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Autore: ciocoreto    15/05/2020    1 recensioni
Provò a scappare ancora una volta, ma non glielo lasciai fare. Lo afferrai per entrambe le braccia, strattonandolo e costringendolo a fronteggiarmi. Gli urlai contro come una furia: «L'ho baciata perché mi andava, Hinata! Perché sono una persona libera! E dal momento che tu non c'entri nulla con questa storia, spiegami la tua ridicola sceneggiata, prima che ti riempia di pugni!»
Alzai il pugno in aria, ma il mio colpo si fermò lì.
Hinata aveva chiuso gli occhi, la bocca era deformata in una smorfia e tremava nel tentativo di trattenere i singhiozzi. Stava piangendo.
Le parole mi morirono in gola. Perché? Perché non riesco a capire, Hinata?
{Raccolta KageHina partecipante alla Hugs&KissesChallenge indetta da carlotta.97 sul forum di EFP.}
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Steps










- Stelle -










   Per un paio di giorni, dopo l'allenamento, mi recai in spiaggia. Non so per quale motivo, ma fissare il mare vicino alla riva, con i piedi immersi nella sabbia fredda e il sole che pian piano tramontava, mi calmava. Non mi aiutava a non pensare – anzi, forse lì i miei pensieri si amplificavano –, ma mi faceva provare un certo senso di pace: almeno quei suoni pacati non cozzavano con la confusione che avevo in testa.
   Mi sentivo comunque un po' preso in giro. Non so bene da chi, forse da qualcuno ai piani alti, o forse da me stesso. Il mio continuo associare qualsiasi cosa a quello che ormai era diventato il mio pensiero fisso da una parte mi faceva quasi ridere, dall'altra mi infastidiva terribilmente. Come il tramonto, ad esempio, con quei suoi colori così simili a quelli di...
   Diedi un calcio alle mie stesse scarpe, lì a pochi centimetri di distanza dai miei piedi, alzando un polverone di sabbia che spinto dal vento mi arrivò fino agli occhi.

   «Fanculo.»

   Mi sedetti, sfregandomi rabbioso una palpebra. Non facevo altro che pensare a lui: Hinata, Hinata, Hinata. Quell'idiota patentato. Lui e la sua testa rossa. Lui e i suoi occhi. Lui e la sua... bocca.
   Mi lasciai andare all'indietro con un sospiro, sdraiandomi sulla sabbia dura e scomoda come i miei pensieri. Chiusi gli occhi e decisi che dal giorno dopo non sarei più andato in spiaggia. Dovevo trovare una soluzione al mio problema, affrontarlo, smettere di evitarlo. Altrimenti sarei scoppiato.
   Con un braccio mi coprii il viso, impedendo alla luce di penetrare le mie palpebre. Il suono del mare, il vento leggero e il mio senso di profonda stanchezza mi portarono a poco a poco verso un sonno inaspettato e un po' disturbato.
   Non so per quanto tempo dormii lì, sulla sabbia, da solo e con il buio che lentamente avanzava, ma fu sufficiente perché sognassi: un sogno che aveva i colori del sole al tramonto.





   «Kageyama.»

   La mia fronte si corrugò, mentre quella voce mi richiamava alla realtà. Aprii gli occhi lentamente, incontrando un viso familiare e spaventosamente vicino al mio.

   Dio, se mi odi, dimmi perché.

   «Allora sei sveglio!»

   Mi trapassò i timpani e rimbombò nel mio cervello. Perché doveva sempre urlare? Non gli avevano insegnato a parlare come qualsiasi essere umano sulla faccia della terra?
   Sbuffai infastidito, passandomi una mano sugli occhi e cercando di ignorare il dolore alla schiena e alla testa: la sabbia non era di certo il letto più comodo su cui riposare. Mi puntellai sui gomiti per sollevarmi quel tanto che bastava per vedere la situazione con più chiarezza. Mi ero addormentato, e su quello non c'era alcun dubbio, ma che diavolo ci faceva Hinata seduto a gambe incrociate al mio fianco?

   «Ma quando sei arrivato? Come facevi a sapere che ero qui?» gli chiesi turbato.

   Lui fece spallucce. «Sono sempre stato qui, in realtà. Ti ho seguito.»

   «Scusa?»

