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Autore: _Trixie_    22/05/2020    3 recensioni
[AU, niente magia]
Prima di tornare a casa dal lavoro – Emma era rimasta appostata per ore fuori da un appartamento in cui credeva che si nascondesse il ricercato che stava inseguendo – aveva controllato l’ora: Regina Mills era una donna abitudinaria e lasciava il palazzo ogni mattina alle sette e mezza precise, dopo aver controllato la posta ed aver lanciato un ultimo sguardo al proprio riflesso nello specchio appeso dietro il bancone della portineria. Come se quel viso non fosse già perfetto.
«Assessore Mills» disse Emma, sorridendo e fermandosi accanto alla sua vicina, che stava leggendo il retro di una busta con aria di profonda disapprovazione.
«Signorina Swan. Buongiorno» ricambiò la donna, un sorriso di circostanza sulle labbra. Emma la considerò una vittoria. «Nottataccia?» aggiunse poi l’assessore.
Emma si strinse nelle spalle, infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. «Qualcuno deve pur occuparsi della feccia di Boston, no?»
«La città le è grata per i suoi servizi, signorina Swan» rispose la donna, prima di rivolgerle un cenno di saluto con il capo, che Emma ricambiò.
La ragazza trattenne a stento un sorriso mentre osservava l’assessore allontanarsi.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PARTE IV
L’ascensore

 

 
 
Emma non si era mai posta molto domande circa il futuro delle sue relazioni, di qualsiasi natura queste fossero. Probabilmente, perché dava sempre per scontato che l’altra persona se ne sarebbe presto andata, perciò non c’era alcun bisogno di interrogarsi, lo sapeva già come sarebbe andata. E allora Emma se ne andava sempre per prima, prima che potesse fare troppo male, prima di essere lei quella ad essere abbandonata.
Così, Emma non poteva fare altro che pensare che se ne sarebbe dovuta andare prima, molto prima, mentre se ne stava appoggiata a un lato della sala, con un bicchiere di champagne intatto e i piedi doloranti. Scartò a malincuore l’idea di sfilarsi i tacchi, anche se, probabilmente, nessuno lo avrebbe notato nessuno, mentre continuava a scandagliare la sala con lo sguardo in cerca di Regina.
Emma non era nemmeno sicura di cosa fosse successo, ma doveva aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. Dopo il loro unico ballo, Emma e Regina avevano dovuto rivolgere la propria attenzione a Zelena e a Robin, per il taglio della torta. Non si erano scambiate una parola e si erano limitate a sorridersi, mentre si voltavano verso gli sposi, così come tutti gli altri invitati. L’assessore aveva tenuto la mano di Emma sul proprio fianco, girandosi nel suo abbraccio e appoggiandosi a lei, le spalle rilassate. La signorina Swan si era detta che era tutta scena, ecco, a beneficio degli altri. E aveva provato a convincersene, ripetendosi che niente di tutto ciò che stava accadendo con Regina era reale, che non c’era nulla tra di loro. Ma il calore del corpo di Regina contro il proprio e le loro dita ancora intrecciate e il profumo di mele dell’assessore erano terribilmente difficili da ignorare, praticamente impossibili e Emma si era infine arresa, dicendosi che sarebbe stato più semplice dimenticare tutto una volta tornate a Boston, lontano da Regina e da quella sensazione che ora le scaldava il cuore ogni volta che l’assessore le era vicino.
Poi, qualcosa era cambiato. Mentre Zelena faceva un qualche discorso sulla speranza e sui nuovi inizi e sull’amore che si nasconde nei posti meno inaspettati, Regina si era irrigidita tra le braccia di Emma. La signorina Swan aveva chiesto se andasse tutto bene e l’assessore aveva annuito per poi scusarsi e allontanarsi. Emma avrebbe voluto seguirla, ma Regina aveva scosso la testa, sorridendo. Così, la ragazza era rimasta dove era, l’aveva guardandola scomparire tra la folla, riscuotendosi solo quando un applauso fragoroso aveva riempito la sala e Emma, meccanicamente, vi si era unita.
Da quel momento, non aveva più visto Regina. E la sua preoccupazione era tale che non aveva nemmeno assaggiato la torta di nozze.
«Emma, eccoti qui!»
La signorina Swan sussultò. «Zelena, congratulazioni! Ancora!» esclamò la ragazza, presa in contropiede. Si guardò disperatamente intorno, alla ricerca di Regina.
«Come era la torta?»
«Squisita» mentì Emma, con un sorriso che sperò fosse abbastanza convincente.
Zelena, le braccia incrociate al petto, alzò un sopracciglio, scettica. Sì, era decisamente la sorella di Regina. «Non hai mangiato la torta, Emma. E nemmeno Regina. Dove si è cacciata?»
Emma si strinse nelle spalle.
«Sono sicura che sta tramando qualcosa per rovinarmi il matrimonio» fece Zelena, rivolta più a se stessa che a Emma.
«Regina? Non penso proprio» rispose la ragazza, scuotendo la testa.
«Senti, biondina» iniziò Zelena, guardando Emma dritto negli occhi. «L’unica ragione per cui sei qui è per rovinarmi il matrimonio. A Regina non importa nulla di te e, qualunque sia la vostra… storia, stai certa che non vorrà saperne più nulla di te, una volta tornate a Boston».
«Questo non-»
«Pensaci, Emma. Sei tutto quello che nostra madre odia. Portarti qui è stata solo un’altra delle provocazioni di Regina. Un consiglio da amica: non ti affezionare».
Emma pensò di bere giusto un sorso di champagne per darsi il tempo di calmare la rabbia dentro di sé prima di rispondere, ma finì con il vuotare il bicchiere in un solo fiato. Non che Zelena avesse del tutto torto, sulla situazione tra lei e Regina, ma non si doveva permettere di parlare in quel modo di sua sorella, nossignora. Tuttavia, Emma non poté rispondere a Zelena, perché questa si era già allontanata. Con un sospiro, Emma decise di mettersi alla ricerca di un altro bicchiere di champagne, sperando di imbattersi in Regina nel frattempo. In caso contrario, sarebbe tornata nella loro stanza e l’avrebbe aspettata lì.
Sperando che tornasse.
 
