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Autore: Xay    04/05/2020    1 recensioni
Tratto dalla prefazione: "..Cala il silenzio, e il rumore della ghiaia sotto le nostre infradito bagnate accompagna il suo respirare faticosamente, quando si arrabbia ed è con me cerca sempre di calmarsi, non vuole trasformarsi e lasciarmi da sola, è sempre stato il più protettivo nei miei confronti, dopotutto avevamo sono undici anni quando mio padre e mia madre sono morti, lasciandomi a zio Billy e Harry, zia Sue e nonno Quil, che non sono altro che amici d’infanzia, ma nonostante ciò mi hanno allevata come una figlia biologica..."
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Quileute
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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cap2

Nota:     Eccomi qui, come promesso. Il prossimo capitolo sarà
leggermente più lungo e sarà l'ultimo.Ringrazio le persone che
stanno dando una chance alla me di 15 anni e a quella presente 
che sta cercando di mettere un punto.

Capitolo 41

Come la decima per Beethoven

Day4
Dopo quello che mi sembra appena qualche attimo di sonno tranquillo apro gli occhi e non mi sconvolgo nel percepire quanto la poca luce che filtra dalla finestra li ferisca, ruoto la testa e goffamente allungo un braccio per sbloccare il cellulare e controllare l'ora. La faccia dormiente di Embry mi risulta d'intralcio, sbuffo seccata dall'impossibilità di raggiungere l'apparecchio, che rimane una mia priorità giusto il tempo di assimilare che quella faccia profondamente addormentata si trova proprio nel mio letto sfatto ed è attaccata ad un corpo febbricitante e scarsamente vestito.
Cazzo.
Cerco di mantenere la calma perché - guardiamo in faccia la realtà -a conti fatti quando Embry è mai stato completamente vestito? Dopo essermi convinta che la quasi nudità del ragazzo non rappresenta un elemento sufficiente per determinare il livello di criticità della situazione mi limito a tastarmi il corpo, sospirando sollevata quando percepisco addosso il tessuto dei miei vestiti del giorno prima. Oltre lo straziante momento con Jacob e quel flirt strampalato ed enigmatico con Edward espletare i miei bisogni sessuali con Embry sarebbe stato il fattore decisivo a testimonianza della mia “stronzaggine” e insanità mentale.
Scommetto che dopo questa settimana schifosa sarò costretta a tornare dall'analista.
Scongiurato l'attacco di panico decido di volere delle risposte, quindi tento di svegliare il rovente addormentato scuotendolo progressivamente sempre più forte.
«Meg, se non la smetti ti spezzo il braccio.» gracchia. Trattengo un urlo e decido di spingerlo giù dal letto facendo forza sui piedi, lui preso alla sprovvista cade sul parquet con un tonfo sordo e un lamento arreso.
«Cosa ci fai nel mio letto, Embry?» scandisco bene ogni parola, come stessi parlando con nonno Quil, lui decide di mettersi seduto e poggia il mento sul materasso, stringendo gli occhi bruni, alla ricerca di un motivo che giustifichi la sua presenza nella mia stanza, a quanto pare senza particolare successo.
«Io mi ricordo solo il rum» un sorrisino ammiccante si disegna sul suo viso «tanto rum» ripete.
Assottiglio le labbra, inorridita «Oh no, non il rum. Tira fuori il peggio di me quella merda.»
«
Puoi scommetterci, bimba. Hai fatto veramente... beh... non ricordo, ma qualcosa è successo.» mugugna, si gratta la testa e di nuovo quell'espressione di sforzo mentale si dipinge sulla sua faccia, «Credo c'entrasse Nessie.» lo dice alzandosi in piedi e stiracchiandosi. A quella mezza frase mi sento venir meno, crollo sul cuscino e chiudo gli occhi colta dalle vertigini. Non posso evitare ciò che è successo, prima o poi dovrò uscire dalla stanza e affrontare l'accaduto, accettarne le conseguenze. Il peso della responsabilità e dei miei anni mi costringe ad alzarmi, lavarmi velocemente la faccia e mettere una vecchia felpa dentro cui nascondermi, alzo il cappuccio come unica barriera tra me e la fastidiosa percezione del mondo esterno che solo la sbornia può donarti, a questo punto non mi resta che uscire e apprendere di quale morte sarei dovuta morire. Dico ad Embry di rimettersi a dormire, che gli avrei portato un caffè appena possibile. Non voglio un pubblico mentre Zio Billy mi sgrida come quando da adolescente non riuscivo a tenere a freno la lingua e il sol pensiero di potergli dare un tale dispiacere mi provoca delle fitte intense allo stomaco.
