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Autore: Cress Morlet    04/05/2020    13 recensioni
[Ben Solo/Rey] Post Episodio IX
Il suo cuore sarebbe stato cenere da masticare con patetica calma. Braci con cui macchiare le sue guance in segno di consumato lutto. Due linee nere sui suoi zigomi e dei rivoli più chiari giù sul suo mento. Una maschera forgiata sulla sua stessa pelle e che avrebbe indossato soltanto dinanzi ai volti immobili dei suoi silenziosi fantasmi.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Rey
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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OSReylo Un alito di vento caldo arrossava le sue guance scavate e scorticava le sue labbra secche. C’erano dei tagli sulla sua bocca e una cicatrice aperta sulla sua mandibola. Era lo spaventoso volto di una donna consumata dal dolore e dalla morte. Si era trasformata in una maschera crepata e rotta agli angoli.
Una parte della mia anima è morta da cinque mesi. Il mio corpo rispecchia soltanto la decomposizione della mia resistenza. Non c’è nessuna forza con me. Non esiste nulla di buono in me.
I soli di Tatooine continuavano ad essere inclementi nei suoi confronti. Il calore del pianeta disidratava la sua pelle increspandola e spaccandola in minuscole rughe raccapriccianti. Le sue mani e le sue braccia erano protette dalle bende, le sue ginocchia sbucciate erano strette da un panno sottile. Un basso gorgoglio mosse il suo stomaco che ebbe l’ardire di contrarsi su se stesso. Ma era vuoto il suo ventre – vuoto e abbandonato esattamente come lei.
Non riusciva a vedere Ben da dieci giorni.
Dieci interminabili giorni che si erano trasformati in acido versato sulla sua scarsa sanità mentale. Giocava su un equilibrio precario di fili bianchi e di spaghi taglienti in grado di spalancare i suoi nervi e di abbandonarli sulla sabbia seghettata. Il suo stomaco gorgogliò ancora e d’istinto le sue mani corsero ad abbracciare la sua pancia. Perché non c’era nessuno altro nell’universo che avrebbe potuto abbracciarla, consolarla, accarezzarle i capelli, baciarla, amarla. Lui non c’era più.
Ben, dove sei?
Un singhiozzo straziante strisciò dalle fondamenta del suo petto e le artigliò la gola. Rey lo ingurgitò con forza. Gli occhi erano lucidi e il suo respiro spezzato eppure non avrebbe pianto.
Che senso avrebbe avuto? Il suo cuore avrebbe comunque continuato a bruciare – una fiamma eterna di distruzione e di maledizione sibilata tra i denti.
Il suo cuore sarebbe stato cenere da masticare con patetica calma. Braci con cui macchiare le sue guance in segno di consumato lutto. Due linee nere sui suoi zigomi e dei rivoli più chiari giù sul suo mento. Una maschera forgiata sulla sua stessa pelle e che avrebbe indossato soltanto dinanzi ai volti immobili dei suoi silenziosi fantasmi.
Luke e Leia. Come avrebbero potuto consolarla?
C’era stato un tempo in cui Ben aveva indossato una maschera piena di crepe rosse. Lei aveva visto il suo tormento spandersi attraverso le cicatrici che si erano scambiati entrambi con inaudita ferocia e non era riuscita a placare la sua angoscia. Talmente tanto arroccata nella sua egoistica disperazione da non riuscire a comprendere la realtà – che erano uguali e che erano la stessa anima divisa in due involucri distinti.
Non erano mai riusciti ad abbandonarsi.
Sempre a ripercorrere il passato alla ricerca di un equilibrio che sarebbe stato incomprensibile alle altre persone.
Non erano mai stati davvero lontani. Percepirsi era stata la sua consolazione segreta nei sette mesi d’agonia in cui aveva alimentato odio e rancore.
Ben. Tu mi avevi abbandonata come i miei genitori. Ti ho odiato talmente tanto. E adesso mi hai lasciata per sempre.
Non era questo il suo destino? Un’eternità da vivere con una sola parte della sua anima. Mai completa. Costantemente rotta e sbagliata. Inadatta.
La sua non era vita.
Il suo corpo si ostinava a costringerla ogni mattina ad alzarsi dal letto. La sua mente si strappava in cento direzioni e si dimenava in mille urla agghiaccianti. Il suo spirito mormorava preghiere da postulante senza più speranze. Neppure il vento era in grado di ascoltare le sue lugubri litanie di giovane vedova abbandonata – soltanto il suo ventre appassito riusciva a percepire le sue domande sciocche.
Ben, dove sei?
Soltanto i granelli di sabbia ascoltavano il suo canto sommesso.
Ben, dove sei?
Rey strinse le palpebre e intravide meglio la sua nuova casa. Casa. In realtà non era casa. Era una costruzione isolata e lontana da tutti ed era l’esilio che aveva deciso di concedersi.