 
*
 
 
Infine, Emma si convinse che Regina non si trovava più al ricevimento.
Ancora alla ricerca di un altro bicchiere di champagne, la ragazza scivolò di lato, infilandosi tra due signore che sembravano impegnate a spettegolare, scusandosi debolmente per l’interruzione, così da togliersi dalla traiettoria della signora Mills, che era decisamente l’ultima persona con cui voleva a che fare in quel momento, e si trovò di fronte al bagno. Rendendosi conto che tutto lo champagne che aveva continuato a bere nell’ultima mezz’ora chiedeva prepotentemente di uscire, Emma aprì la porta e tirò un sospiro di sollievo non appena si rese conto che era vuoto. Non era decisamente dell’umore di scambiare cortesie con sconosciuti, in quel momento.
Lamentandosi tra sé e sé per il mal di piedi, entrò nel cubicolo più vicino, e tenne la pochette tra i denti, così da avere entrambe le mani libere per poter sollevare il vestito e abbassare le mutande senza toccare alcuna superficie intorno a lei. Certo, quel posto sembrava essere stato appena tirato a lucido, ma dei bagni pubblici è sempre meglio non fidarsi, e lo aveva imparato anni prima a proprie spese, con un’infezione fungina che aveva reso il semplice atto del sedersi troppo doloroso per i suoi gusti. L’unica cosa positiva dei tacchi era che rendevano molto più semplice mantenere l’equilibrio con le ginocchia piegate, pensò Emma.
Fu solo quando ebbe finito e si fu congratulata tra sé e sé per essere riuscita a fare tutto con una sola mano mentre con l’altra teneva il vestito sollevato che Emma notò, attraverso lo spazio lasciato aperto vicino al pavimento tra il proprio cubicolo e quello accanto, delle scarpe fin troppo familiari.
«Regina?!» domandò, dimenticandosi di avere ancora la pochette tra i denti e facendola cadere.
«Emma» rispose la donna, in tono rassegnato.
«Mi hai ascoltato fare pipì senza dire niente?!» domandò Emma, indignata.
«Non c’è bisogno di urlare, signorina Swan».
Emma la sentì uscire dal cubicolo e si affrettò a raccogliere la pochette per precipitarsi fuori a sua volta.
«Eri qui? Per tutto questo tempo? Lo sai da quanto ti cerco, Regina?! Mi hai lasciata… sola» disse Emma, abbassando infine la voce. E non perché l’assessore glielo avesse chiesto.
Regina prese un respiro profondo, evitando lo sguardo di Emma, che scosse la testa. «Lascia stare» disse la signorina Swan, raggiungendo il lavandino per lavarsi le mani. «Come se ti importasse qualcosa di me, poi».
«Emma? Certo che mi import-»
«Non te ne sto facendo una colpa, Regina, davvero» fece Emma. «Se c’è una colpa, è mia. Non avrei mai dovuto…» si strinse nelle spalle, agitando una mano, ancora bagnata, tra sé e Regina.
«Emma, non ti seguo. Hai… bevuto?»
Ma la ragazza non poté rispondere, perché in quel momento la porta del bagno si aprì nuovamente
«Vedo che l’hai trovata» disse Zelena, fissando gli occhi sulla sorella.
«Cosa vuoi, Zelena?»
«Che tu, per una dannata volta nella tua stupida vita, la smetta di essere l’egoista che sei e torni alla festa senza fare scenate».
«Non sto facendo scenate» protestò Regina. «Sono sicura che nessuno si sia accorto della mia assenza».
«Nostra madre sì. E lo sappiamo tutti che farla infuriare è esattamente quello che vuoi. Non solo hai portato una donna al mio matrimonio, ma è persino bionda!»
«Perché la tua famiglia odia le bionde?!» domandò Emma, scandalizzata, a Regina.
«Non sono la mia famiglia» rispose l’assessore, senza distogliere gli occhi da Zelena. «E non ho portato Emma per far infuriare nostra madre! Quanto devi essere infantile per-»
