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Autore: ProudAndJoy    04/05/2020    3 recensioni
«Ti ho comprato questa» gli rivelò finalmente, porgendogli la camicia. «Puoi ringraziare la sottoscritta se non devi andare in giro nudo, o seminudo, come ora». Per un attimo le cadde l’occhio sui muscoli del petto o delle cosce, esaltati dal pantalone palesemente bagnato, e le parve perdere il filo del discorso. Si impose contegno. «Per cui ho pensato che un capo d’abbigliamento che non fossero gli stracci che indossi di solito sarebbe stato gradito».
Vegeta la fissò per qualche secondo, impassibile. «Hai pensato male» le rilevò, «io non indosserò mai quella roba da terrestre».
Breve slice of life precedente all'arrivo di Freezer, Mirai Trunks e Goku sulla Terra.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Gocce
 

 
Il rumore bianco del phon coprì la voce e la risatina di sua mamma, gioiosa e avvenente donna di mezz’età dai capelli biondo cotonato e intrecciati in uno chignon alto, dal quale cadevano sapientemente liberi dei riccioli. La ascoltava, ma con meno chiarezza e attenzione, lasciandosi cullare dal getto caldo dell’asciugacapelli e da qualche gocciolina di acqua che precipitava sulla sua pelle nuda, per poi scontrarsi con l’accappatoio che malamente celava il suo seno. Tastandoli ancora umidi dopo venti minuti, Bulma cominciò a maledire l’idea di averli fatti crescere: quasi un anno dopo Namecc, i capelli le avevano raggiunto velocemente le spalle, ma dovette ammettere a se stessa che il taglio sfoggiato alla ricerca delle sfere del drago namecciane deteneva le sue palesi comodità anche in tempi di pace.
- Forse dovrei fare la permanente. Ricci non li ho mai portati.
Pensò, a torto o a ragione, che i capelli ricci, soddisfatte le esigenze primarie di un buon diffusore e una costosa spuma, potessero essere più facilmente e velocemente gestibili dello strazio perenne di una piega, candidata a tortura di genere specie quando le temperature superavano, come in quei giorni, i venti gradi. Indossò rapidamente dei jeans e una magliettina azzurrina che accentuava i suoi colori naturali, lasciando però scoperta una fascia di pelle dell’addome. Si rimirò allo specchio, pensando, con una punta - neanche troppo esigua - di vanità, che le stava divinamente. Bulma non era mai stata insicura di se stessa: le piaceva piacere, le piaceva scorgere le occhiate degli uomini al suo passaggio, le piacevano i commenti impudichi sulle sue gambe, sul suo seno e sul suo sedere. Non aveva mai fatto mistero della sua femminilità vorticosa, scorgendone un perno intorno al quale roteare e mascherare magistralmente le sue fragilità, mostrando ai più la parte migliore di sé, la determinazione intrinseca, la contagiosa vitalità e l’irrefrenabile ricerca del mistero. Un animo avventuriero che trovava forma in una mente geniale, dall’intelligenza spiccata e fin troppo al di sopra dei comuni mortali, che le aveva permesso di ideare, progettare e creare, tra le più disparate invenzioni, il dragon radar. Sorrise, ripensando a come la sua vita, da quel giorno, fosse cambiata, scivolando lungo una traiettoria insidiosa, irta ma adrenalinica: la conoscenza di Goku, Yamcha, del Genio, delle arti marziali. Un mondo apparentemente lontano, ma intrecciato al suo, che aveva culminato con la scoperta di una nuova razza umanoide, spietata e guerriera, i saiyan, alla quale il suo amico d’infanzia apparteneva pur se a sua insaputa, sino al recente viaggio, a bordo di una navicella aliena, sul pianeta verdastro di Namecc, dove aveva scampato alla morte – pensò, sospirando, ma con un breve, seppur intenso, batticuore – più di una volta. Volse lo sguardo verso la camicia piegata sul suo letto, con accanto il sacchetto di un negozio d’abbagliamento dove l’aveva comprata. L’angolo della sua bocca si inarcò all’insù.
«Bulma, sei qui?»
Avvertì delle nocche sbattere sulla porta della sua stanza. Riconobbe la voce, e il flusso dei suoi pensieri scemò dissolvendosi bruscamente. Anche il battito tornò calmo.
«Sì, entra pure».
Le luci al tramonto delle finestre del corridoio illuminarono la figura del suo ex fidanzato, con le mani strette in un bouquet di rose rosse. Le sue preferite. Lo accolse con un ampio sorriso: Bulma era sinceramente felice fosse tornato in vita, ma – a differenza di come si sarebbe aspettata – la sua presenza non sembrava più emozionarla come al tempo dei loro primi, ingenui, maldestri, baci. Non sapeva se rivelarglielo o meno, perché probabilmente – aveva pensato – era soltanto una fase: ne capitano a tutte le coppie, e loro – o meglio – lui, le stava tentando tutte purché ritornassero ad esserlo.
«Sono davvero bellissime» disse, e lo erano davvero. Yamcha ricambiò il sorriso, arrossendo a vista.
«Come te, oggi» le confidò, porgendole i fiori, «quando vuoi, possiamo scendere».
Avevano un appuntamento, una cena galante in uno dei ristoranti più cari e celebri dell’intera Città dell’Ovest. Bulma lo frequentava spesso, avendo disponibilità economiche semi-illimitate, per cui sembrava che il giovane ne avesse approfittato per mirare dritto alle sue abitudini più consolidate e amate. Voleva giocare d’astuzia, dimostrandole che la conosceva bene, e che per questo erano fatti l’uno per l’altra. Eppure, la scienziata dovette costringersi all’entusiasmo.
«Do un’ultima aggiustata ai capelli e andiamo» gli rilevò, «aspettami pure in salotto».
