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Autore: Kira La Luna Oscura    28/04/2020    2 recensioni
Quando si passa un periodo buio della propria vita è bello vedere la luce alla fine del tunnel, ma all'arrivo della felicità subentra la paura che non durerà a lungo. L'universo si bilancia, quando ti dà qualcosa, qualcosa vuole indietro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Miles Edgeworth, Phoenix Wright
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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                                                Sai, dovremmo sposarci







Se ne stava lì, seduto sul suo divano costoso a far oscillare il brandy nel bicchiere largo, non fissando nulla in particolare che non fosse il vuoto.
La casa era silenziosa, troppo, ed in passato gli sarebbe piaciuta tanto, ma era abituato al caos che un certo avvocato difensore gli aveva portato nella vita da molti anni ormai.
Era presto, molto di più di quanto avrebbe dovuto, se ne stava lì immobile Miles, con quel bicchiere in mano intonso che neanche un ubriacone dei più incalliti avrebbe mai toccato alle cinque della mattina.
Tecnicamente, neanche lui lo aveva ancora toccato, lo usava come scarica stress, facendo girare e rigirare il liquido ambrato dentro il bicchiere di cristallo lucido, nel silenzio della sua casa.
Phoenix dormiva in camera da letto, ignaro di tutte le cose che passavano nella mente del procuratore, che ogni tanto abbassava lo sguardo sul bicchiere, ma non per guardare quello, piuttosto, l'anello che portava al dito e sembrava prenderlo in giro.
Erano sposati ormai da cinque anni, cinque stupendi anni l'uno accanto all'altro, tra furiose litigate e dolci notti in cui fare pace, per poi addormentarsi abbracciati fino al giorno dopo, quando si separavano per andare al lavoro.
Da un po' però le cose andavano in modo strano, Phoenix era strano.
L'avvocato era sempre stato distratto e pasticcione, perciò all'inizio far caso alle piccole cose non era stato affatto facile.

Dove sono le chiavi Miles?

Dove avrò mai messo quei documenti?

Scusa, ho dimenticato del nostro appuntamento, mi farò perdonare!

Piccolezze che capitavano a tutti, soprattutto a Phoenix, ma poi la cosa era andata via via peggiorando in breve tempo, ripercuotendosi sul suo lavoro in tribunale.
Dimenticava le prove, le contraddizioni appena scoperte, a volte, per pochi secondi, sembrava spaesato, come non sapesse dove si trovava e cosa stesse facendo.
Il campanello d'allarme nella testa di Miles suonò quando un giorno, per caso, mentre sparecchiavano dopo la cena, Phoenix gli aveva detto:

Sai, dovremmo sposarci

Miles lo aveva preso in giro, e nonostante l'avvocato continuasse a sostenere di essere serio, l'aveva accantonata come una sua solita stranezza.
Poi però le cose avevano continuato a peggiorare, giorno dopo giorno, e le piccolezze diventarono travi giganti nei suoi occhi.Si era deciso così a fargli fare degli esami, i migliori medici del paese lo avevano visitato e la risposta era stata una secchiata d'acqua gelida.

Alzheimer.

Miles si era rifiutato di crederci.
Una malattia degenerativa come quella, a trent'anni, non era possibile.
Ed invece era possibile, molto raro, ma possibile, stando almeno a quanto dicevano i medici, medici che Miles aveva preso malamente a parolacce ed urla, salvo poi essere fermato da Phoenix con la sua solita gentilezza, ignaro di tutto quello che gli accadeva intorno.
Lo avevano avvertito che la malattia avrebbe avuto un progredire incalzante e probabilmente improvviso, prima piccolezze, poi cose sempre più grandi, fino ad arrivare a ciò che Miles temeva: una regressione.
Spesso Phoenix si era svegliato urlando e balbettando, chiedendogli perchè fossero nello stesso letto, più volte gli aveva detto, con sguardo triste, che gli dispiaceva di stargli tra i piedi e che sapeva che lo odiava, che sarebbe uscito dalla sua vita.
Tutto quello per Miles era un tuffo al cuore, un tornare indietro, ma con pazienza lo metteva a sedere, lo tranquillizzava, gli spiegava come andavano le cose e Phoenix sembrava capire, lo baciava e andava a fare altro.
Come non fosse successo niente, poi lo trattava come sempre, fino a che il suo cervello non perdeva l'ennesimo colpo.