«Vuoi rovinarmi il matrimonio, Regina! Non riesci a sopportare l’idea che, per una volta, io possa avere più attenzioni di te, che possa riuscire in qualcosa che a te non è riuscito!»
«Ma davvero? E in cosa saresti riuscita, Zelena, esattamente?»
«A crearmi una famiglia, ecco in cosa sono riuscita! Qualcosa che tu non potrai mai fare perché sei incapace di formare legami!»
«Come osi?!»
« Disprezzi tanto nostra madre perché sei identica a lei, Regina. Non sai amare-»
E questa fu l’ultima cosa che Emma sentì prima di uscire dal bagno, quasi correndo. Si chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò per qualche istante, le voci di Zelena e Regina coperte dalla musica del ricevimento. Una volta che ebbe ripreso fiato, Emma iniziò a camminare velocemente in direzione dell’uscita, con la testa bassa e senza nemmeno scusarsi mentre urtava gli altri invitati. Nell’atrio antistante la sala, invece di dirigersi verso l’ascensore, Emma marciò nella direzione opposta, per uscire all’aria aperta. La notte era fredda e le fece accapponare immediatamente la pelle, ma Emma inspirò comunque a pieni polmoni. L’intontimento provocato dallo champagne si attenuò e la ragazza sentì gli occhi inumidirsi. Era una stupida, ecco cosa era. Lo sapeva che cosa era questa… questa situazione con Regina, lo sapeva perfettamente. Non era nulla, non c’era nulla tra di loro. Solo una bugia lunga tre giorni. E forse proprio per questo Emma aveva abbassato la guardia e aveva lasciato che quello che provava per Regina, qualsiasi cosa fosse all’inizio, crescesse, illudendosi che una data di scadenza preventivata l’avrebbe protetta.
«Emma!» la chiamò all’improvviso una voce gioviale a qualche metro di distanza. «Non hai freddo? E dove è la mia bambina?»
Emma deglutì, prese un altro respiro profondo. Il signor Mills, seduto su una panchina di pietra con una coperta stessa sulle gambe, le stava sorridendo. Emma provò a ricambiare.
«D-Dentro» riuscì infine a rispondere la signorina Swan. «Avevo solo bisogno di un po’ di aria fresca».
«Ah, non dirlo a me» rispose il signor Mills. «Zelena adora le feste in grande stile e ha invitato chiunque conoscessimo. Dio, ho salutato cugini che non ricordavo nemmeno di avere!» fece l’uomo, ridendo.
«Già, molto affollato».
«Ma vieni, siediti un po’ qui!»
Emma fece per protestare e, immaginandolo, il signor Mills la prevenne: «Non vorrai dire no a un povero vecchietto, eh? Solo pochi minuti».
La signorina Swan annuì, con il vago sospetto che Henry Mills si considerasse un povero vecchietto solo quando gli conveniva, e si avvicinò alla panchina, sedendosi accanto a lui. Immediatamente, l’uomo prese la coperta che aveva sulle gambe e l’appoggiò sulle spalle di Emma.
«Non-»
«Ne hai più bisogno tu. Lo vedo da qui, che stai congelando».
«Grazie» rispose Emma, che effettivamente aveva iniziato a tremare. «E lei cosa ci fa qui fuori?»
«Onestamente? Mi nascondo da mia moglie. Se mi costringe a fare un’altra foto con un socio d’affari di cui non so nemmeno il nome mi metto a urlare, Emma, davvero».
Emma sorrise. «Non sembrano molto simpatici. Regina me ne ha indicato qualcuno».
«È rimasta dentro? Da sola?»
«Con-Con Zelena» rispose Emma, puntando lo sguardo a terra.
«Capisco» disse il signor Mills, con un sospiro pesante. «Stanno litigando, non è vero?»
«Stanno… discutendo. Animatamente».
Henry scosse la testa. «E pensare che erano inseparabili, da bambine».
«Davvero?» domandò Emma, prima di riuscire a trattenersi.