Yamcha assentì, eccitato all’idea che la sua Bulma desiderasse farsi bella per lui, nonostante non ne avesse alcun bisogno; scese le scale quasi gongolando, dirigendosi verso il salotto. Lei, dal canto suo, lasciò andare i muscoli facciali sciogliendosi da quel sorriso un po’ forzato. Le restavano in mano le rose, che pose in un vaso trasparente, e mentre pettinava i capelli quasi asciutti ma ancora molto vaporosi, tornò a adocchiare la camicia sul letto. Non sapeva perché l’avesse comprata, le era sembrato, in quel momento, un gioco divertente. La sollevò, non riuscendo a trattenersi dal ridere, per cui portò una mano sulla bocca. Avvertì dei passi, leggeri seppur decisi, percorrere il corridoio sul quale dava la sua stanza da letto. Riconobbe il suo profilo e la sua andatura trafilarsi nel breve intermezzo della porta lasciata aperta da Yamcha. E il suo risolino venne smorzato, seppur senza rendersene conto, da un crollo repentino dell’aria inalata. Fu solo un attimo, e la figura scomparve oltre la soglia dell’infisso. Si scoprì indecisa se muovere un passo o meno.
«Vegeta, aspetta!» lo richiamò, destando la sua attenzione, inducendolo a fermarsi. Bulma coprì velocemente la distanza che la separava dalla porta, affacciandosi al saiyan, da solo nel corridoio, con indosso il pantalone di una tuta e a piedi scalzi. Sembrava sudato, forse bagnato: si era probabilmente allenato da qualche parte nell’oceano, in attesa che il padrone di casa, padre di lei, gli convertisse la navicella spaziale dedicata al viaggio su Namecc a una palestra multifunzione non dissimile da quella voluta da Goku un anno prima. Il saiyan non rispose, le regalò a stento un’occhiata bieca.
«Ma sei tutto bagnato! Dove sei stato?»
Ancora una volta mancò di replicare: sembrò piuttosto infastidirsi.
«Che vuoi, donna?»
Lei si indispettì. «Mi chiamo Bulma, è così difficile per te ricordarlo?»
Vegeta non mosse un muscolo. «La mia reticenza non sta nella difficoltà».
La giovane sospirò: quel saiyan era l’unica persona che avesse conosciuto con il quale non riusciva, in alcun modo, ad averla vinta verbalmente. Lo ospitava da quasi un anno ormai: in uno slancio di umanità, di curiosità e, sebbene odiasse ammetterlo, di incomprensibile fascinazione, lo aveva invitato, immediatamente dopo la sconfitta di quel tiranno di Freezer, a casa sua, tra gli occhi atterriti e preoccupati di tutti i suoi amici. Sapeva che era stremato dallo scontro su Namecc, ma non aveva ben compreso il reale motivo per cui si fosse lasciato trascinare da quella proposta: aveva pensato c’entrasse Goku, la sua recentissima trasformazione in super saiyan, e l’indomabile sete di vendetta e rancore che Vegeta si portava dietro come un mantello dai colori sgargianti. Il suo amico d’infanzia non era ancora tornato, aveva rivelato che l’avrebbe fatto a tempo debito, per cui era molto probabile che lui lo stesse ancora aspettando: eppure, tra i meandri di quello sguardo severo, truce, volontariamente minaccioso, Bulma aveva l’impressione di intravedere altro, seppur magistralmente celato. E mentre si perdeva nei suoi pensieri, lo vide incamminarsi nel corridoio.
«Ehi, aspetta!» lo richiamò, con tono leggermente più spazientito.
«Che-cosa-vuoi» sibilò lui, ormai del tutto infastidito.
Bulma ignorò la portata del suo atteggiamento, essendoci ormai abituata. A dirla tutta, avevano trascorso quell’anno, a parte i monosillabi che era riuscita a cavargli raramente da bocca, a battibeccare in quel modo, e la scienziata li considerava, segretamente, i momenti più divertenti e avvincenti delle sue giornate. Aveva smesso di avvertire paura nel vederlo passare, tra i corridoi della Capsule Corporation, quasi subito. Non sapeva perché né come: Vegeta esercitava terrore su chiunque incrociasse il suo sguardo, e lui ne era - oltre che soddisfatto - malvagiamente divertito; ma non su di lei, che senza un minimo di riserbo per la propria vita, aveva cominciato a punzecchiarlo, sino a trovarne giovamento. Era un gioco le cui vibrazioni teneva taciute ai più, vergognandosene quando ricordava che quel saiyan, quello che le stava davanti, aveva ucciso, seppur indirettamente, Yamcha e altri, non molto tempo prima.
«Ti ho comprato questa» gli rivelò finalmente, porgendogli la camicia. «Puoi ringraziare la sottoscritta se non devi andare in giro nudo, o seminudo, come ora». Per un attimo le cadde l’occhio sui muscoli del petto o delle cosce, esaltati dal pantalone palesemente bagnato, e le parve perdere il filo del discorso. Si impose contegno. «Per cui ho pensato che un capo d’abbigliamento che non fossero gli stracci che indossi di solito sarebbe stato gradito».
Vegeta la fissò per qualche secondo, impassibile. «Hai pensato male» le rilevò, «io non indosserò mai quella roba da terrestre».
Bulma parve restarci un po’ delusa, per cui decise di spiegazzarla dinanzi a lui, mostrandogliela. Era una camicia dal taglio classico, di colore bianco*, adornata da una scritta nera in stampatello. Bad man. Il saiyan virò velocemente gli occhi alla ragazza, pensando fosse impazzita. Nessuno avrebbe mai dovuto o potuto osare prenderlo in giro, tantomeno una terrestre dal tono petulante e fastidioso che lui avrebbe potuto disintegrare nel giro di un soffio di vento semplicemente alzando un dito.
Caricò la voce di atroce malizia, inarcando il labbro in un ghigno malefico.
«Non giocare con me, donna, posso fare molto male», e tornò sui suoi passi, distogliendo lo sguardo da lei e proseguendo sul suo cammino, verso la stanza che gli era stata assegnata un anno prima. Bulma, però, non si lasciò intimidire. Era intrattabile, egocentrico, maleducato, violento, sadico, presuntuoso e arrogante, ma sembrava anche essere l’unico a vivacizzare quella noia dilagante che era diventata la sua vita con nessun desiderio da esaudire, nessuna sfera del drago da cercare e nessun nemico da sconfiggere.
«Ho capito» disse ridacchiando, «te la lascio in camera».
 