Sai, dovremmo sposarci io e te

Glielo diceva spesso, sempre più spesso, tra una crisi e l'altra, Miles sorrideva e gli diceva che lo avrebbe sposato presto, perchè dopotutto gli aveva già dato l'anello di fidanzamento, a quel punto l'avvocato si guardava la mano e sorrideva, e ad ogni sorriso gli occhi di Miles si facevano lucidi.
La cosa più difficile di tutte era stata non farlo andare più a lavorare, Miles usava sempre delle scuse standard, dal semplice “sei appena tornato, stai un po' con me” al più fasullo “sei in vacanza amore mio, rilassati”.
Gestire le cose, per un po', era stato relativamente semplice.
Per non lasciarlo da solo aveva assunto un'infermiera privata, spacciandola per donna delle pulizie, così che lo tenesse d'occhio e per un periodo aveva funzionato, andava tutto bene e riusciva a gestire gli attacchi, ma come i medici gli avevano annunciato, la malattia era andata via via progredendo e peggiorando, fino a quando non era sfociata in attacchi violenti contro la povera infermiera che si era licenziata.
Phoenix Wright, l'uomo più dolce del mondo, capace di cadere dentro i tombini aperti, un violento.
Chi l'aveva conosciuto nel corso degli anni non ci avrebbe mai creduto se lo avesse raccontato, ma la poveretta si era ovviamente spaventata per la mole dell'avvocato che non era un fuscello.
Molte infermiere si erano susseguite dopo quella, e tutte se n'erano andate, giudicandolo troppo pericoloso, che avrebbe potuto fare del male a qualcuno od anche a sé stesso.
Tutte cacciate malamente, Phoenix doveva stare a casa sua, con suo marito.
Perfino Maya si faceva vedere ormai di rado, impegnata con la sua vita della quale Miles sapeva poco o niente, e neanche gli importava, l'unica cosa che gli premeva era il benessere di Phoenix.
Un giorno, però, il mondo gli crollò letteralmente addosso.
Era in tribunale, si discuteva un caso di omicidio in aula, quando Phoenix aveva fatto irruzione urlando e sbraitando, dicendo che il suo cliente era innocente.
Miles aveva tentato di quietarlo e portarlo via, ma ne era saltata fuori quasi una colluttazione, e allora per ordine del giudice l'avvocato venne portato via dalle guardie e rinchiuso per la sua sicurezza.
In separata sede, a nulla valsero le spiegazioni di Miles, che sarebbe stato più attento al marito, che una cosa del genere non si sarebbe mai ripetuta, ma il giudice era stato irremovibile: Internamento.
Poteva farlo Miles con le buone o il giudice con le cattive.
Miles doveva far rinchiudere il grande amore della sua vita in un istituto specializzato, dove erano attrezzati per persone affette dalla sua patologia.
Il cuore di Miles ebbe un brutto colpo quel giorno e fu costretto a prendere una decisione che mai, mai avrebbe creduto di dover prendere, perfino mandare la gente in galera, od a morte, non gli aveva mai messo un tale peso sul cuore.
Decise di portarlo lui, come se andassero a fare una vacanza in un centro benessere, sempre meglio che vederlo portato via urlando e scalciando, chissà in quale istituto di terz'ordine.
Quando andarono a vedere l'istituto, doveva dire che non era affatto male, le camere non erano da ospedale, erano luminose e confortevoli, gli impiegati molto gentili e pazienti, dotato di un teatro per gli spettacoli che fungeva anche da cinema, una grande stanza per le attività ricreative, tutto era luminoso e sembrava quasi un paradiso.
Per Miles era l'inferno in terra.
Lo aveva lasciato lì con una scusa, trattenendo le lacrime a stento, con un sorriso tremulo a stendergli le labbra.