«Davvero. Immagino che Regina non ti abbia detto molto, della sua infanzia» fece il signor Mills, soppesandola.
«Solo che le piaceva cavalcare».
Il signor Mills sorrise dolcemente al ricordo. «Ed era anche molto brava. Ma Cora… Cora la riteneva una perdita di tempo e così Regina è stata costretta a smettere».
«Oh».
«Mia moglie ha sempre avuto un’idea precisa di quello che fosse meglio per le nostre figlie. E temo che questo abbia influito sul rapporto tra Regina e Zelena» sospirò Henry, scuotendo la testa. «Sarei dovuto intervenire, ma i miei viaggi mi tenevano lontano da casa molto più di quanto fosse opportuno. E in ogni caso Cora preferiva avermi fuori dai piedi. Lo preferisce ancora, a dire il vero».
Emma stava ancora fissando il pavimento, alla ricerca delle parole giuste. Doveva consolare il signor Mills? Dirgli che, secondo lei, lui si meritava di meglio? Che riteneva Cora Mills l’essere umano più odioso dell’intero universo conosciuto e non?
«Scusami, Emma, non ti volevo annoiare».
«Non sono annoiata, sign- Henry» si affrettò a rassicurarlo Emma. «Solo che… Insomma, la signora Mills è molto diversa da lei. E anche Zelena e Regina…»
Henry annuì. «Vedi, Emma, tu sei innamorata di Regina, ma non giudicare troppo severamente sua sorella. Per Zelena non è stato facile crescere, si è sempre sentita oscurata da sua sorella. Lo sai come è Regina, no?»
«Perfetta in tutto quello che fa?» azzardò Emma, una nota amara nella voce. Perfetta anche nel mentire, probabilmente.
Il signor Mills le sorrise. «Per l’appunto. E mia moglie… Mia moglie era solita fare continui confronti tra le nostre figlie e, in qualche modo, Zelena non ne usciva mai vincitrice. Al tempo stesso, Regina non si è mai sentita abbastanza, per sua madre, perché il miglior talento di Cora è criticare» proseguì il signor Mills, tristemente. «Tra loro, tra le mie figlie, è cresciuto il risentimento e, quando me ne sono accorto, era troppo tardi. Perciò ero felice che Regina venisse oggi e sono stato io a suggerire a Zelena di invitarvi questa mattina… Speravo che… Sì, magari non in una riconciliazione, ma in qualche passo avanti» confessò il signor Mills.
Emma prese la mano del signor Mills e la strinse, senza dire una parola.
«E anche tu hai… discusso con Regina» azzardò poi il signor Mills, osservando Emma con la coda dell’occhio.
La ragazza trasalì, poi arrossì violentemente. «No, no».
«Ti ho visto mentre la cercavi, prima».
«Sì, ma è stata solo…»
«Solo?»
Emma prese un respiro profondo, lasciò la mano del signor Mills. «Solo qualche incomprensione, ecco».
L’uomo annuì e questa volta fu lui a prendere la mano di Emma tra le proprie. «Sono sicuro che risolverete questa… incomprensione. Non ho mai visto Regina guardare qualcuno nel modo in cui guarda te».
Emma non poté trattenere uno sbuffo divertito e scosse la testa. Non disse nulla e, per un secondo soltanto, si permise di credere che il signor Mills avesse ragione, che lei fosse molto di più che una semplice vicina di casa per Regina.
Sarebbe stato bello.
«Forza, Henry» disse infine, alzandosi in piedi. «La riaccompagno dentro. Qualche stupida foto non vale certo il freddo che sta prendendo. E Regina mi ucciderebbe se sapesse che le ho permesso di stare fuori tanto a lungo».
Il signor Mills sogghignò, ma si lasciò guidare di nuovo fino al ricevimento, dove Emma lo salutò per tornare nella propria stanza. Voleva solo togliersi quelle maledette scarpe, dormire e evitare Regina per il resto della vita.
 
