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Autore: adrienne riordan    02/05/2020    0 recensioni
[La calaca de azùcar]
Questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it
Momenti di vita quotidiana a Esqueleto... sfortunatamente per Mordecai, non sono momenti tranquilli, tutt'altro.
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giorno 6: Realtà

“Come ci si sente ad essere responsabile di un disastro?”

Quetzacoatl aveva sentito le parole del suo interlocutore ma non aveva cuore di prestare loro attenzione. Aveva appena assistito all’epilogo di una storia davvero triste, per chi non era in grado di mantenersi distaccato dalle umane miserie, così lontane dagli interessi delle divinità – di tutte le divinità eccetto Quetzacoatl, naturalmente. Fin dall’inizio dei tempi aveva amato quelle bestioline che erano state create, e che avevano raggiunto la perfezione nell’Era che stavano vivendo in quel momento, quella del Quarto Sole. Le aveva viziate con ricchi doni: mais, cioccolato, pulque… Non c’era da stupirsi che Quetzacoatl fosse quasi il più amato tra gli dei. Ma per la prima volta, il dio si chiedeva se quell’ultimo dono che aveva fatto, quello di provare l’amore, sarebbe stato visto ancora come tale.

Recentemente era stato effettuato un sacrificio a Tlaloc, ed era risaputo quanto quest’ultimo apprezzasse le anime dei bambini, che a lui giungevano mediante  l’annegamento. Tutt’altra storia rispetto agli squartamenti dei guerrieri fatti prigionieri durante le scorribande tra tribù rivali.

“Le donne sfornano bambini come fossero gattini” aggiunse l’interlocutore, non aspettandosi risposta dal serpente piumato “tante piccole bocche da sfamare che talvolta muoiono quando non hanno raggiunto i 5 anni di vita, soprattutto in tempo di carestia. Se Tlaloc può donare cibo e acqua attraverso le sue piogge, il sacrificio di un bimbo ben vale la sopravvivenza di tutti gli altri bambini. Uno scambio tollerabile per qualsiasi madre”.

“Bambini che almeno non andranno nel Mictlan e raggiungeranno direttamente il Reame di Tlaloc” Quetzacoatl doveva ammettere che la sorte di quei piccoli sacrificati non era poi così male rispetto a quella dei bambini destinati a vivere e diventare forti guerrieri che avrebbero continuato ad onorare gli dei e a fornire loro  sacrifici di sangue per mantenere l’ordine del creato.

Ma questa volta, l’atmosfera era stata del tutto diversa. I legami d’affetto si erano rafforzati enormemente dopo il “dono” di Quetzacoatl. La madre del piccolo prescelto a servire Tlaloc per l’eternità aveva protestato disperatamente, aveva lottato per difendere la vita del figliolo. Per la prima volta, non vi era orgoglio nel bambino, non vi era fierezza nei genitori: solo grida e angoscia. I sacerdoti avevano dovuto abbondare con la droga, per non interrompere il rito, la cui solennità tuttavia venne rovinata dall’atmosfera cupa di amarezza e di compassione.

E adesso, le due divinità stavano assistendo appunto all’epilogo della storia: la giovane madre si era impiccata ad un albero e pianti di lutto si alzavano alti tra gli amici e i familiari della donna. L’impiccagione era un tipo di uccisione inusuale tra gli aztechi: non una singola goccia di sangue era stata versata per coloro che, indirettamente, avevano già goduto del sangue del suo amato bambino. Da lei non ne avrebbero ricevuto altro.

“Spero che almeno ne sia valsa la pena, Quetzacoatl” l’interlocutore sapeva cosa avesse spinto il serpente piumato a concedere agli umani una forza così potente e pericolosa come la capacità di amare. La bionda divinità era piuttosto limpida nelle sue intenzioni, per non dire ingenua, e non aveva fatto mistero di essersi innamorato di una donna mortale (giusto Xochipilli aveva un po’ frainteso la destinataria del suo amore). Ma senza amore tra gli umani, la giovane non avrebbe potuto ricambiare il sentimento del serpente piumato. Fu piuttosto semplice, a quel punto, fare due più due.

“Ti chiederei chi sei tu per giudicarmi, ma sbaglierei approccio” commentò ironicamente Quetzacoatl alla divinità del giudizio.

“Come ci si sente ad essere responsabile di un disastro?”

“Anche tu ti senti così quando accade un disastro, Itlazcoliuhqui-Ixquimilli?”

In quanto divinità che aveva a cuore il benessere degli umani, Quetzacoatl mal tollerava ciò che era per loro fonte di disagio o peggio e, per proprietà transitiva, mal giudicava chi ne era responsabile, fosse esso il fratello Tezcatlipoca, Itlazcoliuhqui-Ixquimilli, che era divinità del giudizio, ma anche del gelo e dei disastri, o qualche altra divinità. Ma adesso che era stato lui stesso responsabile di una tragedia – di piccola entità, avendo coinvolto un numero limitato di persone, ma per chi la viveva, era assoluta – si stava chiedendo per la prima volta se, in realtà, a Itlazcoliuhqui-Ixquimilli quel ruolo gli stesse stretto. Lui era quello che era, talvolta non c’era possibilità di scelta.

Il dio dei disastri rimase in silenzio per qualche momento. Sembrava cercare con cura le parole.

“O ti abitui o soccombi”.

“Dunque è un bene che tu sia anche divinità del gelo: il ghiaccio è una buona corazza per il cuore”.

Itlazcoliuhqui-Ixquimilli non replicò al commento. “Un conto è curarsi degli umani, un conto è lasciarsi coinvolgere. Non porta mai niente di buono”.

Quetzacoatl rimase in silenzio a guardare Itlazcoliuhqui-Ixquimilli che se ne andava via senza aggiungere altro, lasciandolo in compagnia dei suoi pensieri e del suo pentimento.

  
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