Torni presto, vero?

Ti aspetto qui?

Glielo diceva ogni giorno, quando lo andava a trovare, ma poi doveva lasciarlo lì per andare al lavoro.
Miles ciondolava, non si sentiva neanche più vivo, andava avanti per inerzia e si faceva forza soltanto perchè doveva andare a trovare il suo porcospino.
Viveva per quelle due ore in cui poteva stargli accanto.
Una volta lo aveva trovato nel teatro insieme a tutti gli altri pazienti, solo che Phoenix era sul palco, con una cattedra davanti che puntava il dito contro un altro paziente davanti a lui, inscenando un processo.
Quella scena lo fece ridere e piangere nello stesso momento, molte volte avevano giocato in quel modo anche loro due, ma sapeva che Phoenix non stava recitando, era sicuro di essere in tribunale.
Alla fine di quella scena si avvicinò e gli porse i fiori che gli portava sempre, congratulandosi per la vittoria al processo.

La ringrazio molto, lei è...?

Il sorriso di Miles si era istantaneamente spento.
Phoenix si era dimenticato di lui.
Una pressione troppo forte ed il bicchiere si ruppe, il liquido ambrato gli scivolò sulla mano riportandolo alla realtà, macchiando irrimediabilmente il divano bianco e costoso.
Con assoluta noncuranza si alzò e raccattò i cocci, buttandoli nella spazzatura, ed ignorando il brandy che colava da uno dei braccioli tornò in camera da letto.
Phoenix dormiva placidamente, da troppo tempo ormai non c'era più il suo profumo sulle lenzuola, sapeva che ci sarebbero state delle urla al suo risveglio ma non gli importava, era felice che fosse a casa.
Gli si sdraiò accanto e con gesti morbidi per non svegliarlo se lo portò sul petto per stringerlo e accarezzarlo, mentre il suo sguardo tornava perso, nel buio della camera da letto.
Indipendentemente dalla volontà di chiunque e del mondo circostante, la malattia aveva preso piede e quasi possesso di Phoenix.
Miles lo andava a trovare in istituto tutti i giorni, passavano dei bei momenti insieme, ed ogni giorno Phoenix gli chiedeva chi fosse, come si chiamasse e gli diceva che era simpatico.
I momenti di lucidità erano sempre più sporadici e radi, in cui Phoenix lo abbracciava e lo baciava e gli diceva di amarlo.

Dovremmo sposarci io e te, sai?