Restò in corridoio a fissare la sua figura allontanarsi lentamente: le impronte dei suoi piedi avevano lasciato cadere qualche goccia d’acqua al pavimento, marchiandolo del suo passaggio. Bulma si imbambolò a guardarne le tracce, lievemente accaldata. Avvertì lungo la schiena farsi strada un’ulteriore goccia, residuo della doccia e dello shampoo di poco prima. Rabbrividì, pietrificandosi. Per un breve istante le parve sentire le sue dita sfiorarla. Strinse la camicia tra le mani.
- Oddio...
Pensò, muovendosi verso il salotto, avvertendo l’eccitazione che, gocciolando, si faceva spazio sui suoi slip.
 
 

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* So che la tanto discussa camicia con la scritta Badman è, nell’anime, di colore rosa (sulla quale gli animatori giapponesi, sadici, simpatici o forse di poco gusto, hanno pensato di girare il coltello nella piaga abbinandovi un pantalone giallo), ma nel manga è semplicemente bianca (e il pantalone nero). Oltretutto, come avrete notato, io seguo il manga anche per altri due fattori: Vegeta, in attesa che trascorra l’anno in vista dell’arrivo di Goku, non va via, ma resta alla CC e, ritornando alla camicia, la scena in cui Bulma gliela dà è totalmente filler, per cui mi sono presa la briga di immaginarla io.
 
 
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Un enorme saluto a tutti coloro che sono giunti sin qui a leggere. È la mia prima fanfiction nel fandom di Dragonball, ma ho sempre nutrito un profondo interesse per la coppia BulmaVegeta, pertanto mi sono finalmente decisa a scriverci su qualcosa. Ovviamente, siamo nel pre-androidi time, precisamente è quell’intramezzo in cui tutti aspettano Goku che, di lì a poco, arriverà con Mirai Trunks e Freezer. È anche per questo motivo che ho lasciato a Bulma i capelli lunghi lisci (poiché quando invoca Shenron per riportare in vita Yamcha e gli altri li ha proprio così).
Ho provato a immaginare i primissimi segnali dell’amore e attrazione che ha legato Bulma a un essere così distante e apparentemente malvagio.
Spero sia stata gradita e apprezzerò tantissimo chiunque vorrà lasciarmi un’opinione!
 
Al più presto.
 
 
 
 
   
   
 
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