 
*
 
 
Quando Emma rientrò nella camera che condivideva con Regina, sentì una punta di delusione nel cuore. Era buia, perciò Regina doveva essere ancora alla festa, forse a litigare con Zelena o forse a fingere che non si odiassero tanto visceralmente. La signorina Swan si disse che era meglio così. In fondo era quello che voleva, no? Dormire. Senza dover aver a che fare con Regina prima. O una volta tornate a Boston.
Chiedendosi se le cucine dell’hotel le avrebbero preparato un toast al formaggio e una cioccolata alla cannella con panna a quell’ora, Emma si sfilò le scarpe con un grugnito di fastidio, sospirando sollevata quando i suoi piedi toccarono la moquette morbida e piana. Infine, accese la luce.
«Regina, dannazione!» urlò, notando subito l’assessore, seduta sul letto. Anche le sue scarpe erano state abbandonate disordinatamente in mezzo alla stanza, il che non era affatto da Regina.
«Scusa» bisbigliò la donna. «Non volevo spaventarti».
«Perché eri al buio?» domandò Emma, tenendosi una mano sul cuore.
Regina si strinse nelle spalle.
E Emma si appoggiò alla porta d’ingresso con la schiena e scivolò verso il basso fino a trovarsi seduta a terra. Stese le gambe e incrociò le caviglie. «Ho incontrato tuo padre» disse infine, senza guardare Regina, lo sguardo davanti a sé. «Mi ha detto che non è sempre stato così, tra te e Zelena».
«No, non è sempre stato così» confermò Regina. «Ma poi siamo cresciute e…» l’assessore si strinse nelle spalle.
«Tua padre pensa sia colpa di tua madre».
«Hai conosciuto mia madre. Certo che è colpa sua» confermò Regina. «Ma non vale la pena parlarne-»
«Ah, giusto. Perché tanto sono solo una stupida bionda».
Emma continuava a tenere lo sguardo lontano da Regina, ma con la coda di un’occhio la vide infine alzare lo sguardo su di lei.
«Mi vuoi spiegare da dove salta fuori questa storia, all’improvviso, signorina Swan? Non hai avuto problemi fino a-»
«Fino a quando non hai deciso di andartene dalla festa, a nasconderti in bagno» la interruppe Emma.
Regina si passò una mano tra i capelli. «Avevo… Avevo bisogno di stare un po’ da sola. Tutto qui».
Emma fissò il proprio sguardo in quello di Regina. «Credevo che questa messinscena servisse proprio per non farti rimanere sola a questa festa, Regina. Ma poi, improvvisamente, dopo… Dopo che-»
La signorina Swan tirò un pugno al pavimento per la frustrazione, il colpo attutito dalla moquette. «Non importa. È la tua famiglia, il tuo mondo, puoi fare quello che ti pare» disse infine, alzandosi a fatica dal pavimento. Non vedeva l’ora di togliersi quello stupido vestito. Mosse qualche passo verso il bagno, ma anche Regina si era alzata e, quando la raggiunse, le prese la mano. Doveva essere stata una scelta istintuale, quella dell’assessore, perché parve accorgersi di quello che aveva fatto con qualche secondo di ritardo e, con uno sguardo di scuse a Emma, che nel frattempo si era voltata verso di lei, lasciò la presa.
«Certo che importa. E non penso affatto tu sia una stupida» disse Regina, con decisione.  
«Ma la tua famiglia sì».
«Mia madre e Zelena non sono la mia famiglia».
«E quando è stato chiaro che tua madre non avrebbe reagito in alcun modo a noi, non ti è più importato più nulla di me. E lo so che siamo solo vicine di casa, ma… Pensavo… Non lo so, ci stavamo divertendo e quel ballo e…» Emma scosse la testa e incrociò le braccia al petto. «Ma immagino che per te non-»
«Signorina Swan» la interruppe Regina. «Non dire di nuovo che non mi importa nulla».