O forse devo semplicemente vomitare.
In cucina trovo Jacob, appena metto piede nella stanza mi pento amaramente di non essermi portata dietro Embry. Il suo sguardo si alza su di me e capisco che di lì a poco avrà luogo una di quelle belle conversazioni/litigate che caratterizzavano il nostro rapporto. Lo accetto riluttante e mi siedo esattamente di fronte a lui, sprofondo il più possibile dentro la grande felpa grigia e mi verso un caffè sperando che il liquido scuro e fumante mi dia la forza di affrontarlo. Lui continua a starsene sulle sue mentre io prendo un sorso dalla tazza, squadrandolo come di consueto. Credo di non averlo mai visto senza quel ridicolo cappello indosso da quando sono tornata, chissà cosa nasconde là sotto. Oggi porta una camicia di flanella a quadri, aperta su una semplice t-shirt bianca attillata. Sicuramente più nelle sue corde, anche se il semplice fatto di avere più di uno strato di vestiti mi sembra alquanto strano.
Sente forse freddo? Chissà se si trasforma ancora, se fa ancora parte del branco.
Quando comprendo di dover essere io a rompere il silenzio faccio mente locale e dico le prime parole che mi ronzano in testa.
«Cosa ho fatto ieri sera?» pensavo di aver chiamato a raccolta ogni briciolo di sicurezza e spavalderia che possiedo nel dire quelle parole, ma il suono della mia voce risulta comunque intimidito.
La reazione di Jacob mi spaventa, perché all'improvviso si alza tanto velocemente da creare un fastidioso trambusto e sbraita: «Santo cielo, Meg! Questo ti hanno insegnato a Londra? Ad ubriacarti tanto da non reggerti in piedi? Guarda come ti sei ridotta!» Ignoro la sua ramanzina paterna e fuori luogo, battendo sul punto della questione.
«Cosa ho fatto?» Sembra capire che non sono disposta a mettere sul banco d’accusa il mio grado di lucidità della sera prima e tenta di ridimensionarsi, tornando a sedersi mentre lo osservo di sbieco.
«Eri ubriaca, ti stavi divertendo ma ero preoccupato, okay? Volevo portarti a casa, ho dovuto prenderti in braccio, portarti via di peso. Nes mi ha fatto una scenata ... e tu gli hai vomitato sulle scarpe mentre litigavamo.» provo con tutta me stessa a non ridere e mordicchiando uno dei cordoncini che penzolano dal cappuccio aspetto che il silenzio si allunghi, sperando non aggiunga altro, dopo dieci secondi capisco di poter tirare un grande respiro di sollievo.
«Oh, bene! Ma allora perché siamo tutti così incazzati? E perché c’è Embry nella mia stanza?» Dallo sguardo stralunato che mi riserva non capisco se ho sbagliato ad aver minimizzato la lite tra quasi-neo-sposini o a parlare del ragazzo tra le mie lenzuola, firmandone la condanna a morte. «Maggie, perché stai rendendo tutto così difficile?»
Okay, giuro che adesso lo ammazzo.
E invece no, respiro appieno per evitare di saltargli al collo e guardo il caffè, provando a distendere i nervi percorro il bordo della tazza con le dita e decido di chiarire una volta per tutte la situazione, di stabilire delle linee guida che evitassero esaurimenti nervosi durante la mia permanenza.
Perché, veramente, non voglio tornare dall'analista.
«Non mi importa.» No, non è un buon inizio.
Prendo un respiro e riprovo «Di te e Nessie, non mi importa. Converrai con me che da quando quella fottuta partecipazione di nozze è finita nella mia buca lettere io mi trovi in una grandissima situazione di merda, sto cercando di fare del mio meglio! E né quelle stronzate maliconiche a First Beach, né la passivo-aggressività della tua ragazza mi stanno aiutando e ci sono un mucchio di altre cose che mi fanno sentire come se stessi correndo una maratona. >> chiaro, conciso.
