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Autore: Master Chopper    11/06/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 19: For Peace, Of Course

C’era una volta un regno, che crollò per mano di uomini e donne che volevano giustizia, e trascinarono quella stessa terra in un’ingiustizia ancora più profonda. I Rivoluzionari dicevano di parlare al popolo, ma il popolo che volevano ascoltare era una mostruosa brutalità che stava dilaniando la Francia. Ed il mostro più crudele di tutti era la voce della pancia e della violenza di quella gente: l’Amico del Popolo, Jean-Paul Marat.

Ogni volta che i giacobini, i quali volevano porre fine  alla violenza che alimentava la guerra civile tra le strade, chiedevano ai rivoluzionari in carica di fermarsi, Marat aumentava il numero di teste che voleva veder rotolare giù da una ghigliottina. La soluzione era sempre la morte.

Così, per distruggere quel mostro che terrorizzava la brava gente, un giorno una ragazza proveniente dal nulla, senza dire niente a nessuno, si levò dalla sua anonima casa per cambiare le sorti del suo paese.

 

E ora, quella stessa donna aveva pugnalato un dio. Il sangue era ancora una volta il perfetto testimone, qualcosa che può parlare prima ancora della voce, e asserisce innegabilmente la debolezza alla morte a cui tutti siamo soggetti.

“Lo ha… colpito ?!” Questo però era ciò che nessuno riusciva a spiegarsi. I due cancellieri strepitarono, increduli. “Sì, indubbiamente! Lo ha colpito!! Charlotte Corday ha inflitto il primo colpo a Quetzalcoatl !”

Mit ‘nem Messer in der Brust…” Canticchiava il dio misterioso, in una reminescenza di quello che era stato lo scontro precedente. Vedendolo così spensierato e allegro, i suoi due colleghi non poterono che sollevarlo per il bavero, infuriati.

“Ci vuoi spiegare quello che sta succedendo ?!”

“Chi, io ?” Fece quello, confuso. “Ah, ma io non sto capendo niente. Dovreste chiederlo a lei… o forse, proprio a Quetzalcoatl.”

Ed indicò il campo di battaglia.

O meglio, il campo di pok-a-tok, dove si stava ancora disputando la partita: la palla era in volo, passata da Charlotte prima del coltello, ma molto più lenta. Quetzalcoatl barcollò, esitando per lo shock e per il dolore, però ricevette il passaggio saltando ed intercettando la palla con le ginocchia.

Incredible! Quetzalcoatl fa come se nulla fosse e continua a giocare, ladies and gentlemen !!”

Tezcatlipōca digrignava i denti e stringeva i pugni a più non posso, disperato: “Perché?! Perché lo fai, Quetz ?!”

Ma la risposta poteva saperla solo Charlotte, dal momento che il dio le aveva parlato.

“Dopotutto tu stai giocando con una penitenza… quindi è giusto che ce l’abbia anche io.” E dalle sue labbra insanguinate nacque il solito innocente sorriso spavaldo.

La francese ricambiò, bloccando la palla con il coltello prima che andasse nel suo canestro.

Come un normale gioco tra amici, anche se con spruzzi di sangue che si sollevavano in aria, i due continuarono la partita. L’una sentiva le mani lacerarsi, e le sue dita erano prossime a staccarsi, mentre l’altro aveva il coltello piantato in un punto non mortale, ma che comunque gli bloccava il respiro e causava una copiosa emorragia.

In quella folle esagerazione, la ragazza intercettò la palla per poi mandarla più in alto possibile. Il colpo pareva fin troppo eccedente rispetto al suo bersaglio, ma in un istante Quetzalcoatl si accorse della trappola: in realtà quell’alta parabola sarebbe perfettamente nel suo anello, precipitando però con un’angolazione impossibile da bloccare all’ultimo. Così impiegò tutte le forze che gli rimanevano per spiccare un balzo, ed infine spiegare le ali per elevarsi ancor di più.

“Io… non ho le ali.” Gli fece notare Charlotte, seria e glaciale come la lama di un coltello. Lo stesso che ora afferrava dalla parte del manico.

Al dio vennero i brividi al suono di quelle parole, e tutti lo videro paralizzarsi in aria. Un istante dopo, ben due coltelli gli si piantarono nelle ali, macchiando di rosso anche quelle brillanti piume.

