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Autore: BabaYagaIsBack    17/05/2020    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Chapter Thirty-one
§ Don't let me go §
part three

"A little twist of the knife, yeah
A little salt in the cut, yeah
A little thorne in the side and it stings like hell

Feels so...
Cruel, 
The way you treat me like a stranger
Cruel, 
When you're looking like that, oh oh"

- The Veronicas, Cruel

 

Dopo le lacrime, Seth mi ha tenuta stretta a sé finché il cuore non ha smesso di far male. Passando le dita tra i miei capelli ha cercato di calmarmi parlando di tutto ciò che gli passava per la mente: qualche ultima parola sulla questione, il fatto che per la prima volta abbia realmente sentito la mia assenza e, infine, ha preso a scherzare sulla pizza che, abbiamo constatato poco dopo, aver drasticamente perso calore.
Tra un boccone e l'altro abbiamo cercato di mettere da parte i dissapori che so essere nascosti dietro a ogni mobile, pronti a saltarci addosso e far esplodere l'ennesima guerra. Cerchiamo di non approfondire, anche se vorrei più risposte, però tacciamo entrambi, consci che potrebbe davvero farci troppo male.
Di tanto in tanto, mentre mangiamo, Morgenstern si distrae per concedere a Chucky una carezza, oppure un pezzo di prosciutto tolto dalla fetta che sta addentando e, nell'osservarlo, noto il sorriso tenero che gli compare il viso - un incantevole mezzaluna bianca che mi scioglie il cuore, quella sorta di sassolino che da giorni ha preso a rotolare nel petto alla ricerca di un solco in cui incastrarsi, magari per tornare morbido.

Sposto lo sguardo, riportandolo sulla crosta che sorreggo e valutando la possibilità di abbandonarla o finirla, un po' come questa situazione. Potrei osare, incrinare ancora di più l'apparente calma sperando che non si spezzi definitivamente, oppure potrei aspettare, dandoci qualche momento di pace. Così resto immobile per qualche istante, finché, alla fine, non cedo e rimetto l'avanzo nel cartone. Non sono pronta, anche se vorrei.

«Finirò per tornare a casa rotolando» sbuffo, strofinando le mani per togliermi di dosso i resti della farina. Nonostante il tovagliolo serva per pulirsi, sporcarlo mi fa sentire colpevole, quindi cerco di liberarmi di quanti più residui alimentari possibili in modo alternativo - oggi qualsiasi gesto potrebbe diventare metafora della fastidiosa situazione in cui mi trovo, così provo a non pensare a nulla.
Mentre passo lo scottex agli angoli della bocca, Seth torna a fissarmi. Il suo sorriso non si attenua, ma le sopracciglia si corrugano: «Sei seria?»
«Beh, oddio... rotolare per le strade di Londra fa un po' schifo, però...»
«No, intendevo il "tornare a casa"».
Mi volto verso di lui, confusa. Come ho detto, cerco di limitare i pensieri.
«Sì, certo... domani ho lezione, tra poco iniziano gli esami e...»
«E sono quasi le undici e mezza» mi fa notare, indicando con il mento l'orologio che s'intravede in cucina. Fisso le lancette, sempre più in balia dei dubbi. La mia mente ci mette qualche minuto prima di realizzare la serietà della sua affermazione e, quando finalmente mi rendo conto dell'orario reale, sobbalzo.

E' la volta buona che Catherine mi scuoia.

«Merda! Ma perchè non me l'hai detto prima?» In pochi istanti sono in piedi, curva sulla giacca al cui interno non riesco a trovare il cellulare, nonostante sia qui - ne sono certa. «Mamma mi uccide! Dannazione!» E, più che rivolgermi a lui, sto semplicemente ricordando a me stessa la minaccia che mi attende.
Così frugo con sempre più frenesia, mi lascio sfuggire qualche grugnito ogni volta che ripasso per le medesime tasche senza trovare nulla. Mi piego accanto allo zaino, mettendo in dubbio la memoria e, quando finalmente trovo il mio Santo Graal "made in Corea", scopro i vari messaggi di Josephine, preoccupata per il mio silenzio, e le innumerevoli chiamate perse della donna che mi ha messa al mondo. Mentre passo tra le parole scritte in nero e mi domando come evitare l'apocalisse, mi rendo conto di non poter nemmeno rassicurarla con la verità: come le spiego il motivo per cui mi trovo da Seth, sola con lui, in un giorno infrasettimanale durante le ultime settimane di liceo prima del diploma? Svelarle la verità, così come cercare una scusa, scatenerebbe in lei un flusso di supposizioni pericolose per la mia libertà - qualsiasi sciocchezza le dovesse passare per la mente, equivarrebbe a farmi guadagnare un soggiorno in qualche monastero di clausura; dopotutto non è lei a credere che sui miei slip, da qualche anno, ci sia scritto "entrata libera"?