Un atto dal sapore di dolce acqua benedetta sparsa sul suo volto invecchiato – una fronte aggrottata dall’assillo dei suoi incubi e dei suoi ricordi crudeli.
Il dolore della morte di Ben seguiva l’ombra di ogni suo passo. La compagnia delle altre persone non era riuscita a migliorare il suo umore. Le parole dei suoi amici erano soltanto in grado di accrescere il suo disagio e la sua angoscia senza fine. Non aveva avuto altra scelta che accogliere la solitudine.
Ben, dove sei?
La casa era vuota. Gettò sul tavolo i pochi rottami che era stata in grado di trascinare e si diresse a passo lento verso la sua stanza. I muscoli delle sue braccia e delle sue gambe sembravano mangiati dall’inerzia e dalla disperazione.
Neanche Ben potrebbe dirmi che sono bella.
Ogni cosa di lei gridava rovina e disfacimento.
Ben, dove sei?
La sua domanda era un sussurro ciondolante nella sua mente e nel torpore dei suoi ragionamenti.
Un canto dei granelli di sabbia – erano sulla pelle del suo polpaccio e sulla curva della sua caviglia.
Passavano secondi e minuti e giorni. La sua unica preoccupazione non cambiava mai. Il suo tormento era sempre lo stesso.
Ben, dove sei?
La sua vista era ancora sfocata e tappezzata da piccole macchie di luce bianca. Si strinse la radice del naso e poi massaggiò le sue palpebre.
Posò una mano sul mobiletto vicino al suo letto e una sensazione antica la avvolse. Toccò il legno e trovò dei petali.
“Ben.”
Le sue dita strisciarono contro la superficie del mobile e percepirono la carezza di un fiore sulla sua pelle strappata. Talmente tanto disidratata che dei semplici petali riaprirono dei graffi e delle ferite superficiali. Strinse il gambo e avvicinò la corolla alle labbra.
“Perdonami, Rey.”
Non riuscì a voltarsi.
Percepì il suo corpo dietro la sua schiena e la sua mano grande e delicata persa tra i suoi capelli raccolti in una coda sfatta.
Non voleva guardarlo – non poteva assolutamente.
Non desiderava piangere.
Il suo cuore tremò violento in uno spasimo di sangue. Lei aspirò il profumo dei petali e le sembrò che il sonno avesse intorpidito l’articolarsi delle sue parole e del suo groviglio di pensieri.
“Mi stai punendo?”
Il fiore era bellissimo e toccava la sua bocca senza baciarla. Un’angosciosa elettricità percorse le sue vertebre e un acuto spasmo si intrecciò alle sue costole.
Ci siamo baciati una volta soltanto.
“Cosa?”
La voce di Ben era sofferente – una ferita riaperta dal fianco di una persona agonizzante.
Altro sangue. Sangue ovunque tra loro. Una piaga lasciata a marcire in un impasto di fango e sporcizia. Un rottame svuotato dallo scavare frenetico delle unghie e dei denti.
“Deve essere una punizione. È stato un castigo scegliere di farmi vivere e un castigo decidere di concedermi un briciolo di speranza soltanto pochi secondi. Così strapparmela via sarebbe stato più doloroso.”
Si accorse tardi del suono patetico e gracchiante delle sue corde vocali. Con una mano si aggrappava al mobile e con una strenua forza di volontà bloccava le sue stesse gambe. Non si sarebbe voltata verso di lui. Non avrebbe pianto stringendosi al suo petto.
Era troppo spaventata.
La sua testa aveva assunto le sembianze di una lastra di vetro spaccata in mille cocci che tagliavano il suo riflesso.
Senza nessuna pietà era destinata ad essere abbandonata – ancora e sempre e senza nessuna assoluzione.
Non riusciva a permettere che un altro pezzo della sua anima morisse.
“Vuoi che io non mi presenti più?”
Il suo cuore giaceva immobile sotto la sua lingua. Cosa avrebbe cantato domani? Cosa avrebbe cantato all’eternità?
“Vorrei che tu fossi sempre qui con me.”
Ben. Il suo nome era la sola preghiera possibile. Ben. L’unica parola che placava il caos. Ben. L’ultima speranza rimasta.
Le sue braccia le circondarono le spalle e a lei scivolò il fiore dalle dita.
“Tu non sei sola.”
Era una favola a cui la sua mente non credeva più. Ci aveva creduto un giorno soltanto. Poi mai più.
Un nodo spinoso di lacrime sciolse la sua bocca con lo scrosciare di bolle di sapone.
“Non è vero.”
Sentiva il solletico del suo respiro vicino al lobo del suo orecchio sinistro. Era impazzita.
“Ben. Mi sembra di vivere con il corpo strappato, con la mente spezzata. Non sono intera, non sono io, non sono viva.”
