Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    12/05/2020    0 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quinto
 

Le strade erano ancora brulicanti di infermieri e soldati che si adoperavano per ripulirle da corpi e macerie. Anche i cadetti avevano dato una mano nei giorni passati, ma quel lavoro sembrava non finire mai. La cosa peggiore era non riuscire a identificare i corpi e poi, la sera, tentare di lavar via la nausea con acqua e sensi di colpa. Quella mattina erano stati tutti richiamati dai piani alti con urgenza, ma nessuno ne seppe il motivo finché non vennero fatti riunire in una vecchia stanza nei sotterranei, non usata più da nessuno: qualcuno aveva ucciso dei giganti che erano stati catturati vivi, spento la piccola vittoria riportata dopo gli enormi sacrifici dell’ultima battaglia. Si vociferava che la caposquadra Hange Zoe non dormisse da tre giorni e tre notti per effettuare esperimenti inquietanti: sicuramente ora si stava strappando i capelli dalla disperazione. Chiunque era un sospettato a quel punto e un paio di soldati del corpo di gendarmeria stavano sfilando tra di loro interrogandoli sull’uso delle loro lame e dei rampini uncinati. Tallulah si sforzò di non storcere il naso per la puzza di umido che aleggiava tra quelle mura grigie e fissò la sua attrezzatura sistemata sul tavolo di fronte a sé, come quella di tutti gli altri. Il borbottio sussurrato che captava ogni tanto intorno a lei era segno che ai suoi compagni non stesse andando molto a genio quell’indagine. Sbirciò alla sua sinistra, qualche tavolo più in là, il caschetto biondo di Armin: sembrava tranquillo mentre parlava con Annie, chissà di cosa. A lei non era mai piaciuta quella ragazza dall’aria altezzosa e distaccata e probabilmente la cosa era reciproca dato che non si scambiavano mai una parola.
Di che diavolo staranno parlando?
Si mordicchiò il labbro sovrappensiero e la realtà sfumò mentre ricordava gli occhi bassi di Armin l’altra sera, dopo il bacio che le aveva rubato. Ancora non aveva capito se si sentisse più imbarazzata, dispiaciuta o arrabbiata, forse dipendeva dai momenti. Era cambiato tutto, la loro amicizia non sarebbe più stata la stessa e non riusciva a non dargliene la colpa. Allo stesso tempo, incomprensibilmente, si sentiva più vicina a lui di quanto fosse mai stata.
«Potete andare, qui abbiamo finito. Non abbiamo rilevato nessuna attività sospetta» disse la ragazza dal caschetto nero, finendo di scrivere qualcosa sui documenti che teneva tra le mani. Si scambiò un cenno con il suo collega e Tallulah li guardò andare via: sembravano gentili e sereni, concentrati unicamente sul lavoro e gli ordini da eseguire. Una come lei non sarebbe mai potuta entrare tra quei ranghi prestigiosi, distratta e maldestra com’era. No, una come lei, che aveva visto la morte in faccia, non avrebbe mai vissuto in pace con sé stessa protetta dalle vite di migliaia di altri soldati. Quella sera tutti i cadetti avrebbero fatto la loro scelta, segnato il loro destino e iniziato una nuova vita. Lei aveva già preso la sua decisione, eppure a quel pensiero si sentì tremare lo stomaco: entrare nella legione esplorativa significava vivere in un inferno perpetuo.
Il viso di Levi prese campo nella sua mente.
E tu, hai mai avuto dubbi?
«Tallulah, andiamo?». Christa le posò una mano sulla spalla riscuotendola dai suoi soliti viaggi mentali. Si affrettò ad annuire e seguirla fuori insieme agli altri.