Mi mordo il labbro, cercando di trovare una soluzione. Potrei dirle che sono da Caroline, no? No, poi pretenderebbe indirizzo e numero di telefono di casa sua, vorrà conoscere sua mamma, chiederle come è andata questa serata e alla fine si scoprirebbe che ho detto una bugia. E' troppo impicciona per credere così facilmente solo alle mie parole; ma allora che scusa uso? Possibile che a diciotto anni mi ritrovi ancora a dover fare i conti con situazioni tanto stupide? No, perché da quel che ricordo a Jace non è mai servito accaparrare alibi per giustificare i suoi ritardi o i suoi "non rientri" - anche se c'è da dire che, a differenza mia, a livello scolastico non ha mai dato problemi.

Un nuovo messaggio di Josephine compare sulla schermata, facendomi tornare con la mente sul presente e rivelandomi il grande disegno divino: nonna è il mio alibi!
Lei conosce la situazione, sa che mi frequento con Seth e non mi negherebbe in alcun caso un favore del genere. La sua indole da hippie, o meglio da infoiata cronica, non permetterebbe mai che la mia possibilità di assaggiare realmente un simile "bocconcino" possa andare in fumo, quindi sarebbe persino disposta a coprirmi in una circostanza del genere, ne sono certa.

Di punto in bianco scatto in piedi, facendo sussultare il gatto e forse persino il suo padrone. Con il naso quasi incollato al display mi metto a scorrere nelle ultime chiamate alla ricerca del nome di Josephine ma, quando finalmente premo sull'icona della cornetta verde, la schermata si scurisce e l'inoltro di chiamata non parte. Nè dopo un secondo, né dopo cinque, e nemmeno dopo dieci.

Qualcosa dentro di me, forse ciò che le persone chiamano coscienza, inizia a borbottare. I suoi lamenti si fanno sempre più acuti, più violenti, e alla fine mi rendo conto di star insultando a gran voce la mia incapacità di gestire qualsiasi aggeggio telefonico e la sua alimentazione.

E dire che ero certa avesse batteria a sufficienza.

Ne ero convintissima, sia prima di uscire da casa di nonna, sia estraendo il cellulare dallo zaino solo pochi istanti fa - eppure, come mio solito, non ho messo in conto l'uso che ne avrei fatto da un appartamento all'altro. Sì, quel trenta per cento sarebbe bastato fino a conclusione di questa serata, se non mi fossi messa a cercare pizzerie d'asporto, non avessi messo un po' di musica per farmi compagnia e non avessi cercato ancora una volta di contattare inutilmente Charlie.

Batto i piedi e mi porto i pugni al viso. Stringo forte le dita intorno allo smartphone e, in qualche modo, vorrei poterlo pressare così tanto d'accartocciarlo, in maniera da sfogare la frustrazione.

Digrigno i denti: «Merda!»

Seth si alza, abbandonando la propria fetta di pizza a metà. Lentamente si fa vicino, ignorando la possibilità che possa sfogare su di lui la mia momentanea rabbia e, quando infine giunge al mio fianco, mi tira a sé appoggiandomi una mano sulla nuca, forse nel vago tentativo di calmarmi - un'evenienza che al momento non mi pare plausibile, ma che nonostante il mio scetticismo Morgenstern riesce a rendere reale. 
«Puoi usare il mio telefono» sibila, convincendomi a liberare gli occhi dalle mani e alzare lo sguardo su di lui. Lo fisso incredula, con le labbra schiuse in un gesto di evidente sorpresa che lo fa sorridere.
«Davvero?»
Annuisce: «Se questo può impedirti di fuggire via, sì, metto a tua totale disposizione sia il credito residuo, sia il cellulare». Le sue labbra si tendono sempre più, diventano una mezzaluna rosea che so di voler baciare, ma a cui devo resistere - almeno finché non avrò messo in chiaro ogni cosa -, il problema però insorge quando i nostri sguardi s'incontrano, allacciandosi con intensità. E' così bello che ogni volta mi sento estraniare dal mondo; vengo inghiottita nel vortice che è la sua persona e uscire dal turbinio di sensazioni appare come la più titanica delle imprese.