   La sua tranquillità mi sconvolgeva, come se stesse parlando di un fatto ovvio. Mi misi a sedere anch'io tra qualche mugugno e lamento di dolore.

   «Sono due giorni che faccio la strada di casa da solo dopo l'allentamento!» sbottò lui con le mani sui fianchi e un'espressione offesa sul volto. «Quindi oggi ti ho seguito, perché volevo capire, e direi che ho fatto bene: è sera, è buio e tu ti sei addormentato in spiaggia come un idiota!»

   Il suo braccio destro si alzò verso il cielo, l'indice della mano puntato verso l'alto. Seguii la traiettoria e mi ritrovai ad osservare le stelle sopra le nostre teste. Probabilmente mi resi conto soltanto in quel momento del fatto che non ci fosse più la luce. Per quanto tempo avevo dormito?

   Probabilmente Hinata lesse il senso di disagio e preoccupazione sul mio viso, perché lo vidi incrociare le braccia al petto e annuire con fare soddisfatto. «Se fossi stato solo, chissà che cosa ti sarebbe potuto accadere...»

   «Ma per favore.»

   Mi alzai in piedi, dandogli le spalle e scrollandomi di dosso la sabbia che si era prepotentemente attaccata ai miei vestiti. Da un lato, Hinata aveva ragione: svegliarmi in quella situazione con lui al mio fianco mi aveva fatto sentire in un certo senso sollevato. Dall'altro percepii quel fastidioso battito accelerato del mio cuore che da giorni bussava contro il mio petto ogni volta che lui mi ronzava attorno, e la cosa mi urtò terribilmente.
   Il trambusto alle mie spalle mi suggerì che si fosse alzato anche lui. Gli gettai un'occhiata, ritrovandomi a fissare il solito broncio che assumeva sempre quando rimaneva deluso dal fatto che non lo avessi ringraziato. Sapeva che non ero solito farlo.

   «Ho fame», esordì poi, avvolgendosi lo stomaco con le braccia. «Andiamo a mangiare qualcosa? Per colpa tua ho dovuto avvisare mia madre che non sarei tornato per cena.»

   Inarcai un sopracciglio, incrociando le braccia al petto. «A dir la verità, nessuno ti ha chiesto di seguirmi.»

   La sua espressione offesa mi fece quasi tenerezza, ma non glielo lasciai intendere. Soprattutto non riuscivo a spiegarmi come potesse recitare così bene in quel momento. Credeva sul serio di riuscire a far andare le cose come al solito? Davvero? Davvero le sue intenzioni erano quelle di evitare il discorso in eterno? Sapevamo benissimo perché continuavamo in un modo o nell'altro ad attirarci come due calamite, perché lui non riusciva a sopportare il fatto di dover percorrere la strada di casa senza di me al suo fianco e perché io avessi costantemente l'immagine del suo volto in testa. La differenza per me era che non riuscivo più a nasconderlo.

   Sbuffò, le braccia ancora incrociate al petto. «Comunque prego», borbottò a bassa voce, mentre mi superava e mi mostrava la schiena.

   Ed io ero stanco di vederla, quella dannata schiena.

   «Hinata.»

   Anche se non sapevo nemmeno io come si sarebbero evolute le cose, né come intavolare il discorso, di sicuro non gli avrei permesso di ignorare la cosa anche in quel momento. Aveva deciso lui di seguirmi, ora doveva affrontare le conseguenze.
   Si bloccò sul posto, ma ancora non mi guardava.

   «Sul serio?» gli chiesi quasi sfidandolo, ma nella mia voce non c'era arroganza stavolta.

   Lui si voltò soltanto con il capo e la sua espressione in quel momento era cambiata. Gli occhi grandi mi fissavano curiosi, aspettavano.

   I miei pugni si strinsero. «Per quanto ancora dobbiamo fingere io e te?» Lo vidi sussultare e seppi di aver fatto centro. «Non mi chiedi perché continuo ad evitare di fare la strada di casa insieme a te, o perché da un paio di giorni venga qui?»

   Anche Hinata strinse i pugni e finalmente si voltò verso di me, ma i suoi occhi guardavano la sabbia sotto i nostri piedi.

   «Facciamo finta che il bacio che ci siamo dati qualche giorno fa non sia successo veramente?»