«Non stai bene.» sbotta.
«Come scusa?» mi massaggio la testa e torno a guardarlo, confusa.
«Non puoi stare bene, io sto cadendo a pezzi da quando sei tornata.» non oso proferir parola, mi perdo nel suo sguardo denso di tristezza e lo guardo strofinarsi il viso con le mani, grattarsi la fronte corrugata.
«Renesmee ha avuto una strana reazione ieri, lo so, mi dispiace. Il fatto è che da quando sei tornata sono assente nei preparativi e in... tutto il resto», quella pausa piena di significato mi provoca un conato, ma tento di ignorarlo, « e lei sa - io so - che in un certo senso c’entri tu.» i suoi occhi languidi addosso e il fatto che si è alla fine tolto quel fottuto cappello dalla testa peggiorano la mia situazione cardiaca e so di dover fare qualcosa. Porta i capelli corti, ma non come immaginavo, è un taglio curato, da adulto, niente a che vedere con quell'accorciatura che di tanto in tanto subiva la sua lunga chioma corvina. La tentazione di accarezzarlo la reprimo stringendo il pugno e non so se mi rivolgo a me o a lui quando esplodo in un: «no, cazzo.» non è più il mio Jake, quest'uomo distrutto davanti ai miei occhi.
Gli assomiglia parecchio, ma il passato non dovrebbe mai inficiare la vita di qualcuno fino a tal punto, in una circostanza così delicata soprattutto. Lui non è più il mio Jake, io non sono più la sua Meg.
Con questa consapevolezza apro di nuovo bocca: «Jay, non sono più una che deve essere salvata, protetta e supervisionata. Odieresti la persona che sono diventata e tu... tu adesso indossi i golfini, Cristo Santo! Quello che voglio dire è che bisogna smetterla di pensare a legami iperuranici del cazzo e altre fottutissime porcherie simili a incatenarci l'uno all'altro per l'eternità! Non sono più affar tuo, non in quel senso. L'unico motivo per cui senti queste cose è perché siamo stati il primo vero amore l'uno dell'altro, avrai sempre un posto nel mio cuore ma ora basta, sarebbe una stronzata immane mandare tutto a puttane perché ti senti in colpa nei miei confronti, sei solo un coglione che se la sta facendo sotto.» quando finisco di parlare mi accorgo della smorfia indecifrabile che gli deforma il volto. Ho vomitato il mio discorso talmente tanto di getto da non ricordarmi neanche più davvero ogni parte e quel silenzio mi preoccupa alquanto. Per fortuna dopo qualche minuto eterno solleva un angolo della bocca, divertito.
«Sei stata molto volgare» dice, mi prende per mano e sento che probabilmente ho detto quello di cui aveva bisogno perché la sua fronte è distesa, i suoi occhi più limpidi.
«Colpa dei residui del rum» scherzo, prendo una grande sorsata dalla tazza, fino a vuotarla completamente, mi alzo dal tavolo e realizzo che Edward aveva ragione, aveva sempre avuto ragione:
devo fare i conti con tutti, chiudere ogni questione irrisolta abbia con loro, il momento è arrivato.
«Tu la ami, lo so e sono qui perché voglio vederti felice. Io voglio che tu sia felice.» il mio obiettivo è lo stesso fin da quando ho preso quell'aereo, è giunta l'ora di lasciarli andare; non è un rassegnarsi, bensì un accettare con serenità e positivamente le direzioni che ognuno di noi ha preso mentre il tempo passava. Tutti loro sono in un modo o nell'altro riusciti senza volerlo a ferirmi parecchio, fino alla parte più intima di me; ciò è successo esclusivamente perché io li adoravo a tal punto da far diventare marginale qualunque altra faccenda o entità non li riguardasse direttamente, li amavo più di quanto avessi mai amato me stessa.