«E allora perché sei… sparita? Ti ho scritto almeno una decina di messaggi, ti ho chiamata, ti ho cercata per tutta la sala. Lo so che ho sbagliato e che non avrei dovuto farmi trasportare dalla situazione e forse avrei dovuto essere più sincera con te all’inizio e dirti che, almeno un po’, mi sei sempre piaciuta, ma non abbiamo quindici anni, Regina, puoi semplicemente dirmi che non ricambi invece di evitarmi e lasciami lì come un’idiota e-»
«Emma!» fece Regina, interrompendola e facendo un passo verso di lei. La fissava negli occhi, con un’intensità nuova, come se stesse cercando a tutti i costi i segni di una menzogna. «Ti… Ti sono sempre piaciuta?»
Emma arrossì violentemente e distolse lo sguardo. Si strinse nelle spalle. «Credevo… Credevo fosse solo una cosa così» ammise infine.
Regina continuò a guardarla interrogativa e Emma si costrinse a continuare. «Non ti conoscevo. Cioè, prima di questa follia non sapevo molto di te, però, insomma… Sei davvero la donna più bella che io abbia mai visto. E poi abbiamo iniziato questa ridicola farsa e a passare del tempo insieme e a parlare e…».
Regina rimase in silenzio per qualche secondo e Emma avrebbe voluto andarsene, ma non sapeva dove. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare Regina e, forse, prima si lasciavano entrambe quella storia alle spalle, meglio sarebbe stato per tutti. Chissà, forse un giorno ci avrebbe persino riso su, Emma. Di certo non nell’immediato futuro.
«E poi abbiamo ballato» disse Regina, esitante.
Emma annuì. «E tu hai capito e te ne sei andata e-»
«No» fece Regina. «Cioè, sì, ho… Ho capito, ma non…» L’assessore chiuse gli occhi. «Non è vero quello che dice mia sorella. Non è vero che non so formare legami stabili o che non so amare… E non… non me ne sono andata perché ho capito che una parte di te non stava più fingendo, Emma».
Emma riportò lo sguardò su Regina, che finalmente aprì gli occhi. «Me ne sono andata perché una parte di me non stava più fingendo e non volevo più fingere, ma non credevo… Ma non credevo che tu…»
Regina si strinse nelle spalle e Emma si sentì all’improvviso leggera e il suo cuore sembrava deciso a sfuggirle dal petto. Sciolse le braccia e raggiunse le mani di Regina con le proprie, intrecciando le loro dita.
«Perché non hai detto qualcosa?» domandò la signorina Swan in un sussurro.
Regina alzò gli occhi al cielo. «Perché tu non hai detto qualcosa?»
Emma si lasciò sfuggire uno sbuffo di risata e avvicinò Regina a sé. L’assessore le sorrise e il suo sguardo si soffermò per qualche secondo sulle labbra dell’altra prima di tornare nei suoi occhi. Poi, Regina sciolse le loro dita intrecciate e portò le braccia al collo di Emma. La ragazza le cinse i fianchi e sentì la donna alzarsi sulla punta dei piedi e appoggiarsi a lei con il corpo per mantenere l’equilibrio.
Emma le sorrise. «Lo sapevo che per baciarmi ti saresti dovuta alzare sulla punta dei piedi» sussurrò.
Regina alzò un sopracciglio, contrariata. «Stai rovinando il momento, Emma».
La signorina Swan fece una smorfia, scettica, prima di avvicinare il viso a quello dell’assessore e baciarla. Le labbra di Regina sapevano di champagne e di mele ed erano dolci e morbide e Emma non era più nemmeno sicura che tutto quello fosse reale, perché si sentì pervadere da un tale senso di felicità e di sicurezza mai provato prima di allora. Regina si strinse a lei con più forza e affondò le mani tra i suoi capelli, come se temesse che Emma potesse sfuggirle da un momento all’altro.
Quando infine si separarono, ebbero appena il tempo di sorridersi l’un l’altra prima di baciarsi di nuovo.
 