 
Quel pomeriggio erano stati esonerati da ogni attività.. A Tallulah sembrava solo un altro modo per prendersi gioco di loro: non capitava un momento libero da moltissimo tempo, eppure eccolo, proprio nel momento meno opportuno, in cui tutti cercavano qualcosa con cui tenersi impegnati. Sembravano fantasmi che si aggiravano sul campo brullo, dove di lì a poco si sarebbe tenuta la presentazione delle tre legioni: solo un enorme palco troneggiava al centro di quello spiazzo.
«Perché mi segui?» le chiese bruscamente Jean, rifacendo per la quinta volta il giro del campo.
«Non ti sto seguendo. Ti sto tenendo compagnia» ribatté Tallulah di riflesso.
«Nessuno ti ha chiesto niente»
Tallulah sospirò: voleva cercare di distrarlo e di distrarre sé stessa da quell’ammasso di paura ed ansia che le attanagliava lo stomaco.
«Armin mi ha baciata» si ritrovò a confessare, prima che la sua parte razionale potesse fermarla. Jean si arrestò e la guardò sconvolto: aveva fatto centro, ma non sapeva se le conveniva più affrontare quell’argomento o i titani stessi. Però doveva dirlo a qualcuno; di solito era proprio Armin il suo confidente.
«Armin- COSA?» le domandò, ottenendo un sshuushhh dall’amica. La vide lanciarsi occhiate alle spalle, preoccupata se il biondino avesse sentito qualcosa; i loro compagni erano poggiati al muro, una decina di metri più in là. Perché aveva scelto proprio Jean
«Era ora» disse Jean, abbassando la voce e Tallulah aggrottò le sopracciglia.
«Sei serio? La nostra amicizia è rovinata»
«Perché? Avete la fortuna di stare assieme, non si sa per quanto. Dovreste godervela»
«Tu sei matto. Io ed Armin siamo come fratelli»
«Matta sarai tu. Scommetto che quel bacio ti è piaciuto» ghignò Jean e Tallulah incrociò le braccia.
«Non avevo mai baciato nessuno, come faccio a saperlo?» ribatté sulla difensiva.
«Se ti baciassi io ti piacerebbe?»
«Eugh». Tallulah gli lanciò una smorfia disgustata «Non provarci»
«Ehi! Saresti una ragazza fortunata se lo facessi» borbottò «Con Armin hai fatto così?».
A questo la ragazza non riuscì a rispondere e si sentì avvampare.
«Da quando ne sai così tanto?» mormorò acidamente, sperando che Jean non si accorgesse del suo imbarazzo.
«Ti ricordo che mi hai chiesto aiuto tu» rispose ghignando. Lei sbuffò, aggiustandosi l’elastico che le teneva su i capelli.  
«Senti Jean, posso farti una domanda personale?»
«Mhn»
«Hai mai amato qualcuno? Voglio dire, amato davvero».
Un viso attraversò la mente del ragazzo veloce come un flash ed al suo cuore mancò un battito, giusto un battito, prima di sprofondare in un abisso di piombo.
«Senti, ma ti sembra il momento di pensare a certe cose? Sei una vera rottura di coglioni» borbottò bruscamente e Tallulah si tirò indietro, risentita.
«Giusto, meglio continuare a rimuginare sulla morte» sibilò e gli voltò le spalle, con una strana rabbia verso tutti o solo verso sé stessa. Non aveva voglia di sentire nessuno, eppure il pensiero di stare da sola le sembrava intollerabile. Decise di riunirsi ai suoi compagni, rimanendo tuttavia chiusa in un muto silenzio; discorrevano tra di loro degli eventi passati e Tallulah si chiese come facessero.
Sono io quella sbagliata.
La voce cristallina di Armin la fece trasalire e si maledisse mentalmente per quella reazione. Forse doveva andare da lui e finirla di far finta di niente.
«Jean, allora entrerai nel corpo di ricerca?»
«Sì».
Sasha si intromise con veemenza «Ma cosa ti è successo? Non avevi paura?».
«Eh? Sentite, voi lo sapete tutti ciò che penso del corpo di ricerca»
«E allora perché lo hai scelto?»