La mia anima è stata spezzata a metà. Non sarò mai più la stessa persona di prima. Costretta a vivere senza l’altra parte di me. Costretta ad esistere senza di te. Sono sola. Mi è stata strappata via ogni possibile speranza di ritornare ad essere una persona completa.
Le labbra di Ben erano sul suo collo. La sua carne sulla sua pelle e le sue mani sul suo cuore. Come se fosse tutto reale sul suo corpo come nella sua mente.
Ben intrecciò le loro braccia e poi le loro dita. Insieme.
“Guardami.”
“Non sei davvero qui.”
“Sono sempre qui con te. Sarò sempre insieme a te.”
Voglio di più. Voglio ogni cosa. Non puoi immaginare cosa sarei disposta a compiere purché tu sia qui con me. Purché tu sia sempre qui con me.
Era talmente tanto concentrata a non guardarlo che non si era accorta di non trattenere più le lacrime – poche strisce bianche a illuminarle il volto.
Sfiorò i pollici delle mani di Ben e poi non riuscì a fermarsi e accarezzò i suoi avambracci. Le sue grandi braccia erano strette intorno alla rovina del suo corpo senza procurarle dolore.
Ma potrebbe essere soltanto un’illusione. E così ti farà più male.
Osservò il fiore, abbassando le palpebre stanche. I petali viola erano freschi e bagnati di rugiada azzurrognola. Poteva scorgere un arcobaleno di colori.
“Non esistono questi fiori su Tatooine.”
Ben la abbracciò con più forza e annuì tra i suoi capelli – la fronte posata sul suo collo e le labbra sulla sua nuca.
La scarsa lucidità di Rey si tese verso degli strani pensieri inarticolati nella sua mente.
“Non è muschio e non ha i petali nella forma giusta. Non è un fiore di Tatooine.”
C’era un qualcosa che aveva riconosciuto in maniera intuitiva e che avrebbe voluto essere espressa in una forma coerente.
Lui sciolse l’abbraccio e si allontanò di pochi passi. Rey si stropicciò con forza il polso contro il viso così da cacciare le lacrime dalle sue guance. Osservò i petali stropicciarsi – morire – e un fremito di consapevolezza corse a corroderle l’addome.
“Ben.”
Si volse a guardarlo e la concretezza opaca della sua presenza sfaldò ogni suo proposito. Il suo sorriso era tremendamente bello. Una maledizione con cui aveva soggiogato i brandelli del suo cuore. Una lama dimenticata tra le pieghe del suo corpo e un miracolo ineguagliabile. Non aveva mai smesso di sognarlo e di agognarlo. Era rimasta impigliata nella ragnatela sbocciata sulle sue guance.
Non avrebbe mai potuto innamorarsi di nessun altro.
“Sarò sempre insieme a te.”
Anche il suo corpo non aveva consistenza.
“Dove sei?”
Nulla aveva più valore.
“Tornerò da te, tesoro. Te lo prometto.”


Si svegliò. Raggomitolata sul suo giaciglio e con dei grumi tra le ciglia. Tese una mano verso il suo cuscino cosparso di granelli di sabbia e si aggrappò al vuoto e al nulla e ad un fiore. Dei petali erano caduti e altri erano consumati dalle sue lacrime. Viola e con delle vene blu scuro.
Era un sogno? Sto impazzendo? La mia testa non mi ascolta più.
Non sono riuscita a dirgli che lo amo.
Strinse il gambo e un ricordo apparve sulla superficie della sua coscienza. Dove aveva visto un fiore simile?
Vita. Morte e putrefazione. Che nutre nuova vita. Calore. Freddo. Pace. Violenza.
Concedersi di sperare era una follia.
E il fiore era vero?
Quel luogo cercava di farmi vedere qualcosa.
I petali si sbriciolarono tra le sue dita.
Qualcosa di cui tu hai bisogno.
Era rimasto soltanto il gambo e una corolla vuota sul suo palmo aperto.
Io sarò sempre insieme a te.
Sapeva dove andare.
Tornerò da te, tesoro.
Sapeva dove cercare.
Te lo prometto.




Angolo autrice.
May the 4th be with you!
Spero la storia sia stata – anche minimamente – di vostro gradimento. Avrei voluto scrivere un lieto fine o qualcosa di più felice ma preferisco lasciare il testo alla vostra interpretazione. Penso di aver lasciato qualche breccia di speranza, a voi l’ultima parola. Lo so che è un delirio dall’inizio alla fine. Ma era un delirio che mi serviva e che ieri sera mi ha aiutata tantissimo in un momento difficoltoso. Per qualsiasi chiarimento sono disponibile e spero – again – che la storia possa avervi generato emozioni e che non sia una totale schifezza. Con Ben e Rey c’è sempre il mio cuore e mi dispiacerebbe avervi fatto perdere tempo con una storia non degna di loro.
   
 
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