“A-A-Anche le ali ?!” Urlarono gli annunciatori, anticipando la disperazione degli dèi. “Se prima Charlotte non riusciva a mettere a segno un colpo, ora sta massacrando Quetzalcoatl !”

“È giusto… così.” Disse però il dio, tossendo sangue ancora a mezz’aria. “Non avrei dovuto… barare.”

Pur di giocare un gioco pulito, si stava lasciando colpire: era la sua dimostrazione di fiducia, la sua ostinata correttezza che trascendeva ogni logica comune. Con un sorriso ammetteva le sue colpe e quasi si puniva, lasciando però che fosse l’altra a decidere la punizione che doveva scontare. Tutto questo pur di divertirsi.

“Non ti preoccupare, fa niente.” Gli rispose amorevolmente la ragazza.

“Però… io non ho finito qui.”

In elevazione come un astro, e perfettamente all’interno del sole per come lo vedeva Charlotte, il dio non si abbandonò alla morte. Per prima cosa bloccò la palla con il petto, dopodiché sfruttò l’accelerazione del suo volo e l’inerzia della caduta, siccome aveva iniziato a precipitare verso il basso, per avvitarsi in volo: si capovolse con un carpiato, e terminando con una rovesciata di polpaccio spedì la palla dritta nell’anello avversario.

Si sarebbe aspettato un coro esultante, però ottenne solo un sussulto confuso.

Persino Charlotte era ammutolita, ora che la sua sottile trama assassina pareva aver raggiunto un imprevisto. Non sapeva cosa aspettarsi ora che il gioco era terminato, e quell’ignoto le causò un brivido gelido lungo tutto il corpo.

“Signorina …” Una volta atterrato, Quetz procedette a sfilarsi i coltelli dal corpo, per poi porgerli all’altra con un enigmatico quanto affaticato sorriso. “… questi sono tuoi. A che gioco giochiamo, adesso ?”

E con quella frase enigmatica, che poteva far presupporre soltanto alla fine di tutti i giochi, qualsiasi persona avrebbe capito che la fine per Charlotte era giunta.

Se con il primo coltello aveva accuratamente scelto di non colpirlo a morte, così da non fargli destare sospetti sul suo vero intento omicida, e con gli altri coltelli minava a privarlo delle sue ali con cui poteva a muoversi a grande velocità, l’obbiettivo finale era pur sempre quello di eliminare la presunta onnipotenza di Quetzalcoatl. Lì, davanti a tutti, avrebbe pelato un pezzo dopo l’altro il mito del dio imbattibile, facendo leva sulla fiducia e sulla gentilezza, in un piano perfetto che, se condotto senza errori, filava liscio come l’olio.

Eppure, con quell’ultima provocatoria domanda, Quetzalcoatl minacciava di aver capito tutto. Era arrivato alla conclusione segreta, e che tale doveva restare per mantenere in piedi il piano: Charlotte Corday aveva giocato con lui in un gioco di vita e di morte. Ed ora bisognava giocare alla pari.

Ma Charlotte Corday fu proprio l’unica a non arrendersi a quel dubbio, e con fierezza ed eleganza, sorrise di rimando.

 

“Eccolo …” David il pittore a quel punto ebbe un’epifania, perché la sua mente era stata sollecitata a ricordare un evento così impressionante, da lasciarlo con brividi di tensione ancora adesso, che era solo un’anima. “Quel sorriso …”

 

17 Luglio 1793

Non esistevano buoni o cattivi, né giusti o criminali. Davanti alla ghigliottina venivano giustiziati solo i “nemici del popolo”, così da dare l’esempio ai presunti “amici del popolo”.

Ma quei nomi ora valevano poco, sicché chi li usava a dismisura per animare le masse, era morto: Jean-Paul Marat, assassinato pochi giorni prima.

Ed in un tempo in cui bastava anche solo apparire contro rivoluzionari e a favore della monarchia per essere uccisi, come ad esempio usare un tovagliolo o preferire il pane bianco, quel giorno venne portata alla ghigliottina una creatura del tutto nuova, insolita: un mostro.

Ma quel mostro non piangeva, non urlava, o imprecava blasfemie, come ci si sarebbe aspettato. Lei, Charlotte Corday, di una bellezza tale da far ammutolire chi non l’aveva ancora vista, camminò a testa alta verso la ghigliottina con fierezza. Nemmeno la regina era andata verso la morte in quel modo.