 
*
 
 
La mattina seguente, Emma venne svegliata da un raggio di sole che la colpì dritta in faccia. Ci mise qualche secondo a ricordare dove fosse e cosa fosse successo la sera prima. In tutta onestà, non avrebbe voluto addormentarsi, perché temeva che, una volta sveglia, avrebbe scoperto che nulla era accaduto davvero e che tutto non era stato altro che un sogno.
Ma quando aprì gli occhi, Emma scoprì di avere Regina stretta tra le braccia e che l’assessore a sua volta le stringeva la maglietta. Le loro gambe sotto le coperte erano intrecciate. Emma sorrise. Dopo il loro bacio o, meglio, dopo i numerosi baci della sera precedente, erano riuscite a stare lontane abbastanza a lungo per cambiarsi e mettersi a letto. Quando Emma, indecisa sul da farsi, aveva suggerito di costruire di nuovo la muraglia di cuscini, Regina l’aveva mandata al diavolo tirandole un cuscino in faccia prima di stringersi a lei. E Emma non si era mai sentita così in sintonia con l’universo intero come la notte precedente, sdraiata a fissare il soffitto con Regina appoggiata al suo petto che giocava con l’orlo della sua maglietta. Avevano parlato a lungo. Avevano parlato di Regina e della sua famiglia e l’assessore l’aveva rassicurata che non le importava, del loro giudizio, con l’esclusione del signor Mills, ma il padre di Regina aveva già dimostrato di non avere a cuore altro se non il bene di sua figlia. E poi Emma aveva raccontato buona parte della sua infanzia e della sua esperienza nelle case-famiglia, con una sincerità tale che lei stessa ne fu stupita, perché nemmeno a Ruby aveva svelato il suo passato in cui termini, senza filtri e senza paura di essere giudicata. E poi avevano parlato ancora un po’, tra un bacio e l’altro, tra una carezza e l’altra, fino ad addormentarsi.
Durante la notte, Emma non si era svegliata nemmeno una volta e quella mattina si sentiva riposata come non si sentiva da tempo. Non riuscendo a resistere, baciò la fronte di Regina, rafforzando un po’ il suo abbraccio.
«Buongiorno» disse l’assessore, senza aprire gli occhi.
«Scusa, non volevo svegliarti» rispose Emma, con un brio nella voce che non era sicura fosse legale, la mattina.
Probabilmente, fu quello che convinse Regina ad aprire gli occhi. La osservò per qualche secondo. «Devo dedurne che non ci sono ripensamenti?» azzardò l’assessore, apparentemente noncurante.
«Nessuno. E tu?» domandò Emma, esistente.
«Nemmeno».
 