«Non è che l’abbia scelto perché non ho paura dei giganti. In ogni caso, tenete ben in mente che io sono molto diverso da quel dannato che ha solo una gran fretta di morire»
«Ti riferisci ad Eren» disse Connie, mesto «Lui ormai ha già fatto da tempo la sua scelta».
Ricordavano bene tutte le volte che Eren aveva attirato l’attenzione di tutti con i suoi discorsi decisi e la sua volontà di ferro. Tallulah se ne era sempre tenuta alla larga, non le piaceva discutere, né schierarsi, si era limitata ad osservare i presenti e cercare di capirne le emozioni. Era una cosa che faceva spesso, la faceva sentire meno sola con le sue, di emozioni. Una voce lontana li richiamò, incitandoli ad allinearsi davanti al palco e il peso sul suo petto raddoppiò.
«In ogni caso, sappiate che non rischierò certo la vita perché spinto da qualcuno. Questa non è una scelta che si possa fare senza esserne convinti» disse Jean, con sguardo torvo. Intanto, un tramonto bellissimo inondava l’area, quasi a farsi beffa delle loro preoccupazioni e macabre prospettive future. Cominciarono i discorsi dei Capitani, pieni di promesse, di frasi di sostegno e parole di speranza. Suo malgrado, Tallulah non riuscì ad ascoltarli parlare e presto le figure imponenti che tutti stavano guardando assunsero contorni sfocati: un profondo senso di perdita la stava invadendo e nonostante si sforzasse di mantenere l’attenzione, ogni parola perdeva di significato non appena usciva dalle labbra del loro proprietario. Si sentì cadere lentamente, era piacevole, sembrava di scivolare sulla seta. Poi, fu come essere sott’acqua, i rumori le arrivavano ovattati e lontani ed ebbe la tentazione di chiudere gli occhi e lasciarsi andare a quelle sensazioni morbide.
Era così stancante vivere.
Una voce la chiamò, remota e impalpabile, come un soffio di vento.
Tallulah.
«Sadie?» mimò con le labbra lei, cercando di andare più a fondo in quell’abisso.
Tallulah.
Iniziò ad agitarsi e dei brividi freddi le percorsero il collo. Voleva raggiungerla.
«Tallulah».
Sbattè le palpebre e quel velo di Maya* scomparve.
Armin la osservò voltare gli occhi su di lui con un’espressione persa e respiri veloci. Sembrava una bambola svuotata. La teneva d’occhio da tutto il giorno, ma si era tenuto distante, rispettando i suoi spazi e preservando i suoi. Quando poco prima però l’aveva vista tremare e lo sguardo farsi vacuo, si era fatto largo tra i corpi che li separavano mormorando scuse, conscio che qualcosa non andava.
«Lu» sussurrò di nuovo, vedendola muta «Stai bene?».
A quella domanda le si riempirono gli occhi di lacrime, ma lei impedì che ne scendesse anche una. Annuì, il mondo attorno a lei ritornò reale, e strinse tra le dita un lembo della giacca di lui, non osando chiedere di più. Chissà cosa stavano pensando tutti quelli intorno a loro, che già lanciavano occhiate infastidite, curiose, malevole. Armin tornò a prestare attenzione al Capitano Erwin Smith, ma staccò la presa dell’amica sulla sua giacca per intrecciare le dita alle sue in una stretta forte. Tallulah abbassò lo sguardo e un calore familiare prese il posto dell’ansia pervasiva che le stava stringendo la gola.
Che sciocca che era stata ad evitarlo, a temere che tutto fosse cambiato.
Che sciocca che era stata a tentare di vivere senza di lui.
«Alla nostra nuova missione parteciperanno anche le reclute del corso di quest’anno. Ci aspettiamo un tasso di perdita intorno al trenta percento. Tra quattro anni saranno morti quasi tutti».