Deglutisco, dubitando della forza di volontà a cui mi sarei dovuta aggrappare solo pochi istanti fa. Sento i nostri corpi stringersi, cercarsi in quel vuoto che si era creato tra noi. Provano a placare una fame che abbiamo tenuto sedata per mesi - dal primo bacio, ma anche dalla prima serata insieme, da soli, quando addormentati l'uno accanto all'altra pensavo di poter sfiorare la consistenza della vera felicità. La sentivo sotto le dita, fugace e delicata come una ragnatela, bellissima, eppure capace persino di nascondere il pericolo.

Un pericolo che ha il sapore delle cose non dette.
Che ha l'aspetto delle assenze.
Che ha la foga di una scopata fatta solo per ferire.

Ma chi? Charlie o me?

Rinsavisco, allontanando un poco il busto dal suo. Non deve sentire il mio cuore raggrinzirsi al solo pensiero del dolore che mi può provocare. Non deve comprendere quanto potere le sue azioni abbiano su di me.

«G-grazie... vado subito a chiamare Josephine».

La sua espressione si fa meno dolce, ora è amara come la delusione che sta provando. Forse ha creduto davvero che lo avrei baciato, perdonato, amato ancora senza alcun freno. Forse ciò che è successo tra lui e Benton è davvero solo un malinteso di cui ora deve pagare più conseguenze di quelle messe in conto. Eppure, quando mi divincolo, Morgenstern non prova a trattenermi, piuttosto allontana lo sguardo, spostandolo sul davanzale dove un filo collega la presa elettrica al suo cellulare - perché lui a quanto pare è più lungimirante di me, nonostante al momento non ne abbia bisogno. 
«Sì, vai pure in camera se ti serve un po' di silenzio».
Annuisco flebilmente, imbarazzata. Vorrei avere tra le mani un manuale su come comportarsi in certe situazioni, ma in sua assenza mi ritrovo a sgattaiolare veloce verso la finestra, afferrare il telefono e scivolare lungo il pavimento fino alla soglia della stanza di Seth. Nonostante non ci sia nulla di compromettente da dire, preferisco allontanarmi per evitare che qualche domanda indiscreta di nonna, o qualche mia affermazione, possa rovinare l'umore già altalenante della serata. Mi piacerebbe solo un po' di pace, ora - soprattutto in vece del fatto che resterò qui con lui. E ci siamo dati contro abbastanza per il momento. Non ho né la voglia né la capacità fisica di versare altre lacrime.

In punta di dita, senza voltarmi per concedergli un ultimo sguardo, socchiudo la porta. Lascio tra noi uno spiraglio sottile, una fessura che ci colleghi, però che possa anche dividerci.

In silenzio prendo posto sul bordo del materasso, mi concedo un grosso respiro e, infine, inizio a digitare il numero di Josephine - uno dei primi che ho imparato, nonché tra i pochi che ricordo. Mi porto l'aggeggio all'orecchio, attendendo con impazienza che nonna risponda. 
Ci mette qualche squillo, ma alla fine la sua voce mi arriva forte e chiara, seppur evidentemente confusa: «Pronto?» Sicuramente non si immagina che ci sia io dall'altra parte della cornetta, quindi vedere il numero di Seth non può fare altro che aizzare in lei i sospetti e le preoccupazioni peggiori.

«Grand-mère, c'est moi» sussurro mentre un sorriso bonario mi tende le labbra.
«Oh, Jane! Santi numi, mi hai fatto prendere un colpo».
«Sì, scusa...» scuoto la testa, anche se sono conscia non possa vedermi.
«Si può sapere che fine hai fatto? No, beh... se mi stai chiamando dal telefono di Seth è ovvio, ma perché diamine non ti sei fatta sentire prima?»
«I-io... sì, ecco... mi sono persa via, tutto qui».
«Persa via?» La sua curiosità trapela da ogni sillaba, «Pour faire quoi?» e subito si tramuta in ovvia malizia. Già me la immagino sistemarsi sul divano, mettersi il bocchino tra le labbra e iniziare a fumare pregustandosi uno scenario che, per ora, ha forma solo nella sua testa.
«A mangiare, Josephine. Solo mangiare».
«Beh, chi non si perderebbe via a mangiare un dolcetto come Seth?»

Taccio per qualche istante, valutando seriamente se implodere per l'imbarazzo o fingere che non abbia detto nulla di ciò che ho sentito e, alla fine, opto per la resistenza, così mi affretto a cambiare discorso - dopotutto le cose importanti sono altre al momento.