 
*
 
 
Emma avrebbe preferito rimanere a letto tutto il giorno, ma Regina l’aveva costretta ad alzarsi e a fare colazione in fretta, così da non perdere il loro volo per Boston.
«Ma potevamo spostare il volo!» fisse Emma per la ventesima volta, lamentevole. «Non dico a domani, anche se sarebbe stato decisamente l’ideale, ma almeno a questa sera».
L’assessore alzò gli occhi al cielo prima di rispondere. «Voglio mettere quanta più distanza possibile tra me e mia madre, Emma» disse, precedendo la signorina Swan mentre uscivano dalla stanza con le loro valigie.  
Regina si diresse all’ascensore e vi entrò, Emma a qualche metro di distanza, e, questa volta, tenne le porte aperte per la ragazza, che la guardò interrogativa. «Devo propria piacerti tanto, se adesso prendi volontariamente l’ascensore con me» commentò la signorina Swan, una volta che l’ebbe raggiunta.
Regina premette il tasto del piano terra e attese che le porte si chiudessero, prima di voltarsi a guardarla.
«Vedi, signorina Swan» disse, facendo un passo verso di lei. «Gli ascensori sono molto piccoli e molto stretti» spiegò, sistemando una ciocca dei capelli di Emma dietro il suo orecchio, gli occhi fissi sulle labbra della ragazza, che cercava di capire dove l’assessore volesse andare a parare. Probabilmente fu per un caso fortuito che i suoi neuroni riuscirono a cogliere il filo logico dell’allusione di Regina.
Emma sorrise, trionfante, strinse un braccio intorno alla vita dell’altra. «Volevi baciarmi anche quella volta? La prima volta che abbiamo preso un ascensore insieme?» domandò.
Regina non rispose, limitandosi a baciare la signorina Swan.
 
 
*
 
 
«Quindi avete fatto pace» commentò il signor Mills, non appena le porte dell’ascensore si aprirono. Emma e Regina si separarono all’istante e arrossirono violentemente.
«Papà!» disse l’assessore, con un tono decisamente più acuto del solito. Si schiarì la voce.
«Buongiorno, Henry» disse Emma, cercando di darsi un contegno.
Nessuno si mosse per qualche secondo, fino a quando le porte dell’ascensore fecero per richiudersi. Con uno scatto, Emma le bloccò. «Forse dovremmo… uscire» bisbigliò a Regina.
L’assessore annuì ed entrambe si affrettarono a recuperare i propri bagagli.
«Volevo solo salutarvi» spiegò il signor Mills, una volta che l’ebbero raggiunto. «Sei sicura che non vuoi che ti accompagni in auto, tesoro?»
«Non c’è bisogno, papà. Il taxi ci sta già aspettando».
«D’accordo, d’accordo» si arrese l’uomo. «Allora, spero che verrete da noi, per Natale».
Regina lanciò uno sguardo a Emma, che all’improvviso trovò il soffitto molto interessante.
«Non lo so, papà… La mamma-»
«Ah, ci parlo io con tua madre» tagliò corto il signor Mills. «Dovrà farsene una ragione. Dico bene, Emma?»
«Immagino di sì» rispose la ragazza, sorridendo imbarazzata.
«Ah, meraviglioso, meraviglioso» fece l’uomo, avvicinandosi a Emma e dandole una vigorosa pacca sulla spalla. Come sempre, Emma si sentì mancare il fiato. Regina ridacchiò.
«Hai salutato tua sorella?» domandò poi il signor Mills alla figlia, con il tono più casuale che gli riuscì.
Regina incrociò le braccia al petto. «Meno io e Zelena ci parliamo, meglio è per tutti, papà».
Il signor Mills sospirò. «Non essere riuscito a proteggervi da vostra madre è l’unico rimpianto che ho e non mi darò pace finché non avrò rimediato al mio errore».
«Papà-»
Ma il signor Mills scosse la testa. Abbracciò Emma, che ricambiò immediatamente, e le augurò buon viaggio, prima di spalancare le braccia in direzione della figlia. «Mi mancherai, bambina mia» disse Henry.
«Anche tu, papà» rispose Regina.
«Ci vediamo a Natale!» disse poi il signor Mills, quando Emma e Regina stavano già per allontanarsi.
«Ti chiamo appena arriviamo, papà!» fece l’assessore in risposta, cercando la mano di Emma e stringendola.


 

NdA 
Buon venerdì <3 
Siamo arrivati al penultimo aggiornamento, la prossima settimana arriverà l'epilogo ;) 
Grazie per aver letto anche questo capitolo, 
A venerdì, 
T. <3 


 
   
 
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