 Il boia si frappose tra lei e la ghigliottina, per poterle abbassare la testa e condurla al giaciglio, ma lei desistette con il solito dolce sorriso: “Ve ne prego, avrò pure il diritto di vederla: non ne ho mai vista una !”

E l’esecutore, spiazzato da quella decisione, la lasciò camminare da sola.

In quel momento Jacques-Louis David, seduto ai posti d’onore in quanto alleato della Rivoluzione, poté assistere a quello spettacolo tanto unico quanto incredibile. Se gli avessero chiesto di dipingere una magnificenza sul punto dell’estinzione, sicuramente avrebbe ritratto una cometa, i Giardini Pensili di Babilonia prima di venir distrutti, o il Colosso di Rodi prima di sprofondare nel mare… assieme a quel sorriso.

La sentì persino parlare tra sé e sé:

“Una macchina di morte per uccidere nobili e poveri senza distinzione… gli piaceva tanto, all’amico del popolo. Forse sono stata anche fin troppo gentile a dargli una morte così unica.” Nei suoi occhi vacui aleggiava una determinazione incrollabile anche di fronte alla morte, e per tanto, spaventosa.

 

“Pensavo …” Tornando al presente, Charlotte rispose finalmente alla domanda del dio. “… e se concludessimo la nostra sfida di prima? Adesso dovrei essere io a prenderti, e tu a scappare.”

Si era spezzata qualsiasi tipo di tensione, o di finta educata distanza che entrambi mantenevano quando parlavano. Niente imbarazzo, niente freni inibitori, solo ciò che provavano davvero.

Quetzalcoatl sogghignò con i suoi denti aguzzi: “Mi va bene !”

La nuova sfida, l’ultima sfida, iniziò proprio quando il dio corse via.

Con le ferite accumulate non avrebbe di certo potuto muoversi a grande velocità, tantomeno sfuggire grazie alle sue ali, eppure riusciva a correre con sufficiente vigore. L’unica differenza da una normale gara a rincorrersi, era che chi lo stava inseguendo trascinava dietro di sé, come una cappa, un’intensa valanga di morte che inghiottiva il suo cammino.

Charlotte ormai aveva abbandonato la Sefirot che celava le sue intenzioni, così ora sfoderava tutto quell’intento omicida che aveva trattenuto per diverso tempo. Pareva travolger qualsiasi cosa, allungando mani invisibili verso la schiena del suo bersaglio.

Quetzalcoatl non era soltanto quello che scappava. Era una preda.

Ovunque si nascondesse, era costretto a scappare il più velocemente possibile non appena sentiva la presenza della morte sulla sua pelle, e poco dopo una lama affondava nel vuoto, mancandolo per un soffio. La ragazza continuava a mascherare l’assassinio da gioco, e per tanto colpiva solo nel momento in cui il dio le porgeva le spalle per scappare: sarebbe bastato accorciare le distanze sempre di più, e quella frazione di tempo si sarebbe trasformata nel momento della vittoria.

Si sentiva potente. Una predatrice. E tutto ciò che faceva era per l’umanità: loro stavano guardando, e per questo non poteva arrendersi. Tutte le fiamme e tutto il dolore del mondo non sarebbe bastato a farla vacillare, perché in quel caso con lei sarebbe crollata anche la speranza della sua gente.

La sua gente…

 

11 Luglio 1793

“Vuoi… salvare la tua gente ?” Domandò l’uomo immerso nella vasca da bagno alla ragazza che aveva appena accolto a casa sua.

Lei rispose affermativamente: “Come ho scritto nelle lettere che vi ho fatto pervenire stamattina, monsieur.”

“Tu …” La interruppe lui: ”In realtà hai scritto che vuoi salvare la Patria, e servire la Francia, con ovviamente la Rivoluzione. Non hai parlato di gente.”

A quel punto la ragazza rimase in silenzio. Un occhio molto attento avrebbe potuto vedere le sue mani tremare.

“Hai ribadito che vieni da Caen.” Lui fischiò volgarmente d’ammirazione. “Da Caen a Parigi. Tutta questa strada per la Rivoluzione… e ora mi parli di salvare la gente.”

“Perché la gente… !” Parlò infine lei, levando la sua voce con un sussulto, ma ugualmente con forza e fermezza. “Monsieur… la gente è quella che soffre. La gente patisce la fame, la gente prova paura, alla gente si spezza il cuore quando perde un figlio, un marito, un amato… un Paese non prova emozioni.”