Si, Phoenix aveva ragione, avrebbero dovuto sposarsi.
Organizzò il matrimonio, reperendo tutte le persone che conoscevano ed anche quelli che non conoscevano, facendogli la proposta inginocchiandosi davanti a lui.
Furono tutti bellissimi matrimoni.
Ogni volta che Phoenix, in un momento più lucido, gli diceva che avrebbero dovuto sposarsi, lui faceva una telefonata e tutti ormai sapevano come doveva andare, un perfetto copione che nel tempo tutti avevano imparato a memoria: si inginocchiava e gli faceva la proposta, lo aiutava ad indossare il completo elegante che aveva nell'armadio, una limousine arrivava portandoli a destinazione e loro si sposavano.
Ogni volta che Phoenix glielo chiedeva, loro si sposavano.
Decise che avrebbe vissuto per quello, per sposarlo ogni volta che Phoenix glielo avrebbe chiesto.
Gli sembrava che quella situazione durasse da anni, da decenni, da sempre, ed invece di anno ne era passato solo uno o poco più.
Credeva che avrebbe avuto più tempo, che le cose sarebbe deteriorate negli anni, ed invece la malattia se l'era praticamente mangiato vivo.
Un giorno, mentre era nel suo ufficio in tribunale, aveva ricevuto una telefonata, era un medico che non conosceva, diceva che aveva studiato il caso di Phoenix e che forse c'era un'altra spiegazione alla sua malattia, che i medici che lo avevano avuto in cura potevano essere stati frettolosi nel fare la diagnosi.
Il cuore e l'orgoglio di Miles finirono sotto le scarpe, e chiese cortesemente al medico di non prenderlo in giro, di non dargli false speranze, eppure quell'uomo aveva insistito così tanto che si disse: peggio di così non può certo andare.
Aveva preso un periodo di aspettativa dal lavoro ed era andato a prendere Phoenix in istituto, come sempre lo aveva salutato in modo cortese e si erano presentati.
Con un po' di difficoltà riuscì a farlo salire in macchina e portarlo alla clinica privata dove il medico, per l'occasione, era ospitato, dato che veniva dall'altro lato del paese.
Non seppe quantificare il numero di esami medici che gli fecero, tra un urlo ed uno scatto di violenza, fino a quando non riuscì a riportarlo a casa.
Era successo giusto il giorno prima, Miles si era assicurato che ogni esame fosse pronto per il giorno dopo, perchè non aveva voglia di riportarlo in istituto ed era stato più o meno difficile gestirlo la sera, costretto a dargli un mezzo tranquillante così che non facesse storie.
Si distrasse vedendo il sole, che finalmente era sorto, perso nei ricordi e nei pensieri non sapeva neanche da quanto tempo fosse lì.
La sveglia diceva che erano le otto, era ora di alzarsi ed avere la risposta definitiva.
Lo svegliò dolcemente, o quantomeno ci provò, e le conseguenze furono disastrose, dato che Phoenix pensava di essere stato rapito e portato chissà dove da uno sconosciuto.
Solo un colpo di lucidità gli permise di lavarlo, fargli fare colazione e vestirlo, tra un Piacere, senza il nome perchè magari non lo ricordava più, ed un Dovremmo sposarci, io e te.
Quello però non era il giorno dedicato al matrimonio, ma alla risposta che avrebbe cambiato le loro vite.
Nell'ora in macchina erano andati via almeno un paio di pacchetti di sigarette, con Phoenix che lo rimbeccava dicendogli che il fumo faceva male, e per alcuni secondi tornava il Phoenix che Miles conosceva, mettendogli addosso un misto di gioia e sconforto.
Arrivati alla clinica aveva lasciato Phoenix nella sala d'attesa, in compagnia di un infermiere piuttosto robusto che teneva banco e lo distraeva dandogli discorso, mentre Miles parlava con il medico.
Diagnosi sbagliata.
Quella fu l'unica cosa che Miles capì ed il suo cervello andò completamente in tilt.
Il medico continuava a parlare, ma il procuratore assimilava solo piccole parti del discorso.

Tumore.

Tumore troppo piccolo da individuare allo stadio iniziale.

Zona del cervello che di solito non si controlla.

Tumore che preme sui centri della memoria.

Pericolo di vita.

Batté le palpebre e tornò presente, anche fosse stato attento alle sue parole non ci avrebbe capito un cazzo di niente, l'unica cosa che percepì era operazione d'urgenza, dovevano operarlo o sarebbe morto.
Poteva riavere Phoenix con un po' di fortuna.
Il medico era cauto nel dare le notizie, diceva che non potevano sapere quanto fosse esteso il danno, che parte della memoria poteva non tornare più e che era un punto così interno del cranio che c'era un buon 80% di possibilità che morisse sul tavolo operatorio.
Miles quel giorno prese la decisione più egoista della sua vita.
Era sempre stato egoista, Miles, aveva sempre deciso lui, per sé e per chi lo circondava, aveva sempre fatto ciò che reputava meglio, ed in quella specifica situazione avrebbe potuto lasciare che Phoenix vivesse i suoi ultimi anni in santa pace ma senza memoria, ma il desiderio egoista di riaverlo accanto, come prima, fu più forte.
Acconsentì all'operazione, firmando una montagna di fogli così alta che lo riportò al passato come una macchina del tempo.
Rivide Phoenix solo qualche ora dopo, era confuso dalla leggera anestesia pre-operatoria, mentre lo spingevano con il letto su ruote per i corridoi verso la sala asettica e Miles gli andava dietro tenendogli la mano, l'avvocato difensore aveva sorriso al procuratore.