Un brusio spaventato si sollevò, ma fu prontamente interrotto «Tuttavia, chi riuscirà a sopravvivere diventerà una macchina da guerra inarrestabile. Pur conoscendo questa prospettiva, chi di voi desideri comunque rischiare la propria vita resti pure qui. Ora, provate a chiedervi se siete in grado di offrire il vostro cuore per il bene del genere umano!»
Ho paura.
Vinci la paura.
Morirò.
Ma non sarai sola.
Non sarò di nessun aiuto.
La differenza è nel cuore.
Fu felice di non essersi persa quelle ultime parole del Comandante: la convinsero ancora maggiormente di quanto fosse la scelta giusta. Si sentiva ancora tremare dentro, ma i suoi piedi erano ben piantanti sul terreno, insieme a quelli di Armin e di Mikasa poco distante, che non si mosse di un millimetro. Vari cadetti fecero dei passi indietro, alcuni più in fretta che potevano, altri indecisi, in piena guerra interiore. 
Quegli istanti sospesi determinarono il destino di tutti i presenti: coloro che rimasero avevano i volti contratti e gli sguardi scuri. Fu a loro che Erwin Smith rivolse un’altra domanda «Adesso ditemi, siete pronti a dare anche la vostra vita?».
«Noi non vogliamo morire!» gridò qualcuno.
«Capisco. Mi piace molto il vostro sguardo: adesso vi accolgo tutti quali nuovi e fieri membri del Corpo di Ricerca! Questo è il nostro saluto».
Fu costretta a lasciare la mano di Armin per mettere il pugno sul cuore e legare per sempre la sua esistenza a quell’uomo, a quella squadra, a quell’ideale.
Salvare il mondo.
 
I nuovi alloggi erano senza dubbio migliori di quelli precedenti, ma Tallulah era sicura che tra tutti i corpi militari fossero i meno abbienti. Ricordava bene gli sguardi sprezzanti diretti verso la legione esplorativa durante il processo di Eren. Le reclute erano state smistate in stanze da quattro e lei aveva scelto il letto sotto la finestra, approfittando del fatto che a nessuna delle sue compagne importasse molto.
«Mi scoppia la testa» si lamentò Sasha, buttandosi sul materasso.
«Cerca di dormire» le disse Mikasa, piegando i suoi vestiti con espressione stanca.
«Già» borbottò Tallulah «Sono certa che domani ci faranno alzare all’alba»
«Non vedo l’ora di fare colazione»
«Sasha.. hai appena cenato»
«Lydia, ti sorprendi ancora?» disse Mikasa alla ragazza bionda di fronte a lei, prima di infilarsi la camicia da notte, ascoltando distrattamente le compagne di stanza.
Poi, si avvicinò a Tallulah, intenta a cercare di districare i nodi tra i suoi capelli.
«Secondo te Eren è qui?» le sussurrò, quasi timida. L’amica le accennò un sorriso, intimamente contenta della fiducia che le stava dimostrando. Mikasa non si apriva mai facilmente.
«Onestamente, non lo so. Immagino lo scopriremo nei prossimi giorni»
La vide sospirare impercettibilmente e le toccò una spalla.
«Sono sicura che sta benissimo. È forte».
Annuì e inaspettatamente le accennò un sorriso.
 «Hai dei bei capelli» disse poi, spostando lo sguardo sui ricci castani.
«Non direi, mi fanno diventare matta».
Quando fu sotto le coperte guardò il cielo dalla finestra e le venne voglia di andare a fare una visita ad Earl, sgattaiolare fuori e far finta di avere un’altra vita. Chiuse invece gli occhi e si forzò a rimanere nel suo letto: avrebbe smesso di cedere a tutte le sue debolezze.
 
«Il Comandante le chiede di firmare questo documento, Capitano».
Sbuffò internamente, volgendo la sua attenzione verso il soldato che aveva appena bussato alla sua porta.