«Senti, nonna, mi servirebbe un favore».
«E' qualcosa di grave?»
«No, no, macchè!» Mi mordo il labbro, lanciando uno sguardo in direzione della porta. Oltre lo spiraglio non vedo nulla, solo uno scorcio del salotto: «Ho il telefono scarico e mamma ha cercato di chiamarmi più volte. Ormai è tardi e-»
«Vuoi restare da Seth?»
Annuisco: «Ti scoccia dirle che in realtà sono da te?»
Lei resta in silenzio, forse soppesando la mia richiesta con la stessa serietà con cui un mercante valuta il valore della merce che ha di fronte, poi sbuffa.
«Ma avresti scuola domani, giusto?»
«Sì».
Ancora silenzio.

«Sei lì per chiarire o per altro?»
Ora sono nuovamente io quella che si ammutolisce. Provo a pormi la stessa domanda, trovando come risposta molteplici motivazioni - ognuna equamente valida. Vorrei che fosse tutto più semplice, alle volte. Sono qui per la situazione con Charlie, certo, ma anche perché non so dove trovare pace e perché, in fondo, il desiderio di Morgenstern non riesce mai a placarsi del tutto, nemmeno quando sono infuriata. La mia mente torna sempre su di lui, così come basta un incrocio dei nostri sguardi per farmi vacillare.
«Je suis ici pour clarifier, mais aussi pour être avec lui».

Josephine sospira. Probabilmente ora si sta levando gli occhiali per massaggiarsi il setto, in maniera d'aiutare i pensieri a organizzarsi nel miglior modo.

«Ringrazia il fatto che tua madre mi ritenga ancora un adulto responsabile, ma chérie, perché sennò saresti rovinata!»
«E' un sì?» glielo chiedo sorridendo, trepidante a dispetto dell'atmosfera tesa che ha regnato in questa casa sino ad adesso. Una parte di me sta gioendo come se con Seth non vi fosse alcuno screzio e, a quanto pare, al momento prevale su qualsiasi altra emozione.

«Oui, c'est un oui. Mais quoi qu'il arrive, prenez les précautions nécessaires. Je l'ai déjà dit, je ne veux pas avoir d'arrière-petits-enfants pour le moment!»
«Évident! Oh, merci beaucoup grand-mère! Tu es le meilleur» mi affretto a dire, inconsapevolmente elettrizzata all'idea di dare anche a Seth la buona notizia; così chiudo la chiamata, stringendomi al petto il suo telefono e lasciandomi andare a un lungo e necessario sospiro di sollievo.

Ce l'ho fatta, mi dico, anche stavolta eviterò la clausura o qualsiasi punizione Catherine possa immaginare.

Nuovamente volgo lo sguardo in direzione della porta, pronta ad alzarmi e andarle incontro. La fisso qualche secondo giusto per realizzare la situazione, poi faccio leva sulle gambe per rimettermi dritta. Ad ogni falcata il cuore battere più forte, scalpita sotto allo sterno come se volesse scappar via ma, quando arrivo a solo un passo dalla maniglia, un brusio cattura tutta la mia attenzione.
Il cellulare di Morgenstern si concede qualche vibrazione a ridosso del mio corpo e, involontariamente, mi ritrovo a scostare lo schermo per poter guardare. Il mio è un gesto incontrollato, frutto di un'abitudine di cui sono ormai succube e di neuroni a cui piace l'assenteismo, ma non per questo mi pento di averlo compiuto.

Sulla schermata appare la notifica di un messaggio e, nel leggere il nome del mittente, mi pare di venir schiaffeggiata con incredibile inaspettatezza.
Il battito che prima mi dava l'impressione di essere fin troppo accelerato ora rallenta di colpo, facendomi mancare l'aria.

Charlie Boy.


Sgrano gli occhi. Perché c'è un suo messaggio? Per quale ragione ha scritto a Morgenstern?
Adesso alzo lo sguardo in direzione dell'anta ancora socchiusa. Sbatto le ciglia nel tentativo di rinsavire, ma più lo faccio, meno mi sembra di comprendere il senso di ciò che sta accadendo. 
Per quale motivo evita me, ma scrive all'amico che lo ha ferito?

Muovo un passo indietro, conscia di star per compiere la peggiore delle azioni, eppure sono irremovibile dal farlo.
Cosa gli ha scritto? Cosa si devono dire? Ho bisogno di saperlo. Non importa a quali conseguenze andrò incontro, la mia mente ha la nauseante necessità di leggere ciò che si nasconde dietro a quella notifica per trovare un po' di pace, delle risposte, un perché al suo allontanamento da me - e così pigio sull'icona, aprendo la chat.

"Ehi, ho sentito mia madre. Dice che Jay è passata a casa e sembrava giù di morale. E' successo qualcosa? Dimmi che non hai fatto cazzate, Seth..."

Deglutisco. Di che cazzate sta parlando? Cosa dovrebbe essere successo?


 

 


 
   
 
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