Quell’ultima affermazione normalmente le sarebbe costata la morte, ma fu agile nel non demordere: “Ma un paese può fare molto per la gente! Un paese può… essere in pace. Così che nessuno più soffra.”

Lo sguardo indagatore di Marat cedette. Non riuscì più a dissimulare un’altezzosa distanza, perché quando udì quelle parole il suo cuore perse un battito per l’emozione.

“Esatto!” Esultò raggiante, colpendo l’acqua con i pugni in un gesto impulsivo ed infantile.

“È proprio ciò che intendo io! Andiamo d’accordo sulla pace !” Sorrise Marat: “Tutti vogliono un eroe che porti loro la pace. È il motivo che spinge gli uomini a pregare gli dèi, o a votare un capo. Io però non mi considero un eroe, bensì un amico del popolo !”

“Anche lei desidera la pace …” Charlotte non aveva più un interlocutore preciso, in quanto persa nei suoi pensieri tenebrosi ed offuscati come la notte. “Ma come ottenerla? Questo mi domando.”

“Come ?” L’occhio dell’uomo si spalancò, assieme ad un ghigno affilato. “Con la ghigliottina, ovvio! Inizieremo dai traditori che mi hai comunicato poco fa, giustiziandoli domani stesso. Sai perché è stata costruita la ghigliottina, mademoiselle Corday? Per rendere un’equa giustizia nella morte, senza distinguere re o plebei! Per i traditori sarà forse un vanto venir uccisi dalla stessa lama che ha decapitato i vecchi reali !”

E scoppiò in una risata così spontanea da contagiare, in quel clima di familiarità ed amicizia, anche Charlotte.

La donna rise, rise e rise. Dopodiché, come se fosse la cosa più naturale del mondo, impugnò il coltello che aveva nascosto in seno e pugnalò Marat all’altezza della clavicola.

“Allora la morte che ti sto donando ti parrà una benedizione… così fuori dall’ordinario . La tua voce che aizza le folle e pretende altre teste non si leverà più su Parigi.”

L’uomo gridò, ma solo schiuma rossastra gli fuoriuscì dalla bocca. Schizzi rossi che tinsero l’acqua, ma si sollevarono per segnare il volto latteo della bellissima donna che ora gli sorrideva.

“Sono io sono l’eroina che tutti vogliono… adieu, Ami du Peuple.” E concluse quel verdetto con un bacio sulla fronte, mentre l’uomo si tendeva per gli spasmi, per poi adagiarsi nella vasca con un braccio che penzolava fino a terra.

La moglie di Marat, rimasta a spiare dietro la porta socchiusa, lanciò un urlo straziato, correndo a soccorrere il marito. Nonostante lei, e persino quando i gendarmi immobilizzarono Charlotte per arrestarla, quella ragazza non smise di sorridere, e di ridere.

 

Quando, giorni dopo, venne portata al processo, la sua fine era segnata. Nessuno riusciva ad accettare che lei avesse ucciso Marat, ed ora quello stomaco affamato di sangue che era il popolo, ora pretendeva la sua testa.

Robespierre, Danton e persino il pittore David la guardavano con un misto di disgusto e raccapriccio. No, era paura. Charlotte era consapevole che lei, una ragazza sola provenuta dalla campagna, avesse ucciso un mostro. Era come le fiabe che leggeva da piccola, o della sua eroina diventata santa, Jeanne D’Arc.

“Cosa vi aspettavate di ottenere assassinando Marat ?” Le chiese il giudice.

Fu come se la dose di una droga bellissima le fosse stata iniettata: era felicità pura. Non vedeva più volti iracondi e non sentiva più voci furiose, ma percepiva attorno a sé una melodia fantastica.

Non era il mondo del presente, ma la previsione del futuro. Un destino che avrebbe reso tutti felici.

“La pace !” Solo così avrebbe potuto descriverlo. “Ora che è morto, la pace tornerà a regnare nel mio paese !”

(Testimonianza di Charlotte Corday, 16 Luglio 1793, Tribunale rivoluzionario)

 

“Tu… provi vergogna davanti agli umani.”

Quelle parole fecero rabbrividire Quetzalcoatl. Non aveva modo né tempo di voltarsi, per tanto non seppe nemmeno da dove provenisse quella voce. Era nell’aria, d’ovunque.

“L’ho capito.” Continuò Charlotte. Forse non lo stava più nemmeno inseguendo.