«Lo sa bene che odio queste scartoffie» borbottò, più rivolto a sé stesso che al suo interlocutore. Suo malgrado, prese i fogli che gli porgeva e i suoi occhi saettarono distrattamente sulla grafia ordinata. Prese la penna e scarabocchiò una sigla in basso. Non capiva perché Erwin continuasse a metterlo in copia lettura di tutto ciò che approvasse o rifiutasse: sapeva bene che non aveva la minima voglia di intromettersi in questioni politiche, eppure si comportava come se volesse istruirlo. Levi era consapevole di essere la persona meno adatta a prendere il suo posto in caso di una morte prematura; il suo destino era combattere, mettere in ginocchio i suoi avversari, ucciderli. Sentire i muscoli bruciare, il sudore impregnare le vesti e trafiggere corpi, questa era la sua vita, ciò che gli era familiare e in cui sapeva di non avere rivali. Non conosceva un altro modo di vivere e, onestamente, neanche gli interessava.  
«Grazie Capitano. Un’ultima cosa: il Comandante voleva avvisarla dell’arrivo delle nuove reclute avvenuto ieri e di presentarsi alla cena di stasera per dar loro il benvenuto».
«Grazie, puoi andare».
Dare il benvenuto a pezzi di carne che andranno al macello, pensò cinicamente.  Forse era lui quello sbagliato, l’unico che non si lasciava mai andare, che non mollava mai la presa su ciò che incombeva su di loro. Essere la speranza dell’umanità aveva i suoi svantaggi. Si alzò e si avvicinò alla finestra, socchiudendo appena gli occhi quando il sole gli illuminò il viso. Fu proprio in quel momento che vide Ness davanti alle stalle parlare ad una schiera di ragazzini attenti e aguzzò lo sguardo: qualche momento dopo storse le labbra in una smorfia.
Alla fine, era entrata davvero nel Corpo di ricerca.
Mocciosa suicida.
 
Avevano indossato le loro uniformi da cadetti perché non erano ancora arrivate quelle nuove e questo li rendeva immediatamente riconoscibili agli occhi di tutti gli altri soldati. Nonostante ciò, non si sentiva in soggezione in quell’enorme salone rustico, dove erano riuniti in attesa dei loro Capitani. Lunghe tavolate riempivano la maggior parte dello spazio ed erano apparecchiate in modo semplice, ma dignitoso. Si sentiva più serena e quasi allegra all’idea di poter passare una sera normale.  
Per quanto sia possibile per noi la parola normale pensò sarcastica.
«Ciao. Piacere, sono Maria. Lui è Dimitri»
«Ciao, io sono Tallulah e loro sono Mikasa e Armin» sorrise ai ragazzi di fronte a lei che si erano avvicinati.
«Siete arrivati ieri notte vero?»
«Sì. Non ci aspettavamo un comitato di benvenuto»
«Infatti, è la prima volta. Credo che il Comandante Erwin voglia sollevare un po' gli animi» rispose la ragazza, spostandosi la frangia dagli occhi.
«Voi siete amici del ragazzo titano?» domandò Dimitri con interesse.
«Si chiama Eren» borbottò Mikasa, lievemente infastidita.
«Non è ancora arrivato, tra l’altro» esclamò Armin guardandosi intorno.
«Che forza!»
«Il Capitano Levi non lo molla un attimo, sicuramente sarà con lui» disse Maria, fulminando l’amico con lo sguardo. Sentendolo nominare Tallulah avvertì lo stomaco contrarsi: l’avevano incrociato un paio di ore fa, davanti alle stalle, proprio quando avevano riabbracciato Eren. Mai come allora si era pentita di quel mi piaci detto impulsivamente ed una vergogna sconosciuta le aveva imporporato le guance. D’ora in avanti si sarebbe dovuta abituare alla sua presenza, si sarebbero incrociati molto più spesso e doveva ammettere di avere sensazioni contrastanti al riguardo.
«Non lo invidio affatto, le punizioni del Caporale sono le peggiori si lamentò Dimitri ed Armin lo guardò preoccupato.