Oggi è diverso, ho imparato a volermi bene e sono abbastanza forte da andare avanti, ma per riuscirci completamente devo riappacificarmi e accettare la piccola Megan diciassettenne e fragile, fatta a pezzetti e sparsa nelle persone di questo posto. «Adesso andiamo, dobbiamo buttare giù dal letto Embry e precipitarci da Nessie. Le devo delle scuse e mi offrirò di ricomprarle delle scarpe che non posso permettermi».


Day5
Ho passato il periodo immediatamente seguente la discussione e tutto il tempo appresso a cercare di capire come poter tornare a Londra con un bagaglio emotivo più piccolo. Ho accettato la fine della mia storia con Jacob, ho parlato con Renesmee, precisandole che non ho alcuna intensione di rubarle il marito e che niente che mi riguardi potrà in nessun caso ostacolare la loro vita, almeno da questo istante in avanti. Per fortuna ha rifiutato la mia offerta di ripagarle le scarpe. Ho cercato di farmi perdonare da Rachel per non essermi presentata al suo stupido matrimonio - utilizzando i soldi risparmiati con Nessie - regalandole un servizio da tè che Esme mi ha aiutato a scegliere; ho perdonato Paul, Sam e gli altri membri del branco per essere quello che sono, non che sia una colpa, più semplicemente credo di averlo accettato, in ogni sfumatura, anche la più inumana come l'imprinting che li lega, lo stesso imprinting che tra altre cose è causa della morte di Leah. Ho accettato anche lei e sue decisioni: il fatto che non sia mai riuscita a trovare la forza che ha dato a me convincendomi ad andare via, che abbia deciso di farla finita, la perdono per non aver pensato che io avrei potuto e voluto aiutarla; accetto e comprendo la decisione dei miei genitori e quella di chiunque altro abbia mai avuto un segreto con me con l'esclusivo fine di proteggermi; accetto il fatto che la mia vita non sarà mai normale fin quando ci saranno loro, tuttavia so bene di non poterne più fare parte come prima e ho accettato anche questo. Da questo recinto fatto di perdono, accettazione e altre banalità del tipo ho intenzionalmente lasciato all'esterno Edward: non so cosa ci lega, mi fa paura pensarlo, mi ha sempre fatto paura aprire quella porta e lui non è mai stato da meno. La sua vita matrimoniale non è tutta rosa e fiori come chiunque conosca Edward e Bella ha ragione di pensare, non riesco ancora a capacitarmene. Forse dovrei semplicemente accettare il fatto che non tutto si può risolvere, che ci sarà sempre qualcosa che rappresenterà l'opera incompiuta, una cosa finita ma a metà, una melodia che esisterà solamente in potenza. Indubbiamente la mia maturità è schizzata alle stelle in quarantotto ore, la mia comprensione e benevolenza si sono ammorbidite come un paio di scarpe usate e credo di essere addirittura riuscita a tornare ad un livello passabile di parolacce. Per questi motivi, oltre il fatto che rappresenta di per sé una barzelletta fatta e finita, ho le mie legittime ragioni nell'adirarmi quando Alice decide che durante il matrimonio dovrò subentrare ad una delle bambinette lancia-petali che si è rotta la tibia durante una corsa in bicicletta.
«Alice, spero tu stia scherzando!» balbetto, agitando il cestino di vimini che mi ha mollato in mano comunicandomi la lieta notizia. « Ti prego, non farmi essere parte attiva al matrimonio del mio ex ragazzo quasi fratellastro. Sarebbe davvero deprimente!»
Lo sguardo che mi rivolge è carico di comprensione, ciò che esce dalla sua bocca no : «lo faccio per te e tutti i tuoi passi di accettazione e perdono da tossicodipendente. E poi pensa a Renesmee! Quale cosa migliore dice ad una donna “prendilo, è tuo!” Della sua ex che le prepara letteralmente il terreno?»
Alzo gli occhi al cielo e accetto di buon grado il braccio rasserenante di Jasper sopra le spalle, lo guardo e dalla sua faccia capisco che non potrò vincere, non questa battaglia.
«Jazz, dovrai aiutarmi almeno tu oppure ricorrerò allo Xanax.» lo imploro, riferendomi al suo dono di controllare l’umore, lui si segna una croce sul petto e annuisce. Nel preciso istante in cui lo fa Alice comincia a saltellare dicendo di aver salvato le nozze.