Appena esco, dovremmo sposarci io e te

L'operazione era durata svariate ore e centinaia di sigarette, Miles si dava coraggio pensando non solo che avrebbe riavuto la vita di prima con l'uomo che amava, ma che se andava tutto bene, Phoenix avrebbe lagnato a vita per essersi ritrovato pelato improvvisamente.
Era una cosa stupida, un pensiero davvero idiota, ma era l'unica cosa che lo teneva in piedi insieme a caffeina e nicotina.
Il medico era uscito dalla sala operatoria davvero stremato, lo si vedeva dal suo viso tirato e rosso, dalle vene appena gonfie sulle tempie con il sangue a farle pulsare in maniera quasi percettibile, ma gli stava dicendo che l'operazione era andata come doveva e che potevano solo aspettare.
Quando riuscì a vederlo, steso su quel letto d'ospedale, con la testa fasciata ed il bip insistente dei macchinari che lo monitoravano, riuscì solo a pensare poche cose: a quanto fosse bello, che fortunatamente non era intubato, e che doveva sbrigarsi a svegliarsi o lo avrebbe preso a calci nel culo.
Rimase due giorni al suo capezzale, senza mangiare e senza bere, a malapena alzandosi per andare al bagno e solo quando non poteva farne a meno, fino a quando una mattina, con i primissimi raggi del sole, Phoenix aveva aperto i suoi stupendi occhi e l'aveva guardato.
I loro sguardi si erano incrociati ed il procuratore non aveva avuto il coraggio di dire una singola parola mentre gli stringeva spasmodicamente una mano.
Phoenix mosse le labbra in un chiaro segnale di arsura e Miles si affrettò a prendere il bicchiere sul tavolino alla sua sinistra, per farlo bere un po'.
L'avvocato aveva sospirato per la sensazione piacevole dell'acqua giù per la gola, poi aveva di nuovo guardato il marito.

Mi riconoscerà?
Sarà in grado di parlare?

Miles si rese conto che non gli importava, ciò che contava era che fosse sveglio, che fosse vivo.
 

-Miles...

Aveva sussurrato con voce arrochita ed un po' di difficoltà.

-Che succede?

Miles sorrideva, sorrideva e piangeva, lo aveva riconosciuto, era una delle cose più belle della sua vita.
Nel pianto rise sommessamente e gli baciò la mano che non aveva mai smesso di stringere, sapeva che molti ricordi sarebbero tornati dopo, alcuni non sarebbero tornati affatto, ma non gli importava, ne avrebbero costruiti di nuovi e più belli.

-Sai, dovremmo sposarci io e te

Era la prima cosa che il procuratore voleva dirgli e che era felice di potergli dire.
Generalmente, è opinione di tutti che la miglior risposta ad una frase come quella, sia un si, ed invece Miles ottenne la risposta più bella che essere umano, in una situazione come quella, potesse sentirsi dire, più di un comunissimo ed affermativo si.

-Ma... Miles, noi siamo già sposati

 

                                                                                                 Fine.



[Edit di fine storia: Non postavo qualcosa su EFP più o meno dal 2009, perciò siate clementi.
Dedicata alla mia cicci, che mi ha regalato il porcospino più bello che potessi desiderare.]


 

   
 
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