Giorno
6: Realtà
“Come
ci si sente ad essere responsabile di un disastro?”
Quetzacoatl
aveva sentito le parole del suo interlocutore ma
non aveva cuore di prestare loro attenzione. Aveva appena assistito
all’epilogo
di una storia davvero triste, per chi non era in grado di mantenersi
distaccato
dalle umane miserie, così lontane dagli interessi delle
divinità – di tutte le
divinità eccetto Quetzacoatl, naturalmente. Fin
dall’inizio dei tempi aveva
amato quelle bestioline che erano state create, e che avevano raggiunto
la perfezione
nell’Era che stavano vivendo in quel momento, quella del
Quarto Sole. Le aveva
viziate con ricchi doni: mais, cioccolato, pulque… Non
c’era da stupirsi che
Quetzacoatl fosse quasi il più amato tra gli dei. Ma per la
prima volta, il dio
si chiedeva se quell’ultimo dono che aveva fatto, quello di
provare l’amore,
sarebbe stato visto ancora come tale.
Recentemente era
stato effettuato un sacrificio a Tlaloc, ed
era risaputo quanto quest’ultimo apprezzasse le anime dei
bambini, che a lui giungevano
mediante l’annegamento.
Tutt’altra
storia rispetto agli squartamenti dei guerrieri fatti prigionieri
durante le
scorribande tra tribù rivali.
“Le
donne sfornano bambini come fossero gattini” aggiunse
l’interlocutore,
non aspettandosi risposta dal serpente piumato “tante piccole
bocche da sfamare
che talvolta muoiono quando non hanno raggiunto i 5 anni di vita,
soprattutto
in tempo di carestia. Se Tlaloc può donare cibo e acqua
attraverso le sue
piogge, il sacrificio di un bimbo ben vale la sopravvivenza di tutti
gli altri
bambini. Uno scambio tollerabile per qualsiasi madre”.
“Bambini
che almeno non andranno nel Mictlan e raggiungeranno
direttamente il Reame di Tlaloc” Quetzacoatl doveva ammettere
che la sorte di
quei piccoli sacrificati non era poi così male rispetto a
quella dei bambini
destinati a vivere e diventare forti guerrieri che avrebbero continuato
ad
onorare gli dei e a fornire loro sacrifici
di sangue per mantenere l’ordine del
creato.
Ma questa volta,
l’atmosfera era stata del tutto diversa. I legami
d’affetto si erano rafforzati enormemente dopo il
“dono” di Quetzacoatl. La
madre del piccolo prescelto a servire Tlaloc per
l’eternità aveva protestato
disperatamente, aveva lottato per difendere la vita del figliolo. Per
la prima
volta, non vi era orgoglio nel bambino, non vi era fierezza nei
genitori: solo
grida e angoscia. I sacerdoti avevano dovuto abbondare con la droga,
per non
interrompere il rito, la cui solennità tuttavia venne
rovinata dall’atmosfera
cupa di amarezza e di compassione.
E adesso, le due
divinità stavano assistendo appunto all’epilogo
della storia: la giovane madre si era impiccata ad un albero e pianti
di lutto
si alzavano alti tra gli amici e i familiari della donna.
L’impiccagione era un
tipo di uccisione inusuale tra gli aztechi: non una singola goccia di
sangue era
stata versata per coloro che, indirettamente, avevano già
goduto del sangue del
suo amato bambino. Da lei non ne avrebbero ricevuto altro.
“Spero
che almeno ne sia valsa la pena, Quetzacoatl”
l’interlocutore
sapeva cosa avesse spinto il serpente piumato a concedere agli umani
una forza
così potente e pericolosa come la capacità di
amare. La bionda divinità era
piuttosto limpida nelle sue intenzioni, per non dire ingenua, e non
aveva fatto
mistero di essersi innamorato di una donna mortale (giusto Xochipilli
aveva un
po’ frainteso la destinataria del suo amore). Ma senza amore
tra gli umani, la
giovane non avrebbe potuto ricambiare il sentimento del serpente
piumato. Fu
piuttosto semplice, a quel punto, fare due più due.
“Ti
chiederei chi sei tu per giudicarmi, ma sbaglierei
approccio” commentò ironicamente Quetzacoatl alla
divinità del giudizio.
“Come
ci si sente ad
essere responsabile di un disastro?”
“Anche
tu ti senti così quando accade un disastro,
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli?”
In quanto
divinità che aveva a cuore il benessere degli
umani, Quetzacoatl mal tollerava ciò che era per loro fonte
di disagio o peggio
e, per proprietà transitiva, mal giudicava chi ne era
responsabile, fosse esso
il fratello Tezcatlipoca, Itlazcoliuhqui-Ixquimilli, che era
divinità del
giudizio, ma anche del gelo e dei disastri, o qualche altra
divinità. Ma adesso
che era stato lui stesso responsabile di una tragedia – di
piccola entità,
avendo coinvolto un numero limitato di persone, ma per chi la viveva,
era
assoluta – si stava chiedendo per la prima volta se, in
realtà, a Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
quel ruolo gli stesse stretto. Lui era quello che era, talvolta non
c’era
possibilità di scelta.
Il dio dei
disastri rimase in silenzio per qualche momento.
Sembrava cercare con cura le parole.
“O ti
abitui o soccombi”.
“Dunque
è un bene che tu sia anche divinità del gelo: il
ghiaccio
è una buona corazza per il cuore”.
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
non replicò al commento. “Un conto
è curarsi degli umani, un conto è lasciarsi
coinvolgere. Non porta mai niente
di buono”.
Quetzacoatl
rimase in silenzio a guardare Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
che se ne andava via senza aggiungere altro, lasciandolo in compagnia
dei suoi
pensieri e del suo pentimento.