Io credo di essere il ritratto della rassegnazione e dell'indolenza, prendo la tazza di cioccolata calda consolatoria che mi offre Carlisle con una mano, con l’altra gli sfilo dal taschino della polo bianca il pacchetto di sigarette che mi ha reiteratamente confiscato durante la mia permanenza in casa Cullen.
«Quelle cose ti uccideranno» mi dice con fare giudicante, il medico che è in lui esce fuori. Lo guardo esasperata esclamando non so che sul fatto che probabilmente mi avrebbe uccisa prima Alice o la vergogna a cui sarei stata sottoposta e vado in direzione del patio con l’intento di intossicarmi per bene i polmoni e accettare anche questo conclusivo sommo gesto d’amore verso questa imponente massa di – diciamolo pure senza alcun filtro – irriconoscenti bastardi. Aprendo la portafinestra scorgo all'aperto la zazzera rossiccia di Edward, ci guardiamo per un secondo e in seguito sparisce.
Edward per me sarà come la decima per Beethoven?
Mentre mi perdo tra le spirali di fumo bofonchio tra me e me , dandomi della sciocca per essermi paragonata perfino a Beethoven.
Un altro individuo era stato lasciato fuori dalla mia rotazione : Bella. Questo mancato confronto probabilmente si potrebbe considerare una immediata conseguenza del non voler aprire quel cassetto nella mia mente con sopra il nome di Edward, eppure sarebbe erroneo indicarla come ragione dal momento che più candidamente non ho avuto necessità di pensarci perché credo mi stia evitando come la peste, lo ha fatto per tutta la settimana. Una parte di me ne è sollevata, sarebbe inutile provare a negarlo; sta facendo ad entrambe un grandissimo favore, ma non potremo scappare in eterno: so di doverla vedere alle nozze, mi sono rassegnata al fatto che una madre sia presente al matrimonio della figlia nella stragrande maggioranza dei casi. Nessuno mi ha tuttavia ricordato che la sera prima usualmente si organizza una la cena di prova.
Nessuno si era annotato di accennarmene, nemmeno una volta.
Quindi attualmente mi ritrovo a sudare cercando di tirare su la cerniera di un vestito nero e troppo attillato mentre il mio cervello cerca di far pace con l’idea che il plotone di esecuzione al completo sarà riunito e pronto a far fuoco con più di un paio di ore d’anticipo rispetto a ciò che mi ero abituata a pensare.
Ci saranno migliaia di persone a guardarmi con pietà a causa degli sposi.
E ci sarà Bella, con Edward chiaramente.

Nel momento in cui la zip arriva ad un punto - tra le mie scapole - in cui mi risulta impossibile anche solo sfiorarla reprimo un urlo a labbra strette e sento un coro angelico mentre la porta si accosta subito dopo, lasciando sbucare il viso di Emmett.
«Una parte di me vorrebbe chiederti cosa cavolo ci fai qui, ma ti devo supplicare di aiutarmi!» prima che finisca la frase il vampiro è già al mio fianco e la mia chiusura lampo è già al suo posto alla base della nuca. Sospiro soddisfatta e lo guardo grata, mi allungo verso i grandi orecchini d’oro e perle - uno dei pochi ricordi che ho della mamma - e li indosso con calma.
«Sei meravigliosa» mi dice, nei suoi occhi da eterno diciottenne leggo la fierezza di un padre, la malinconia di un vecchio amico, l’affetto di un fratello.
«Anche tu non sei niente male» gli rispondo, con un sorriso ampio e sincero «sai, faccio finta di niente ma mi sento ancora così in imbarazzo qui tra di voi.» si chiude nelle spalle il dolce Emmett, mi guarda comprensivo dalla superficie riflettente e afferra il braccialetto che sto cercando di agganciare al polso per facilitarmi.«Sarebbe strano il contrario, io credo. Sono venuto per garantire che facciate in tempo, per scappare dall'eccitazione di casa Cullen e per te, soprattutto. Per assicurarmi che stessi bene e prepararti»
«Prepararmi» ripeto e ho capito, un misto di inquietudine ed esaltazione mi monta all'interno dello stomaco. Mi sento talmente confusa che mi gira la testa. La specchiera mi rispedisce indietro un'espressione che speravo di non dover più incontrare sul mio volto.