«Ha l’aria di essere piuttosto intransigente in effetti»
«Credetemi, è meglio non contrariarlo». Maria si sporse leggermente per guardare qualcosa alle loro spalle «Toh, si parla del diavolo...».
Si voltarono quasi simultaneamente e il chiacchiericcio intorno a loro si calmò quasi del tutto quando il Comandante Erwin e i Capitani entrarono nel refettorio. Eren era con loro, come previsto, e il suo sguardo vagò sui presenti fino a che non vide i volti dei suoi amici di infanzia.
«Buonasera a tutti. Come ben saprete, ieri si sono uniti a noi molti valorosi soldati e oggi diamo loro il benvenuto come possiamo. Abbiamo passato momenti difficili e ce ne aspettano sicuramente altrettanti, ma per stasera non vi tedierò con discorsi di guerra. Rifocillatevi e benvenuti nella legione esplorativa!».
Con quell’ultima frase diede il via alle danze e i ragazzi si sparpagliarono andando a sedersi: un brusio allegro si diffuse nuovamente, mentre alcune domestiche portarono grossi pentoloni fumanti. Molti non erano mai stati serviti a quel modo ed anche se il cibo era molto semplice, sembrò loro una cena da re. Tallulah guardò verso il tavolo dell’élite della legione e pensò che Erwin ci sapesse fare: nonostante l’aria severa, le parve una brava persona. Non era costretto a preoccuparsi del loro benessere psichico, eppure eccoli lì, tutti insieme a cercare anche solo un sorriso nei volti attorno a loro. Nella sua ingenuità non pensava, Tallulah, a quanto altro ci fosse dietro ad una mossa come quella. Erwin Smith era un uomo d’onore, giusto e dignitoso, ma aveva capito bene che soldati grati fossero soldati più motivati negli addestramenti ed efficienti sul campo di battaglia. Forse anche per questo Levi odiava quelle occasionali festicciole manipolatorie. Conosceva bene il suo mentore ed anche se lo rispettava, non si riconosceva nel suo modo di affrontare il comando.
Per questo, probabilmente, Erwin sarebbe sempre stato un passo avanti a lui e a chiunque altro. Quella serata, tuttavia, gli sembrò meno insopportabile del solito, nonostante le risate sguaiate di qualche idiota lì in mezzo e Ouruo che continuava a sparare stronzate. Nel momento in cui aveva concesso ad Eren di raggiungere i suoi amici, l’aveva seguito con gli occhi ed inevitabilmente lo sguardo era scivolato su di loro. La sua ragazzina sembrava divertirsi molto a giudicare dall’espressione entusiasta con cui stava raccontando chissà cosa agli altri; era sicuro che avrebbe finito per strozzarsi se avesse continuato a mandar giù i bocconi così in fretta, nella furia di ciarlare.
«Sta’ tranquillo, non accadrà nulla ad Eren» gli mormorò Hanje alla sua sinistra.
Lui la guardò di traverso «Certo che no»
«Quindi non sei preoccupato per lui?» chiese lei con un sorrisetto.
«Perché dovrei?» rispose seccato, chiedendosi cosa diavolo volesse da lui stavolta.
«Beh, perché è la quinta volta che lanci occhiate al suo tavolo concluse Hanje, soddisfatta. L’irritazione cominciò a salirgli attraverso le viscere ed alzò gli occhi al cielo.
«Adesso sei diventata una stalker? Sono la tua fottuta ossessione o qualcosa del genere?»
«Oh sì, passo le notti a desiderare di vivisezionare il tuo cervellino, tesoro»
«Disgustoso» borbottò con una smorfia, rabbrividendo all’immagine di sé come cavia di quella maniaca occhialuta.
«Di sicuro non sono l’unica a passare le notti pensando a te» disse con tono trasognato, bevendo un sorso d’acqua e fissando eloquente il tavolo di Eren.
