutile perché faceva parte del tuo piano. 

IO facevo parte del tuo piano. 

A volte davvero non riesco a capire"

 Crawley sentì crescere la frustazione

"PERCHÉ ? 

A quale scopo ci lasci sempre una scelta? 

Perché ci dai sempre la possibilità di sbagliare? 

Non sarebbe più facile se non avessimo debolezze?" 

il serpente sbattè la punta della coda a terra, gli occhi scintillavano

"Ripeti di amarci ma alla fine ci condanni sempre alla sofferenza. 

Sto dubitando di te. 

Zittiscimi allora! 

Perché non mi impedisci di parlare? 

Perché non mi insegni a scordami di pensare? 

Perché mi hai abbandonato quando avevo più bisogno di te?

Che ruolo ho in questo tuo folle e complicato piano?" 

Crawley urlò quest'ultima frase al cielo. 

"Aiutami a comprenderlo" 

Concluse a denti stretti, la gola gli pizzicava e calde lacrime minacciavano di sgorgare. 

Ci pensó un po sù e lanció un occhiata in alto con i suoi strani occhi dorati. 

"Sempre che tu non sia troppo occupato lassù per dare ascolto ad un demone come me" aggiunse di nuovo beffardo. 

Il serpente si allontanò dal frutteto. 

 

Il demone non poteva saperlo, ma Lei lo aveva sentito. 

Anzi, più che sentito; 

Lo aveva ascoltato.

L'Onnipotente soffió un gentile alito di vento in direzione del Giardino. 

La folata tiepida arrivò volteggiando tra gli animali ignari fino all'angelo addormentato e spirò sul suo viso. 

L'angelo si destò. 

 

 

 

 

 

Caro lettore, a patto che tu esista. 

Prima di tutto mi auguro (e spero) che tu stia bene

 (perché è veramente poco probabile che tu sia arrivato fino a questo punto tutto intero dopo aver letto quell'accozzaglia di pensieri confusi delle righe sopra). 

Detto questo, ehi

Questa è la prima "storia" che pubblico su efp. 

Congratulazioni a me. (^o^)

A dire la verità, non mi piace molto, ma mi sono divertita molto a scriverla, ed è quello l'importante, giusto? 

Comunque dovevo smuovermi un po', magari scrivendo più spesso migliorerò, fra qualche mese. 

Qualche anno. 

Qualche decennio. 

Ok forse mai. 

Ma pazienza, io ci ho provato ahhahaha. 

Apprezzerei molto un consiglio o due, su stile, grammatica o punteggiatura <3

~Aoimoku



   
 
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