«Stasera l’atmosfera sarà tesa, bisognerà non innescare strane dinamiche e andrà tutto bene» quel ragionamento mi pesa come un macigno e decido di cercare in lui le risposte a quei quesiti che molto disperatamente ho tentanto di non elaborare neanche dentro la mia testa.
«Emmett che accade tra Edward e Bella?» Lo sguardo che mi riserva mi fa comprendere che attendeva che lo chiedessi e contrariamente a quello che pensavo non ho bisogno di forzarlo. Si siede sulla sponda del letto e comincia a parlare:
«Hanno cominciato ad avere dei problemi quando hanno capito quanto celermente crescesse Renesmee, andava sempre peggio, sarò sincero, ma in seguito al suo fidanzamento con Jake la situazione è diventata drammatica. Il problema sta nel fatto che la ragazzina dovrebbe avere circa 11 anni adesso e invece sembra una ventenne e domani si sposerà. Bella è frustrata e sente che gli è stato strappata via la possibilità che aveva di essere madre. In breve, ha bisogno di aiuto e lo rifiuta, rimane chiusa in se stessa, Edward ne soffre e... e poi ci sei tu.» il suo sguardo si solleva dalle sue mani e mi trafigge, illeggibile.
«Io?» balbetto, mi giro confusa in cerca delle scarpe, colta dal bisogno frenetico di fare qualcosa per evitare di crollare in uno stato catatonico. Lui afferra la situazione e mi raggiunge, mi acciuffa le mani e sorride a metà.
«Dai Meg, Edward ti adora e adesso a tutti appare evidente quanto anche tu...»lo fermo, scuotendo vigorosamente la testa e accennando un risolino esiguamente convinto.
«Edward è un amico» lo asserisco come se fosse la cosa più ovvia del mondo, come se sinora si fossero dette soltanto eresie, come se le parole non avessero avuto alcun significato alle mie orecchie.
«Ci sei andata a letto» quello che mi sconcerta, oltre la mancanza di sensibilità, è il fatto che abbia usato il mio identico tono ovvio.
«EMMETT!» mi libero dalla sua presa, scioccata e mortificata, riprendendo a cercare le scarpe. Questa volta non prova a bloccarmi, sospira e basta, guardandomi rassegnato mentre sprofondo nella mia irrequietudine girando a vuoto.
«Maggie, ti imploro» biascica, sollevando gli occhi al soffitto allora mi fermo senza guardarlo in viso.
«Lo sanno tutti» sussurro, e non so se la mia sia una domanda o un'affermazione. So che non mi sono mai vergognata tanto nella mia vita per le azioni che ho compiuto, come se mi stessi rendendo conto della situazione solo adesso che la bolla di riserbo tra Edward e me è esplosa.
«Non che io sappia» dice, tranquillo, poi osa una risata «Io stesso non ho mai avuto una conferma prima di... be', proprio ora» lo guardo truce, presumibilmente gli lancerei un cazzotto se non sapessi quanto sarebbe inutile e controproducente. Sarebbe meglio prendersi a schiaffi da sola.
«Stai distante da Ed per stasera.» è un bisbiglio, una supplica.
Mi guardo per l'ennesima volta allo specchio e allungo la mano per prendere il mascara, ma non lo uso, lo tengo semplicemente chiuso in un pugno. I miei occhi sono lucidi e penso che a breve piangerò, per cui metterlo sarebbe inutile.
«Non immaginavo potesse essere così difficile.» balbetto appena, maledicendomi ancota per essere tornata, per aver pensato per un attimo di poter ricavare qualcosa di buono da questo terribile viaggio.
«Anche noi abbiamo bisogno di chiudere i conti con tutto quello che concernere te e quegli anni del cazzo.»
Se potesse piangere adesso piangerebbe con me.
Lo penso mentre mi lascio andare a qualche lacrima e lo sento stringermi fraterno, scoccandomi un bacio sulla tempia mentre un'angelica Rosalie accosta la porta e con un sorriso triste, quasi avesse paura di rompere il nostro momento, dice con un filo di voce:
«Ora andiamo o faremo tardi.»

  
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