   Lo vidi arrossire, il viso sempre più infossato fra le spalle. Nemmeno io ero del tutto sicuro di ciò che stavo dicendo, né del modo in cui lo stavo facendo. La mia voce non era sicura quanto le mie parole, forse mi stava tradendo. Ma era vero, io e Hinata ci eravamo baciati, e da allora non riuscivo a non pensarci. Come e perché fosse successo non lo sapevo spiegare ancora.
   Fra noi calò il silenzio, interrotto soltanto dal rumore del mare.

   Deglutii a fatica. «Puoi... dire qualcosa, per favore?»

   I suoi occhi iniziarono a guardare dappertutto tranne che verso di me. Stringeva i pugni talmente forte che le nocche delle sue dita erano diventate completamente bianche.
   Mi avvicinai in silenzio, fino a che non lo sovrastai con la mia altezza. Gli diedi tempo, anche se non era da me.

   «Io non sto fingendo», esordì alla fine, la voce tremante. E finalmente il suo volto si sollevò verso il mio, l'espressione dura e insicura allo stesso tempo. «Ma cosa dovrei fare?»

   A quel punto capii di essermi sbagliato. Hinata non stava evitando il discorso, semplicemente non sapeva come ci si dovesse comportare in quelle situazioni, e piuttosto che allontanarmi, agiva come suo solito, forse sperando di capire strada facendo. In qualche modo, lui si era già esposto. Non era codardo come me: quello che stava scappando, in realtà, ero io.
   Scrutai i suoi occhi, colto alla sprovvista dai miei stessi pensieri. Anch'io, cosa avrei dovuto fare? Mi sentii perso quanto lui.

   «Pensavo che ormai non ci fosse più bisogno di dirtelo», sussurrò lui.

   «Che cosa?»

   «Che mi piaci.»

   Sentii qualcosa alla bocca dello stomaco muoversi, una strana sensazione di vuoto, come quella che ti prende quando sei sulle montagne russe poco prima di affrontare la discesa più ripida di tutte.
   Hinata era di una trasparenza unica, quasi sconvolgente. Sbagliava soltanto a pensare che i suoi atteggiamenti fossero abbastanza ovvi da non necessitare di spiegazioni. Ma capivo persino io, che come lui non avevo alcuna esperienza, che prima o poi avremmo dovuto affrontare un qualche tipo di discorso. Non potevo semplicemente basarmi su qualche segnale ambiguo.

   «Kageyama», mi supplicò quasi, mentre mi rendevo conto di quanto fossimo terribilmente vicini. «Possiamo... andare a mangiare adesso?»

   Nei suoi occhi grandi, anche se oscurati dalla mia ombra, lessi tutta la vergogna che stava provando in quel momento. Sbuffai dal naso, mentre con una mano dietro alla nuca attiravo il suo viso al mio.

   «No.»

   Le nostre bocche si scontrarono già dischiuse e vogliose l'una dell'altra. Seppur essendo stato preso alla sprovvista, Hinata insidiò la lingua tra le mie labbra, facendosi strada finché non ebbe conquistato la mia intera bocca. Mi tolse il fiato e mi fece tremare le gambe, quasi dovetti sostenermi al suo corpo ormai incollato al mio, le braccia tese fin sopra le mie spalle e le mani strette nei miei capelli.
   Ero stato io a baciarlo, ma era decisamente lui a comandare i nostri movimenti.
   Mi morse il labbro inferiore con troppa foga, facendomi gemere, ma non si fermò. Per scusarsi passò la punta della lingua dove probabilmente mi aveva aperto un piccolo taglio. Aprii di poco le palpebre e con sorpresa incontrai le sue iridi luminose. Ci guardammo senza staccarci, chiedendoci a vicenda con quello sguardo se stessimo facendo la cosa giusta. Ma alla fine non mi importava niente.
   Non ci fermammo nemmeno quando le nostre labbra furono rosse e gonfie, nemmeno quando il rumore dei nostri stomaci affamati sovrastò quello delle onde del mare. Il sapore che mi invadeva la bocca era già abbastanza per me.
   C'eravamo soltanto noi, nessun altro, nessuno poteva vederci. Forse soltanto le stelle sulle nostre teste.











   
 
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