«Non so a cosa ti riferisci» ribatté Levi, mantenendo un’espressione vuota.
Quella risposta sembrò ad Hanje la conferma definitiva delle sue supposizioni:
le aveva già detto quelle esatte parole in un’altra occasione.
«Avanti, dimmi chi è»
«Non so a cosa ti riferisci».
Tra lui e quella ragazza simpatica era successo qualcosa e questo la elettrizzò più di quando aveva catturato Bean.
Beh, quasi più di quello.
«Di che si parla?» si intromise Moblit, seduto di fronte a loro. L’occhiata fulminea che Levi scoccò alla scienziata avrebbe terrorizzato il criminale più incallito, ma non lei. Le si illuminarono gli occhi ed urlò un esaltato:
«Avevo ragione!», attirando parecchi sguardi su di loro. Levi giurò di fargliela pagare e stava per pestarle un piede, se non avesse casualmente incrociato gli occhi miele di Tallulah. Fu in quel preciso momento che si rese conto di una cosa e si maledisse da solo: l’aveva chiamata sua.
 
In quei giorni, fu come se qualcuno avesse premuto il dito sull’acceleratore, i ragazzi arrivavano a cena provati mentalmente e fisicamente. Stavano preparando una spedizione, la 57ª: al mattino Ness spiegava loro più e più volte le procedure che avrebbero dovuto seguire durante le esplorazioni ad ampio raggio. Ognuno avrebbe avuto un ruolo ben preciso e ogni movimento era stato studiato dal Comandante Erwin in persona. Tallulah comprendeva l’importanza di assimilare quelle strategie, era una questione di vita o di morte, ma trovava difficile non scalpitare su quei banchi legno. Armin, invece, sembrava fosse nato per questo. A volte lo guardava di sottecchi scrivere appunti e riflessioni, con i suoi grandi occhi blu concentrati sul foglio; la maggior parte delle volte lui faceva finta di non accorgersene. Non avevano più avuto tempo di parlare, tantomeno di pensare a ciò che era successo tra di loro. Era come se avessero stabilito un tacito accordo.
Ho bisogno di te.
E io di te
Possiamo ignorare questa cosa?
Va bene, pensiamo a sopravvivere. Ma, prima o poi...
L’ora di pranzo era solitamente caotica: nessuno era abituato a stare seduto per ore e il refettorio si animava particolarmente.
«Scommetto che Jean non ha capito nulla della lezione» sghignazzava Connie ogni giorno e Jean si infuriava, a dispetto di Armin che tentava di convincerlo ad ignorarlo con un sorriso esasperato. Sasha era la solita Sasha e ogni tanto Tallulah cercava di distrarla per rubarle il pane dal piatto: non sempre la cosa finiva bene. Mikasa era silenziosa, ma sembrava più tranquilla dopo aver visto Eren e aver saputo che era lì, sano e salvo e sotto il loro stesso tetto. Tutti stavano cercando una parvenza di quotidianità per sopravvivere al pensiero di ciò che avrebbero dovuto affrontare.
Tuttavia, nel pomeriggio di pensare non c’era proprio tempo: l’addestramento fisico era molto più pesante di quanto erano abituati. Si allenavano con i loro compagni più grandi e con più esperienza, ma il Capitano Ness li supportava costantemente.
Sembrava la quiete prima della tempesta.
In uno di quei giorni, poco prima di cena, qualcuno urlò che le uniformi per le reclute erano arrivate. Le indossarono lì, nel cortile, e sembrò che per un attimo il tempo si cristallizzasse, mentre i loro mantelli brillarono al sole aranciato del tramonto. Tallulah amò immediatamente quelle ali e sentì che sarebbero diventate un’estensione di sé: l’avrebbero portata oltre confini che neanche poteva immaginare.
 
And I don't care if I sing off key
I find myself in my melodies
I sing for love, I sing for me
I shout it out like a bird set free.

 
   
 
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