“Da quando sei sceso in campo non hai fatto altro che indossare una maschera… sembravi divertirti, ma in realtà volevi solo distrarti. Tu in realtà lo hai sempre saputo che sono io la tua avversaria.”

“Basta !” Il dio si fermò, sentendo però l’immenso spazio attorno a lui soffocarlo. Stava sudando, tremando. Era scosso e non riusciva a calmarsi.

“Cosa ti è successo? È un avvenimento della tua vita, vero? Qualcosa che hai fatto… uno sbaglio… qualcuno che hai perso… un tuo errore ?”

Quetzalcoatl strinse i pugni e digrignò i denti: “Zitta !!” Il vento si stava accumulando, rivestendolo.

La sua barriera di Xolotl era impenetrabile, ma nulla poteva contro quelle parole.

“Quindi qualcuno è morto …”

“Non dirlo… non dirlo… no-“

“… a causa tua ?”

 

“GRWAAARGH !!” L’urlo fu in realtà un ruggito, come se un drago si fosse risvegliato. La pelle del dio serpente piumato bruciava dall’interno, e quel calore gli arrivava fino al cervello, infiammando i suoi pensieri e rendendolo cieco. Ma non era solo rabbia: era dolore, sofferenza.

Portò le braccia in avanti, e tutto il vento accumulato e compresso si distese, rilasciando un turbine di aria dalla pressione esorbitante. Quel flusso bastò per polverizzare qualsiasi cosa incontrasse, tracciando un solco che raggiunse la parete opposta dell’arena. Lì si schiantò, formando un’enorme conca dalla forma perfettamente rotonda.

 “Quello era il Cannone di Ehecatl !” Lo riconobbe Tezcatlipōca, mentre assieme a tutti gli altri spettatori si accorse che l’intero stadio stava tremando.

Persino gli annunciatori si sentirono in pericolo.

“Lo scudo magico ha retto a stento !” Grugnì Adramalech, fuori microfono.

“E pensare che lo stiamo potenziando di scontro in scontro! Non credo proprio reggerebbe un altro colpo del genere !” St. Peter si mostrò molto preoccupato, e guardò il suo collega, titubante. “Dici che dovremmo… sospendere… ?”

Il demone volse lo sguardo verso il campo di battaglia, pensando però a quali rischi avrebbero corso fermando quello scontro.

 

E ora, nella piazza cittadina distrutta per metà, come se fosse stata travolta da un tifone, tutto si era fermato.

Gli occhi di Quetzalcoatl erano persi nel vuoto, ma mantenevano una brillante e vivida fiamma inquieta, insana, esasperata. Continuava a soffrire.

 

“Evviva, ce l’ho fatta! Finalmente gli umani vivranno in pace !” Una dea esultava, felice. Nonostante però stesse vivendo quel momento di personale soddisfazione, scelse di voltarsi verso di lui, volendolo rendere partecipe di quel bellissimo sorriso che aveva sul volto.

“Che ne pensi, Quetz? Sono stata brava ?”

“Sì… sei stata bravissima.”

 

Erano lacrime. Non un alluvione.

Dai suoi occhi sgorgavano lacrime, scivolando lungo le guancie fino a bagnare il seno di Charlotte, che ora lo abbracciava stretto. Non voleva lasciarlo andare, perché per la prima volta dall’inizio dello scontro, anche lei aveva abbandonato quella maschera di finzione e bugia.

Erano entrambi, finalmente, sinceri. Ma non avversari.

“Dimmelo, per favore… dimmi cosa ti ha fatto soffrire degli umani …”

Era proprio un alluvione.

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Parlando del flashback di Charlotte:

Non sono uno storico, e non posso dire per certezza come risponderebbero determinati personaggi storici, in linea con il loro carattere. Però do del mio meglio, cercando di ricostruirli attraverso le informazioni che ho (e posso assicurare che per i personaggi della rivoluzione ho fatto un bel lavoro di ricerca, guardando persino documentari che non esistono se non in francese, del quale grazie al cielo ho una buona conoscenza). Ovvio che io non voglia scrivere una storia 100% storicamente accurata, ma almeno un po’ di coerenza secondo me ci deve essere… poi c’è da dire che io conto anche a stravolgere l’immaginario che il lettore ha di un determinato personaggio, ma quello è un altro discorso.

Bene, spero che siate pronti per la conclusione di questo scontro.

A domani! 

   
 
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